SI E' TENUTA LA  DIREZIONE NAZIONALE IL 
30 GIUGNO 2001 ORE 20
presso la
CASA DEI POPOLI
Viale Irpinia, 50 – ROMA
 

la riunione è stata aperta ai compagni ed alle compagne delle diverse regioni italiane

 STIAMO REALIZZANDO UNA PUBBLICAZIONE COMPRENDENTE INTEGRALMENTE  LAVORI E DOCUMENTI 
(Minniti,  Giardino, Viola, Barreca, Vernillo, Schwarsberg, Lamari, Venturi, Ferrari, Meloni e Benizi)  
NONCHE' CONTRIBUTI DI IDEE RICHIESTI A 
Giovanni Franzoni, Massimo Ghini, Vittorio Foa, Luigi Vinci.

Ordine del Giorno: 

      1)      Analisi e prospettive dopo le elezioni del 13 maggio 2001 
2)      Viaggio di una delegazione ufficiale di DP a Cuba e in Corea del Nord
3)      Organizzazione di feste estive territoriali  “per non mandare la politica in vacanza”  e per l’autofinanziamento
4)      Preparazione di iniziative per la presenza di Fernanda Navarro in rappresentanza del FZLN (Chiapas) in Italia
5)      Rivista e ampliamento degli strumenti informativi
6)      Programmazione di una scuola per la formazione quadri: primi seminari
7)      Avvio di una campagna per una Proposta di Legge sulle 35 ore lavorative a parità di salario
8)      Piano di lavoro per l’organizzazione di conferenze programmatiche a partire dall’autunno
9)      Programmazione di una serie di iniziative e di lotte con riferimento al programma di DP (lavoro, diritti, ambiente, istruzione, Costituzione…) e valorizzazione dei Consigli Territoriali
10)  Iniziative per un rafforzamento organico dei rapporti internazionali e conseguenti lotte unitarie
11)  Costituzione organica del Consiglio Nazionale
12)  Rapporti con i movimenti a partire dall’iniziativa di Genova contro il G8 e comunicazioni per iniziative propositive sulle stesse tematiche
13)  Tesseramento e nuovo proselitismo  

 

Relazione del segretario nazionale:

“STRATEGIA RIFORMISTA”
E CONSIGLI TERRITORIALI PER IL SOCIALISMO

 

Cari compagni e care compagne,

la riunione della Direzione Nazionale di DP, in piena stagione calda, era un appuntamento non certo rinviabile dopo le elezioni del 13 maggio ed il loro esito indubbiamente negativo per la democrazia ed i lavoratori. Positivo, senza dubbio, l’eccezionale e inaspettato risultato elettorale della nostra organizzazione ed il senso di responsabilità tattica espresso nei ballottaggi che, tra l’altro, ci hanno garantito l’ottenimento di una forte visibilità, di punti sostanziali di programma (a Roma e in alcuni Municipi in particolare) e una valorizzazione nei rapporti con le istituzioni che andranno utilizzati pienamente negli interessi del popolo in generale, dei cittadini e delle cittadine, di chi intendiamo rappresentare in una lotta per l’emancipazione delle classi subalterne. Questa relazione non potrà non prestarsi ad equivoci, ad interpretazioni non volute, sia per la sua brevità, sia per l’impossibilità di approfondire alcune tematiche che volentieri si lasciano al dibattito e al confronto e al contributo d’idee che potrà arrivarci anche da altri ed altre non presenti all’incontro, sia per la non nascosta “volontà provocatoria” per suscitare idee nuove e sollecitare atteggiamenti critici. Quelle che andrò a sviluppare sono note, anzi noterelle, per riempire di contenuti ed iniziative i prossimi giorni. Alcuni temi, pur rilevanti, saranno semplicemente accennati ma dobbiamo, senza timore, chiarire la tattica e la strategia della nostra organizzazione e proporre la stessa come “rinnovata realtà comunista”, moderna, aperta, corrispondente ad un presente che intendiamo mutare. Si tratta, in sintesi, di costruire l’opposizione e, al tempo stesso, lavorare per un’egemonia delle classi subalterne…

Buon lavoro, dunque, a tutti e tutte noi e grazie per la vostra grande e generosa attività in questi nostri brevi mesi di vita pieni di passione e di sacrificio per molti e molte e di utile partecipazione, ampia e cosciente, di uomini e donne che neppure conoscevamo e che ci hanno dato fiducia e sostegno. Non dobbiamo mai stancarci, quando la militanza è sempre di più calpestata oltre che in crisi, di esprimere entusiasmo e fratellanza a coloro che dedicano anche pochi attimi della propria esistenza a valori nuovi per costruire il nuovo appunto.

