EL hombre CHE va a La Habana

Dal Moncada alla Cabaña: Km 968 in bicicletta
Omaggio di Emilio Lambiase alla Rivoluzione Cubana

  Sono oltre 950 chilometri  da Santiago de Cuba a La Habana. Emilio Lambiase, architetto quarantacinquenne di Cava de’ Tirreni (SA), detentore di primati mondiali di resistenza in bicicletta,  li ha percorsi in 36 ore di pedalata, con due sole soste tecniche.

Per chi non lo sapesse, il Moncada è la caserma di Santiago, oggi adibita a scuola, teatro nel 1953 dell’attacco di Fidel Castro e di altri studenti universitari che segnò l’inizio della Rivoluzione Cubana; la Cabaña, che significa capanna, è la grande fortezza che domina la baia de La Habana, dove pose la sua comandancia Che Guevara, al trionfo della rivoluzione.

L’idea risale allo scorso anno, in occasione di un viaggio che facemmo con Lambiase nell’isola caraibica “sulle orme del Che”, organizzato dalla Fondazione Ernesto Che Guevara. Nacque in un pomeriggio di maggio all’ombra del grande mango di casa Granado a Miramar, mentre Emilio  prospetta ad Alberto l’altro suo progetto, quello più grande e più  ambizioso,  di ripercorrere, sempre in bicicletta, il continente Sudamericano secondo l’itinerario fatto in motocicletta dal Che e dallo stesso Granado nel  1951.

Inserita tra le manifestazioni del gemellaggio in atto tra la provincia di Napoli e quella di Santiago, la performance si è svolta proprio nei giorni della festa nazionale, nonché del 485mo anniversario della fondazione della città caribegna.

In una lettera scritta al Comandante in capo Fidel, Emilio  spiega il significato che l’impresa ha per lui: un omaggio alla Rivoluzione Cubana e a quanti si sono sacrificati per una società più umana e più giusta .

La cosa è stata grandemente apprezzata dalle autorità e dai cittadini di Cuba.

Il Poder Popular di Santiago si è attivato immediatamente, organizzando una conferenza stampa e coinvolgendo, oltre agli organi della Federazione Ciclistica Cubana, la Clinica Internazionale della città, la quale ha messo a disposizione un’ambulanza con un’equipe formata da un medico sportivo, un’ infermiera e due autisti, che hanno accompagnato e assistito Emilio durante l’intero percorso.

 

Sei e venti del mattino del 26 luglio. Termina l’assalto simbolico al Moncada con la rappresentazione scenica dei giovani pionieri.

“Lambiase Emilio…….”

“Presente”.

 L’atleta, emozionatissimo, vestito dei colori della  Nazionale Ciclistica Italiana , esce dalla posta 3 tra due ali di folla applaudente e di bambini agitanti bandierine di Cuba.

Fa da battistrada l’auto guidata da Daniel Borrero Gonzales, l’autista della Transgaviota che si è messo a disposizione del gruppo. Emilio lo ha chiamato subito Pombo per certa somiglianza con Pombo,   compagno del Che in Bolivia,  attualmente alto ufficiale dell’esercito cubano.                      

A lui è piaciuto e da allora è per noi tutti Pombo. Con lui sono Elio Lamari, regista cinematografico di Roma ed Enrico, secondogenito di Emilio, che baderanno alle videoriprese. Dietro l’atleta va l’auto n.2 con Melina, moglie di Emilio, guida instancabile, vivandiera e amministratrice del gruppo, chi scrive, che fa da interprete e tiene le pubbliche relazioni, Daniele, l’altro figlio di Emilio,  e Andrey, ragazzo ucraino, ospite estivo da anni della famiglia Lambiase.

Dietro, l’ambulanza col dottor Francisco Rodríguez Morillo, l’infermiera Gisela Peacock e gli autisti Ramón e Sergio.

