SI E'
TENUTA LA DIREZIONE NAZIONALE IL
30 GIUGNO 2001 ORE 20
presso la
CASA DEI POPOLI
Viale Irpinia, 50 – ROMA
la riunione è
stata aperta ai compagni ed alle compagne delle diverse regioni italiane
STIAMO REALIZZANDO UNA PUBBLICAZIONE COMPRENDENTE INTEGRALMENTE
LAVORI E DOCUMENTI
(Minniti, Giardino, Viola, Barreca, Vernillo, Schwarsberg, Lamari,
Venturi, Ferrari, Meloni e Benizi)
NONCHE' CONTRIBUTI DI IDEE RICHIESTI A
Giovanni Franzoni, Massimo Ghini, Vittorio Foa, Luigi Vinci.
Ordine del Giorno:
1)
Analisi e prospettive dopo le elezioni del 13 maggio 2001
2)
Viaggio di una delegazione ufficiale di DP a Cuba e in Corea del Nord
3)
Organizzazione di feste estive territoriali
“per non mandare la politica in vacanza”
e per l’autofinanziamento
4)
Preparazione di iniziative per la presenza di Fernanda Navarro in
rappresentanza del FZLN (Chiapas) in Italia
5)
Rivista e ampliamento degli strumenti informativi
6)
Programmazione di una scuola per la formazione quadri: primi seminari
7)
Avvio di una campagna per una Proposta di Legge sulle 35 ore lavorative a
parità di salario
8)
Piano di lavoro per l’organizzazione di conferenze programmatiche a
partire dall’autunno
9)
Programmazione di una serie di iniziative e di lotte con riferimento al
programma di DP (lavoro, diritti, ambiente, istruzione, Costituzione…) e
valorizzazione dei Consigli Territoriali
10) Iniziative
per un rafforzamento organico dei rapporti internazionali e conseguenti lotte
unitarie
11) Costituzione
organica del Consiglio Nazionale
12) Rapporti
con i movimenti a partire dall’iniziativa di Genova contro il G8 e
comunicazioni per iniziative propositive sulle stesse tematiche
13) Tesseramento
e nuovo proselitismo
Relazione del segretario nazionale:
Cari compagni e care compagne,
la riunione della Direzione Nazionale di DP, in piena
stagione calda, era un appuntamento non certo rinviabile dopo le elezioni del 13
maggio ed il loro esito indubbiamente negativo per la democrazia ed i
lavoratori. Positivo, senza dubbio, l’eccezionale e inaspettato risultato
elettorale della nostra organizzazione ed il senso di responsabilità tattica
espresso nei ballottaggi che, tra l’altro, ci hanno garantito l’ottenimento
di una forte visibilità, di punti sostanziali di programma (a Roma e in alcuni
Municipi in particolare) e una valorizzazione nei rapporti con le istituzioni
che andranno utilizzati pienamente negli interessi del popolo in generale, dei
cittadini e delle cittadine, di chi intendiamo rappresentare in una lotta per
l’emancipazione delle classi subalterne. Questa relazione non potrà non
prestarsi ad equivoci, ad interpretazioni non volute, sia per la sua brevità,
sia per l’impossibilità di approfondire alcune tematiche che volentieri si
lasciano al dibattito e al confronto e al contributo d’idee che potrà
arrivarci anche da altri ed altre non presenti all’incontro, sia per la non
nascosta “volontà provocatoria” per suscitare idee nuove e sollecitare
atteggiamenti critici. Quelle che andrò a sviluppare sono note, anzi noterelle,
per riempire di contenuti ed iniziative i prossimi giorni. Alcuni temi, pur
rilevanti, saranno semplicemente accennati ma dobbiamo, senza timore, chiarire
la tattica e la strategia della nostra organizzazione e proporre la stessa come
“rinnovata realtà comunista”, moderna, aperta, corrispondente ad un
presente che intendiamo mutare. Si tratta, in sintesi, di costruire
l’opposizione e, al tempo stesso, lavorare per un’egemonia delle classi
subalterne…
Buon lavoro, dunque, a tutti e tutte noi e grazie per
la vostra grande e generosa attività in questi nostri brevi mesi di vita pieni
di passione e di sacrificio per molti e molte e di utile partecipazione, ampia e
cosciente, di uomini e donne che neppure conoscevamo e che ci hanno dato fiducia
e sostegno. Non dobbiamo mai stancarci, quando la militanza è sempre di più
calpestata oltre che in crisi, di esprimere entusiasmo e fratellanza a coloro
che dedicano anche pochi attimi della propria esistenza a valori nuovi per
costruire il nuovo appunto.
1)
In Italia, e nel resto del pianeta, la neo-globalizzazione, il
neo-liberismo, la stessa gestione della crisi del “vecchio” capitalismo da parte dei “profittatori”
hanno, ormai, fatto cadere all’imperialismo la sua ultima “maschera
riformista” nonostante sia assente, in generale, nel popolo (e tra gli
oppressi in particolare) una “volontà collettiva” antagonista e una
strategia rivoluzionaria e nonostante la “non-storia” di gran parte della
sinistra. Si è dimenticato, infatti, che non solo bisogna avere un piano chiaro
e coinvolgente ma che prospettiva e coscienza, per i soggetti rivoluzionari,
sono un’unica cosa per “universalizzare” la necessità del socialismo o di
società migliori oltre i bisogni immediati.
2)
La possibilità, tutta da conquistare, di inserire “elementi di
socialismo” nella società è data, essenzialmente, dalla coscienza (storica,
sindacale, sociale, di classe) da vivere in “movimento” e contaminandola con
una lotta tenace per l’affermarsi di una “riforma intellettuale e morale”
fino a valorizzare la “memoria” come elemento insostituibile e capace di
“conservare” per generare mutazioni stabili e durevoli. La coscienza storica
non implica “nostalgie” ma considerazione delle lezioni (vissuti,
esperienze, conoscenze) per avanzare ed invita a diffidare della buona fede di
chi ripropone un “ritorno a Marx” che in realtà sconfina con l’apoliticismo
e si esterna, tra demagogia e passionalità sterile, unicamente in comizi che
ritengono i partecipanti una massa impreparata e da entusiasmare con la
retorica. E’, questa, semplicemente, una contraddizione ed una
strumentalizzazione ideologica, una sorta di “revisionismo ortodosso”, un
limite teorico che ne nasconde altri, una furbizia di “capi non organici”,
un impedire l’affermarsi di una coscienza critica che si misuri con il passato
e con il presente per costruire futuro. E’, inoltre, l’accettazione di una
visione meccanicistica, fatalistica ed economicistica degli accadimenti, una
mistificazione. Un pericolo che allontana qualsiasi organizzazione di classe dal
ragionarsi e dal comprendere lo stesso sviluppo del marxismo che lo rende
attuale anche in un’epoca di massacro alle ideologie, di neo-corporativismo,
neo-individualismo ed in piena frammentazione e settorializzazione sociale,
smisurata e sostanziale crescita del parassitismo, dell’area del terziario,
determinante ruolo della finanza, delle lobbies, dei gruppi di pressione, di
pratiche neo-colonialiste mentre vi è uno straripamento dei ceti intermedi,
un’espansione della sfera burocratico-amministrativa e, favorita dal carattere
trasformista ed opportunista di gran parte della popolazione, l’affermazione
di una destra non solo sociale ma anche eversiva, rappresentata dai possessori
dei mezzi di produzione, della finanza e della stessa società illegale
organizzata, tutelata, nella “presa del potere”, da logiche bipolari
corrispondenti fortemente agli interessi dell’imperialismo. Le contraddizioni
del sistema capitalistico, pertanto, e la “logica” odierna delle forze
produttive non spingono “spontaneamente” in direzione del socialismo ma, in
forme sempre più laceranti, si consolida il neo-imperialismo che obbliga a
ridisegnare, senza togliere le ancore del marxismo-leninismo per non andare alla
deriva, la tattica e, più necessariamente, la strategia di un’organizzazione
rivoluzionaria.
3)
Assistiamo, non va sottovalutato, a lotte oscillanti tra difesa
corporativa e contestazione generica mentre è sempre di più evidente il
distacco tra popolo e politica, masse ed istituzioni e, all’opposto, sempre di
più saldo il rapporto tra politica ed affari, capitalismo legale e capitalismo
illegale, oppressione con utilizzo del carro armato di una informazione
portatrice di falsa coscienza sociale o il carro armato di fatto.
Incredibilmente non possiamo accodarci alle ribellioni spontanee o all’agire
dei movimenti ma neppure dobbiamo rifiutarli. Non considerarli o subirli sono
errori ma lo è, maggiormente, non attivarci per “costruire una direzione
consapevole” agli stessi, democratica, palese, dichiarata e rispettando
pluralismo, autonomia e diversità. Una direzione consapevole non è una
prevaricazione ma un atto di libertà. Per i comunisti è lotta per
l’egemonia: non dei suoi “capi” ma della classe e del suo blocco storico.
Il distacco tra movimenti di lotta in generale e i lavoratori è di per sé una
sconfitta e un’ulteriore accelerazione del più ampio allontanamento delle
masse dalle Istituzioni lasciate totalmente alla gestione delle forze più
retrive della società e dei suoi apparati repressivi. Del resto questo è
ancora più drammatico dinanzi ad una sinistra che vive un “parlamentarismo
esagerato” (per usare un termine non denunciabile) che va oltre lo stesso
“cretinismo”: questa sinistra si rende protagonista di una strategia suicida
(e le ultime elezioni stanno lì a confermarcelo) e fallimentare anche nel medio
periodo che implica, inevitabilmente, un isolamento non nuovo per chi vive ed
interpreta l’agire politico come qualcosa che “cala e viene dall’alto”,
come processo impositivo (e di fatto parziale) fino a far dimenticare che il
centro della lotta, di ogni lotta, anche di quella non immediatamente
rivoluzionaria, è il contesto sociale, è il faticare per una trasformazione
progressiva delle strutture, dei valori, delle coscienze, delle stesse relazioni
fra gli esseri viventi senza confondere la realtà con la personale (o di
gruppo) idea della stessa.
4)
Gran parte del nuovo movimento antagonista (tute bianche, centri
sociali, molte associazioni ecc.) è composto in maniera considerevole da
giovani e ragazze, una parte della generazione degli anni 70 o della nuova
autonomia sindacale. Si manifesta in esso anche una creatività particolare ed
invidiabile. La stragrande maggioranza dei suoi protagonisti è lontana dai
partiti (o con essi, come ad esempio il PRC, vive un rapporto di tolleranza o di
utilità) quando non è schifata dall’agire degli stessi (simbolo di un vuoto
ormai consolidato anche a sinistra e di una frattura faticosamente colmabile).
