editoriale
di Michele Capuano
UNA PROVOCAZIONE NECESSARIA
Capitalismo contemporaneo e validità
dell'analisi leninista.
A
sinistra, nella sinistra di classe, si sta sviluppando da alcuni anni un
dibattito interessante dinanzi alla rimondializzazione del capitalismo e ad
una crisi dello stesso dalle proporzioni planetarie: una crisi di tutto lo
sviluppo economico e politico: altrettanto ampie sono le riflessioni
critiche sulle "difficoltà" del movimento operaio e delle sue stesse
rappresentanze tra bisogno di una riattualizzazione del conflitto di classe
e un'opposta tendenza verso posizioni socialdemocratiche confuse e prive di
un chiaro programma e progetto: un liberalismo di sinistra consociativo,
ingegneristico e puramente occasionale. Nello stesso tempo assistiamo ad un
settarismo presuntuoso di alcune organizzazioni che pure si richiamano al
marxismo-leninismo, a dibattiti senza fine, autoreferenzialità malata di
massimalismo o ortodossia, demagogia spicciola, opportunismi, dilettantismo
rivoluzionario. Il Movimento Anarchico ha una sua coerenza indiscutibile
mentre molti nemici dell'anarchismo ne imitano unicamente i difetti.
Sarebbe ingeneroso, comunque, non considerare l'alto significato politico di
una miriade di realtà (nel nostro cortile di casa e non solo) che,
analizzando il presente, invitano a non guardarlo come semplici spettatori
proponendosi il compito di spingere avanti un nuovo percorso di lotte, un
nuovo processo unitario. Ma l'attendere tempi migliori è utile alla
ricomposizione del movimento di classe? L'entrismo e il convivere con
organizzazioni malate di "puro sindacalismo", tatticismo esasperato e
strategie non chiare non rischia di assorbire grandi energie creatrici in
sacrifici inutili riducendo capacità ed intelligenze rivoluzionarie ad un
impegno più vissuto per una sorta di diritto all'esistenza che per resistere
ed avanzare? Non si tratta di realizzare un nuovo processo di aggregazione
per organizzare forze sociali necessarie a contrastare la reazione?
Scindersi non solo dal riformismo e dal massimalismo, tentare di non cadere
nella passività e nella politica del giorno per giorno è un dovere
rivoluzionario anche se attualmente trova le grandi masse impreparate e
incomprensioni tra tanti onesti compagni e compagne di grande esperienza. E,
tuttavia, sul terreno dei principi e della pratica, elaborando un programma
minimo in tutti i campi e una linea politica chiara e comprensibile,
valorizzando la funzione storica mai sopita della classe operaia,
specificando la natura dell'organizzazione di classe non solo astrattamente,
va riproposta un'unità dal basso tra soggetti che oggettivamente sono sul
terreno anticapitalistico e consolidata un'unità d'azione non più
rinviabile. Delegare il futuro degli "oppressi" ai movimenti, per
quanto
esaltanti, da Seattle a Praga, è un errore storico dalle conseguenze
disastrose quanto affidarsi allo zapatismo, nonostante Marcos, per ragionare
sul presente senza individuare il dove si vuole andare e quale futuro si
propone. Lo è attendere e lo è sentirsi "i migliori" come nel caso
di alcuni
coordinamenti tematici su questa o quella situazione internazionale o
nazionale o come accade ad alcune "formazioni antimperialiste" che
pretendono essere, arroganza compresa, detentrici di chissà quali verità
assolute ed indiscutibili tra erudizione e spirito di consorteria: l'Italia
è piena, come elemento di debolezza, di "liberal-autonomi" e di
avanguardie
che si dichiarano tali e c'è un quadruplicarsi di
"organizzazioni" di
quartiere, cittadine o regionali dalle proporzioni inaudite che già
nell'atto di costituirsi sono pronte a fare la lezione a chiunque. Siamo in
una fase in cui, tra l'altro, per giustificare assurde dichiarazioni
(ritorni a Keynes o a Marx pronunciati con identica convinzione, ad
esempio), si arriva ad ipotizzare un capitalismo diverso dall'imperialismo
analizzato da Lenin o, per contro, un'accettazione acritica del pensiero
leninista e, ancora, si propongono iniziative internazionali generiche e
improvvisate, senza una radicale critica delle istituzioni di Bretton Woods
(Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale, Gatt) e senza individuare
una convenzione per consolidare ipotesi di alternativa. Spesso, poi, si
individua in ogni lotta sindacale non l'organizzazione di masse diverse
sulla base di interessi economici immediati e come terreno di educazione al
cambiamento ma la direzione stessa del movimento rivoluzionario. Questo
nella migliore delle ipotesi: accade, anche, che un collettivo, un centro
autogestito o una formazione contaminata dal puro ribellismo si sentano le
avanguardie reali ed uniche di una non ben definita massa anticapitalista.
