L'ANTICOMUNISMO
DI IERI E DI OGGI
CULLA
DI VECCHIA E NUOVA BARBARIE
di
Ines Venturi
Michele
Capuano
Nei
primi mesi del duemila quando il 2 agosto dello stesso anno ancora attendiamo
risposte alle stragi di Stato, fasciste e di un imperialismo spietato…
Nei
mesi primi del duemila quando a Bologna è permesso parlare a Guazzaloca e ad
Amato per ricordare le vittime di un massacro voluto ed organizzato dalle classi
dominanti asservite al profitto…
Nei
primi mesi del duemila, quattrocento anni dopo il mostruoso assassinio di
Giordano Bruno, nell'anno del Giubileo che scomunica una libera manifestazione
gay, del trionfo del razzista
Haider in Austria, in giorni in cui Berlusconi all'incontro cattofascista di
Comunione e Liberazione dichiara tra gli applausi, similmente a quanto dichiarò
il dittatore Pinochet dopo l'assasinio di Allende o Suharto dopo il massacro di
ottocentomila comunisti indonesiani "l'anticomunismo è prima di tutto un
dovere morale", in piena organizzazione mondiale delle disuguaglianze, tra
una guerra e l'altra, mentre il pianeta si americanizza, ogni dovere diventa
inutile, i valori scompaiono e con essi una dignitosa qualità della vita, i
disoccupati aumentano e anche i profitti di una classe dominante (piccolissima
minoranza della specie animale) che massacra ogni diritto sociale ed impone un
forte processo di finanziarizzazione dell'economia incrementando la schiera dei
precari, dei marginali e degli emarginati, di nuovi schiavi massacrati da
un'informazione prepotente, oligarchica e bugiarda, ancora, incredibilmente,
l'anticomunismo, dopo il dramma storico dell'URSS, acceca (a destra e a
sinistra: si, anche a sinistra) le menti meschine dei "padroni" della
Terra e dei suoi novelli giullari. Marx morì nel 1883, Engels gli sopravvisse
dodici anni, Lenin non ebbe il tempo di completare nella pratica le
trasformazioni derivanti dalla grande Rivoluzione d'Ottobre, Luxemburg o Che
Guevara furono tranquillamente assassinati, qualcuno si è preso l'ictus e
qualcun altro veniva eliminato in prigione per impedirgli di pensare eppure il
comunismo sembra turbare i sonni della "nuova borghesia" mondiale e
dei rinnegati nostrani ed europei.
La cosa più sconvolgente è la stupidità
con la quale si ripetono identiche demonizzazioni eppure la strada da fare per
il marxismo, dopo Marx, è ancora molta e gli anni (siamo anche in piena crisi
del movimento dei lavoratori) in cui il pensiero comunista ha vissuto un periodo
intenso, vivace, ricco di analisi e di ricerca da non avere paragoni nella
storia, li abbiamo regalati al secolo appena andato. Oppure: le classi
dell'oppressione e dello sfruttamento sulle moltitudini ancora sentono l'eco di
lotte di liberazione in tutto il cosiddetto "Terzo Mondo" ed i loro
riflessi nei paesi a capitalismo avanzato o di un dopoguerra che aveva riportato
all'ordine del giorno i grandi problemi delle riforme e della stessa rivoluzione
fino a veder sviluppare in maniera interessante l'organizzazione di movimenti
femministi, etnici, studenteschi, ambientalisti, pacifisti ecc. ed una complessa
"rivoluzione culturale" che ha contaminato le stesse religioni.
