IL MINISTRO LETIZIA MORATTI
di Tiziano Tussi

 

Letizia Moratti dimostra di essere un ministro molto deciso. Ha annunciato a Rimini, al meeting di Comunione e Liberazione una serie di innovazioni per la scuola che fa impressione. Ha preso in esame molte questioni: esame di Stato, riforma dei cicli, stipendi degli insegnanti, funzione e codice deontologico della professione. Il tutto sarà demandato ad una commissione che studierà i modi di applicazione. Ed è a questo punto che non torna il conto. Gli ultimi due ministri del governo di centro sinistra, Berlinguer e De Mauro, hanno introdotto molte riforme senza prendere in serio esame la possibilità di un confronto stretto con la categoria degli insegnanti. Non si è avuta nel tempo, nonostante le dichiarazioni degli stessi, nessuna reale possibilità di dialogo tra la categoria ed il ministero. Certo i lavoratori della scuola sono moltissimi – si rasenta il milione – e diventa perciò difficile operare un dialogo proficuo. Ma questo deve essere tentato, inventandosi le modalità applicative. Solo con l’apporto della categoria e poi, se fosse possibile, delle famiglie e degli studenti, si potrebbe, alla fine di un percorso di dialogo, produrre riforme che restino in piedi e che non corrano il rischio di venire osteggiate dai lavoratori stessi – ricordiamo ancora lo sciopero generale contro il “concorsone”, deleterio per il ministro Berlinguer. Quindi proporre a cascata riforme che non si potranno seriamente attuare, data proprio l’assenza di un profondo lavoro alle spalle, quando invece le problematiche nella scuola s’ingrossano sempre più richiedendo il massimo della serietà, sembra fare apparire all’orizzonte una modalità d’intervento già vista e per di più perdente sul piano strutturale. Non si vuole quindi sottolineare l’appartenenza ideologica del ministro, logicamente all’opposto di una visione almeno laica della scuola, ma si vuole porre l’accento su un difetto d’intervento che, non importa quale che sia il colore politico, non produce in nessun modo buoni frutti. Si deve ragionare perciò collettivamente sulle questioni proposte. Il problema scuola non è fine solo a sé stesso ma investe ogni ambito del nostro vivere civile, a livello culturale ed economico. Non si può pretendere quindi di operare un sovvolgimento storico in essa senza una capacità di scavo profondo e proficuo. Senza ascoltare e progettare con chi poi dovrà mettere in atto i risultati di tali progettazioni. Quindi al di là della matrice assieme conservatrice e manageriale, almeno nelle intenzioni, della nuova compagine ministeriale, formare commissioni che lavorano sulla testa della scuola, non porta a nulla di proficuo. Come conseguenza potrà avere solo un rilancio delle lotte degli insegnanti e degli studenti. Ma si sarà ancora all’anticamera di una qualsiasi e risolutiva discussione sui profondi problemi scolastici. Sempre che queste preoccupazioni “imprenditoriali” siano davvero una preoccupazione del ministro. A meno che il suo decisionismo nasconda solo un tentativo, storicamente perdente in partenza, di imbastire una nuova infrastruttura scolastica, che non trova per altro basi solide già all’inizio dato che l’egemonia della scuola pubblica in Italia è un risultato di un percorso storico di decenni. Non è possibile smantellarlo con pochi leggi e circolari applicative. Lo stato reale delle cose lo impedisce. Mancano edifici, insegnanti e studenti che facciano vivere un sistema privato decente e produttivo, a livello culturale. Non esiste una libertà in assoluto nelle scuole confessionali. Il limite estremo della confessionalità lo impedisce fisiologicamente. Lo spiega molto bene Emanuele Severino ne il Corriere della Sera, sabato 1 settembre 2001. Mancano condizioni paritetiche di lavoro, anche a livello di salario elargito dagli sfruttatori di mano d’opera intellettuale, proprietari delle scuole private esistenti. E’ notorio che in molte scuole private, in troppe situazioni, non venga percepito alcun stipendio ma solo la possibilità di fare punteggio che si potrà poi riversare, ora più di prima, nelle graduatorie pubbliche. Insomma non ci si inventa su due piedi qualcosa che non c’è. Perciò se il ministro avrà la bontà di capire che la cultura ha bisogno di tempo e spazio per respirare, oltre al contenzioso tra le parti sociali si potrà forse produrre qualcosa di funzionale per la scuola, altrimenti sarà solo una lotta radicale. E non è sicuro sin da ora chi potrà avere la meglio in una situazione di scontro frontale.