Sintetizzando, provocatoriamente, possiamo affermare che ciò che si sta
realizzando è la negazione stessa del conflitto di classe accettando
un'accomodarsi diplomatico, tra le parti, dentro le contraddizioni del
presente: un conflitto auspicato. I nuovi eroi fondano associazioni
(dall'ambiente al pacifismo) ritenendole l'unica possibilità di iniziativa,
inventano ONG finanziate da meccanismi perversi e per dubbie finalità,
inseguono, sul suo stesso terreno, il potere che pure dichiarano di non
condividere. Il capitale lavora per la gestione della crisi e il
mantenimento dei suoi interessi di classe: gran parte del movimento
"rivoluzionario" lavora per la gestione della propria organizzazione.
Cosa
fanno oltre mille organizzazioni non governative in Colombia? E il grande
impegno di associazioni significative ha uno scopo finale che preveda
un'alternativa di società? Eppure sappiamo che alla guida di tali realtà ci
sono esperienze e storie di valore indiscutibile: ma quale è il rapporto tra
questo gran da farsi e la trasformazione del presente? Per comprendere la
situazione dei salariati, artigiani, contadini dobbiamo obbligatoriamente,
oltre le peculiarità nazionali, guardare all'intero mondo capitalistico con
particolare riferimento alla condizione di milioni di lavoratori dei paesi
sottosviluppati.
Se dovessimo, ad esempio, in Italia, rilanciare una
battaglia per la "scala mobile" non dovremmo domandarci qual è per
noi
l'oggetto del contendere? Probabilmente non qualche decina di migliaia di
lire in più ma punti decisivi dell'equilibrio sociale del Paese: la nostra
battaglia, come per le finanziarie, in un'epoca segnata anche dall'emergere
di valori post-materialisti, deve essere indirizzata sulla redistribuzione
dei redditi e dei poteri: ma anche questo non basta. Chi sostiene che le
concezioni di Lenin sull'imperialismo sono superate dimentica, in nome di un
capitalismo riformabile, che l'espansione imperialistica (contraddizioni,
new economy, conflitti armati, crisi economiche, debito estero e deficit
pubblico, inflazione e monetarismo, liquidità e accumulazione: buttiamo i
termini alla rinfusa) non è un fatto appartenente al passato quanto
l'esportazione di capitali, dimentica che, con la mediazione dello stesso
Stato, si intende contribuire all'accrescimento dei profitti e della potenza
del capitale finanziario ivi inclusi la crescente militarizzazione
dell'economia rimondializzata e la crescente ricerca di paradisi salariali e
fiscali. Ad esempio: aiuti umanitari (militari e per ricostruzioni) giocano
un identico ruolo per le esportazioni e per il rafforzamento di basi
strategiche ed economiche dell'imperialismo in generale e di quello
americano in particolare. Esportare capitali, non ridurre i profitti del
capitale monopolista e ottenere un'eccedenza relativa di capitale da non
utilizzare per investimenti finalizzati a migliori condizioni di vita
(sanità, dignità del lavoro, istruzione, disoccupazione ecc.) ma per lo
stesso capitale finanziario, "patti militari" per ampliare il dominio
su
interi popoli, embarghi, uso della violenza e aumento del divario tra nord e
sud del mondo, fame e carestie, devastazioni ambientali, processi migratori
incontrollati, sviluppo tecnologico "asservito" rappresentano
"una maturità
del capitalismo" che non lo rendono né progressista (esso è profondamente
reazionario) né pacifista (esso è bellicoso) mentre vi è un'aggravarsi delle
contraddizioni in cui si dibatte aumentando i rischi di povertà, di
manipolazioni incontrollate sulla natura, di negazione di libertà e
diversità, di smantellamento d'ogni diritto in ogni settore conquistato, di
analfabetismo di ritorno, di neo-colonialismo e nuova barbarie. Il capitale
vive, nonostante le difficoltà del movimento operaio e dei "soggetti
antagonisti", i suoi drammi: fattori nuovi, economici e tecnici, non
permettono di avanzare previsioni esatte su l'avvicinarsi di una "nuova
recessione", anzi essi contribuiscono a credere ad un'ascesa
dell'imperialismo, alla realizzazione di importanti investimenti con
l'avallo di neo-riformisti e destre compiacenti. Il capitalismo, dopo il
crollo dell'est e le mediazioni di Stati che pure non si richiamano
direttamente allo stesso, è un modello mondiale di produzione senza che in
tutti i Paesi vi sia stata una rivoluzione borghese, imponendosi contro
nascenti borghesie in diverse nazioni, condannando alla rovina e alla