Sembra, cioè, che mentre si annuncia ai quattro venti la morte del comunismo
fino a "manipolare l'ideologia" si riconosca la sua vitalità, la
chiara articolazione delle sue premesse teoriche e dei suoi programmi. In
sostanza lor signori si sono accorti che l'economia non esiste ma esiste solo
l'economia politica e, quindi, la politica rimane la onnipresente articolazione
dei conflitti sociali e, dunque, del conflitto di classe che penetra ogni
relazione nonostante faticati processi di "normalizzazione",
consociativismo, violazione delle libertà e degli stessi diritti umani. Non
esiste nessun rigido e meccanico "determinismo" e il fattore economico
non è l'unico fattore determinante. E pensare che, soprattutto in Italia, la
sinistra è ingolfata di chiacchieroni della rivoluzione, venditori di libri,
meschini capi che mentre aborriscono i privilegi della società borghese non vi
rinunciano, esclusivismo politico ed autoreferenzialità: non dobbiamo mai
stancarci di ripeterlo… Lo spontaneismo come direzione consapevole è, poi, un
altro grande male del disordine settario della sinistra italiana di questo
inizio millennio. Nonostante, quindi, la caduta del muro, la confusione e la
frammentazione della sinistra e logiche corporative malate di vecchio
sindacalismo di molte organizzazioni dei lavoratori, l'anticomunismo continua
imperterrito a preoccupare industriali, banchieri e faccendieri d'ogni risma.
Dovremmo essere grati a questi nemici dell'umanità di ricordarci che il
comunismo, soprattutto se riusciamo a porre fine ad una assurda ed inutile
"guerra di Spagna" nella sinistra critica, antagonista e
rivoluzionaria, è non solo attuale ma necessario. L'anticomunismo nasce
parallelamente al movimento socialista ed esordisce negando il diritto al lavoro
(la beneficenza, al contrario, è stata sempre ammessa), esaltando la
"proprietà privata" e la legge del più forte, eludendo le questioni
sociali e, in nome di una presunta libertà, renderlo responsabile di disastri
economici in quanto parla di orari di lavoro, di giusti salari e per assurdo di
funzione storica della classe operaia e vorrebbe imporre di non sfruttare donne
e bambini (oggi di ogni colore) indispensabili all'industria. I comunisti, si
afferma, vogliono rovinare l'economia, distruggere il valore delle monete,
disorganizzare la vita pubblica, aprire la strada a feroci dittatori che tra i
loro primi obiettivi hanno quello di assassinare preti e monache, realizzare il
finimondo e ammazzare anche quei loro compagni un po’ più critici e
democratici. La realtà è che l'anticomunismo è, da sempre, stato il cemento
che ha unificato nazisti e fascisti ad ogni servo del sistema capitalistico: un
torbido fiume avvelenato dove da sempre navigano orripilanti mostri che si
chiamano schiavismo, oppressione, razzismo, xenofobia, omofobia, clericalismo
becero, massacro sociale, discriminazioni, emarginazione…
Dopo la prima guerra
mondiale, dopo la Rivoluzione d'Ottobre, l'anticomunismo, non casualmente,
diventa un movimento reale che tende ad orientare tutto il mondo capitalista
fino a determinare la nascita e l'affermarsi di grandi correnti politiche
riconducibili al fascismo, all'hitlerismo e all'imperialismo americano: il
presente ancora si sta misurando con tali nefandezze. Il tutto è ben condito da
un "nuovo liberalismo" in cui la conflittualità stessa è ridotta ad
una serie di problemi ai quali si può trovare una soluzione dentro un processo
della contrattazione continuo e accomodamenti tra le parti che, comunque, devono
accettare le regole del gioco e coesistere in armonia: perché stupirsi allora
se i DS dichiarano che il comunismo è inconciliabile con la democrazia (mentre
sembra esserlo stato il tribunale d'inquisizione che uccide Bruno, chi ha
sterminato gli indiani d'America, chi continua a sterminare intere etnie ed
indios, chi, in Argentina o in Cile, ha sparato sulla stessa idea di civiltà,
chi condanna un figlio del vento a morire di stenti e fame in una baracca invasa
da topi e dalle nostre stesse miserie) e se, mentre ti invitano a votarli per
battere le destre riconosciute anche eversive, corrono in soccorso di Bontempo,
Fini o Storace quando, non improvvisando, un tedesco ne riconosce
l'inaffidabilità democratica? I DS dimenticano che la società non è
