DIRITTI UMANI
IN PERU'
a cura di F. Massimo Vernillo
Marina Gamboa Macizo fu arrestata nel 1993, suo figlio era recluso a Yanamayo e ora si trova a Ica. Anche la sposa di Roberto si trova attualmente in carcere a Chorrillos. La signora Gamboa è stata presidende dell'associazione dei familiari dei prigionieri politici e dei desaparecidos, per questo e perchè indagava sulla detenzione del figlio è stata incarcerata; venne arrestata mentre si trovava a casa dell'avvocato che difendeva il figlio...
Lo scorso autunno
lanciammo un appello per raccogliere firme per chiedere la liberazione di Marina
Gamboa; anche grazie a questa azione la situazione di Marina ha iniziato a
mettersi in moto, lo dimostra, per esempio, l'interessamento della Defensoria
del Pueblo che inviò una lettera e l'interessamento di altre associazioni
peruviane alla situazione di Marina. Questo ha consentito di presentare una
richiesta più precisa, documentata anche attraverso le carte processuali, al
ministero della giustizia. La situazione attuale è questa: Marina ha ottenuto
il via libera da tutte le commissioni incaricate dell'esame dell'indulto e manca
solo la firma del Presidente della Repubblica. Speravamo che questo evento si
realizzasse nel giorno della madre ma non è stato così, per questo chiediamo
un ultimo sforzo per la libertà di Marina.
Inviare cartoline o
lettere
(con il testo spagnolo sotto riportato) a:
Doctor VALENTIN PANIAGUA C.
Presidente de la Republica de Perù
Palacio de Gobierno
Plaza Mayor
Lima 1 - Perú
Señor Presidente,
Nos dirigimos a Ustedes para rogarLe dar solucion
positiva al pedido de indulto en favor de la señora MARINA GAMBOA, de mas
de 60 años de edad, desde el 1993 injustamente detenida. Confiando en Su humanidad, reciba nuestro respectuoso saludo.
Per altre informazioni: mrta@ecn.org
Sito internet: www.ecn.org/mrta
Testimonianza del figlio prigioniero. (Roberto Villar Gamboa)
...accadde una notte del 5 di maggio del 1986 in cui la casa di Marina Gamboa fu
assaltata da decine di poliziotti. Portarono via il figlio accusato di essere un
terrorista, la madre voleva evitare con le sue forze che lo portassero via, non
riuscendoci essa stessa salì sull’auto della polizia accompagnando il figlio
detenuto, temeva che lo facessero scomparire come era accaduto in tanti casi.
Nelle celle della "comisarìa" accompagnò il figlio per ventidue
giorni, ascoltando le grida strappate dalla tortura a lui e a molti altri
giovani. Marina era scesa allo stesso inferno. Da quel momento la vita di questa
umile donna, che era stata una donna di casa per tutta la sua vita, si vide
profondamente compromessa con la lotta per il rispetto dei diritti umani di
tanti giovani come suo figlio.
Il figlio lo trasferirono al carcere di Massima Sicurezza a scontare una lunga
condanna, da allora sua madre gli fu vicino in ogni giorno di visita. Nel Maggio
del 1988 giunse in Perù il Papa Giovanni Paolo II, allora Marina si riunì con
altre madri di prigionieri per portare una lettera al Sommo Pontefice dove
chiedevano Pace e Giustizia per il loro popolo e per i loro figli. Tutte loro
furono violentemente buttate fuori dalla chiesa dove si trovavano e finirono
nelle celle della "comisaria". Un’altra volta lo stesso inferno!
E’ una crudele tortura per una madre ascoltare le urla di tanti giovani
torturati…può questo fermare una madre e farle abbandonare il figlio
prigioniero e torturato? Mai! Nel dicembre del 1989 nuovamente incarcerarono
Marina quando si trovava in riunione con altri familiari di prigionieri. Questa
volta non ricorsero solo alla torturo psicologica ma anche a quella fisica.
"Mi presero a schiaffi e mi colpirono alla testa, volevano che mi auto
incolpassi di terrorismo", raccontava Marina nella sua testimonianza. Non
considerarono la sua condizione di madre di un prigioniero e il diritto che ha
di accompagnare suo figlio. Marina trascorse due mesi in carcere. Tuttavia il
peggio sarebbe venuto più avanti. Marina continuò protestando per il figlio
prigioniero e per gli altri giovani che si trovavano in prigione e non avevano
nessun familiare al loro fianco. Intanto le leggi si facevano più dure e
arbitrarie nel nostro paese Nel giugno del 1993 la incarcerano definitivamente
mentre stava con altri familiari nell’ufficio dell’avvocato; la accusano di
"tradimento alla patria" e fu giudicata da un tribunale militare e
condannata a venti anni di carcere senza nessuna prova; attualmente questa
condanna la sta scontando a più di duemila metri sopra il livello del mare, nel
nord del paese e a centinaia di chilometri di distanza dalla sua famiglia e dal
figlio prigioniero. Anche se il suo grido di giustizia segue intatto le sue
forze si vanno debilitando per la cattiva salute dovuta all’età avanzata (64
anni). Già sono più di sette anni che vive in pessime condizioni de reclusione
e alimentazione. I reumatismi, lo stomaco e malattie della pelle necessitano di
attenzione medica specialistica che mai avrà in queste condizioni. Le autorità
sempre le promisero di migliorare le sue condizioni, incluso l’indulto, ma
solo furono delusioni alla sua speranza di giustizia. In questo paese la donna
è sempre doppiamente punita, se non prestiamo attenzione alle condizioni di
giustizia e carcerazione. Marina Gamboa è una di loro, non solo ha il figlio in
carcere e lontano, questo di per se è una condanna per una madre, ma anche lei
se trova in prigione. Doppio supplizio per una madre.
Neppure il crudele impero che assassinò Cristo mise in carcere Maria, sua
madre, per il solo fatto di stare vicino e prendersi cura del figlio prigioniero
e assassinato. Così come Maria, molte madri di prigionieri accompagnano i loro
figli nei difficili momenti vissuti e non c’è forza ne odio che possano
impedire questa attitudine umana universale della madre. L’unico delitto di
Marina Gamboa fu quello di esercitare il suo diritto naturale di madre di
proteggere il figlio prigioniero. Non dobbiamo permettere che si puniscano con
la prigione le madri che esercitano tale diritto naturale.
LIBERTA’ per MARINA GAMBOA!