Un’organizzazione come DP può essere involontariamente coinvolta da tale
atteggiamento nello sforzo di proporsi, di aggregare ed organizzare. Alcuni
soggetti in rivolta dell’ormai ed impropriamente definito “popolo di
Seattle”, ad esempio, ama auto-definirsi (se non è anarchico) comunista
libertario o liberal-autonomo (in contrapposizione allo stesso neo-liberismo e
alla globalizzazione). Termini come lotta di classe, imperialismo, socialismo
sono sempre di più non solo ignorati ma osteggiati tanto quanto l’essere
comunisti o appartenenti a formazioni comuniste. La lontananza dal movimento del
1968 è anche per questi motivi abissale e, comunque, viene scambiata come
maturità e sopraffina intuizione. Ancora più miserevole è considerata
l’accettazione del movimento operaio come riferimento per qualsiasi
rivoluzione. E’ una “vittoria”, non declamata, anche, dei “senza
classe” che non casualmente guardano crocianamente ai fatti internazionali
senza distinguere nella loro concretezza l’EZLN dalle FARC o i SEM TERRA dal
PKK. Eppure non amplificare le lotte di questo significativo movimento, privo di
una mai affermata cultura urbana e lontano da culture e civiltà precedenti
(artigiana, contadina ecc. senza averle “superate” in senso progressista)
rappresenterebbe un fallimento irreversibile per tutta la sinistra di classe. Ma
neppure è praticabile la strada, come fa il PRC, dell’accodarsi acriticamente
o, peggio, come fa il quotidiano comunista “il manifesto” dell’esaltare
“a priori” (pensate quanto sarebbe importante un PRC che si mobilita con il
massimo sforzo contro il G8 con migliaia di persone, come fa ritualmente ogni
anno verso l’autunno, e quanto sarebbe significativo se contemporaneamente
nelle fabbriche e nei posti di lavoro, nelle Università e nelle scuole si
incrociassero le braccia). Ma, purtroppo, le “scelte” del PRC o de “il
manifesto” sono non poche volte dettate da piccoli interessi di bottega che
scompaiono quando si deve prendere atto che oltre tali realtà e quelle
istituzionali c’è una significativa sinistra antagonista organizzata e non
silente in questo Paese che stenta a nascere anche per la colpa di una miopia
escludente, non involontaria né casuale. Per
altri giovani “contestatori”, inoltre, (alcuni dei quali ritengono
che una vittoria delle destre può creare condizioni migliori per rivolte e
cambiamenti) la guerra di Liberazione, la corruzione ed il malgoverno
democristiano, il ruolo del Vaticano o le bombe sui treni, le stragi di Stato o
le conquiste operaie, i giovani delle magliette a strisce e i “revisionisti”
del PCI, i “venduti” di Lotta Continua, i perenni “entristi” di
Democrazia Proletaria e Avanguardia Operaia (aggettivi ormai acriticamente
diffusi), la rivoluzione d’Ottobre ed il Vietnam non sono neppure ricordi
e considerare tutto ciò per lottare nel presente viene pensato come una
gran perdita di tempo cara a comunisti tutti stalinisti, amici di Pol Pot,
nostalgici di Mao e tutto sommato colpevoli come i capitalisti delle peggiori
nefandezze del secolo appena andato. I più impegnati, comunque, non dimenticano
l’incapacità nel rispettare le cose che si dicono dei “capi” a sinistra,
i burocrati di partito, la ricerca dei privilegi personali, un sindacalismo
“reazionario” (oggi la triplice sindacale è la più grande organizzatrice
di un crumiraggio collettivo), la critica senza rapporti e rispetto delle
giovani generazioni e l’appiattimento nei ruoli istituzionali… questo e
tanto altro. Inoltre, diventano o sono state forme di “rifiuto della realtà”
e distacco generazionale non solo
le rivolte, l’occupazione di una scuola, di una facoltà o di uno spazio
abbandonato ma, anche, nel rispetto di dovute e facilmente comprensibili enormi
distinzioni, l’aggressività negli stadi, lo scontro per lo scontro fino alle
degenerazioni che hanno riempito le cronache di suicidi, uso di droghe,
accettazione di nuove tecnologie come promozione sociale, esibizionismi
gratuiti, crisi della famiglia, “assalto” dei luoghi deputati
all’incontro, alla cultura, allo studio. Ancora più evidente un processo del
“rifiuto del mondo degli adulti” nell’esaltazione, contraddittoria e
negativa quanto da rifiutare, dell’etica dell’avere rispetto l’etica
dell’essere, del neo-fascismo o dell’apatia diffusa. L’incomprensione
della società adulta verso i bisogni delle nuove generazioni (e stiamo evitando
di parlare di quelle che vengono “manipolate” ed ingannate dalla Chiesa che
pure cercano dei valori in cui credere o che non li hanno mai cercati per il
loro forte carattere reazionario come Comunione e Liberazione) ne sostanziano un
conflitto che viene tranquillamente sollecitato dalla società neo-liberale
contro un “vecchio” che non si conosce bene alla ricerca di un futuro che si
conosce ancora meno. A questo collabora una celerità dello sviluppo tecnologico
che determina distacchi generazionali, diversamente dal passato, compressati in
pochi anni. Non esiste una questione giovanile ma una condizione giovanile dove
la parte cosciente ed impegnata per un mondo migliore è, senza errore,
minoritaria. In questi giorni, a Roma, dopo la vittoria dello scudetto della sua
squadra oltre un milione di persone si sono riversate pacificamente nelle
piazze, si abbracciavano, cantavano, scambiavano saluti, sorridevano. In pochi
giorni la città ha visto un crescendo di creatività tra palazzi dipinti,
bandiere ovunque al vento, tabelloni con mille colori e giovani attivi oltre
misura, ragazze che inventavano murales gioiosi e il faccione imponente di
Geronimo, ecc. Non c’è stata violenza né monumenti distrutti… Per uno
scudetto ma uno scudetto desiderato, atteso oltre vent’anni, che senti tuo
come i colori di una bandiera e la speranza che si vada avanti l’anno prossimo
in coppa dei campioni ed in campionato ed intanto godiamoci la festa.
Salutiamoci per strada riconoscendoci con il clacson o uno slogan, tappezziamo
ogni angolo con fettucce e pupazzi e fraternizziamo. Ne parlo per far
comprendere quanto sia importante darsi un obiettivo, coinvolgere, rendere vivo
un progetto affinché energie spese in tante altre direzioni trovino motivi
saldi per pensare politica e rinnovamento con identico entusiasmo, con la stessa
voglia di vincere e poi di fare festa. Solo accennarlo già modifica
profondamente il nostro proporci: pensate se organizzassimo sit-in continui
anche per il diritto a dipingere un muro, umanizzare un parco, avere
amministrazioni che ci diano invece
di tasse per il suolo pubblico strutture per fare cultura o sport e quanto possa
spaventare stare fuori dal Parlamento per una rivendicazione cantando, con
gioia, urlando in un megafono le proprie ragioni e alzando dipinti al vento
oltre le proprie bandiere. Pensate a sedi di partito come luoghi d’incontro
anche culturali e via proponendo. Pensate università occupate per “qualsiasi
motivo” ed oltre ad assemblee un “pezzo” di fantasia che comunque il 1968
ci aveva lasciato in eredità. E’ proprio il caso di dire che “la semplicità
è difficile a farsi” (Brecht). La politica è triste! E’ resa triste ed è
lontana dalle masse. Non unisce ma divide anche quando l’unità sarebbe un
fatto naturale. Abbiamo l’obbligo, oltre la serietà di un “piano” di
inventare come renderlo un “conformismo per l’alternativa”. Anche queste
riflessioni parzialmente introdotte ci obbligano a ripensare la tattica e la
stessa strategia rivoluzionaria. Per
colpire, infatti, efficacemente “il padrone” serve l’articolazione di
lotte e programma diversamente si rischia, alimentando oltre misura forme
repressive, di alzare grandi polveroni che alla fine non intaccano né i
rapporti di produzione né la realtà sociale. L’assenza della contestazione,
la “pace sociale”, sono anch’esse da rigettare ma è grave che non ne
siano protagonisti i lavoratori. Le lotte del movimento sono destinate ad una
grande crescita se sapranno, appunto, collegarsi al “mondo del lavoro”
rendendo “omogenea” con queste realtà l’iniziativa di DP. L’alternativa
nasce nella società e deve creare poteri nuovi contrapposti a quelli del
sistema capitalistico oltre le elezioni o piccoli quanto pericolosi “complotti
insurrezionali”. Il primo organizzatore di “complotti insurrezionali” è
il potere stesso! Il problema che si pone è anche, dunque: come utilizzare le
istituzioni? Non certo per “buone gestioni” ma per costruire l’alternativa
e, a maggior ragione, il quadro di un partito non può corrispondere a quello
istituzionale. Ritorneremo, sempre brevemente, sull’argomento. Ora dobbiamo,
invece, precisare alcune idee.
5)
Lo sciopero, il grande corteo, il consiglio sindacale non perdono mai il
loro valore “storico” ma si presentano oggi come “strumenti”
insufficienti. Né è sufficiente “occupare uno spazio” o, esagerando,
“impossessarsi con un gruppo di avanguardie del Palazzo”, meno che mai
contestarlo tra una manganellata e l’altra. Anche se ottenessimo un
“potere” (premesso che questo potere sia nelle mani di chi non deluda le
aspettative dei soggetti coinvolti: oggi è sempre meno raro che accada anche se
limitatamente ad amministrazioni locali e meno che mai nel Parlamento) dobbiamo
convincerci che è un’altra la meta a cui aspiriamo e che non è garantita da
nessuna maggioranza parlamentare: l’emancipazione ed il potere popolari! La
tua battaglia non consiste, infatti, nel sostituire un “potere” con un altro
ma una società nel suo insieme con un’altra organizzazione sociale,
economica, culturale…
6)
Non va mai sottovalutato: tra vita economica e vita politica vi è una
fitta rete di relazioni e di reciproca dipendenza (come vi è tra struttura e
superstruttura, tra neo-globalizzazione e neo-regionalizzazione, tra
neo-colonialismo e processi migratori, tra vita pubblica e vita privata, tra
prodotti alimentari geneticamente modificati e carestie e fame, tra ricerca
scientifica e guerre, ecc.) che condizionano ogni processo rivoluzionario fino a
fargli assumere “forme” nuove (che coinvolgono la stessa organizzazione che
se ne rende protagonista). Il socialismo non è, dunque, la conquista del
Palazzo (magari con la maggioranza parlamentare del 51% ammettendo l’esistenza
di un sistema elettorale proporzionale) ma, nelle mutate condizioni, un lungo
“viaggio” che vive di stazioni,
piccole soste ovvero lotte per continue trasformazioni (anche parziali) oltre la
loro riduzione gradualista e un incosciente determinismo. E, ancora, i Soviet o
il semplice riproporre consigli di fabbrica (grande fu il loro ruolo storico ed
averli realizzati) sono una “ortodossia” in una società diversamente
strutturata ed in condizioni profondamente diverse mentre i rapporti di
produzione invece di “rompersi” si adattano fino ad avere una grande
protesta dei metalmeccanici per interessi esclusivamente corporativi o
esasperate battaglie dopo un licenziamento o la chiusura (trasferimento) di una
fabbrica dopo che “integrazione” e cultura piccolo-borghese o del
“consumismo” hanno spadroneggiato. Lo Stato non è solo repressivo ma anche
“paternalista” (la parata militare del 2 giugno 2001 sta lì a dimostrarcelo
e la stessa campagna elettorale delle due grandi coalizioni in competizione o lo
stesso bonario apprezzamento di un Presidente della Repubblica alla correttezza
elettorale mentre stringe la mano sorridente a fascisti e razzisti, a nemici
della Costituzione e a chi deve ancora risolvere i propri conflitti
d’interesse o pratiche giudiziarie). Questa non è una contraddizione ma una
scelta chiara quanto leggi elettorali truffa o politiche dell’alternanza…
7)
Il socialismo o è anche un
progetto di liberazione “partecipato” e di riumanizzazione dell’uomo o è
semplicemente una “rivoluzione tecnica”. La lotta per avanzare nella sua
direzione impone, allora, un radicamento profondo nella società, la ricerca di
un linguaggio comprensibile, contenuti leggibili e da verificare immediatamente
e continuamente ma, soprattutto, l’esempio coerente di chi lo propone: il suo
rispettare nell’agire pratico le cose che si teorizzano. La nascita, altresì,
dei Consigli Territoriali, oltre settarismi e presunzione, è un dovere per far
nascere una necessaria “avanguardia collettiva” dotata di un piano credibile
e possibile, autonoma mentre inventa un’unità dal basso tra soggetti pur
diversi e da orientare contro il capitalismo, capace, mentre rinnova il
“centralismo democratico”, di rovesciare la piramide per conquistare una
democrazia di fondo che inventi continuamente dirigenti capaci di farsi
dirigere.