costituita da individui ma esprime invece la somma delle relazioni, dei rapporti
in cui questi individui stanno gli uni con gli altri: ecco perché per il
marxismo il nodo centrale rimane comunque l'antagonismo e la lotta di classe pur
riconoscendo contrasti di altra natura. Il tipo nuovo dell'anticomunista è,
immaginiamo involontariamente, meglio rappresentato da un diessino che da un
fascista di alleanza nazionale: quest'ultimo continua a rappresentare il vecchio
tipo di nemico del progresso ovvero: odio razziale o contro l'immigrato, potere
del più potente, odio delle diversità, detenzione dura ecc. che pur essendo
cose diverse dai campi di sterminio, il rogo di libri, l'olio di ricino, leggi
razziali e contro la libertà di stampa ecc. appartengono, nella loro abusata
"modernità", allo stesso letamoso e fertile terreno sul quale quelle
erbacce crebbero. Gli anticomunisti "vecchi ed attuali" hanno
compreso, cioè, che il comunismo (dovremmo dire socialismo) non è solo una
dottrina ideale ma un movimento economico e politico che va combattuto con la
menzogna, le falsità, le infamità, mantenendolo quando è inevitabile, dentro
l'ordine borghese con le azioni della polizia o con lo stesso aiuto dei
traditori pseudoriformisti, i provocatori, gli infiltrati ecc. Il dominio di
classe è ad un tempo economico, politico e culturale e presenta aspetti
differenti e interdipendenti pertanto chi si propone di far diventare superfluo
il ruolo stesso dello Stato e di estinguerlo non può non prevedere un progetto
ed un programma altrettanto vario e complesso che, in primis, deve sbugiardare
ogni "invenzione" anticomunista e rilanciare, attraverso anche tappe
intermedie, una rivoluzione democratica ed antifascista come condizione per il
successo della stessa rivoluzione socialista riaffermando il principio per cui
una classe non è propriamente classe, ma semplicemente massa, se non acquista
la capacità di organizzarsi politicamente e prendere coscienza estendendo
(comprensione dell'esistenza di una "nuova classe operaia" e di una
politica delle alleanze dal basso tra diversi soggetti sociali) la nozione di
lavoratore ben al di là dei salariati industriali ed agricoli. Oltre, anche, il
"lavoratore immediatamente produttivo". All'interno del
"lavoratore complessivo", va comunque precisato, vi è chi è
propriamente lavoratore e chi non lo è e la classe operaia è, oggi,
caratterizzata da una complessa rete di differenziazioni (incluso uno
smembramento nei nuovi insediamenti produttivi) che determinano l'esistenza di
diversi strati sociali e, nel cedimento o scomparsa del sindacalismo di classe,
il dirompere furioso di lotte meramente rivendicative, corporative, egoistiche.
Del resto anche la classe capitalista si estende fino a comprendere coloro che,
per reddito, collocazione, opportunità ecc., sono a essa associati. La
stratificazione delle classi non appare mai in una forma pura e non prevede la
sola esistenza di una borghesia e di un proletariato. Gli anticomunisti lo hanno
inteso bene ed è per questo, ad esempio, che durante il ventennio fascista
trovarono alleati convinti oltre i capitalisti ed il parassitismo nostrano e
attaccarono non solo i comunisti ma, nella loro follia, altre organizzazioni
politiche, i sindacati, le cooperative, non risparmiando neppure gli
"amici" liberali e
praticando arresti di massa anche per reati d'opinione: Mussolini ebbe a dire:
"dobbiamo spezzare per sempre la schiena ai comunisti" e mentre lo
affermava sapeva che doveva avvelenare l' opinione pubblica per ostacolare
l'unità delle forze antifasciste e per presentarsi come salvatore della società
borghese. Churchill, documenta la rivista "Rinascita" nell'agosto del
1954, nel 1933 dichiarava: "soltanto il fascismo può salvare il mondo dal
pericolo comunista, le leggi del duce e dei suoi fedeli sono una pietra miliare
nell'evoluzione mondiale" mentre la signora Anna Mac Cormick, nel 1934,
scriveva sul New York Times: "Mussolini è oggi non solo il creatore di una
filosofia di governo che si spande universalmente, ma anche il leader
dell'Europa continentale: solo Mussolini pensa europeisticamente e, mentre gli
altri pensano, egli agisce". La signora ebbe, successivamente, un ruolo non
indifferente nella "caccia ai comunisti" negli Stati Unti d'America.