miseria civiltà intere, realizzando "pulizie etniche" e riducendo al
superfruttamento coloniale la maggioranza dell'umanità. Il passaggio da
una
società dello sfruttamento ad un'altra , mai pacifico, può accadere anche in
mancanza di una rivoluzione. L'instaurazione del capitalismo come sistema di
produzione in tanta parte dei paesi del cosiddetto Terzo Mondo si è
determinato non sviluppando il capitalismo degli stessi ma contrastandolo e
mantenendo in vita vecchi rapporti feudali appoggiandosi a proprietari
fondiari, "governi-fantoccio" e intensificando primitive forme di
sfruttamento. Altresì, in Germania ad esempio, senza una rivoluzione
borghese di tipo classico si è determinato un passaggio dalla società
feudale a quella "moderna" ma l'idea di un passaggio dal capitalismo
al
socialismo senza rivoluzione o con una rivoluzione dall'alto, attraverso
riforme e parlamenti, è una negazione della storia. Non esiste una via
parlamentare al socialismo mentre può esservi, poste alcune condizioni, una
via democratica allo stesso. Il cretinismo parlamentare è pericoloso quanto
il suo contrario. L'incomprensione teorica della natura di classe
dell'apparato statale, della burocrazia, della polizia e delle forze armate,
della magistratura è un altro male dal quale curarsi. Inoltre non è da
negare la possibilità di un'alleanza tra classe operaia e piccola borghesia
o "borghesi illuminati": ma quale deve essere il contenuto di tale
alleanza?
E' la piccola borghesia a consentire l'ascesa di Hitler! Un'alleanza
organica con il ceto medio presuppone il concretizzarsi di una rivoluzione
intellettuale e morale! L'imperialismo è la negazione della democrazia:
compito dei rivoluzionari è svilupparla fino ad ottenere l'estinzione delle
classi. L'epoca imperialista è il tempo del terrore, del disprezzo di ogni
diritto e della stessa dignità umana: farsi ingannare da deboli democrazie
borghesi è indietreggiare e non svelare la vera natura dei nemici
dell'umanità. La trasformazione per via democratica della società presuppone
una grande unità dal basso attorno alla classe operaia, presuppone il
dotarsi di un'elevata coscienza di classe e la capacità di dirigere ogni
esasperazione, presuppone l'analisi di ogni mutamento della situazione in
cui opera l'imperialismo, una nuova e consapevole alleanza internazionale
tra forze del cambiamento, un movimento "antagonista" ben organizzato,
il
costruire rapporti di forza reali nella società e non nelle sedi
istituzionali, presuppone una lotta incessante (belligerante) contro
l'opportunismo ed il riformismo. Le concessioni fatte dall'imperialismo ai
lavoratori sono conseguenze della lotta di quest'ultimi e sono, anche, il
trasferimento dai paesi asserviti verso le metropoli "occidentali" del
plus-valore creato da questi popoli, le loro stesse ricchezze derubate. Il
compromesso sociale rimane comunque un fatto transitorio e sempre lo scarto
tra il livello di vita dei lavoratori e quello che sarebbe reso possibile dall'effettivo accrescimento della produttività resta considerevole anche
perché la vera natura della produzione capitalistica è di essere una
produzione per il profitto e non per il consumo ecco perché i trusts,
l'industria pesante e la crisi nei campi che producono "beni di
consumo" e
nello stesso comparto dell'agricoltura. Tutte le conferenze economiche
nternazionali degli ultimi anni si sono preoccupate come evitare lo scoppio
di una crisi negli Stati Uniti ivi comprese le spese militari. Il mercato,
quindi, è sempre dominato da alcune imprese giganti che impongono le loro
condizioni a Stati e uomini ridotti ad utenti e consumatori: nel contempo si
vuole imporre una verità per la quale non bisogna infastidire i detentori
del potere economico perché solo se i loro profitti sono considerevoli si
può investire e solo aumentando la produttività si può parlare di salari
diversamente si apre la porta all'inflazione incontrollata, alla miseria, al
crollo del mondo: farebbero bene i marxisti a ricordarsi che non la miseria
ma l'organizzazione cosciente della classe è la condizione per una
trasformazione. L'unità di classe e la solidarietà al di sopra di ogni
divergenza o interesse immediato sono condizione imprescindibile per
edificare una società nuova. L'equilibrio capitalistico è sempre provvisorio
e con esso le stesse conquiste operaie e popolari al suo interno nonostante
progressi tecnici, pratiche antinflazionistiche, maggiore produttività ecc.
