BENI COMUNI
di Giovanni Franzoni

Il risultato deludente per la sinistra delle ultime elezioni politiche dovrebbe spostare l’attenzione di molti compagni della sinistra da una ambigua rincorsa ad accostarsi al potere istituzionale, cosa certo da non trascurare ma pericolosa se non sono chiari gli obiettivi ultimi di un accesso al governo, verso un’altra direzione: l’attenzione ai diritti fondamentali a livello di economia e di etica globale. I diritti fondamentali sono stati enunciati nella Carta delle Nazioni Unite e sono chiaramente presenti nella Costituzione italiana ma, mentre sono chiaramente enunciati i diritti non sono enunciate le modalità di accesso all’esercizio concreto dei diritti. Sarebbe importante contrapporre alla globalizzazione dell’economia e del mercato una globalizzazione dei diritti giacché oggi se i diritti sono enunciati per tutto il globo, altro è l’accesso al diritto che ha un cittadino del nord industrializzato ed altro è l’accesso di coloro che abitano nei Paesi in via di sviluppo. Potrebbe dare consistenza all’esercizio dei diritti nelle popolazioni oppresse e sull’orlo del collasso una seria campagna di opinione sui beni comuni dell’umanità, cioè sui beni che non sono nell’area della proprietà privata e nemmeno nell’area delle varie sovranità. Parlo dei corpi d’acqua, delle risorse minerarie dei fondi oceanici al di là della piattaforma continentale, dell’Antartide, della luna, dello spazio “oltre” gli spazi aerei dei singoli Paesi e soprattutto delle lucrosissime posizioni in orbita geostazionaria per la collocazione di satelliti utili per le telecomunicazioni (Telefonia, Internet, Televisione). E’ su queste ultime che si basa il favoloso business delle comunicazioni via satellite che sta interessando l’acquisizione di domini per l’immediato futuro. Questa massa di beni sono considerati dall’attuale diritto internazionale come res nullius (cosa di nessuno) ed in base ad un principio arcaico ma inossidabile del diritto romano sono alla mercé del primo occupante, cioè multinazionali che hanno capitali e tecnologie per accedervi. E’ vero che si sbandiera il principio etico dell’accesso per tutti ma in realtà l’accesso è solo per coloro che hanno acquistato il dominio: il resto è presa in giro. Se i beni comuni costituiscono la ricchezza di tutta l’umanità e quindi la possibilità di contrapporre al debito dei Paesi in via di sviluppo una equivalente massa di crediti, essi devono essere amministrati dalle Nazioni Unite in favore dell’umanità intera attualmente depredata dagli agenti della new economy, magari col pretesto di agire in nome del bene comune. In questo caso la distinzione fra bene comune e beni comuni diviene essenziale per dei comunisti. La nozione di bene comune è infatti di carattere idealistico mentre quella di beni comuni è di carattere materialistico. Non sarebbe male che i comunisti ne percepissero la differenza dal momento che i manovratori della finanza e del mercato globalizzato il materialismo lo conoscono e lo apprezzano alquanto. Affrontare questi problemi significa rimboccarsi le maniche in materia di filosofia del diritto e di diritto internazionale. E’ chiaro che proteggere ed incentivare le nicchie del mercato equo e solidale, del volontariato, delle microrealizzazioni e delle banche etiche resta un compito essenziale ma se non si saprà dare all’economia mondiale una base di diritto per tutte le popolazioni e se non si sarà capaci di dare forme di autonomia e di rappresentanza globale a tutti i popoli si resterà nell’assistenzialismo e si seguiterà a chiedere alle multinazionali che producono povertà, come ha fatto recentemente l’ex ministro Visco, l’elemosina per la sopravvivenza a livelli disumani dei popoli in particolare del Sud del globo.