La stessa enciclopedia Treccani alla voce fascismo spiegava: "il fascismo
è una concezione spiritualistica sorta dalla generale reazione contro il fiacco
e materialistico positivismo dell'Ottocento, come concezione religiosa in cui
l'uomo è veduto nel suo immanente rapporto con una legge superiore… una
siffatta concezione della vita porta il fascismo a essere la negazione recisa di
quella dottrina che costituì la base del socialismo scientifico o marxiano…
è negata la lotta di classe e si nega l'equazione benessere-felicità che
convertirebbe gli uomini in animali di una cosa sola pensosi: quella di essere
pasciuti e ingrassati, ridotti, quindi, alla pura e semplice vita
vegetativa". Nella più bella Bibbia, a cura di monsignor Salvatore
Garofalo, nel glossario, non si sa in virtù di quale riferimento alle Sacre
Scritture, compare la voce comunismo per addossargli tutti i mali possibili
dell'umanità: altre voci ideologiche o rapportabili alla politica e agli
schieramenti politici non vi compaiono. Il passaggio dall'anticomunismo al
razzismo, all'antisemitismo e alla superiorità di alcune razze o nazioni su
tutte le altre fu breve per Hitler e lo è ancora, con alcuni varianti ed
evitando di parlare di ebrei, per tante "democrazie occidentali".
Scriveva ancora la Treccani: "Hitler insegnò che la lotta contro il
marxismo internazionalista e la lotta contro il capitalismo borsistico erano due
aspetti d'una medesima difesa dell'integrità nazionale… il concetto della
razza, fin dall'origine argomento polemico contro la democrazia egualitaria,
s'identifica con Hitler col ripudio dell'idea della massa a vantaggio dell'élite,
con la lotta contro il marxismo livellatore…". Gli italiani del ventennio
(pur definiti dal nazismo negroidi, mezzi semiti ecc) non tardarono a far
proprie tali farneticazioni tra cui l'idea che Marx l'ebreo era il teorico
dell'eliminazione in tutti i campi della vita umana per sostituirle il numero
della massa ed era il "capo" di una ideologia per annientare in fretta
l'esistenza indipendente di libere nazioni sulla terra. L'anticomunismo
americano, tuttora praticato, perfeziona e "democratizza" quanto
fascismo e nazismo già dichiaravano e novelli anticomunisti quali Bossi,
Berlusconi e Fini in Italia sono paladini convinti di tali aberrazioni.