Da una strada trasversale sbuca un’altra auto e si mette al seguito. Dal finestrino di destra sventola una bandiera rossa col volto del Che. Sono Giorgio e Rina. Li avevamo conosciuti in aereo. Fascinati dal progetto di Emilio, sono venuti ad incoraggiarlo. Seguiranno fin quasi a Bayamo. Gentili e affettuosi, innamorati di Cuba e della sua gente, li incontreremo ancora. A La Habana  ceneremo insieme e trascorreremo qualche ora in allegria al Malecon brulicante di gioventù e “odoroso” di piscio e di birra, in una notte di fine settimana che è ancora carnevale.

La giostra è cominciata.  Fa gran caldo già nel primo mattino e sappiamo che la temperatura salirà moltissimo col giorno. E soprattutto lo sa Emilio; ma ha messo tutto nel conto, anche la grande umidità, l’ossido di carbonio che in gran quantità viene rilasciato da camion obsoleti e vecchi che percorrono la gran carretera, il fondo stradale spesso dissestato. Quanto alla segnaletica, tutt’altro che completa, provvede Pombo, gran conoscitore delle strade di Cuba.

Ondulato il percorso, nella zona della Sierra, fino a Bayamo. Scenari verdi di bananeti e palmizi lungo le colline confortano la vista. In prossimità di villaggi e capanne isolate, il paesaggio si accende di fiori coloratissimi. Dai manghi frondosi pendono grossi frutti maturi. Agili caprette saltellano via dai bordi della strada.

 

“Avanti Emilio , che la strada è bella e vario il paesaggio. Nel velodromo di Bassano tutto era cupo e grigio . E pioveva a dirotto”.

E gli fornisco acqua e cibo, che Melina prepara secondo tabelle rigorose, corrette e integrate di volta in volta dal buon senso e dalle circostanze. Quant’acqua berrà Emilio! E non solo lui. Ma Pombo ha fatto ampie provviste per tutti.

Il ricambio idrico dell’atleta, per chi avesse questa curiosità, avviene, senza bisogno di fermarsi, attraverso un catetere non invasivo e un tubicino di plastica che fuoriesce dal pantaloncino.

Ad una settantina di chilometri il nostro eroe chiede di cambiare le scarpe con dei sandali. Gli dolgono le piante dei piedi. Ci fermiamo ad un gruppo di casette lungo la strada, chiediamo ad una donna un recipiente di acqua. Ne ha uno troppo piccolo, se ne fa dare un altro dalla vicina. Così, mentre Emilio si rinfresca i piedi in due bacinelle, profittiamo per scambiare qualche parola con un guajiro all’ombra di un grande albero. Intorno all’atleta si forma subito un crocchietto di bambini. Sono belli i bambini di Cuba. Non ci è parso di vederne di tristi o nervosi, neanche in città. Un porcellino nero, molto socievole, va soffiando sui piedi di noi sconosciuti. Enrico col suo apparato non smette di filmare.

Nella calura massima del meriggio Emilio avverte ancora il bisogno di rinfrescarsi i piedi. Ci fermiamo ad altra capanna. Qui la padrona di casa ha una bacinella sufficientemente grande. Dalla porta viene fuori una vecchietta molto avanti negli anni. Desiderosa di parlare e di sapere, si informa di noi, dice che fa troppo caldo,  che anche a lei dolgono i piedi, che ha 98 anni, che il giovane,  che è là fuori,  è suo nipote ed è sottoufficiale di polizia. Aggiunge, poi, che sua madre ha 124 anni, è quattro volte nonna e vive non molto lontana da lì,  in casa di un’altra figliola. Pensiamo ad una sorta di vaneggiamento senile e, invece, no. La figlia della nostra vecchietta e il genero ci danno conferma della cosa. Incredibile.

Dopo una medicazione dell’ottimo dottor  Paco, Emilio rimonta sul suo caballito de hierro e la giostra riprende, col suo ritmo regolare, coi foraggiamenti a tempo e i rifornimenti idrici.

“Forza Emilio! Eri contento a Bassano. Ti godesti l’acqua e il freddo, quella notte in cui Giove dovette proprio distrarsi e il medico e gli altri ti consigliarono, invano, di smettere . Goditi adesso il bel caldo che Cuba ti offre”.