Come mai allora il capitalismo si trova in una fase di espansione e ciò che
sembra sconfitto è proprio il socialismo? L'imperialismo si estende come affermava Lenin "in profondità ed in superficie" tra allargamento del
mercato interno e nuove "dominazioni" e si dimentica che il crollo
dello
stesso è principalmente legato, pena la sconfitta del genere umano, allo
sviluppo della lotta di classe e all'azione riflessa della sovrastruttura
sui rapporti di produzione. Noi viviamo non nell'epoca di un capitalismo
astratto ma nell'epoca dell'imperialismo in cui il capitale finanziario, gli
oligopoli e i monopoli, multinazionali e "imprese" transnazionali
dominano
il mercato. In un'epoca in cui la rottura di paesi coloniali con i loro
dominatori non ha corrisposto ad un distaccamento dal capitalismo mentre la
crisi del socialismo reale ha determinato una nuova invasione imperialistica
dell'occidente che da un lato comprime uno sviluppo qualitativo di
un'industria nazionale e dall'altro mantiene un basso potere d'acquisto
delle masse esercitando, parimenti, pressioni non indifferenti sulla
superstruttura ideologica e favorendo l'insorgere di conflitti regionali.
Inoltre si va determinando, all'est e nella stessa Europa, l'idea di un
trionfante "capitalismo popolare" che propone un progetto di
ristrutturazione del capitale nella ricerca di sbocchi in investimenti
dentro politiche neoliberiste che obbligano a dover accettare l'idea che
disoccupazione e povertà, marginalizzazione sociale e conflitti sono fatti
transitori al pari di riduzione dei salari, deterioramento del sistema
sanitario ed educativo, impoverimento dei paesi del sud e dell'est ecc. Le
ONG in questa situazione vivono dentro una "proposta morale" come se
ci
fossero errori da correggere e non poteri da combattere. L'espansione del
capitale, ad est e non solo, non presuppone nessun risultato che riguarda
lo sviluppo, la piena occupazione, la ripartizione dei redditi, l'acquisizione di diritti ma mira esclusivamente ai profitti riconoscendo
allo Stato, sempre di più in mano ai poteri economici, una non separazione
dal capitalismo: i drammi di questi giorni sono non un prodotto del mercato
e del suo esprimersi ma di una strategia imperialista. La disoccupazione è
voluta, lo sono le guerre e lo sviluppo ineguale. Il Fondo Monetario
Internazionale che doveva sostituirsi allo "zoccolo duro"
rappresentato
dall'oro nasce per assicurare stabilità monetaria ad un'economia mondiale
aperta ed è stato concepito per garantire agli Stati Uniti un controllo
assoluto dei suoi stessi interventi fino a concepire "tra politiche
d'indebitamento e politiche di sdebitamento" un aggiustamento
strutturale
sottomesso alla gestione della crisi. Ogni discorso umanitario è privo di
credibilità ma grave sarebbe, partendo da tali presupposti, ritenere che
esiste un'economia senza politica e senza stato e, infatti, non ha senso una
moneta europea senza la nascita di una confederazione politica. La stessa
Banca Mondiale non è un'istituzione pubblica ma uno strumento incaricato di
favorire la penetrazione dirompente dell'imperialismo nel cosiddetto Terzo
Mondo, per le multinazionali contro rischi di nazionalizzazione e per
spezzare l'autonomia locale in ogni campo (agricolo o industriale, delle
infrastrutture o nella produzione delle materie prime). Inoltre FMI e BM
sono complici dello sfruttamento selvaggio di risorse ambientali fino a
proporsi come agenti concreti di nuove povertà e migrazioni forzose. ONG e
volontariato generico rientrano in questo piano? Le eccezioni non modificano