Berlusconi sa esattamente che i DS non sono comunisti ma ha necessità di
dichiararlo e, al tempo stesso, di affermare la loro complicità con chi ancora
si identifica con il marxismo, in realtà, le sue affermazioni riproducono, nel
contenuto e nella forma, una delirante rivalutazione del fascismo della
repubblica di Salò che, in nome della democrazia (novità furbesca), tende ad
eliminare dalla vita pubblica le forze antifasciste e costituzionali. Una buona
scuola è fornita anche dall'imperialismo americano, dalla Democrazia Cristiana,
in particolare, di Scelba e De Gasperi, dallo stesso tentativo di
"svuotamento" attraverso il "neoliberalismo" che mentre
difende le classi sociali privilegiate non disdegna il mostrarsi preoccupato
dinanzi al disastro nel mondo del lavoro, la carestia e la fame, concede qualche
riformetta, realizza una strumentale beneficenza ecc. Il tutto agli ordini
dell'imperialismo americano e delle sue guerre "umanitarie". Tra il
1948 ed il 1950 in Italia furono assassinati 48 comunisti, 2400 circa furono i
feriti, 73.000 gli arrestati, 16.000 i condannati e circa 7.500 gli anni di
prigione loro assegnati. Ora leggiamo meglio la criminalizzazione attuale di
alcune realtà della sinistra antagonista, le stragi di Stato, le aggressioni
ingiustificate nei cortei dei disoccupati o contro i campi-lager di via Corelli
o Ponte Galeria, l'acuirsi di una repressione legislativa che in realtà non
intende combattere la vera criminalità ma dribblarla ed altre miserie che ci
invitano a comprendere come lo Stato sia ancora uno strumento di persecuzione
(polizia, carabinieri, casta militare, magistratuta, burocrazia) che non deve
farci dimenticare i delitti e le repressioni sanguinarie di decenni interi di
Repubblica a democrazia limitata. La Democrazia Cristiana ebbe anche la capacità,
dopo la rottura dell'unità popolare ordinata dagli USA, di usare una tattica
cauta, quasi di comprensione dei principi di cui erano portatori i comunisti
(come più recentemente nell'anniversario della caduta del muro di Berlino ha
fatto Berlusconi ad una platea di scimmie plaudenti) ma, sempre, con l'intento
di assorbirne aderenti e simpatizzanti, di convincerli di un benessere
conquistato e da tutelare e di escluderli, oggettivamente, dal potere o, meglio,
da una trasformazione concreta della società. La Chiesa in questa operazione ha
fatto la parte del leone anche per determinare la creazione di un regime
totalmente funzionale al suo stesso potere: il comunismo, definito
"flagello di satana" e scomunicabile, veniva attaccato per portare
acqua al mulino dei democristiani ovvero per tutelare i forti gruppi
capitalistici nonostante il già palese connubio tra mafia e Stato (non furono
risparmiati, ancora negli anni settanta, vescovi o preti che parlavano di
diritti universali ed umani). Alcuni esempi: nel 1873 Leone XIII dichiara che
"il comunismo è una peste mortale che s'attacca alle midolla della società
umana fino ad annientarla", gli fa eco con l'enciclica Qui Pluribus, molti
anni dopo, Pio IX dichiarando che "questa dottrina che si chiama comunismo
è radicalmente contraria al diritto naturale stesso", fino ad arrivare
alle farneticazioni del "microfono di Dio", il gesuita padre Lombardi,
allievo nei contenuti e nell'enfasi di Hitler che, agli albori della Repubblica
antifascista e costituzionale, si scatenò contro i partigiani, avallò la
menzogna di 300.000 cittadini inermi assassinati nell'aprile del 1945 dal
Comitato di Liberazione Nazionale ed arrivò ad affermare che "i comunisti
non possono vivere ed essere trattati come persone uguali alle altre anche perché
per loro colpa le madri perderanno i loro figli per la strada e sui campi… le
terre verranno nuovamente invase da torme straniere e torme inermi saranno
vittime di violenza e di saccheggio e poi i comunisti sono mostri di
bruttezza…". L'onorevole Dossetti in un discorso a Reggio Emilia, forse
per non apparire settario, aveva invece dichiarato: "se votate comunista
sarete costretti a sposare le donne dell'UDI". Neppure i sindacati furono
risparmiati dal delirio di grotteschi nosferatu: la Civiltà Cattolica dichiara
nel 1947: "il sindacalismo odierno è in buona parte aggiogato
all'ideologia senza scrupoli del comunismo, oblia facilmente e calpesta assai
spesso la norma suprema dell'ordine sociale". Chissà se queste cose le
ricordano tutti quei democristiani attualmente "sparsi" tra destra e
sinistra in attesa di ricomporre energicamente un grande nostalgico