8)
Viviamo il tempo in cui le cose prima accadono e solo dopo bisogna
parlarne. Un tempo in cui il vento di destra, mentre solo ieri manifestavi
contro il razzista Haider eletto in Austria o il fascista Pinochet, che non
viene ancora processato per gli inauditi crimini commessi, o per i tanti
“desaparecidos” dell’America Latina e del mondo, è il tuo Governo e la
cultura di destra pervade il Paese intero. Giorni, dopo la sconfitta del
centrosinistra (che pure si è fortemente impegnato a privatizzare, smantellare
parte dell’istruzione pubblica verso i privati, fare guerre, ascoltare con
attenzione le direttive USA o della Confindustria), nei quali l’opposizione è
delegata a Rutelli o ad un PRC che insegue il No al G8 o un corteo
metalmeccanico da altri organizzati o lotte all’Ansaldo che ha visto solo
nelle sue crude immagini dopo l’aggressione poliziesca. In un periodo in cui,
tra una bomba e l’altra, trionfano uno stato sociale per poveri, si calpestano
diritti consolidati o da rispettare e la ricerca dei profitti sconfina
nell’illegalità protetta. Anche per questo una nuova organizzazione “a
sinistra” è un obbligo che va oltre qualsiasi analisi sulla frammentazione o
il continuo declamare la nascita di ipotetici partiti comunisti. DP è già una
realtà. Ma non basta e neppure si può nasconderne le difficoltà ed il suo
bisogno di “maturare”… internamente e verso l’esterno. DP deve crescere
ma deve formarsi nel vivo del dialogo, del dibattito e delle lotte (senza
misurarne l’ampiezza o la quantità ma l’utilità e la qualità). Bisogna,
innanzitutto, creare le condizioni per partecipare alle discussioni e al
contrasto, non solo il confronto, delle idee per evitare azioni scoordinate o
l’affermarsi di iscritti ed iscritte come massa da manovrare. Lo stesso agire
deve considerare i rapporti di forza reali nella società e misurarsi con i
propri limiti rifiutando il fare per il fare.
Ecco perché è importante avvicinare più esperienze e più capacità ed
intelligenze all’organizzazione e al tempo stesso formare una nuova leva di
combattenti pratici. Iniziative
come quella con Alberto Granado e per Cuba che abbiamo organizzato
quest’inverno ci invitano a repliche altrettanto vive e unitarie. Diecimila
giovani e ragazze hanno, con noi, vissuto, con gioia ed entusiasmo
un’esperienza giovane ed intensa. Ecco perché si deve accettare l’adesione
(aldilà del semplice e pur importante tesseramento) e la disponibilità anche
di chi si avvicina a DP emotivamente, con curiosità o con idee diverse e
fortemente critiche o digiuno di ogni nozione del marxismo-leninismo prima che
questi diventi facile preda dell’apatia, della rassegnazione o, peggio, di
fanfaroni piccolo-borghesi annidati nella stessa sinistra istituzionale. E’
compito dell’organizzazione preparare e rafforzare i suoi “militanti” per
renderli più adatti a diffondere e creare coscienza sapendo che il terreno
dello scontro è su più fronti: economico, politico, ideologico (mai disgiunti
tra di loro). Per far diventare una lotta, anche rivendicativa, un fatto grande
(dal verde alla casa) è necessario renderla lotta politica parte di una lotta
generale che superi l’elemento dell’esigenza immediata e la sua stessa
spontaneità. E’ appunto l’elemento ideologico che offre tale opportunità!
Sarebbe comunque folle utopia pretendere una coscienza solida durante il dominio
dei potenti della Terra e una visione completa del che fare da parte di tutti i
membri e tutte le aderenti di un’organizzazione, nelle realtà unitarie con le
quali si riesce ad avere un rapporto e nella società nel suo insieme. Anche per
questi motivi intendiamo, nel rispetto di ogni autonomia, lavorare con maggiore
lena in realtà come l’Associazione Internazionale di Amicizia e Solidarietà
con i Popoli (tra una campagna di solidarietà, la proiezione di un film,
l’incontro con il teatro o la visione di un evento sportivo), la Rete
Associazioni Popolari, l’associazione per disabili o la cooperativa lavoro
culturale, l’associazione “Il Puntino” e “Onda d’Urto”, il Comitato
Silvia Baraldini e le polisportive popolari, l’associazione Dedalo di
Sermoneta e quella contro la detenzione politica. Nel confonderci in queste
organizzazioni unitarie intendiamo portare un vento denso di novità e che ci
permetta di dialogare con donne e uomini non sempre facilmente raggiungibili. Ma
se il partito non ha una coscienza alta gli sarà difficile guidare le lotte e
più facile esserne trascinato: questo in gran parte è quello che di fatto sta
già accadendo alla sinistra istituzionale alla sinistra del centrosinistra.
L’attività teorica purtroppo, in Italia in particolare, è sempre stata
sottovalutata dalle organizzazioni rivoluzionarie rimanendo appannaggio o della
stessa borghesia e dei suoi intellettuali o di gruppi ristretti a sinistra che
ne hanno trovato giovamento per convegni, seminari, libri o per diventare capi
di questo o quel gruppo facendo e disfacendo a loro piacimento. Ecco perché non
raramente assistiamo alle furbizie per ottenere privilegi personali, a marxisti
che si chiamano democratici, a riformisti che si definiscono rivoluzionari, a
rappresentanti della borghesia che si definiscono socialisti e via dicendo. E’
stato considerato un marxista Mussolini ancora pochi anni prima della “marcia
su Roma”. E’ stato marxista D’Alema, Mussi, Savelli, Colletti, Ferrara
Giuliano ecc. La conoscenza del marxismo-leninismo, la sua lettura critica sono
un dovere!, che non ha nulla a che vedere con il dottrinarismo ed il puro
accademismo ma, altrettanto, doveroso è “viverlo”
penetrando ed indagando la realtà ed ogni mutazione in atto o prevedibile. Mai,
come ora, sono state tanto grandi le contraddizioni non solo in seno alla società
ma in seno alla stessa sinistra in genere fino a confondere con la solidarietà
il sostegno alla lotta di classe internazionale, la lotta al nuovo schiavismo e
al nuovo colonialismo, la difesa dei diritti dei migranti, la battaglia contro
la fame o il nucleare, contro la guerra o le dittature, dalla parte degli indios
o dei senza terra e in un’altra serie innumerevole di accadimenti.
La sconfitta dell’EZLN nel Chiapas, dei curdi o dei lavoratori in Corea
è la nostra sconfitta! Dobbiamo saper distinguere il perché ed il fine dei
diversi avvenimenti ma non possiamo esprimere solidarietà come se non fossimo
in presenza dell’organizzazione mondiale delle disuguaglianze generata
dall’imperialismo: le favelas in Brasile o i drammi africani, il furto di
risorse umane e naturali e i disastri ecologici non stanno accadendo nel Terzo
Mondo, nei paesi poveri, nei paesi in via di sviluppo ma all’interno della
società capitalista! E questo non può distrarci dalla comprensione di una
lotta nazionale che non va elusa e che è essenziale alla più ampia Resistenza
internazionale.
9)
Ogni limitazione della democrazia è una limitazione del socialismo -
diceva Lucio Libertini e aggiungeva - … il capitalismo dell’efficienza,
nell’epoca di una grande rivoluzione tecnologica grandiosa, contiene
meccanismi di integrazione importanti (consumismo, dinamismo della società
ecc.) ma lascia allo scoperto zone larghissime della società: crisi agraria,
disoccupazione, condizione operaia in fabbrica, crisi della scuola, contenimento
delle spese sociali, autoritarismo”. Eravamo nel 1969. Quegli appunti, oggi,
hanno assunto proporzioni ancora più ampie e ci invitano a precisare come
andare avanti, quale vie percorrere e con quali “mezzi”. Nel rapporto al II
congresso dell’Internazionale Comunista Lenin comunica “che la borghesia si
comporta come un ladrone sfrontato… ma non si può dimostrare che essa non ha
nessuna possibilità di addormentare gli sfruttati per mezzo di concessioni e
che non riesca a schiacciare movimenti ed insurrezioni di una parte degli
oppressi e degli sfruttati”. L’opportunismo tattico della sinistra
istituzionale non solo ha reso possibile che questo avvenisse tranquillamente,
in Italia, ma si continuano a spendere non poche energie per evitare che nasca o
si affermi una sinistra di classe coerente e organizzata. Mentre, nel frattempo,
nascono come funghi nuovi fondatori di partiti comunisti che non esplicitano mai
il loro programma né la loro linea tattica e strategica e in tanti e in tante
sono lasciati e lasciate alla mercé di vari movimenti più o meno spontanei se
non occasionali. Poi, tra una Organizzazione non Governativa spesso finanziata
da poteri diversi e un ente benefico, vi sono “rivoluzionari a tema” che
nulla fanno per rimuovere le cause di povertà e disastri d’ogni genere. Ciò
che in Italia, in questo periodo, accade a sinistra del centrosinistra è
l’affermarsi di un rivoluzionarismo confuso e confusionario, dilettantistico
ed emotivo o nostalgico che da un lato accetta compromessi a tutti i livelli o
dall’altro rifiuta totalmente le elezioni e qualsiasi rapporto con le
istituzioni, con i sindacati (sempre più reazionari, certo!) le cooperative,
ecc. Vi è una doppia ingenuità: a) pretendere di mutare i rapporti di forza in
condizioni elettorali o con la presenza nei governi o mini-governi di
centrosinistra (fatto interessante se non fosse un fine ma un mezzo); b) oppure
esaltando il solo dottrinarismo o lo “spirito di gruppo” che ti rendono,
nella migliore delle ipotesi, una
mera quanto inutile “testimonianza”: una
“razza particolare” che ha scelto di vivere in cattività.