la realtà. La mondializzazione capitalistica attuale riguarda gli scambi
commerciali e gli stessi sistemi produttivi, la tecnologia e l'informazione,
i mercati finanziari e gli stessi aspetti della vita sociale, il
"riciclaccio di denaro di dubbia provenienza" e il nuovo modello di
"attacco". La rimondializzazione non sopprime, come affermano ad
esempio
alcuni teorici del PRC in Italia, la gestione economica dello stato
nazionale anche perché l'economia è inconcepibile al di fuori del
sociale e del politico e dunque dello stato. E' vero, invece, che lo spazio
mondializzato vorrebbe portare a detrimento quello nazionale attraverso privatizzazioni senza limiti,
smantellamento degli interventi sociali,
controllo dello stesso "esercito di riserva" e delle aree di
espansione,
fino a sminuire il ruolo dell'ONU e massacrando il Welfare State producendo
una "stagnazione", non ancora fortemente visibile, che si traduce
anche in un'eccedenza di capitali che non hanno sbocchi nell'investimento produttivo
o in una finta mancanza di disoccupazione negli Stati Uniti o in una inventata "crescita" delle cittadelle capitalistiche vecchie e di
nuova
"conquista". Lo sviluppo della periferia dell'impero non è più nei
piani del
capitale! Keynes è semplicemente il prodotto di un contrapporsi alla
minaccia del comunismo quanto lo sviluppo nel passato del Terzo Mondo e
finanziamenti a governi locali amici un frenare i successi dei movimenti di
liberazione nazionale: oggi si può immaginare un Plan Colombia con obiettivi
identici. In realtà, dopo il disgregarsi del blocco sovietico, il
capitalismo sta riconquistando il suo carattere originario tra cui lo
smantellamento della resistenza operaia, lotte di liberazione e fine di ogni
compromesso di classe. Il G8 nasce per coordinare la gestione della crisi,
per organizzare il riciclaggio di denaro sporco e petrodollari a favore
della sfera finanziaria speculativa, per un nuovo dominio che non prevede la
fuoriuscita dalla crisi (neppure potrebbe) ma unicamente il come conviverci
all'interno di processi contradditori non controllabili nel tempo e
all'interno dell'aggravarsi di conflitti sociali e politici inevitabili e
una ripresa dei nazionalismi e di emergenze non previste (dalla grande
criminalità organizzata alla crisi energetica). Una riduzione, ad esempio,
delle spese militari americane farebbe sprofondare il paese in una crisi non
dissimile da quella degli anni trenta così come è impensabile la soluzione
del problema occupazionale mentre è prevedibile il conviverci scaricando su
deboli alleati il peso della crisi e, ancora, si genera e si richiede
emigrazione escludendo la libertà dei migranti: il sistema mondiale, dopo
gli anni trenta, a partire dalla fine degli anni sessanta è in una fase di
crisi strutturale mai superata e l'eccedenza di capitali fluttuanti in modo
da evitare la loro svalorizzazione non trova sbocchi sufficienti e
risolutivi e impone sacrifici che si inventano come temporanei ma che
appartengono al futuro. Nella stessa Europa il ritorno al nazionalismo, di
Haider o Kostunica, di Fini o Putin, alimenta l'avanzare di un nuovo
oscurantismo, di sottonazionalismi fino a manipolarne anche parziali
direzioni consapevoli che non possono non sfociare in un nuovo razzismo ed
etnicismo esasperato, fino a gettare benzina sul fuoco di popoli ad est o in Medio Oriente, in America Latina o in Asia, in Africa o nella stessa Europa
dove avanza una destra alla lunga ingovernabile. Una convenzione
programmatica internazionale è necessaria quanto un Parlamento Ombra dei
Popoli che sia capace di promuovere lotte coscienti e percorsi nuovi.