"centro" grazie anche all'imbecillità di chi lo sta consentendo. Ma
qual è la sostanza dell'anticomunismo? Confindustria e monopolisti trovarono
nel fascismo lo strumento per l'attuazione della loro dittatura di classe per
questo finanziarono la "marcia su Roma" e firmarono, dopo la presa del
potere di Mussolini, uno scellerato patto con le corporazioni fasciste
riconoscendole come uniche rappresentanti delle masse operaie. Dopo il crollo
del fascismo, sotto le ali degli americani, la Confindustria si pose l'obiettivo
di dirigere la politica economica e attuare nella pratica una guerra senza
esclusione di colpi al comunismo ritenendo, come oggi del resto, che la libertà
è la possibilità di realizzare il massimo profitto,
fallire e quindi licenziare,
trasferirsi dove meglio conviene anche a costo di condannare i lavoratori
alla miseria e il Paese alla rovina e via liberalizzando e
"normalizzando". La Confindustria, anche per questi motivi, ha aderito
a tutte le istituzioni sorte in Europa sotto l'egida americana nel quadro del
fronte dell'imperialismo e inseguito il miraggio delle "commesse"
atlantiche fino a farsi assorbire, tra privatizzazioni e mediocrità, da
potentati economici europei e d'oltreoceano più spietati, spregiudicati ed
organizzati. Certo: non siamo più al tempo in cui essere iscritti al Partito
Comunista comportava motivo di licenziamento o di trasferimento in reparti
punitivi ma è inconcepibile solo ipotizzare che gli industriali non mantengano
rapporti strettissimi con il fronte anticomunista: è da idioti credere che
siano cambiati mentre in realtà gli unici ad aver subito una trasformazione
sono non pochi tra coloro che dovevano contrastarli. La violazione dei diritti
(compreso quelli personali) nella FIAT del dopoguerra è stata sistematica con
l'appoggio delle cosiddette forze dell'ordine e della grande stampa, compreso
attentati anticostituzionali alle libertà politiche e sindacali, montature
costruite ad arte per trasformare le avanguardie operaie in delinquenti,
costituzione di sindacati padronali, intimidazioni alle famiglie, multe e
vigilantes. Non meno infame fu l'anticomunismo nelle campagne tra clientele e
influenze clericali, campagne moralistiche, ricatti dei "caporali"
(una vera e propria mafia del collocamento) e violenza. Gli eredi dell'O.V.R.A.
(braccio armato del terrorismo agli ordini del duce) infatti, trovarono nuovo
ruolo ed incarichi nell'Italia democratica post-fascista. L'anticomunismo non
risparmiò neppure il cinema ed il teatro prima, la radio e la televisione poi
ed ogni forma d'arte. Si afferma, in piena offensiva del maccartismo, che alcune
pellicole "sono strumento di propaganda comunista e fonte di finanziamento
del PCI", si vieta a De Santis di girare il film "noi che facciamo
crescere il grano", si censura "Totò e Carolina", si blocca il
seguito del capolavoro di Visconti "la terra trema", si costringono
gli sceneggiatori a rifare interi copioni come nella "romana" tratto
dal romanzo di Moravia o "la lupa" di Lattuada, si proibisce, a
teatro, "la mandragola" di Machiavelli mentre sono privi di visto
della censura Goldoni e Cechov, Moliere e Shakespeare, fino ad impedire al
Berliner Ensemble di Bertold Brecht di recitare in Italia, al Festival veneziano
della prosa. Oggi non possiamo abbassare la guardia: in forme diverse prosegue
un attacco meschino ai protagonisti del progresso e del rinnovamento, alla
cultura in genere. Nei paesi del cosiddetto "terzo mondo"
l'anticomunismo invece, grazie anche all'inesistenza di una forte classe
autoctona di grandi capitalisti e all'esistenza di una classe operaia
relativamente ristretta rispetto alla popolazione delle campagne ecc., è
d'importazione imperialistica ed utilizza facilmente "fantocci"
sanguinari e "mercenari senza scrupoli". In sostanza si vuole
affermare che le classi privilegiate sono sempre coscienti dei propri interessi
anche se mutano i modi attraverso i quali tali interessi possono essere tutelati
e, sempre, la loro prosperità dipende dall'oppressione e dallo sfruttamento di
altre classi. Ecco perché temono i protagonisti della radicale rottura con i
rapporti tradizionali di proprietà e dedicano parte enorme del loro impegno
alla pratica dell' anticomunismo fino a concepire dittature, fascismo, razzismo,
malate democrazie borghesi, compiacenti socialdemocrazie e via elencando…(per
semplificare possiamo introdurre il termine "capitalismocrazia").