10)
E’ tatticamente indispensabile rinnovarci nella continuità (il
termine rifondare per i comunisti, a pensarci bene, non ha nessun significato…
La Democrazia Cristiana si rifonda in Forza Italia o nel polo di centrodestra.
Parte dell’ex Partito Comunista Italiano si rifonda con i Democratici di
Sinistra. I comunisti non devono rifondare un bel niente ma penetrare il
presente per mutarlo…) e determinare un “senso comune collettivo e nuovo”
tra la gente misurandoci con ogni problema per un’unità d’azione che non può
ridursi alle sole forze rivoluzionarie, soprattutto dopo un’ennesima
sconfitta, anche perché “proprio la grande sconfitta è, al tempo stesso, per
i partiti rivoluzionari e per la classe un’effettiva ed utilissima lezione,
una lezione di dialettica storica, di comprensione, di capacità nel condurre la
lotta politica. Gli amici si conoscono nella sventura… sapendo che bisogna,
anche, imparare a ritirarsi, che bisogna imparare, in determinate occasioni, a
lavorare legalmente e nelle più reazionarie istituzioni ed organizzazioni…
ecco perché negare per principio i compromessi, negare ogni ammissibilità di
compromessi è una puerilità che è difficile prendere sul serio” (Lenin). Il
problema, dunque, non è “il compromesso” ma il modo di realizzarlo, oggi
verso il fine. Dentro quali rapporti di forza, con quali scopi immediati e
futuri: questo distingue DP che va al ballottaggio in talune situazioni in
campagna elettorale da chi va al Governo del centrosinistra caricandosi di
responsabilità ed un programma che non guardano nella loro totalità né agli
interessi della classe e del popolo né ad una strategia per la trasformazione
della società. Ecco perché poniamo la questione della “strategia
riformista” consapevoli che non esistono condizioni nei Paesi a capitalismo
avanzato per una “strategia” che “accademicamente”
è chiamata “insurrezionale”.
11)
Se si ha la pretesa di creare coscienza tra le masse è necessario
lavorare dove sono le masse
evitando di accontentarsi delle pur splendide declamazioni rivoluzionarie o di
inseguirci “a sinistra” tra di noi come se la competizione fosse riducibile
a quanti iscritti tolgo al PRC o ai DS, i DS al PRC, il PdCi al PRC e ai DS, i
DS al PdCI, la Margherita o l’Ulivo a chi può in un “pezzo di mercato”
dove la competizione è anche tra ONG ed associazioni e tra queste a loro volta.
Va evitato, tra l’altro, tra un salotto televisivo e una cena eccellente, il
sentirsi lusingati dinanzi alle adulazioni dei giullari della borghesia o degli
stessi “lor signori”: fenomeno questo sempre di più spettacolarizzato.
Alcune organizzazioni o correnti che si auto-definiscono leniniste, a sinistra
del centrosinistra, dimenticano, poi, con rapida facilità che il proletariato
puro come la borghesia pura non esistono e che la dittatura fascista è diversa
da una società democratico-borghese e che il riformismo piccolo-borghese o
socialdemocratico sono altra cosa da Governi nelle mani unicamente di
faccendieri e che una tattica ed una strategia rivoluzionarie devono tener conto
di queste diversità e di ogni “oscillazione” delle classi dominanti.
Ignorarlo o “massificare” è una sorta di “analfabetismo del
rivoluzionario”.
12)
DP viene osteggiata anche da bravi e sinceri compagni, da compagne
capaci, perché avrebbe scelto di “spaccare” ulteriormente il già
frammentato arcipelago della sinistra: DP allora è un microcosmo (e questo è
gia un complimento) se non un partitino o l’ennesima organizzazione che rende
sempre più debole la sinistra. Se nasce il PRC dopo la nascita dei DS è
giusto. Se nasce DP dinanzi alla catastrofica esperienza del PRC è un male.
“Una scissione è in ogni caso preferibile alla confusione che è di ostacolo
alle lotte e allo stesso sviluppo ideologico, teorico e rivoluzionario necessari
alla maturità di un partito e al suo lavoro politico, concorde, realmente
organizzato - ma sappiamo anche – che abbiamo il dovere con i nostri principi
nuovi di lavorare in tutti i campi, di qualsiasi genere, anche nei più vecchi,
nei più aridi e apparentemente infecondi perché altrimenti non saremo
all’altezza del compito, non saremo poliedrici, non saremo padroni di tutte le
specie di “armi”, non ci prepareremo né alla vittoria né
all’organizzazione di tutta la vita dopo la vittoria”: vi è, qui, una
incredibile modernità del pensiero di Lenin. Nella nuova fase
dell’organizzazione imperialista avanza l’obbligo di creare
un’organizzazione comunista e di riflettere il marxismo in rapporto alla
democrazia borghese dove questa esiste e nella mutata attualità condizionata
dalla velocità dello sviluppo tecnologico rivalutando il “concetto di
egemonia”, l’analisi sulla nuova classe operaia, la nuova emarginazione e
conseguentemente la tattica e la strategia di un’organizzazione trasformatrice
con un’attenzione particolare ai nuovi rapporti sociali, ai giovani, alle
donne in particolare, all’egoismo delle vecchie generazioni. Non c’è futuro
per il socialismo ma il rischio di un decomporsi delle classi in lotta se questo
non si propone e si afferma, principalmente, in una società a capitalismo
avanzato o dove più evidenti sono le sue contraddizioni (Brasile o Italia,
Francia o Spagna, Argentina o Germania o USA ne sono, ad esempio,
le culle potenziali e, non casualmente, vi si sono alternate svolte
autoritarie più o meno violente ad un capitalismo dal volto umano).
13)
Il socialismo è un orizzonte di vita, una scelta di civiltà, e non è
Marx ad aver inventato il proletariato: il marxismo ha individuato nel “mondo
del lavoratori” la modernità per eccellenza e la storia come processo
“liberatorio” verso una società migliore e regolata nel rispetto degli
esseri viventi e della natura: il vivere, appunto, rispetto il sopravvivere, la
certezza del futuro rispetto il permanere di un primivitismo basato sulla
vittoria del più forte contro le moltitudini e, inevitabilmente, responsabile
di catastrofi imminenti o già in atto. Contrapporsi al G8, al Fondo Monetario
Internazionale, all’OCSE e in generale ai potenti della Terra dimenticando
l’essenza storica della classe operaia (oltre ogni banale logica operaista)
rende inconcludente, una sorta di “sacrificio inutile” pur se eclatante,
qualsiasi lotta si realizzi. Altrettanto banale è valorizzare “il mondo del
lavoro”, la classe, in maniera dogmatica, fideistica e libresca. Da qui
l’esigenza di pensarsi parte dello stato di cose presente prima ancora di
proporsi come protagonisti della
sua abolizione. Il marxismo-leninismo si rinnova e deve rinnovarsi nella
“critica della politica”! Per cambiare l’uomo non possiamo aspettare che
cambi il mondo né confonderci con
gli avvenimenti comunque… “La dottrina materialistica della modificazione
delle circostanze e dell’educazione dimentica che le circostanze sono
modificate dagli uomini e che l’educatore stesso deve essere educato” (Marx
oltre centocinquanta anni fa).
14)
La maturazione dei soggetti “antagonisti” è una condizione
essenziale, al pari dell’autoeducazione e della critica a se stessi, per
realizzare qualsiasi cambiamento (piccolo o grande) duraturo. Non ha senso
battersi per la libertà se non si lotta per le libertà! Anche perché una
società non è libera se non è pensata come un insieme di relazioni, un
insieme di donne e uomini che devono viverci liberamente. La socializzazione
diviene per questa via la negazione del settarismo e di un anacronistico
proporsi, per alcuni, come detentori di “verità assolute” e “avanguardie
perenni” mentre l’emancipazione della classe è inevitabilmente intrecciata
con quella della società. Dobbiamo condurre una iniziativa contro l’homo
economicus ovvero contro una parzialità culturale nello stesso movimento
socialista. Engels ammetteva, giustamente, che “il movimento operaio tedesco
doveva essere l’erede della filosofia classica tedesca e non il suo
carnefice”: i giovani e le ragazze in particolare, le masse, vanno conquistati
al cambiamento senza rinunciare ad un rapporto con la nostra storia, senza
rinunciare a processi di contaminazione tra culture diverse come realtà nuova e
senza rinunciare ad un internazionalismo che rispetti diversità mentre deve
rendere “universale” il bisogno di società socialiste. Il compito è arduo
quanto faticoso anche perché abbiamo una parte della generazione “anziana”
lontana e “vecchia” e una parte della generazione giovane infantile, non
raramente pressappochista e altrettanto “vecchia”: trionfo di egoismi
generazionali facilmente gestibili dal potere nonostante la mancanza di
orizzonti certi e la messa in discussione di diritti conquistati.