Nessuna politica può, comunque, essere realizzata con efficacia senza
un'organizzazione capace di portarla tra la gente, i popoli delle periferie,
le classi sociali dominate, le fabbriche e i luoghi della cultura. Nessuna
idea di progresso può avanzare se intanto non si è decisamente antifascisti,
decisamente non gradualisti e riformisti, decisamente non dogmatici ed
ortodossi, decisamente unitari aperti al confronto e vicini a tutti gli
strati popolari, ai lavoratori e a coloro che soffrono, ai disoccupati e
alle donne, agli intellettuali e ai contadini, ai migranti e ai nuovi
emarginati. Vicini soprattutto alle nuove generazioni e disponibili alla
sconfitta e a creare i propri "sostituti". Possiamo analizzare gli
errori e
le stesse nefandezze del socialismo ma ciò che è utile, oggi, è aprire a noi
stessi nuove strade, un modo anomalo di essere organizzazione, un progetto credibile e leggibile. Il marxismo, il leninismo, le lezioni di Gramsci, le
intuizioni di Mao o del Cristo della Sierra non sono formule ma una teoria
vivente che presuppone una continua elaborazione, tra diversi e come
collettivo. La partecipazione di tutti e di tutte è indispensabile mentre
quella del genio è "deviante" anche perché rappresenta una visione
"personale" e , quindi, un'approssimazione, una parzialità, un modo
oligarchico di concepire l'organizzazione delegandola alla fine nelle mani
dei senza classi, di docenti eruditi, avvocati, professionisti abituati come
alcuni sacerdoti o teologi "moderni" a detenere il verbo, a
proclamarlo e ad
aumentare la loro distanza tra il dire ed il fare, tra il proporre e il
dimostrare la validità delle loro argomentazioni. Un iscritto o un
simpatizzante di un'organizzazione rivoluzionaria ridotto al ruolo di chi
deve ricevere direttive e orientamenti già confezionati e non messo in
condizione di dire anche "banalità" è un ostacolo alla costruzione
di un
movimento che intenda cambiare lo stato di cose presente: non è un buon
militante ma un morto resuscitabile per soddisfare appetiti di "capi"
incoscienti. Un movimento rivoluzionario non è un'accademia ma è vero anche
che deve favorire la crescita di ognuno ed ognuna, avere un'ideologia e una
particolare disciplina: i nostri orientamenti sono chiari: far progredire il
movimento operaio e quello popolare in generale contro infantilismi e
settarismi, operaismo e frazionismo, esaltando ogni diversità come
presupposto dell'idea di uguaglianza che andiamo cercando e definendo la
società che intendiamo edificare. Ora, noi dobbiamo penetrare la realtà e
dotarci della filosofia della prassi, del socialismo scientifico per
comprenderla ma non possiamo limitarci a questo né possiamo aspettare gli
eventi o esprimere contestazione generica: partito e organizzazione, partito
e lotte marciano contemporaneamente. Dobbiamo conoscere la realtà,
l'avversario attraverso le sue stesse idee, un territorio, i bisogni e le
esigenze dei più e pretendere di diventare avanguardia per non subire gli
avvenimenti o porvi semplice riparo ma per determinarli. Se non hai un
programma rivoluzionario non sei un rivoluzionario, se non hai una
dottrina
di avanguardia non sei un'avanguardia, se non hai un'intensa attività
ideologica non sei un combattente pratico e se non hai la capacità di
relazionarti a masse lontane, dentro linguaggi accessibili, non lavori per
la loro emancipazione. Non si possono ripetere formule passate: esse vanno
continuamente riattualizzate mentre lo strumento per farlo deve ipotizzare
il minor numero di istanze intermedie e la minore possibilità di concentrare
poteri e decisioni. La stessa critica deve incoraggiare e non certo
demolire. Oggi vi sono elementi nuovi che vanno considerati: l'anticomunismo
straccione, un nuovo potere degli integralismi religiosi, una
rimondializzazione dell'economia con conseguente trascinarsi dietro diversi
aspetti della vita fino ai rapporti più intimi, un ruolo diverso e
dirompente dell'informazione, il riacutizzarsi di logiche di guerra e
devastazione ambientale, rigurgiti fascisti e destre rampanti, crisi
generalizzata del movimento operaio e dei soggetti antagonisti. questo ed
altro. Il ceto medio delle città e della campagna e la stessa piccola
borghesia, strati proletari, diversi intellettuali, artigiani e commercianti
in particolare, rappresentanti della media industria non guardano ai
lavoratori mentre destra e sinistra di "governo" puntano ad una
modificazione sostanziale dell'ordinamento politico in senso reazionario
fino a condurre una battaglia nel "senso comune" contro "il
partitismo"
che sconfina nella stessa sinistra critica e autorganizzata: è in atto una
campagna di partiti e partitini contro la partitocrazia? In realtà è in atto
un processo di attacco a Costituzioni avanzate, alla stessa democrazia e
alla sua possibilità di ampliarla, logorando partecipazione alla vita
politica e democratica, generando un "riflusso irreversibile" e un
cedimento
culturale. Al proporsi di un nuovo imperialismo va contrapposto l'impegno
per una maggiore partecipazione, anche al voto, delle masse, battaglie anche
piccole e individuazioni dei reali mali che affliggono il paese e attendono
da sempre risposte. Spinta ideale, organizzazione, lavoro politico,
costruzione di sedi unitarie devono convivere contemporaneamente cercando la
"gente" e rifiutandosi di vivere la competizione e il conflitto a
sinistra.