Sanno che per il marxismo l'emancipazione e la liberazione della società
richiede il rovesciamento del capitalismo pur comprendendo errori, incertezze,
contraddizioni. Ecco perché chi si richiama alla lotta di classe non può
valorizzare ingiustizie personali né inseguire uno scopo finale rifiutando
lotte anche parziali all'interno della logica capitalistica come, ad esempio, la
battaglia per lavorare meno e tutti con un giusto "profitto" per le
maestranze o lottare per riforme necessarie. Il capitalismo ha una grande
capacità di perpetuare se stesso (pur non essendo riformabile) mentre ancora si
fatica a comprendere l'importanza che va attribuita, in una battaglia per
l'egemonia, alla sovrastruttura e quanto le divisioni all'interno della sinistra
di classe ed il muoversi su mille questioni disarticolate tra di loro erodono
qualsiasi possibilità di trasformazione. Quindi non possiamo accontentarci di
attendere il socialismo ma dobbiamo inserire nella società elementi dello
stesso ora e non possiamo solo proclamarlo ma dobbiamo specificare che cosa
intendiamo per socialismo e come sarà possibile realizzarlo senza dimenticare
che il potere della classe borghese e dei suoi "associati" viene
esercitato attraverso numerose organizzazioni ed istituzioni, gruppi d'interesse
e di pressione, scuole, chiese, famiglie, apparati vari avendo a disposizione,
diversamente dalle classi subordinate, risorse enormi ed ampie e un grande
potere nell'informazione ed un'imponente industria della comunicazione. Ecco
perchè va condotta, senza confusione, una lotta ad un estremismo di natura
piccolo-borghese, al rivoluzionarismo confusionario e parolaio, al rifiuto di
partecipare alle elezioni e al lavoro parlamentare o, in periodi di crisi acuta,
di proporre rivendicazioni economiche e politiche parziali liberando il
"conflitto" dagli impedimenti del dottrinarismo e dallo spontaneismo.
Con Lenin dobbiamo ribadire che "il piccolo-borghese" inferocito per
gli orrori del capitalismo è più che altro un fenomeno sociale caratteristico
delle società capitalistiche e l'inconsistenza di tale rivoluzionarismo, la sua
sterilità, la sua proprietà di trasformarsi presto in sottomissione, apatia,
fantasticheria e persino in "folle" passione per le varie correnti
borghesi "di moda" è universalmente nota" (la televisione di
Stato e quella privata del viscido biscione è stracolma di ex rivoluzionari
pentiti convertitisi sulla "via dell'anticomunismo in dolce stil
novo"). Identica riflessione va indirizzata ad alcuni partiti e riviste o
quotidiani, spesso settari, che pure si richiamano al comunismo o meglio alla
massa operaia: non c'è dubbio che essi saranno i primi ad oscurare o,
addirittura, perseguitare coerenti organizzazioni di classe mentre non
disdegneranno sedersi allo stesso tavolo di chi a parole combattono per
spartirsi un mediocro e buio angolo di potere e, anche per questo, la critica
non va condotta contro il parlamentarismo o l'attività parlamentare ma contro
quei capi che non sanno utilizzare le elezioni e le tribune parlamentari per la
presa di coscienza delle masse, per un'alternativa di società. Molti dirigenti
di partiti che amano definirsi comunisti non trovano dunque disdicevole
oscillare tra riformismo del cedimento e spirito rivoluzionario, tra
esaltazione dei lavoratori e loro messa in discussione, senza nessun criterio
scientifico (e aumentando i loro privilegi sociali) giustificandosi con le
difficoltà del presente come se, proprio quando le condizioni migliori non ci
sono, non bisogna efettivamente prodigarsi (con lo studio, la propaganda,
l'organizzazione) per indicare una via di cambiamento e la sua concretezza. A
