ESSERE O AVERE… 
QUESTO E’ IL PROBLEMA
di Mauro Pascolini

 

Il grande filosofo greco Epicuro (341 – 270 a.c.) tra le altre interessanti massime, duemila e trecento anni fa, affermava:

- alcuni desideri sono naturali e necessari
- altri naturali, ma non necessari
- altri infine non naturali né necessari

Troviamo questa concezione molto attuale e altamente educativa. In un’epoca di sfrenato consumismo, la nostra, si potrebbe dire che bisogna puntare sul necessario eliminando il superfluo: gli “orpelli”. Ma cos’è il necessario e cos’è il superfluo? Ai tempi di Epicuro, indubbiamente, gli oggetti di consumo si limitavano a poche decine di unità mentre oggi, in ogni casa, nei Paesi occidentali, ne abbiamo a disposizione migliaia. Pertanto, a maggior ragione, più che in passato, possiamo eliminare un certo quantitativo di oggetti superflui ed inutili e rinunciare al desiderio (spesso indotto) di essi. E’ questa l’educazione che dobbiamo dare alle nuove generazioni e a noi stessi. Il benessere non è consumismo. Purtroppo al concetto di benessere è toccata la stessa sorte che ha subito quello di sviluppo. Entrambi sono stati svuotati dal loro significato originario e sono stati ridotti a “idee” distorte utili solo al capitale e dannose al genere umano. Lo sviluppo è stato ridotto unicamente al solo criterio di crescita della produzione. Il ben-essere (star bene), che si dovrebbe riferire ad uno stato di soddisfazione della persona, è stato identificato con il consumismo: purtroppo anche lessicalmente (vedi lo slogan “la società del benessere”). Analizziamo, ora, le linee di demarcazione tra questi concetti che, nel 2000, sono più difficili da individuare. Cento anni fa era ritenuto superfluo telefonarsi. Oggi non potremmo pensare alla nostra vita senza telefono. I tempi cambiano e noi ci adeguiamo. Dieci anni fa non esistevano i telefonini: oggi tutti ne hanno uno se non di più. Ma se, volendoci allargare, possiamo considerare un cellulare un desiderio legittimo, non può essere così per un infernale telefono con centinaia di funzioni (molte inutili) che, tra l’altro, costa quanto lo stipendio mensile di un lavoratore. Facendo appello al buon senso nessuno avrebbe difficoltà a mettere tra i beni ed i desideri non necessari, ma utili, un televisore il cui acquisto è sicuramente legittimo ma non lo è altrettanto l’acquisto di tre o più televisori per la casa come spesso accade nella nostra società (uno in cucina, un altro in camera da letto, uno nel salone o saloncino). Alcune camicie sono necessarie: decine e decine un eccesso ed uno spreco ad esempio. Una buona minestra è un bene necessario e naturale mentre una merendina “industriale” un bene indotto o il caviale un bene naturale ma non necessario. L’ora esatta si può verificare anche con orologi graziosi e a prezzi accessibili e un capo “firmato” è semplicemente e spesso un bluff non utile, né necessario e, a volte, neppure gradevole. Epicuro diceva ancora:

“se vuoi rendere ricco Pitocle non aumentarne i beni ma sfrondane i desideri”.

Il consumismo è un difetto “trasversale”, cioè comune a tutte le culture e le ideologie, ma d’altro canto rappresenta, fortunatamente, una possibilità pedagogica di inversione di tendenza che possiamo “sfruttare” e dirigere verso tutti. Superando il mero consumismo si può essere più felici. Un eccesso di oggetti intasa la vita quotidiana, disperde l’attenzione, sperpera le energie, ci impedisce di trovare l’essenza della vita e ci allontana sempre di più dalla felicità. Solleviamo la testa, dunque, al di sopra della massa di prodotti e delle stupide pubblicità ed, infatti, chi vuol rimanere padrone dei propri desideri deve scoprire il piacere di evitare molte occasioni d’acquisto. In definitiva la semplicità delle scelte di vita e dei desideri è figlia della dignità anche perché il rischio dell’abbondanza da perseguire a tutti i costi è l’annullamento del sé. Nel mondo dell’arte è importante dosare parole, suoni, gesti e colori e così nell’arte di vivere è fondamentale trovare una misura per le ricchezze materiali e da possedere. Un uomo è ricco in proporzione alle cose di cui riesce a fare a meno.

Essere o avere: questo è il problema!

Affrontiamo, ancora, il lato educativo della questione. Non c’è dubbio che i consumi sono nati per far arricchire i produttori di “merci” ma (e questo il capitalismo l’ha valorizzato strada facendo) anche per distrarre l’utente dai veri valori della vita che possiamo identificare (in ordine sparso) con:

amore, amicizia, rapporto con gli altri, salute, arte, scienza, rapporto con la natura, crescita culturale, difesa dei più deboli, solidarietà. Il celebre psicologo Eric Fromm dice:

“il consumatore è un eterno lattante che strilla per avere il poppatoio”.

E gli adulti (anche loro è la colpa dell’educazione al consumo) sono così convinti che il consumare sia un modo per rimarginare le ferite nei rapporti tra le persone fino ad usarlo anche come mezzo per recuperare il rapporto con i propri cari. Quanti litigi tentiamo di recuperare con un bel regalo spesso inutile? Quanti genitori credono di rimettere tutto in ordine comprando ai figli un bel giocattolo pubblicizzato oltre misura o una maglietta firmata? Insomma:

è più importante l’avere o l’essere?

Diciamo, per non essere manichei, che è fondamentale essere (essere uomini e donne, essere cittadini, essere onesti, essere sani, essere felici, essere liberi…) ed è importante avere quello che è necessario per essere. Il resto è superfluo, non raramente inutile quanto dannoso.

KARL MARX HA FATTO LA SUA TESI DI LAUREA SU EPICURO