L’irrequietezza, la contestazione, l’insoddisfazione, la stessa mancanza di
lavoro e di prospettive non sono elementi determinanti per qualsiasi progetto di
trasformazione e, anzi, possono rendere fertile un terreno contrario. E,
comunque, la società non è gestita dagli “adulti” anche se questa sembra
la realtà e neppure dai giovani anche quando sembra tutti li rendano
responsabili di qualcosa. Le società sono gestite in termini di classe
(dominanti e dominati, sfruttati e sfruttatori…) mentre sempre più confuso è
il ruolo degli “intellettuali” e sempre più pressante quello dei “senza
classe” e del “parassiti”. Il distacco allora non è solo generazionale ma
anche tra un vecchio mondo e il nuovo che fatica oltre misura a nascere. Le
ideologie sono in crisi? I partiti hanno perso la loro funzione storica? La
militanza è anch’essa in crisi? Ammettere che ideologie, partiti e militanza
sono in crisi è cadere in un “trabocchetto” utile essenzialmente alle
classi dominanti che possono tranquillamente fare a meno dei partiti (hanno ben
altri strumenti per realizzare egemonia e potere), delle ideologie e della
partecipazione popolare. Segnali di crisi vi sono senz’altro ma non serve
ammetterlo quanto trovare soluzioni… Un passaggio reale dalla “filosofia
speculativa” alla politica e, quindi, all’azione rivoluzionaria non si è
mai completamente compiuto mentre, al contrario, si lavora per umiliare ogni
mezzo a tale scopo utile, necessario, adeguato. Pertanto deve ripartire un
lavoro per l’egemonia coscienti che l’egemonia della classe anticapitalista
non rappresenta l’affermazione di una nuova struttura economica e una nuova
organizzazione politica ma un nuovo orientamento culturale, ideale e morale che
ci consente di penetrare prima la conoscenza e la filosofia e, poi, il che fare
praticamente. Sappiamo che la base economica determina una complessa
superstruttura politica, ideologica, che è condizionata dai rapporti di
produzione e di scambio e, a maggior ragione, si comprende come la filosofia sta
alla politica e l’operare per trasformare una società sia un grande valore
filosofico appunto. Pertanto “chi vuol marciare verso il socialismo per un
cammino che non sia di grande democrazia politica arriverà inevitabilmente a
conclusioni assurde e reazionarie, sia dal punto di vista economico che
politico” (Lenin). In Occidente, infatti, la rivoluzione borghese (e non in
tutte le società è compiuta) che esprime la necessità di sviluppo del
capitalismo e dell’imperialismo, che li allarga e li approfondisce, che
opprime e sfrutta senza ritegno (esseri viventi ed ambiente) non può farci
dimenticare i principi elementari del marxismo circa l’inevitabilità dello
sviluppo del Capitale sulla base della produzione mercantile né, tanto meno,
che le libertà politiche, pur nei limiti della democrazia borghese e senza
rimanerne coinvolti, sono la condizione stessa per conquistare la democrazia di
fondo e per mettere in discussione la proprietà dei mezzi di produzione
valorizzando personalità diverse, capacità diverse e giusta considerazione di
ciò che deve essere pubblico e di ciò che appartiene, necessariamente, alla
“sfera privata” valorizzando intelligenze e risorse. La borghesia, infatti,
ha da temere dalla sua stessa rivoluzione e le forze antagoniste
dall’incapacità di portare a compimento la tappa della rivoluzione
democratica ed antifascista, della rivoluzione culturale per un uomo nuovo, una
nuova donna. “Quanto più sarà completa e decisiva la rivoluzione borghese
tanto più il successo del proletariato nella sua lotta contro la borghesia sarà
garantito” (Lenin). Va riattualizzato, pensato nel presente, il rapporto tra
democrazia e socialismo, lotta quotidiana e obiettivi, organizzazione
rivoluzionaria e movimenti sociali e via elencando. Ecco perché ci deve essere
unità tra pensiero ed azione e praticabilità degli stessi, capacità dirigente
della classe (anche verso se stessa), e possedere una prospettiva che superi
l’immediatezza empirica individuando ogni specificità nazionale e storica,
ogni specificità internazionale.
15)
Nel programma minimo di DP, nelle schede di documentazione prodotte, nei
tanti articoli pubblicati sulla sua rivista o nei siti internet, hanno trovato
ampia trattazione argomenti per analizzare la fase e per corrispondervi
organizzate iniziative. Cercheremo, allora, in questa relazione ridotta ai
minimi termini, di andare oltre e di aggiungere nuovi elementi teorici per agire
con più consapevolezza. E, comunque, eviteremo di approfondire tematiche anche
rilevanti e che lo meriterebbero.
16)
Non è casuale che il più grande impegno dei potenti della Terra sia
quello, nel nuovo millennio, di mortificare la democrazia utilizzando la stessa
informazione come possente quarto potere (dai sistemi elettorali al diritto di
sciopero, attraverso consumi imposti e smantellando i diritti) per meglio
tutelare il profitto ed interessi particolari. Proclamare, lo ribadiamo,
“ritorni a Marx” o sperare in un Keynes che ce la metta tutta per una
“pace sociale” che oggi neppure riterrebbe utile per il Capitale dinanzi
alla crisi del movimento operaio, ipotizzare il ritorno di un qualsiasi grande
del pensiero rivoluzionario, così come auto-proclamarsi tutti zapatisti, spiana
la strada ad un positivismo fuori tempo che esalta quello che ancora definiamo
materialismo volgare. Ci sono, poi, coloro, a sinistra della sinistra del
centrosinistra (e anche di DP) che propagandano l’obiettivo finale ma non
individuano, dopo essersi dichiarati avanguardie e aver constatato che la massa
è piena di idioti che non li comprendono, il modo concreto per giungervi,
altri, infine, sempre a sinistra di ogni sinistra, mentre continuano senza sosta
le discussioni su Stalin e Trotskij, vivono il presente in attesa di tempi
migliori e di una rivoluzione che sarà “mondiale” o non sarà. Il
riformismo, invece, sconfina con un darwinismo interpretato male e attende
tranquillamente un capitalismo umano o lo sollecita dentro una miriade di
speranze deluse e con la convinzione non nascosta che si passerà da un regime
all’altro (o che forse alternandosi è già accaduto) senza una funzione
determinante dei soggetti rivoluzionari e lasciando l’organizzazione
nell’ombra riducendo la storia stessa ad un indagine delle leggi della
formazione economico-sociale, alle statistiche, alla sociologia, alla continua
considerazione dell’erba del vicino, al meccanicismo. Vi sono a sinistra sogni
che immaginano un partito alla Sem Terra e altri che lo ipotizzano alla Blair
ecc. Poi non mancano quelli che rimangono convinti che la rivoluzione borghese
sta al capitalismo come la crisi dello stesso ed il suo andare a destra al
socialismo: e li incontri sorridenti mentre fascisti, razzisti e padroni vanno
al Governo definendo incoerenti coloro che ritengono che la classe può essere
egemone anche di una rivoluzione democratico-borghese in talune situazioni
attraverso l’anello essenziale dell’insediamento territoriale e della
chiarezza di un programma per l’alternativa socialista. Ecco: ritorna
prioritario avere un piano anche per evitare che proposte di sinistra unita,
fronti unici, consulte della sinistra critica e antagonista non siano slogan o
future “alleanze” vuote, demagogiche, affidate ad una spontaneità che non
va oltre il livello della coscienza sindacale, rivendicativa e contestativa.
Bisogna fare propria la teoria del movimento tra le masse, dirigere, provare a
dirigere, saper ascoltare, organizzarsi nelle forme più diverse, sporcarsi con
le diversità tollerandole e rispettandole, rendersi leggibili, elaborare una
strategia e condurre una tattica adeguate, non rifiutarsi di condurre iniziative
modeste, sapere un po’ di tutto, investire la società con atti pratici e a
tutti i suoi livelli e fare politica nel senso più ampio del termine coscienti
che l’aggravamento dell’oppressione nazionale si esprime su una nuova base
storica: il neo-imperialismo. Con Croce ci perderemmo in un internazionalismo
come fuga dalla nostra stessa realtà. Con Lenin, e poi con Gramsci, sappiamo
che la questione nazionale assume maggior rilievo
quando l’imperialismo arriva in una fase superiore e che una qualsiasi
riforma strutturale si deve ottenere dentro il sistema come conquista contro il
sistema e i rischi di una neo-regionalizzazione essenziale alla
neo-globalizzazione. Ciò che va valorizzato è “il senso di un processo”
collegandolo alla realtà effettuale e continuamente mutevole e, non
casualmente, in Italia ad esempio, la sinistra perde quando si muove in maniera
tardiva, confusa, tra orientamenti diversi perennemente in lite, potenziando
un’eterogeneità fatta di attriti e “scissioni opportunistiche” che
l’allontanano dagli avvenimenti, incalzanti oltre modo, fino a farla diventare
preda di avventurieri, burocrati di quarto livello, carrieristi, trasformisti
ecc.. La stessa protesta viene subita e non orientata! Abbiamo, senza dubbio, un
aumento vertiginoso di notai a sinistra che “registrano” o fatti spontanei o
quanto le classi dominanti decidono. La vittoria del centrodestra in Italia,
figlia anche delle esigenze del Capitale internazionale e delle grandi Banche,
è la cartina al tornasole dei nostri limiti ideali, costituzionali, sociali che
maggiormente evidenziano una società in frantumi, comunità in crisi
(coinvolgendo la stessa famiglia), scelte scellerate di un centrosinistra
piegato ora dagli interessi di Confindustria e di una finanza sempre
reazionaria, ora dalla Nato (Otan) e dal potere imperiale ad egemonia
statunitense. Un’opposizione delegata ai Rutelli è la ricerca sbiadita di un
tradeunionismo fuori luogo e fuori tempo mentre oggettivamente si può ripartire
dal basso e dalle piccole amministrazioni locali per marcare il segno di una
differenza che spinga in avanti un processo dell’alternativa. I Consigli
Territoriali che proponiamo rientrano in questa logica. La svolta autoritaria in
Italia, dopo i tentativi post-guerra, la proposta di legge-truffa del 1953 (oggi
una realtà), il Governo di Scelba e Tambroni (che si riattualizza con Fini e
Berlusconi: la rima è casuale), anni di malgoverno democristiano, sogni di
Golpe, le stragi di Stato ed il piano di Licio Gelli, oggi si è concretizzata.
Passeranno pochi giorni e assisteremo ad industriali che porteranno il conto al
nuovo Governo insieme a lobbies, grandi commercianti, poteri “nascosti”,
poteri internazionali (FIAT docet)… si ritornerà a parlare con maggiore
insistenza di gabbie salariali e meno che mai di qualità del lavoro,
licenziamenti anzi esuberi, abolizione della legge sull’aborto, fecondazione
assistita, soldi alle scuole private e confessionali, sviluppo finanziato di una
sanità privata, attacco allo stato sociale a partire dalle pensioni, soldi
all’istruzione privatizzata, ruolo predominante delle assicurazioni per
sopravvivere, armamenti, infrastrutture senza altro criterio se non quello
speculativo, militarizzazione del Paese e razzismo legalizzato… Il divario tra
Nord e Sud aumenterà in maniera considerevole e la stessa carta costituzionale
sarà attaccata nei suoi stessi principi con un’informazione sempre più
controllata e bigotta. Si è riaffermata una “vecchia” Democrazia Cristiana,
ancora più populista, con nicchie dorate per neofascisti e razzisti, destra
clericale e faccendieri che rappresentano già l’affermazione di una nuova
barbarie. E’ qui, a sinistra, che si pone il problema di “unire quello che
il padrone divide” in funzione anticapitalistica: realizzare, cioè, un patto
storico, una consulta, non tra partiti e partitini ma tra orientamenti ideali,
sociali e culturali affini e diversi, tra condizioni sociali, tra generazioni,
verso emarginati vecchi e nuovi, movimenti, associazioni ecc. verso
quell’Italia viva che c’è e resiste e senza mai dimenticare la funzione
insostituibile dei lavoratori. Senza mai dimenticare l’importanza di una
“strategia riformista” in direzione del porre o risolvere questioni
nazionali ancora significative e storiche: la questione meridionale e del Sud
del mondo, la questione vaticana e la stessa questione religiosa, la questione
della grande criminalità organizzata, la questione dell’informazione
intrecciata con un analfabetismo di ritorno e la proposta di un nuovo modello di
sviluppo, nella pace, a partire dalle condizioni del non lavoro. Mancata riforma
agraria, sviluppo distorto del turismo, “patetica” politica dei beni storici
ed ambientali ed un altro lungo elenco di tematiche vanno rimesse all’ordine
del giorno come contrapposizione necessaria a chi ti vuole sulla difensiva
mentre massacra ogni conquista realizzata e normalizza, tra pensiero unico e
futuri scudi stellari, la società nel suo insieme.