volte una scissione è preferibile alla confusione, ai sacrifici inutili, a
dibattiti senza fine, alla mortificazione dello stesso sviluppo ideologico per
riconquistare un lavoro teorico e pratico essenziali, collettivo, realmente
organizzato, per isolare chi ripudia il crudele carrierismo borghese mentre, nei
fatti, attraverso giornali, editori, show televisivi, elezioni insegue un
modello simile, identiche abitudini ed agi. Non meno pericolosi sono coloro che
rifiutando un "intellettuale collettivo", l'organizzazione, negano il
momento fondamentale del fondere in una comune ricerca la classe operaia, i suoi
intellettuali ed alleati organici o conquistati. Né è possibile una
trasformazione durevole senza organizzazione né è possibile, anche se di
massa, con il solo partito: l'organizzazione, dunque, è semplicemente uno
strumento, un suscitatore, un persuasore continuo… rifiutando la
concentrazione del potere nelle mani di alcuni leader, rifiutando, come ebbe a
dire Rosa Luxemburg allo stesso Lenin "l'obbedienza cieca, la
subordinazione dei militanti all'autorità centrale". In Italia alcuni
partiti o movimenti che si richiamano al comunismo appaiono più simili a dei
veri e propri condomini, a dei circoli culturali o a delle aziende (disoccupati,
migranti ed emarginati per molti sono occasione di ottimi
"investimenti"), tra autocoscienza ed esibizioni personali e non
raramente polemiche, che a salde "realtà" rivoluzionarie nelle quali
possano identificarsi tutti coloro che intendono battersi per una radicale
riorganizzazione dell'ordine sociale. I Democratici di Sinistra, almeno in
questo, sono effettivamente palesi e chiari. La costituzione di un nuovo
movimento di classe in Italia è un'esigenza storica al pari della costruzione
di cellule e consigli, case dei popoli e movimenti che sappiano cogliere ed
unificare l'antagonismo che ancora resiste e propone. Questo, tra l'altro, non
è il tempo delle discussioni interminabili tra ex ed attuali capo-classe ma
quello di redifinire i caratteri essenziali del poprio pensare ed agire per non
ricominiciare la propria storia daccapo, per raggiungere un'unità di
comprensione e di azione attraverso un vero centralismo contaminato da un sano
decentramento organico. Bisogna battersi per un "movimento" moderno ed
utile, all'interno, e a tutti i livelli, del sistema statale coscienti che
l'esito di questa lotta dipende principalmente da ciò che accade all'esterno e
dalla intelligenza di aver "rifondato" un "partito" dal
basso, che prepara le masse, le rende criticamente dirigenti, sviluppando
un'iniziativa in ogni settore e direzione, avanzando e difendendosi: il compito
dei rivoluzionari è quello di difendere giuste libertà e sacrosanti diritti e
renderne possibile l'estensione e l'ampliamento: queste sono condizioni
importanti per trasformare l'anticomunismo in un fenomeno idiota da baraccone ma
lo è, ancor di più, il possedere un piano possibile, leggibile, chiaro e
praticabile. Per questo ricominciare o ripetersi non è un errore. La
"nuova borghesia operaia", gli alchimisti della rivoluzione, ne siamo
certi, i loro organi di stampa e i loro "circoli" non ci aiuteranno
(come è naturale per gli "avversari") a sviluppare più
scientificamente e approfonditamente quanto andiamo affermando: fortunatamente i
tanti e le tante che hanno scelto Democrazia Popolare (Sinistra Unita) rifiutano
sia un infantile vittimismo sia il non insistere in un progetto che rilanciando
la lotta di classe ricerca continuamente, nel rispetto di autonomie e diversità,
un'unità programmatica nel, e oltre, il nostro cortile di casa.
Si è oggettivamente sconfitti solo quando si rinuncia a
lottare.