 

1)       In Italia, e nel resto del pianeta, la neo-globalizzazione, il neo-liberismo, la stessa gestione della crisi del  “vecchio” capitalismo da parte dei “profittatori” hanno, ormai, fatto cadere all’imperialismo la sua ultima “maschera riformista” nonostante sia assente, in generale, nel popolo (e tra gli oppressi in particolare) una “volontà collettiva” antagonista e una strategia rivoluzionaria e nonostante la “non-storia” di gran parte della sinistra. Si è dimenticato, infatti, che non solo bisogna avere un piano chiaro e coinvolgente ma che prospettiva e coscienza, per i soggetti rivoluzionari, sono un’unica cosa per “universalizzare” la necessità del socialismo o di società migliori oltre i bisogni immediati.

2)       La possibilità, tutta da conquistare, di inserire “elementi di socialismo” nella società è data, essenzialmente, dalla coscienza (storica, sindacale, sociale, di classe) da vivere in “movimento” e contaminandola con una lotta tenace per l’affermarsi di una “riforma intellettuale e morale” fino a valorizzare la “memoria” come elemento insostituibile e capace di “conservare” per generare mutazioni stabili e durevoli. La coscienza storica non implica “nostalgie” ma considerazione delle lezioni (vissuti, esperienze, conoscenze) per avanzare ed invita a diffidare della buona fede di chi ripropone un “ritorno a Marx” che in realtà sconfina con l’apoliticismo e si esterna, tra demagogia e passionalità sterile, unicamente in comizi che ritengono i partecipanti una massa impreparata e da entusiasmare con la retorica. E’, questa, semplicemente, una contraddizione ed una strumentalizzazione ideologica, una sorta di “revisionismo ortodosso”, un limite teorico che ne nasconde altri, una furbizia di “capi non organici”, un impedire l’affermarsi di una coscienza critica che si misuri con il passato e con il presente per costruire futuro. E’, inoltre, l’accettazione di una visione meccanicistica, fatalistica ed economicistica degli accadimenti, una mistificazione. Un pericolo che allontana qualsiasi organizzazione di classe dal ragionarsi e dal comprendere lo stesso sviluppo del marxismo che lo rende attuale anche in un’epoca di massacro alle ideologie, di neo-corporativismo, neo-individualismo ed in piena frammentazione e settorializzazione sociale, smisurata e sostanziale crescita del parassitismo, dell’area del terziario, determinante ruolo della finanza, delle lobbies, dei gruppi di pressione, di pratiche neo-colonialiste mentre vi è uno straripamento dei ceti intermedi, un’espansione della sfera burocratico-amministrativa e, favorita dal carattere trasformista ed opportunista di gran parte della popolazione, l’affermazione di una destra non solo sociale ma anche eversiva, rappresentata dai possessori dei mezzi di produzione, della finanza e della stessa società illegale organizzata, tutelata, nella “presa del potere”, da logiche bipolari corrispondenti fortemente agli interessi dell’imperialismo. Le contraddizioni del sistema capitalistico, pertanto, e la “logica” odierna delle forze produttive non spingono “spontaneamente” in direzione del socialismo ma, in forme sempre più laceranti, si consolida il neo-imperialismo che obbliga a ridisegnare, senza togliere le ancore del marxismo-leninismo per non andare alla deriva, la tattica e, più necessariamente, la strategia di un’organizzazione rivoluzionaria.