E si suda. Oltre Bayamo è più agevole la strada, più pesante il clima. Daniele e Andrey danno segni di insofferenza, ma dopo una bella scorpacciata di banane e manghi comprati sulla strada si addormentano pesantemente. Campi di canne. Mucche al pascolo. Grandi cartelli coi volti di Fidel, di Camilo e del Che. Scritte sui muri. ¡VENCEREMOS!.

 

Passano vecchi pullman e camion stivati di gente per la carretera. Non deve essere comodo viaggiare così; eppure, agli incroci, uomini, donne e bambini aspettano pazienti quegli strani bus. Rispondono sorridenti al nostro cenno di saluto. “Somos jente de azúcar” dice un cartello all’ingresso di una piantagione di canna. Sono veramente dolci questi cubani.

Un’umanità multicolore popola le vie e le piazze delle città. Per secoli l’isola è stata un crogiuolo all’interno del quale si sono mescolate tutte le razze: la bianca, la nera, l’india, l’asiatica.

E bisogna riconoscere che il più delle volte i risultati sono davvero splendidi. Dal  punto di vista razziale vien fatto di pensare che la popolazione di  Cuba prefiguri quella europea di domani, di un domani forse nemmeno tanto lontano.

 Eleganti le donne nei loro abiti semplici ed essenziali, spesso di tessuto vile, a tinte forti. Un’eleganza naturale che viene, forse, da una sorgiva, istintiva coscienza della propria corporeità e bellezza.

Il Granma e Juventud Rebelde hanno dato la notizia di “un campeón italiano de resistencia que va pedaleando hacia la Capital”. Qualcuno, che deve aver letto o appreso dalla televisione, riconosce il campione al passaggio e applaude.

“ Avanti Emilio. Respirati con gli applausi il rosso dei flamboyant”.

Suggestivi i nomi dei paesi. Siamo a Guaimaro. Il toponimo mi fa pensare a principati longobardi dell’Italia del sud; altri, come Hatuey e Siboney, rimandano chiaramente alla storia dolorosa dell’isola.

 

E passano le ore. Tutto ok. Siamo anche in anticipo sulla tabella di marcia.

Il cielo si fa buio, umidissima l’aria. A Camagüey temporale e sosta coincidono. Pochi minuti e le strade diventano fiumi. Ripariamo in albergo. Emilio ha pedalato per 11 ore circa. Un attento controllo del medico conferma che tutto è a posto: pressione e pulsazioni regolarissime, è un bradicardico il nostro uomo. Una flebo e un paio di ore di riposo. Meritato proprio.

Ci sgranchiamo anche noi: un sandwich e un caffè al bar. Ancora una volta  verifichiamo che, sarà questione di miscela , di qualità del prodotto, di tostatura, di acqua, ma un espresso, come è dato berlo a Napoli, non lo trovi a Cuba. Pazienza, viaggiare serve anche a questo: ad apprezzare le cose buone di casa tua.

Ripartiamo che il giorno sta calando e la pioggia è passata. All’orizzonte il cielo si colora di verde e di rosa. La prossima sosta sarà a Santa Clara, un altro terzo di strada da percorrere quasi tutto di notte. Sereno e tranquillo Emilio, sostenuta e regolare  la pedalata. Siamo più stanchi noi. Elio da il cambio a Melina alla guida dell’auto n.2. Io passo nell’altra auto. Con Pombo, autista instancabile, posso anche appisolarmi e parlare. Di tante cose abbiamo parlato nella notte. Pombo è perito chimico, ha lavorato nella Germania Democratica e poi in Angola, ma ha avuto sempre nostalgia di Cuba. E’ sposato, con due figlie: una compie 12 anni oggi, è brava a scuola, fa danza e suona la chitarra; l’altra, di 5 anni, è cicciottella e ama la cioccolata. Parliamo di istruzione a Cuba, di assistenza sanitaria,  di turismo, di jinetería e perfino di ortografia spagnola. Gli chiedo se sappia che cosa sia la grafologia. Non lo sa.