17)
Si tratta, in sostanza, d’individuare i tratti specifici della nostra
situazione storica e di ogni processo in atto per un progetto che eviti il tuo
isolamento e lo determini per l’avversario.
18)
DP sente un dovere la semplicità del lavoro porta a porta, il gazebo in
una piazza o in un mercato, il volantinaggio in una fabbrica, in una scuola, in
una piccola azienda agricola o fuori uno stadio. Con la capacità di cogliere
proposte (ascoltare) e di indicare soluzioni attraverso un linguaggio
altrettanto diretto, chiaro, comprensibile. Sentiamo il dovere di andare ovunque
si esprima protesta e lanciare la grande battaglia con una proposta di legge
sulle 35 ore a parità di salario, parlando dei diritti del malato e proponendo
un miglioramento della legge sull’aborto o per una corretta alimentazione, per
il diritto all’istruzione e la cultura, per lo sport popolare e la libertà
nell’affiggere un manifesto. Dobbiamo crescere come buoni rivoluzionari
misurandoci anche con la mediocrità del presente e tornando ad essere
combattenti pratici. Dobbiamo amplificare le nostre voci e contrastare
oscuramento ed esclusione senza aspettare che qualcuno lo faccia per te! E non
dobbiamo mai smarrire il fine che vuole vederci impegnati in una fatica
quotidiana che deve partire da un quartiere, una periferia per il riscatto delle
classi subalterne…
19)
La Chiesa, il centrodestra (e riconoscendo le dovute differenze lo
stesso centrosinistra), hanno imparato ad utilizzare due linguaggi per tenere in
un unico blocco le forze dominanti e quelle subalterne, gli intellettuali o gli
sprovveduti con lo scopo di tutelare, nella maniera più indolore possibile, gli
interessi dei potenti della Terra e di mantenere in uno stato di
“analfabetismo” il resto degli esseri umani. Non dovremmo stupirci neppure
se dovessero riconoscere al movimento anti-globalizzazione delle ragioni che
loro stessi condividono! Sarebbe interessante, comunque, proporre ai Grandi
della Terra di incontrarsi in Colombia, in Palestina o in Brasile: andremo
ancora più volentieri a manifestare se non fossero così vigliacchi da
rinunciarvi preferendo navi da crociera e la protezione di “militari” e
Governi complici. La Terra è del popolo: noi siamo in realtà i Potenti della
Terra! E’ anche in questa contraddizione che dovremmo inserirci percorrendo
strade anche inesplorate, sollecitando la sinistra a fare la propria parte, con
un linguaggio esplicito che scaturisca dai problemi stessi che ci sono ed
aumenteranno perché la lotta per l’egemonia è essenzialmente una
“rivoluzione culturale”. Capitani
senza esercito sono una miserevole opportunità quanto eserciti senza capitani:
ancora più miserevole è avere capitani che non creano i loro sostituti capaci
o che non sanno valorizzare tra le fila dell’esercito ogni intelligenza e
disponibilità. E’ il materialismo volgare che affida la propria fortuna
unicamente alla sconfitta e alla speranza che la forza delle cose a lungo andare
ti vedrà vincente mentre, al contrario, la lotta per l’egemonia prevede anche
piccole tappe per realizzare piccole conquiste e un intervento continuo verso la
base economica, la sovrastruttura politica e la superstruttura ideale affinché
un gruppo sociale inizi ad essere dirigente prima ancora di ottenere il potere:
e questo è ancora più valido se sei abbastanza ambizioso di avere nel tuo
programma ampio l’abolizione dello Stato e delle classi. L’organizzazione
deve essere un collettivo di uomini e donne che non inseguono interessi
particolari o personali ma indagano, organizzano, persuadono, costruiscono… Si
tratta, cioè, di travasare l’analisi scientifica nel recipiente della
politica concreta per capire esattamente come si specifica il capitalismo nel
pianeta, in un Paese rispetto un altro, in un preciso momento, come si
modificano le stratificazioni sociali che non si riducono alla borghesia e al
proletariato, come si organizzano, vivono o si manifestano i partiti, le
aggregazioni in genere, i movimenti culturali e di opinione, come agiscono le
grandi unioni del potere (dall’ONU al Fondo Monetario Internazionale), quale
ruolo hanno le ideologie, come s’interviene sull’ambiente e come si sfrutta
ogni sua risorsa e per cosa e a favore di chi… e molto altro. Scegliere di
essere rivoluzionari non è una moda né un hobby: è nei momenti più difficili
che la piccola borghesia rivoluzionaria torna all’ovile e, viceversa, compagni
e compagne leali aumentano il loro impegno. Non è il contrario o, almeno, non
dovrebbe esserlo! Qui, tra vita pubblica e vita privata nasce una circolarità
che può appartenere anch’essa, insieme a tante altre cose, ad una vera scelta
di vita. Tra l’altro non bisogna mai banalizzare il Potere come se fosse la
stessa cosa “vivere la politica” sotto Mussolini o Prodi, sotto Jospin o
sotto Berlusconi. In Italia con i Governi di centrosinistra avevamo le
condizioni per indicare un’alternativa a sinistra appunto. Non era tanto il
resistere quanto la possibilità di avanzare. Occasione persa. E questo ci
invita ulteriormente a comprendere che il problema non è la conquista dello
Stato se non si conquistano trincee nella complessa società civile (la
sconfitta del centrosinistra ha camminato di pari passo con un forte
ridimensionamento del PRC e la quasi scomparsa del PdCI senza un’affermazione
esaltante delle liste alternative o dei radicali o della lista Di Pietro): in
Occidente vi è, dunque, un intreccio tra guerra di movimento e guerra di
posizione anche perché l’una non è, unicamente, offensiva e l’altra non è,
unicamente, difensiva. Questa analisi incide profondamente sulla tattica e sulla
strategia rispetto a quanto già teorizzato o vissuto in precedenti situazioni
storiche. E’ un elemento che se ignorato ci ingabbia nel rischio o di
battaglie solo difensive o in un’offensiva inconcludente e facilmente
gestibile per giustificare una mortificazione senza freni del già precario
sistema democratico. Attendere una fatidica ora X, invece, è semplicemente da
imbecilli!
20)
La storia del marxismo si è intrecciata con gli avvenimenti di oltre un
secolo ed ha convissuto con vittorie e sconfitte ma un vero trattato politico
(dopo Lenin e Gramsci) non è mai stato scritto. Indubbiamente gli scritti di
Labriola o Mao, Luxemburg o Mariategui, Guevara ed Ho Chi Min ( e di tanti e
tante combattenti) rimangono pietre miliari! Niente a che vedere con tante
produzioni che pure esistono e che spesso si sono inserite in un mercato
editoriale più che nel vivo delle lotte…. Enorme comunque la produzione
marxista su diverse tematiche ma non raramente essa ha oscillato tra erudizione
e accademismo e con qualche difficoltà si è lavorato per precisare l’essere
comunisti e quale società esattamente si propone. “Senza teoria nessun
movimento rivoluzionario è possibile” (Lenin) e si avanza come un bambino che
ancora deve imparare a camminare fino a non comprendere che esiste solo
l’economia politica in rapporto con tutte le relazioni sociali. La società
neo-liberale, ad esempio, non disdegna né il conflitto, né la contrattazione e
neppure l’accomodamento tra le parti purché siano rispettate le regole del
gioco. Ciò che essa rifiuta, ritorno di un anticomunismo feroce dopo l’URSS
ed il muro di Berlino, è il conflitto di classe con la disponibilità ad
attaccarlo anche se in crisi o non espresso. Compito dei comunisti, invece, è
attualizzare il marxismo-leninismo (e la lezione delle tanti e plurali
esperienze) oltre il mero conflitto. Questo vale per l’Occidente, per quei
Paesi industrializzati che si vedono comunque ridimensionati mentre i loro
poteri economici e finanziari vengono “presi” ad uno ad uno, lavati e
conditi, come accade alle foglie di insalata. Ed intanto assistiamo ad uno
scontro tra aree capitalistiche, tra un capitalismo “stagnante” ed uno
“dinamico”, tra grande industria e nuova media e piccola industria collegata
alla stessa nella produzione o con essa in competizione. In altri Paesi, oltre
l’Occidente, nasce una nuova classe operaia schiavizzata, esplodono nuovi
processi migratori ancora non gestiti pienamente dagli interessi del profitto,
si assiste ad un ulteriore assalto alle ricchezze ed alle risorse e
continua ad essere quasi inesistente una forte classe autoctona di capitalisti
nonostante una “perenne” consistente proprietà terriera. L’organizzazione
mondiale delle disuguaglianze assume anche per questi motivi proporzioni nuove e
dinamiche altrettanto originali rispetto al passato. Ai paradisi fiscali si
aggiungono quelli salariali. Una delle forme più tragiche per le lotte in
Africa o in Sud-america, ad esempio, può essere rappresentata dalla non
considerazione delle tante culture presenti, degli indios, della condizione
agraria, della continua mobilità delle risorse umane e del ruolo prepotente di
un capitalismo straniero fortemente condizionato dalle scelte delle istituzioni
di Bretton Woods (dal Fondo Monetario Internazionale alla Banca Mondiale).
21)
Tre compiti sono, dunque, dinanzi ai comunisti ed alle comuniste: a)
diritto ad esistere per b) creare coscienza sociale e di classe e c) creare
coscienza in generale. Le classi dirigenti sono sempre coscienti dei loro
interessi e possono, anche per questo motivo, dedicare parte sostanziale del
loro tempo a “strappare”alla classe antagonista consensi e partecipazione.
Il mondo del lavoro e degli oppressi ecc. rappresenta la grande maggioranza
della popolazione ma la sua prosperità non dipende dallo sfruttamento e la sua
“rivoluzione” se compiutamente realizzata rappresenta la più radicale
rottura con i rapporti tradizionali di proprietà: questo i potenti della Terra
lo sanno meglio di chiunque altro! Ma se il lavoro paziente e con ogni mezzo
delle classi dominanti è dedicato ad allontanare le masse dalla loro
rivoluzione il programma delle forze alternative non può non vivere di lotte
intermedie, battaglie quotidiane e continua “riforma per un nuovo senso
comune” e per costruire una “volontà collettiva” che liberi gli elementi
della nuova società “dei quali è gravida la vecchia…” (Gramsci).
Oggi, però, dopo il fallimento e le sconfitte di alcune società
socialiste e di alcuni partiti comunisti, dobbiamo ammettere che la stessa
coscienza di classe una volta acquisita è “mutabile”.