3)       Assistiamo, non va sottovalutato, a lotte oscillanti tra difesa corporativa e contestazione generica mentre è sempre di più evidente il distacco tra popolo e politica, masse ed istituzioni e, all’opposto, sempre di più saldo il rapporto tra politica ed affari, capitalismo legale e capitalismo illegale, oppressione con utilizzo del carro armato di una informazione portatrice di falsa coscienza sociale o il carro armato di fatto. Incredibilmente non possiamo accodarci alle ribellioni spontanee o all’agire dei movimenti ma neppure dobbiamo rifiutarli. Non considerarli o subirli sono errori ma lo è, maggiormente, non attivarci per “costruire una direzione consapevole” agli stessi, democratica, palese, dichiarata e rispettando pluralismo, autonomia e diversità. Una direzione consapevole non è una prevaricazione ma un atto di libertà. Per i comunisti è lotta per l’egemonia: non dei suoi “capi” ma della classe e del suo blocco storico. Il distacco tra movimenti di lotta in generale e i lavoratori è di per sé una sconfitta e un’ulteriore accelerazione del più ampio allontanamento delle masse dalle Istituzioni lasciate totalmente alla gestione delle forze più retrive della società e dei suoi apparati repressivi. Del resto questo è ancora più drammatico dinanzi ad una sinistra che vive un “parlamentarismo esagerato” (per usare un termine non denunciabile) che va oltre lo stesso “cretinismo”: questa sinistra si rende protagonista di una strategia suicida (e le ultime elezioni stanno lì a confermarcelo) e fallimentare anche nel medio periodo che implica, inevitabilmente, un isolamento non nuovo per chi vive ed interpreta l’agire politico come qualcosa che “cala e viene dall’alto”, come processo impositivo (e di fatto parziale) fino a far dimenticare che il centro della lotta, di ogni lotta, anche di quella non immediatamente rivoluzionaria, è il contesto sociale, è il faticare per una trasformazione progressiva delle strutture, dei valori, delle coscienze, delle stesse relazioni fra gli esseri viventi senza confondere la realtà con la personale (o di gruppo) idea della stessa.