Di tanto in tanto, nel pieno della notte afosa, alla fioca luce delle casette lungo la strada, si vede ancora qualche sagoma che agita le braccia in segno di saluto. Dalla penombra di un bohío più lontano giunge chiara la voce di una donna : “El hombre que va a La Habana”.

La luna, una falce sottile sottile, è quasi a perpendicolo su di noi. Le sta accanto Giove.

 

Ore 5 del giorno 27.Siamo a Santi  Espíritu. La città dorme .Si intuisce simile alle altre nella sua architettura e nei suoi colori stile coloniale.     

“Tutto a posto, Emilio ? “ 

“Tutto a posto,  prof., ho una gran voglia di pedalare”.

Come se avesse fatto altro, il mostro, nelle ultime 24 ore.

A Placetas, al concerto dei grilli è già subentrato quello più rissoso dei passeri. Va spedito l’atleta: Santa Clara è vicina.

 

La sosta n.2 è al villaggio Los Caney. Pombo e io andiamo in città a provvedere per i fiori. Profitto anche per consegnare dei medicinali e qualche indumento ad una famiglia che me ne aveva fatto richiesta per lettera.

Quando, al mausoleo del Che, Emilio depone l’omaggio floreale alla base della statua dell’eroe, è visibilmente commosso. Egli dice che è stato quello il momento più emozionante di tutta l’avventura. La scena è stata ripresa e mandata in onda dalla televisione cubana.

Qui Emilio fa il pieno di energie. Sentiamo tutti che , malgrado manchi ancora un terzo del percorso,  la cosa è fatta. Traboccante di gioia, riparte. Non conta il sole, non conta l’umidità; il sacrificio e il sudore danno senso all’impresa. Tranquillo, tiene il ritmo giusto. Rigoroso negli allenamenti e nella preparazione atletica, è uno  che le sa ben dosare e distribuire le energie, un vero campione di resistenza.

Ce ne siamo accorti durante l’intero percorso, ma la meraviglia di tutti, e del dottor Paco in particolare, è stata grande, quando, con disinvoltura e pedalata sostenuta, Emilio ha aggredito la salita che dalla baia di Matanzas porta parecchio in alto in direzione de La Habana. E nelle gambe ha già parecchie centinaia di chilometri.

Meritato l’ingresso trionfale alla Cabaña, dove viene ricevuto dal Vice Presidente del Poder Popular della Città e dal rappresentante della Federazione Ciclistica Cubana presso l’Unione Ciclistica Internazionale. C’è stato perfino una cerimonia di cambio della guardia in onore di questo atleta italiano che ha portato a termine un’impresa mai tentata a Cuba.

 

Nel dire la sua soddisfazione, Emilio ha sottolineato più volte che alla riuscita dell’impresa ha contribuito non poco lo spirito di collaborazione del gruppo al seguito, la bella sinergia  che si è creata tra quanti , italiani e cubani, lo hanno accompagnato.

Un’esperienza bella e gratificante per lui e per noi tutti, e su di un piano sportivo e su di un piano più squisitamente umano e culturale.

 

Nei giorni immediatamente precedenti l’impresa ci siamo recati a Baracoa.

Da Santiago si va a Guantanamo, si attraversa la costa brulla e selvaggia a sud e si percorre, quindi, il viadotto della Farola, che è certamente la più spettacolosa e panoramica strada di Cuba. Essa, snodandosi tra boschi, fiumi e anfratti, si inerpica per i monti della Sierra e poi discende, sempre per tornanti, sull’altro mare. La città laggiù, adagiata sulla baia luminosa, tra palmizi e bananeti, immersa in una flora coloratissima, ha veramente qualcosa di magico che ti prende dentro.

Portatori di un messaggio di amicizia da parte della città di Cava de’ Tirreni e di eventuale gemellaggio, siamo stati molto cordialmente accolti dal sindaco della città. Anche qui tanti incontri, tante conoscenze. Ci siamo sentiti a casa nostra. Ci siamo confermati nell’idea che la gente di Cuba, pur vivendo a livelli talvolta minimi di sussistenza, che poco hanno a che vedere con gli sperperi e lo sciupio che si fa da noi di ogni cosa, sa essere allegra e dignitosa.         