22)
E’ un conflitto, che a volte inganna, anche quello della piccola e
media borghesia contro la borghesia. E’ il più reazionario dei conflitti,
finalizzato alla conservazione e nemico di ogni piccolo mutamento. Ma i
comunisti devono avere la capacità di inserirsi in questa contraddizione anche
perché non deve ingannarci la capacità di resistenza del capitalismo: esso non
è mai riformabile e non può fare a meno dello sfruttamento e della stessa
disumanizzazione pertanto inserire elementi di socialismo nella società è
sconcatenare la stabilità contraddittoria del sistema.
Si tratta, possiamo affermare, di trovare risposte adeguate alla capacità
del capitalismo di “perpetuare se stesso” e si tratta di farlo nella
consapevolezza che la lotta per l’egemonia va distribuita in ogni direzione
coscienti che non vi è solo frammentazione della sinistra ma divisioni profonde
nel mondo del lavoro (contratti, specializzazioni, funzioni, salari, condizioni
di vita e status sociale…) e tra
questo ed altri soggetti antagonisti mentre gli stessi termini di solidarietà e
fratellanza sono stati quasi totalmente svuotati o indirizzati ad un nuovo “missionarismo”.
Compagni e compagne: la conquista della stessa società
socialista, che non è dietro l’angolo, è comunque una tappa, e non il
fine ultimo, del più grande progetto di liberazione e di emancipazione
dell’umanità. E, intanto, abbiamo imparato che le classi dominanti, oltre la
protezione di Stati e apparati, grandi Istituzioni e affaristi d’ogni risma,
hanno risorse enormi per “resistere” nonostante la crisi strutturale che le
pervade. E non è la protesta a farle tremare! Né la sola organizzazione anche
se, senza la stessa, senza un programma, senza la creazione di un nuovo
“blocco antagonista”, nessuna lotta ha senso compiuto né capacità
trasformatrice. Non è il tempo, probabilmente, del partito di massa ma neppure
quello del solo movimento. Non è neppure il tempo per la nascita di un grande
sindacato unitario collegato alla classe. La crisi della sinistra è l’unica
certezza di questo presente. Ragionarci invita appunto a definire quale
strategia, in un Paese a capitalismo avanzato e dentro il nuovo panorama
globale, è necessaria. Costituzionale? Una tendenza alla realizzazione di
riforme sociali (ogni controriforma del sistema ormai viene chiamata riforma) va
distinta da una strategia propriamente riformista e tuttavia tale tendenza (che
va oltre la semplice rivendicazione) può rendere permanente un processo
rivoluzionario anche perché uscire dal quadro democratico-borghese implica un
suo grave arretramento e l’impossibilità di allargarlo per la conquista di
bisogni immediati, per creare coscienza, per preparare un diverso futuro…
Dobbiamo far diventare “eversivo” nel “senso comune” l’attacco alla
Costituzione, ai diritti fondamentali (da quelli del disabile a tutti gli
altri), “eversivo” l’intreccio tra politica ed affarismo e l’intreccio
tra poteri occulti e politica. “Eversivo” toccare la carta dei diritti nel
lavoro ed “eversivo” finanziare chi a ricchezza vuole aggiungere ricchezza
tra lavoro sommerso, precarietà e disoccupazione. “Eversivo” puntare il
fucile contro l’ambiente e contro i diritti della donna o dell’infanzia.
“Eversivo” un basso salario, portare capitali all’estero o partecipare ad
una guerra quanto sgombrare uno spazio abbandonato occupato per valorizzarlo,
negare la diversità o uno sciopero, assalire un lavoratore che difende il posto
di lavoro o un disoccupato che cerca di conquistarlo. “Eversivo” è
privatizzare utenze e servizi e non garantire sanità, istruzione, trasporti,
luoghi sociali. “Eversivo” essere anche a parole razzisti quanto negare
pensioni vere per vivere a chiunque contro privilegi e sperequazioni inaudite.
“Eversivo” è escludere i lavoratori e la popolazione in genere dalla
gestione della “cosa pubblica”: il Governo Berlusconi è un Governo
“Eversivo”, combatterlo è difendere la democrazia per ampliarla! E’
portare a compimento un “nuovo Risorgimento” che si incarna nella
rivoluzione democratica ed antifascista, è
contrastare il “piano eversivo” delle classi dominanti che non rispetta
neppure le stesse leggi nate sul terreno della democrazia borghese. Le
affermazioni di Bossi, invece, a Sud dell’Austria, della Svizzera ecc. sono
semplicemente patetiche nonostante non bisogna abbassare la guardia verso questo
gruppo di pericolosi esaltati…
23)
Impadronirsi strategicamente di un piano per lo sviluppo della
democrazia non può non evidenziare i limiti “rivoluzionari” delle classi
dominanti e la loro assurda permanenza al potere e non può non condizionarne le
scelte verso lo stesso sviluppo tecnologico, la ricerca scientifica ed i bisogni
in generale. “I riformisti” negano esplicitamente il marxismo e vivono le
piccole conquiste insistendo nel dominio sulle classi subalterne e in un
gradualismo che non modifica sostanzialmente i rapporti di forza nella società
tra le classi. Altra cosa è l’utilizzo ragionato delle riforme che valorizzi
la lotta di classe su molteplici e differenti fronti e ai diversi livelli. E,
infatti, non è casuale che a questa strategia le classi dominanti, tentando di
fermare le stesse lancette della storia, si oppongono senza tregua e con ogni
mezzo repressivo o parallelo. Dopo la svolta autoritaria del 13 maggio 2001, in
Italia, le istituzioni rappresentative vanno salvaguardate e deve, al tempo
stesso, da sinistra essere riproposto il tema di un loro sviluppo e, quindi, di
un’oggettiva Riforma dello Stato che renda più consistente la partecipazione
popolare e dei lavoratori. Va ampliata la libertà, vilipesa e mortificata a
partire dai meccanismi elettorali, e la stessa plurale e peculiare esistenza dei
partiti, movimenti, associazioni, tutelando particolarmente ogni minoranza. In
campo internazionale riformare l’ONU o il Fondo Monetario Internazionale, ad
esempio, assume identico valore. Significati altrettanto utili li comprende la
lotta per lo smantellamento della Nato (Otan) e ogni incontro tra i potenti
della Terra che escludono le rappresentanze sociali. Saranno nostre battaglie
quella contro la militarizzazione del Paese, per la pace, contro eserciti
professionali, per riformare il sistema carcerario, per tassare la nuova
tecnologia a favore dei disoccupati, per carte dei diritti che guardino alla
società multietnica e al controllo dei mezzi d’informazione. Senza
dimenticare borgate, quartieri e piccole questioni. Stiamo con i piedi per terra
e pertanto sappiamo, anche, che saremo soprattutto una “provocazione
sociale”, una forza di denuncia, uno stimolo per organizzazioni attualmente più
consistenti di noi e, comunque, una presenza che con idee chiare cercherà di
vivere con coerenza l’essere comunisti e comuniste senza temere l’essere
“minoranza” e le tante sconfitte che costelleranno il nostro cammino. Non
siamo dei sognatori per questo, per noi, “resistere ed avanzare” è un
tutt’uno! Come spesso affermiamo. Avanzare, dopo la vittoria della parte più
cinica e retriva della società, è realizzare nell’immediato un’opposizione
“matura” che condizioni fortemente le stesse cittadelle del centrosinistra,
ripartendo dal basso ma utilizzando, quindi, anche, tutti gli espedienti
istituzionali e costituzionali per sviluppare lotte e far esplodere
contraddizioni in ogni settore della società. Con una forza maggiore avremmo
detto: per spingere in trincea le forze della reazione, per liberare le zone
maldestramente occupate da cinici e corrotti invasori…
24)
Quando le forze di destra ottengono il potere attraverso “libere
elezioni”, abusiamo dei termini, hanno un vantaggio politico (e anche
psicologico verso la stessa popolazione) nel fare scelte e leggi per quanto
scellerate (alcune tra l’altro neppure immediatamente comprensibili nella loro
disuguaglianza ai più: meno che mai se il problema del centrosinistra è
constatare se Berlusconi rispetterà il suo programma come se anche il farlo
riguardasse gli interessi del Paese) e
tra i loro primi obiettivi vi è quello di condizionare le opposizioni al
dialogo, alla semplice critica e alla correttezza definita impropriamente
democratica. E, invece, un processo della contrapposizione deve partire dalle
grandi città dimostrando la pericolosità del “contratto” delle destre, la
loro incapacità e miopia politica, il loro asservimento acritico ai potenti
della Terra mettendo in cantiere, altresì, lotte tenaci e coinvolgenti per una
“strategia delle riforme” a tutto campo privilegiando le questioni legate al
lavoro, alle certezze, al futuro e alla stessa qualità della vita (dalle fonti
alternative di energia al tempo liberato, da nuove leggi elettorali
proporzionaliste al controllo popolare sull’informazione). La rivoluzione
democratica diviene solo così la base per ogni ulteriore avanzamento e la
condizione stessa per resistere. Non è apocalittico dichiarare che il
manganello la farà da padrone nei cortei, che la vita carceraria sarà più
dura, la libertà strangolata, il grande privilegio privilegiato, ogni conquista
umiliata. Non è apocalittico presupporre che tante “emergenze” renderanno
città e cittadine sempre di più controllate e “armate” (emergenza
pedofili, emergenza droga, emergenza piromani, emergenza microcriminalità,
emergenza migranti tutti cattivi, emergenza violenza rom, emergenza coste da
tutelare da arrivi indesiderati, emergenza terrorismo, emergenza discoteche dove
“ci si sballa” ecc. ecc.) e “imporranno” maggiore repressione. Non è apocalittico il ritorno di un vecchio cattolicesimo
alla ricerca disperata di un Carlo Pisacane da fermare e, tra un Gasparri e un
ministro leghista, un Galileo Galilei da processare e qualche Mozart da
“assassinare”… Ora alcuni “rivoluzionari”, mai domi, sono convinti
(come se non sapessero che nessuna strategia insurrezionale è proponibile in
Italia e nell’Occidente capitalistico) che un governo delle destre offre la
possibilità certa di uno scontro
ai livelli più alti. In passato alcuni erano convinti che i comunisti dovessero
trionfare in Sicilia o nel Veneto. Chissà quale era lo stato d’animo degli
apostoli mentre il popolo mandava a morte certa e dolorosa il Cristo dei
miracoli. In realtà è dinanzi ad un Governo di centrosinistra che bisognerebbe
non lasciare nulla d’intentato per spostare il popolo verso l’alternativa ed
evitare che il suo fallimento corrisponda ad una affermazione “elettorale”,
inizialmente, delle destre: non è stato fatto! Va svelata la debolezza di un
riformismo “interclassista” che lascia l’elemosina ai poveri e continua a
tutelare i ricchi (miopia e cedimento più che revisionismo…). Contro il
centrodestra, supportato da forti poteri, va realizzata una strategia che crei
coscienza generale e sociale e partecipazione popolare. E’ realizzare qualcosa
di estremamente complesso. Anche questo ci hanno insegnato le esperienze del
passato oltre ad un quadro attuale indubbiamente “esplosivo” (le destre che
avanzano in Europa, che sono annidate in Israele e negli USA, il plan Colombia,
le situazioni di crisi nei Balcani, in Medio Oriente, in Palestina, in diversi
Paesi africani e asiatici e nelle Americhe, i rischi di conflitto tra le due
Coree ecc. ecc.). Diverse situazioni che richiedono “convenzioni
internazionali per l’alternativa” e, al tempo stesso, la comprensione di
diversità che impongono tattiche e strategie altrettanto diverse in ogni Paese.
