PICCOLI EROI
di Omar Minniti
“Non so che viso avesse, neppure come si chiamava… ma nella fantasia ho l’immagine sua: gli eroi son tutti giovani e belli!”, queste le parole usate da Guccini per immortalare, nella sua storica canzone “La Locomotiva”, le vicende umane e politiche di un anarchico d’inizio ‘900, sacrificatosi per attuare la “giustizia proletaria”. Note che hanno entusiasmato un’intera generazione che, a cavallo del Sessantotto, fu capace di mettere in discussione vecchi equilibri, di scuotere sin dalle fondamenta “giganti dai piedi d’argilla”, di sognare “l’assalto al cielo”.
Una generazione di cui facevano parte a pieno titolo Franco Scordo, Gianni Aricò, Angelo Casile, tre giovani libertari di Reggio Calabria, Luigi Lo Celso, libertario cosentino, e la tedesca Annalise Borth: cinque vite accomunate dalla passione per gli ideali di eguaglianza, emancipazione sociale e di riscatto per i più deboli, e da una tragica e assurda fine, che ancora oggi fa raggrinzire la pelle. Cinque figli di epoca intensa ed esaltante, in cui la lotta politica era pane quotidiano per i giovani e le piazze, le fabbriche, le scuole e le università un laboratorio in cui pensare la società di domani, che non hanno esitato ad applicare fino in fondo le proprie idee, fino alle estreme conseguenze.
A tre decenni di distanza da quella maledetta
notte del 26 settembre 1970, una storia per troppo tempo insabbiata
torna a galla grazie al lavoro puntuale e militante di Fabio Cuzzola,
trentaduenne docente di italiano e storia. “Cinque anarchici del Sud”, libro
messo in commercio da alcune settimane dalla “Città del Sole edizioni” di
Franco Arcidiaco, coraggioso esempio di controinformazione che contribuisce a
creare un varco in quella cappa di silenzio scesa
“come una fossa comune dove sono sepolte e cancellate le storie, i
documenti ed i terribili segreti che questi giovani portavano con sé”, come
scrive Tonino Perna, cugino di Aricò
e autore della prefazione del testo.
Dopo mesi e mesi di ricerca, passati a scovare
qualcosa di utile tra archivi polverosi, ritagli di giornali dell’epoca e
testimonianze dirette di compagni di lotta, amici e familiari delle vittime,
Cuzzola ha ricostruito con attenzione –seppur nel limite di un’opera formato
opuscolo- lo scenario in cui è
maturato l’evento. Si parte dal racconto crudo e senza troppi commenti di
quanto avvenne sull’asfalto dell’autostrada del Sole, non lontano dalla
capitale, per andare a ritroso negli anni, parlando dell’infanzia dei tre
anarchici reggini, delle prime esperienze politiche, dei viaggi in autostop e
col sacco a pelo per le vie di un’Europa in fermento. Scordo, Casile ed Aricò
erano attratti dalla possibilità di poter conoscere l’umanità circostante,
di conoscere le condizioni di lavoro e di vita di altri popoli, confrontarsi con
altre culture, prendere parte alle lotte in corso. Seguendo il ritornello di una
vecchia canzona anarchica, “Nostra patria è il mondo intero, nostra legge è
la libertà”, si inoltrarono nella penisola scandinava, a Parigi (dove presero
parte alle contestazioni del Maggio francese), in Grecia, in Germania, in
Belgio; tappa, quest’ultima, nella quale ebbero modo di constatare le
condizioni bestiali in cui vivevano gli emigranti calabresi, partiti con le
valigie di cartone cariche di sogni e ritrovatisi a lavorare come “schiavi”
nelle miniere.
Nel libro di Cuzzola, edito nella collana “I
tempi della storia” diretta da Pasquale Amato, ampio spazio è dedicato ai
fatti che ruotano attorno alla rivolta per Reggio capoluogo e alla “strategia
della tensione”, determinati per comprendere il perché di quel 26 settembre.
Spente le prime fiammate di rabbia popolare spontanea, che videro protagonisti
anche i militanti della sinistra extraparlamentare, i tre giovani comprendono
sin da subito che dietro i moti municipalisti e le barricate si nascondono
complesse trame eversive, un filo nero che lega classi possidenti, destra
neofascista, criminalità mafiosa, logge massoniche e apparati dello Stato più
o meno “deviati”. Un piano che mira a contrastare la spinta propulsiva delle
manifestazioni operaie e studentesche e creare le condizioni per
un’involuzione autoritaria e golpista, secondo il modello applicato nella
Grecia dei colonnelli e, successivamente, da Pinochet in Cile.
Dopo l’esplosione delle bombe di Milano e Roma,
Reggio diviene un crocevia di vecchi e nuovi notabili fascisti, agenti segreti
italiani e stranieri, provocatori e infiltrati; una sorta di Vandea in salsa
meridionale da cui appiccare la scintilla per la destabilizzazione dello Stato.
In piena rivolta contro Catanzaro, il 22 luglio del 1970 deraglia il treno
“Freccia del Sud” all’altezza di Gioia Tauro: un bilancio di sei morti e
139 feriti per quello che appariva palesemente un attentato di marca
neofascista. Gli ambienti più attivi della sinistra locale intendono guardarci
chiaro, raccogliere prove, dimostrare le responsabilità degli esponenti del
“Comitato d’azione per Reggio capoluogo”, dei famigerati “boia chi
molla”di Ciccio Franco e dei loro manovratori. Si cerca di condurre
un’inchiesta autorganizzata, di stilare un dossier: opera ardua e tenace che
vede il gruppo anarchico in prima fila.
Cuzzola è convinto che esista un collegamento tra
l’attività di controinformazione condotta dai ragazzi e il tragico
“incidente” stradale che li vide coinvolti, proprio mentre si recavano a
Roma per rendere partecipi delle sensazionali scoperte alcuni avvocati
democratici. Prima di lui, ne sono stati certi i familiari delle cinque vittime,
Lotta Continua ed altri gruppi dell’allora “nuova sinistra”, gli amici che
non si sono mai rassegnati a sorvolare sulle troppe “coincidenze” del caso,
nonostante i silenzi complici, i depistaggi, il famoso “muro di gomma” già
visti nelle stragi di piazza Fontana, Brescia, Bologna, Ustica e degli altri
crimini commessi in nome dell’anticomunismo e della fedeltà atlantica.
“Cinque anarchici del Sud: una storia negata” , dopo anni di tenebre,
costituisce uno stimolo ad andare avanti nella ricerca della verità, una sfida
a carnefici e complici, un invito a raccogliere “le fionde cadute sulla strada
e sfidare Golia, con la forza, il coraggio e la fede di Davide”.