Quando qualcuno cerca di abbindolarti, di spillarti qualche dollaro, il che avviene soprattutto in città, allora capisci che i furbi del mondo siamo noi.

Sulla strada del ritorno abbiamo comprato qualche pacchetto di caffè, qualcuno di cacao, pigne di ananas e cocoruchos.  

 

All’Habana siamo entrati nel cuore della città. Qui abbiamo avuto guide importanti. Albertito, figlio di Alberto Granado, partendo da Plaza de Armas e dal Templete, previo un triplice giro di obbligo intorno alla ceiba, l’albero della libertà, ci ha condotto per i principali edifici dell’Habana Vieja illustrandocene storia e bellezza. Ci ha detto dei criteri architettonici e sociali del recupero del centro storico. I vani al piano terra diventano aziende, laboratori, botteghe, uffici; i piani superiori rimangono adibiti ad abitazioni per i residenti.

Siamo stati ospiti a pranzo in casa Granado. Delia, la moglie di Alberto, ha preparato per noi un piatto di spaghetti, burro e formaggio e, per essere noi parecchi e piccola la pentola, ha dovuto cuocere la pasta in tre diverse riprese . Grazie ancora, Delia .

E siamo andati al mare tutti insieme, Alberto e moglie, una figlia, due nipotine e noi. Una piccola spedizione di un paio di chilometri a piedi sotto il solito sole. Spiaggia di roccia corallina, di un bleu intenso il mare. Tutte grandi occasioni per scambiare idee e soprattutto per ascoltare, per sapere della storia e della vita di Cuba e della persona del Che; opportunità per riflettere sul progetto sudamericano di Emilio, sulle difficoltà cui si può andare incontro facendo un percorso in nome di Ernesto Guevara in Sudamerica. In Argentina e in Cile non sorgerebbero problemi, ma in Perù e, ancor più in Colombia, probabilmente si. Bisognerà prendere tutte le precauzioni per via di ambasciate e consolati e garantirsi protezione politica, ove occorra.

E’ un piacere ascoltare Alberto. Gioviale, dotato di grande vivacità mentale, ama conversare ed è  sempre pronto alla risposta.

Siamo tornati sotto il grande mango a rinfrescarci con abbondante succo e a trarre gli auspici . Il mango di casa Granado è un albero beneaugurante .

Quando ci siamo salutati, nell’augurarci buena suerte, Alberto ha aggiunto: “Mi raccomando, ragazzi, non dimenticate che dobbiamo andare a mangiare la scimmia in Sudamerica”. Non so che significhi precisamente l’espressione “mangiare la scimmia”, ma la volontà di essere della partita, di tornare per qualche tempo laggiù e rifare anche solo qualche tratto dell’antico viaggio mi pare chiara e manifesta.

A questo punto la fantasia è già lontana . In un cielo di azzurro purissimo si stagliano i picchi innevati delle Ande peruviane . Un condor rotea solenne sulle rovine di Machu Picchu.  

    

Emilio gradirebbe che da queste pagine arrivasse un sentito ringraziamento a tutti questi amici cubani: Raúl Niubó Santiesteban, ICAP - Santiago; J. Vicente Gonzales Díaz e Manuelita Miguel, Asamblea Provincial del Poder Popular - Santiago; dr. Gustavo Frómeta Díaz, Director Clinica Internacional - Santiago; dr. Francisco Rodríguez Morillo, medico sportivo, Turismo  y salud Cubanacan - Santiago; Gisela Peacock Téller, infermiera; Sergio Santiuste Telena, autista; Ramón Sánchez Mora, autista; Héctor Marcos Gutiérrez, membro Federazione Cubana di ciclismo e commissario internazionale UCI; Daniel Borrero Gonzales “Pombo”, autista e guida insostituibile della Transgaviota.   

        

 

                                                                                                                               Filippo Giordano

                                                                                                                       

 

 

 

Giordano Filippo, laureato in lettere classiche,

ha insegnato per quarant’anni circa discipline letterarie.

Attualmente si interessa di psicografoanalisi.         

Vive a Cava de’ Tirreni (SA).