25)
La strategia che per un’organizzazione rivoluzionaria si rende nel
presente non sostituibile non realizzerà, indubbiamente, un desiderato,
repentino ed immediato, rovesciamento dello Stato capitalista (stiamo costruendo
l’opposizione di classe) ma mentre intende ostacolare il permanere di una
destra eversiva e sociale al potere deve evitare che il centrosinistra la
rincorra sul suo stesso terreno e assimilandone parte sostanziale del programma.
Chiedere che un Governo cada subito non troverebbe forti consensi ma creare le
condizioni per farlo cadere il prima possibile smascherandone le mire
antipopolari è una necessità. Va ostacolata, anche, un’ulteriore
decomposizione sociale e una decadenza nelle masse in genere. Essenzialmente, in
presenza di un piano anti-economico che mantiene disoccupazione anche occupando
e disoccupazione di fatto e di un piano anti-sociale che non risparmierà, in
nome del profitto, nessun settore della vita civile dobbiamo prestare forte
attenzione al rischio di criminalizzazione del movimento antagonista e passare
dal terreno delle polemiche e della contestazione a quello della proposta e
dell’agire nel profondo e in ogni direzione. Va ricercata fortemente la
visibilità di una coerente organizzazione rivoluzionaria, una precisa
propaganda che aggreghi sapendo che non sono importanti i numeri ma la continuità,
il non tirarsi in disparte, il non esaltarsi nel chiuso delle proprie sedi,
trovare appuntamenti (anche per la semplice raccolta di firme) che leghino tra
di loro le diverse realtà di DP dal Sud al Nord del Paese e DP a quanto
comunque si realizza contro questo Governo, contro il Capitale, contro
l’imperialismo. Farlo con serietà, con grande senso di responsabilità,
evitando di fornire all’avversario i pretesti per stringere ancora di più la
morsa contro la democrazia. Farsi trasportare dalle semplici passioni e da
rivolte corpose che riducono lo scontro ad un conflitto tra manifestanti e
poliziotti non hai mai determinato la fondazione di nuovi Stati e neppure si
fanno le rivoluzioni con l’eroismo ed i sacrifici inutili. Serve perseveranza
e la ricerca di mezzi adeguati per non essere né una semplice testimonianza e
neppure una notizia priva di contenuti in un telegiornale che più che rendere
esplicito un programma valorizza una finta democrazia: paternalista mentre ti
criminalizza. Il Consiglio Territoriale che intendiamo costruire deve, anche per
questi motivi, essere la cellula viva della stessa società nuova che
s’ambisce edificare, la base in potenza di un più ampio mutamento di fondo
ovvero un nuovo “organismo collettivo” consapevole che le modificazioni
dell’ organizzazione del lavoro così come quelle dei rapporti tecnici di
produzione si ripercuotono sulla stessa classe e sulla società complessivamente
e che, nella fase attuale, il capitalismo “internazionalizzato” ed i suoi
giullari o complici hanno deviato le lotte, gran parte delle stesse, dalla sfera
della produzione verso la sfera privata. Il lavoro base è conquistare consenso:
un consenso partecipato, critico, ragionato. Le stesse lotte sindacali, chiunque
le proponga, sono quasi esclusivamente tese alla ricerca di miglioramenti
salariali (neanche la qualità del lavoro è considerata (scarna la stessa
battaglia contro le morti e la nocività lavorando), indirizzate alla sfera del
soddisfacimento individuale). Ciò impone un lavoro paziente che scardini quello
che definiamo un “consenso volontario” all’equilibrio capitalistico purché
non si metta in discussione “il benessere” raggiunto. La lotta, in
Occidente, per il socialismo è una lotta politica e una lotta ideologica che
devono rendere una strategia apparentemente mediata oggettivamente
rivoluzionaria. C’è una realtà operaia ancora rivoluzionaria, un’altra
aristocratica e una terza oggettivamente corrotta con conseguente arretramento
della stessa democrazia borghese e lotte per la mera difesa di privilegi
egoistici. Un’analoga situazione è sempre di più evidente anche nel mondo
dei “pensionati”. Ed in parte tra le donne in carriera. In carriera sono
anche molti “capi” più o meno storici della sinistra istituzionale. Sembra
quasi che la lotta di un operaio nella Corea del Sud non sia la tua e che la
solidarietà internazionale non abbia nulla a che vedere con quella che si
manifestò per il Vietnam o per il Cile. Sembra anche che la lezione del ’68 e
quanto quella stagione aveva individuato ed inventato sia qualcosa da ricordare
per qualche convegno o assai lontano nel tempo, come lontani appaiono anni e
anni di malgoverno (vengono premiati i loro responsabili sotto altre spoglie),
il decisionismo craxiano, tangentopoli che pur non rappresentando nessuna
rivoluzione ha comunque reso più evidenti corruzione, malaffare e interessi
coltivati contro il popolo.
26)
La sinistra istituzionale, nel suo insieme, senza farci ingannare da
frasi sommesse o altisonanti, è allo sbando ed ha smarrito non solo le ragioni
di classe che ne giustificavano l’esistenza ma non possiede una tattica ed una
strategia comunicata né un programma nell’immediato o di lungo respiro oltre
ai soliti titoli noti o slogan oppure, quando individua o propone importanti
mete, le mortifica prima ancora che si estendano a tutta la società ed entrino
oggettivamente nel dibattito politico (la tassazione dei BOT, le firme per la
“scala mobile” o contro gli stipendi d’oro: ricordate? Che fine hanno
fatto? E la gagliarda lotta davanti al Parlamento contro le liste civette ora
non ha più senso quanto farlo per ogni diritto minacciato o eluso?).
27)
Ecco, dunque, alcune proposte. Esserci a Genova, al corteo dei
metalmeccanici ed ovunque con strumenti di informazione e propaganda. Provocare
il PRC a chiarire cosa intende per Consulta Unitaria della Sinistra e lavorare,
nel rispetto di ogni autonomia sulla base di un programma e di un progetto,
perché ci si trovi uniti nel fare opposizione e nel proporre. Incalzare le
amministrazioni di centrosinistra a creare opposizione e a chiarire, oltre
l’alternanza, il bisogno di alternativa. Costruire Consigli Territoriali per
gettare semi nella società che inseriscano ovunque elementi di socialismo.
Avviare una strategia riformista a partire dalle 35 ore a parità di salario,
tassazione delle rendite e dello sviluppo tecnologico, richiesta di ampliamento
di ogni legge conquistata per le donne e dei servizi in genere, proporre
adesione alla difesa dello stato sociale inserendo nel dibattito proposte che
guardino alla lotta contro la criminalità organizzata. Rilanciare il dibattito
sulle questioni ambientali e la ricerca di fonti di energia alternative.
Rimettere all’ordine del giorno le questioni della pace e della solidarietà,
della libertà dei popoli e della cooperazione contro lo sviluppo ineguale.
Ostacolare la nuova militarizzazione e favorire la riforma degli enti
penitenziari. Rendere visibile la battaglia culturale e dell’uso del tempo
libero conquistando spazi e liberandoli… Difendere la Costituzione e creare
comitati unitari antifascisti sollecitando movimenti e creandone di nuovi.
Evidenziare i privilegi dei potenti e insistere su una Riforma dello Stato
contro sprechi, burocrazie e mancata partecipazione popolare. Valorizzare i
grandi appuntamenti del 25 aprile e del 1 maggio ed il loro carattere
internazionale a difesa della democrazia. Pretendere il rispetto della carta del
Lavoro e dei diritti dei migranti. Intensificare i già proficui rapporti
internazionali. Andremo a Cuba e porteremo il FZLN in Italia. Ci auguriamo,
anche, di poter ospitare nel nostro Paese rappresentanti del PCML del Brasile o
i compagni e le compagne della Rifondazione Comunista Argentina e coloro che
avendone la possibilità e l’opportunità intendano venire in Europa e in
Italia. Organizzeremo le prime conferenze programmatiche regionali per
approfondire questi appunti ed arricchirli con specifici territoriali che devono
essere patrimonio di tutta l’organizzazione. Da questo inverno partirà una
scuola formazione quadri e quest’estate, intanto, realizzeremo, anche per
autofinanziarci, feste popolari. Cinque appuntamenti sono già previsti a Roma.
E già i compagni e le compagne della Capitale si stanno organizzando per
iniziative in ogni quartiere. In sintesi: non ci spaventa né può impensierirci
la mole di lavoro che ci andiamo imponendo per raggiungere risultati anche
parziali ma è importante viaggiare uniti e soprattutto conquistare
all’organizzazione altre energie da rispettare, valorizzare e rendere
protagoniste. Nella tabella di marcia vi sono sit-in sotto le ambasciate
americana (per l’ambiente e per Cuba) e israeliana per la Palestina.
Abbiamo scelto di essere rivoluzionari, di non farci distrarre da una
fraseologia demagogica, di non prendere in giro noi stessi e coloro che vogliamo
raggiungere. Abbiamo scelto di misurarci con la realtà, coscienti che ne
facciamo parte, di metterci in discussione più volte, di non rinunciare a
lottare per il socialismo senza illusioni ne false scorciatoie. E’ in questa
ottica che crediamo interessante l’organizzazione autonoma dei giovani di DP:
che va sostenuta e stimolata rispettandone scelte e creatività. Per avere, su
ogni tema, vere e proprie commissioni probabilmente ci vorrà ancora del tempo
ma già questa Direzione Nazionale indicherà compagni e compagne di
riferimento. L’Italia si appresta ad avere giorni disordinati e noi dobbiamo
lavorare per esserci e per orientare. Per costruire un progetto di liberazione
al plurale. Non siamo dei protestatari, non siamo operaisti e neppure dei
fanatici. E mentre saranno diversi a proporre nuovi partiti comunisti noi
cercheremo di fare il possibile per una sinistra unita e rivoluzionaria che ritorni ad appartenere a quel popolo con il quale vogliamo
condividere un “sogno” da realizzare perché realizzabile... I vostri
interventi, i contributi di idee che arriveranno, saranno la giusta conclusione
per un’introduzione che va letta semplicemente come proposta parziale di un
programma più ampio che deve appartenere, come la stessa organizzazione, a
tutti e tutte.
19 giugno 2001