Siamo in giorni in cui i "gruppi di pressione" sono diventati
"gruppi di
potere" e i comitati di affari il potere reale. Partecipare ad
un'organizzazione politica per il socialismo a maggior ragione deve
diventare un atto di libertà quanto creare un vasto schieramento sociale
capace di lottare contro un impietoso imperialismo e le miserie di governi
compiacenti allo stesso. Il primo obiettivo, coscienti d'ogni particolarità
nazionale, è la lotta mondiale contro l'imperialismo valorizzando le analisi
leniniste in materia, collaborando alla formazione di un ampio schieramento
internazionale senza smarrire la funzione storica dei lavoratori e la
nascita di un blocco storico originale con gli oppressi, gli ultimi,
evidenziando il carattere mostruoso che ha assunto il capitalismo e non
limitandosi alla lotta per il soddisfacimento dei beni materiali. Questo è
un terreno di lotta politica e culturale insieme. Un sistema bipartitico al
pari della "polarizzazione" internazionale della politica, soprattutto
per
mantenere viva l'idea e la pratica di una via democratica al socialismo, va
combattuto e va ostacolato anche perché è la negazione della libertà e
la
ridicolizzazione della nostra stessa storia. Vanno create, ricreate, le
condizioni di una giusta competizione politica riconoscendo il fallimento
del "partito nuovo e di massa" proposto da Togliatti e rivalutando un
partito di tipo nuovo come le condizioni storiche attuali impongono: capace
di inventare avanguardie che sappiano stare tra le masse, un intellettuale
collettivo organico alla classe operaia, un suscitatore ed un organizzatore
permanente. Il partito necessario è il costruttore di un nuovo
internazionalismo che mentre vive le sue dinamiche nazionali è al primo
posto con le lotte in ogni parte del mondo, contro guerre e armamenti,
militarizzazione crescente, per la risoluzione dei grandi problemi
dell'umanità a partire dalle aree costrette al sottosviluppo, alla fame, a
malattie endemiche, all'analfabetismo. Una convenzione programmatica
internazionale non è più eludibile: rifiutarsi di concorrervi pone ogni
movimento negli angusti confini del proprio "orticello" e a sconfitte
immediate o nel tempo. Non esistono nè devono esistere partiti o
movimenti-guida, Stati-guida, miti e realtà da imitare ma se l'autonomia è
chiudersi in se stessi, nelle questioni interne del proprio paese vuol dire
che stiamo rinunciando a cambiare il mondo. Quella del 21 gennaio 2001, un
incontro a più voci e senza egemonie di questa o quella organizzazione, è
una sfida che va lanciata qualunque sia la risposta. Stare nella storia non
corrisponde al perseguimento di obiettivi eclatanti e all'inseguimento di
mode affascinanti e coinvolgenti ma "fare la cosa giusta". DP ha
scelto la
strada più difficile proponendo "questioni" semplici. Difficoltà
economiche nostre e di organizzazioni, in Italia e all'estero, con le quali abbiamo un
rapporto e scambi d'idee e di esperienze non ci permetteranno di raggiungere
risultati auspicati ma rimaniamo convinti, ringraziando anche i tanti
artisti che hanno dato la loro disponibilità al piccolo evento in
costruzione, che si è sconfitti solo
quando si rinuncia a fare la propria
parte di lotta da protagonisti.