L’APOTEOSI DELLA VIOLENZA NEL DIALOGO PEDAGOGICO: DAL TERRORISMO ANONIMO
AI BOMBARDAMENTI ANGLOAMERICANI

di Tiziano Tussi

 

Nelle classi italiane si sono svolti dialoghi, discussioni, richieste di chiarezza, tra gli studenti ed i loro insegnanti. L’attacco terroristico a New York ha scosso tutti gli animi. Ed allora le domande per una comprensione funzionale degli elementi cardine di questo accadimento negli animi scossi si sono immediatamente materializzate nelle scuole che avevano iniziato allora il nuovo lavoro annuale. “Non riesco a capire perché dall’Afghanistan arrivino le minacce all’Occidente? Prof. qual’è la storia recente di questo Paese?” Ed ecco che l’insegnante comincia a raccontare delle conquiste coloniali inglesi del 1800 sino ad arrivare alla presenza dell’Armata Sovietica all’inizio degli anni ’80  ed alle guerre inter-afghane ed all’aiuto che il Pakistan ha dato agli “studenti” coranici. Ma non si ferma qui. Deve per forza fare riferimento alle ricchezze, di cui pochi godono e che pochi requisiscono di quel Paese – oppio per eroina, petrolio, uranio – ricchezze che si depositano in eleganti banche Occidentali. “Ma perché questo attacco. Un impressionante numero di morti. Ve ne potevano esser anche di più. Per me si è persa qualsiasi coscienza della soglia di umanità che deve accompagnare ogni atto umano, anche una guerra” osserva un altro studente.

E l’insegnante, faticosamente, cerca di rendere più “scientifico” ogni ragionamento, ogni osservazione che coglie il lato dell’orrore del fatto terroristico ma che ha bisogno di un orizzonte storico e filosofico di riferimento per poter essere ben capire. Magari facendosi aiutare dagli interventi più analitici che sono comparsi sulla stampa. Usando anche risvolti psicoanalitici di massa come quello di Hans Magnus Enzensberger che propone una tesi molto freudiana sulla tendenza suicida generalizzata, tendenza di morte, da parte di uomini che vivono in una civiltà che distrugge, che crea profonde differenze e quindi enormi possibilità di leggere in senso negativo la vita (Corriere della Sera, 19 settembre 2001). Ma occorre andare avanti e quindi portare anche un elemento di futuro nelle menti degli studenti che attraverso le loro domande tendono a piegarsi verso il pessimismo. E quindi si prosegue con il lavoro giornaliero, con lo studio e con la costruzione di percorsi culturali. Altra doccia fredda si abbatte su questo nuovo dialogo e sulle vite di troppe persone al momento dell’inizio dei bombardamenti nel Paese orientale nel quale si trova il supposto attentatore. Cosicché ancora di più l’Afghanistan, Bin Laden, Talebani diventano termini di un discorso nuovo. Pochissimi hanno seguito le traversie di quell’area e quindi molti insegnanti non vanno oltre le banalità che gli vengono propinati dai media. La televisione in primis. L’onnipresente Bruno Vespa ci porta verso analisi che lasciano il segno. Altri programmi fanno lo stesso. Edizioni speciali di riflessione e analisi. Collegamenti con telefoni satellitari – si viene a conoscere dell’esistenza di Emergency che sta in quel luogo da tempo con due ospedali, uno dei quali ora chiuso dai Talebani. Insomma pare una cosa drammaticamente normale parlare di queste cose. Ma per ora è così. Se domani accadesse un altro attentato in altra parte del mondo o una ritorsione anglo-americana ad esempio in Sudan, si sposterebbe l’attenzione verso quel luogo, altro lazzaretto di contrasti e di morti assolutamente inutile per innalzare il livello di vita della “gente comune”. Ma per ora questo riflettore dei bombardamenti è posizionato in Afghanistan, e quindi via alla discussione. Nelle scuole vi sono comunque consistenti gruppi di studenti che realmente vogliono capirci qualcosa di più, che non hanno intenzione di fermarsi alla “richiesta di pace”, del resto richiesta pacifica per tutti, senza parteggiare per l’uno o l’altro contendente. E quindi sta alla scuola per le giovani generazioni, almeno in Italia, Paese ad alta scolarizzazione, cercare di dare risposte ben impostate. Non pare perciò inutile il tempo che si passa nell’apprendere discutere e capire.  La risposta all’oscurità del suicidio di una civiltà forse risiede anche nel “coltivare il proprio giardino”. (Voltaire, Candido)