4)       Gran parte del nuovo movimento antagonista (tute bianche, centri sociali, molte associazioni ecc.) è composto in maniera considerevole da giovani e ragazze, una parte della generazione degli anni 70 o della nuova autonomia sindacale. Si manifesta in esso anche una creatività particolare ed invidiabile. La stragrande maggioranza dei suoi protagonisti è lontana dai partiti (o con essi, come ad esempio il PRC, vive un rapporto di tolleranza o di utilità) quando non è schifata dall’agire degli stessi (simbolo di un vuoto ormai consolidato anche a sinistra e di una frattura faticosamente colmabile). Un’organizzazione come DP può essere involontariamente coinvolta da tale atteggiamento nello sforzo di proporsi, di aggregare ed organizzare. Alcuni soggetti in rivolta dell’ormai ed impropriamente definito “popolo di Seattle”, ad esempio, ama auto-definirsi (se non è anarchico) comunista libertario o liberal-autonomo (in contrapposizione allo stesso neo-liberismo e alla globalizzazione). Termini come lotta di classe, imperialismo, socialismo sono sempre di più non solo ignorati ma osteggiati tanto quanto l’essere comunisti o appartenenti a formazioni comuniste. La lontananza dal movimento del 1968 è anche per questi motivi abissale e, comunque, viene scambiata come maturità e sopraffina intuizione. Ancora più miserevole è considerata l’accettazione del movimento operaio come riferimento per qualsiasi rivoluzione. E’ una “vittoria”, non declamata, anche, dei “senza classe” che non casualmente guardano crocianamente ai fatti internazionali senza distinguere nella loro concretezza l’EZLN dalle FARC o i SEM TERRA dal PKK. Eppure non amplificare le lotte di questo significativo movimento, privo di una mai affermata cultura urbana e lontano da culture e civiltà precedenti (artigiana, contadina ecc. senza averle “superate” in senso progressista) rappresenterebbe un fallimento irreversibile per tutta la sinistra di classe. Ma neppure è praticabile la strada, come fa il PRC, dell’accodarsi acriticamente o, peggio, come fa il quotidiano comunista “il manifesto” dell’esaltare “a priori” (pensate quanto sarebbe importante un PRC che si mobilita con il massimo sforzo contro il G8 con migliaia di persone, come fa ritualmente ogni anno verso l’autunno, e quanto sarebbe significativo se contemporaneamente nelle fabbriche e nei posti di lavoro, nelle Università e nelle scuole si incrociassero le braccia). Ma, purtroppo, le “scelte” del PRC o de “il manifesto” sono non poche volte dettate da piccoli interessi di bottega che scompaiono quando si deve prendere atto che oltre tali realtà e quelle istituzionali c’è una significativa sinistra antagonista organizzata e non silente in questo Paese che stenta a nascere anche per la colpa di una miopia escludente, non involontaria né casuale. Per  altri giovani “contestatori”, inoltre, (alcuni dei quali ritengono che una vittoria delle destre può creare condizioni migliori per rivolte e cambiamenti) la guerra di Liberazione, la corruzione ed il malgoverno democristiano, il ruolo del Vaticano o le bombe sui treni, le stragi di Stato o le conquiste operaie, i giovani delle magliette a strisce e i “revisionisti” del PCI, i “venduti” di Lotta Continua, i perenni “entristi” di Democrazia Proletaria e Avanguardia Operaia (aggettivi ormai acriticamente diffusi), la rivoluzione d’Ottobre ed il Vietnam non sono neppure ricordi  e considerare tutto ciò per lottare nel presente viene pensato come una gran perdita di tempo cara a comunisti tutti stalinisti, amici di Pol Pot, nostalgici di Mao e tutto sommato colpevoli come i capitalisti delle peggiori nefandezze del secolo appena andato. I più impegnati, comunque, non dimenticano l’incapacità nel rispettare le cose che si dicono dei “capi” a sinistra, i burocrati di partito, la ricerca dei privilegi personali, un sindacalismo “reazionario” (oggi la triplice sindacale è la più grande organizzatrice di un crumiraggio collettivo), la critica senza rapporti e rispetto delle giovani generazioni e l’appiattimento nei ruoli istituzionali… questo e tanto altro. Inoltre, diventano o sono state forme di “rifiuto della realtà” e distacco generazionale  non solo le rivolte, l’occupazione di una scuola, di una facoltà o di uno spazio abbandonato ma, anche, nel rispetto di dovute e facilmente comprensibili enormi distinzioni, l’aggressività negli stadi, lo scontro per lo scontro fino alle degenerazioni che hanno riempito le cronache di suicidi, uso di droghe, accettazione di nuove tecnologie come promozione sociale, esibizionismi gratuiti, crisi della famiglia, “assalto” dei luoghi deputati all’incontro, alla cultura, allo studio. Ancora più evidente un processo del “rifiuto del mondo degli adulti” nell’esaltazione, contraddittoria e negativa quanto da rifiutare, dell’etica dell’avere rispetto l’etica dell’essere, del neo-fascismo o dell’apatia diffusa. L’incomprensione della società adulta verso i bisogni delle nuove generazioni (e stiamo evitando di parlare di quelle che vengono “manipolate” ed ingannate dalla Chiesa che pure cercano dei valori in cui credere o che non li hanno mai cercati per il loro forte carattere reazionario come Comunione e Liberazione) ne sostanziano un conflitto che viene tranquillamente sollecitato dalla società neo-liberale contro un “vecchio” che non si conosce bene alla ricerca di un futuro che si conosce ancora meno. A questo collabora una celerità dello sviluppo tecnologico che determina distacchi generazionali, diversamente dal passato, compressati in pochi anni. Non esiste una questione giovanile ma una condizione giovanile dove la parte cosciente ed impegnata per un mondo migliore è, senza errore, minoritaria. In questi giorni, a Roma, dopo la vittoria dello scudetto della sua squadra oltre un milione di persone si sono riversate pacificamente nelle piazze, si abbracciavano, cantavano, scambiavano saluti, sorridevano. In pochi giorni la città ha visto un crescendo di creatività tra palazzi dipinti, bandiere ovunque al vento, tabelloni con mille colori e giovani attivi oltre misura, ragazze che inventavano murales gioiosi e il faccione imponente di Geronimo, ecc. Non c’è stata violenza né monumenti distrutti… Per uno scudetto ma uno scudetto desiderato, atteso oltre vent’anni, che senti tuo come i colori di una bandiera e la speranza che si vada avanti l’anno prossimo in coppa dei campioni ed in campionato ed intanto godiamoci la festa. Salutiamoci per strada riconoscendoci con il clacson o uno slogan, tappezziamo ogni angolo con fettucce e pupazzi e fraternizziamo. Ne parlo per far comprendere quanto sia importante darsi un obiettivo, coinvolgere, rendere vivo un progetto affinché energie spese in tante altre direzioni trovino motivi saldi per pensare politica e rinnovamento con identico entusiasmo, con la stessa voglia di vincere e poi di fare festa. Solo accennarlo già modifica profondamente il nostro proporci: pensate se organizzassimo sit-in continui anche per il diritto a dipingere un muro, umanizzare un parco, avere amministrazioni che ci  diano invece di tasse per il suolo pubblico strutture per fare cultura o sport e quanto possa spaventare stare fuori dal Parlamento per una rivendicazione cantando, con gioia, urlando in un megafono le proprie ragioni e alzando dipinti al vento oltre le proprie bandiere. Pensate a sedi di partito come luoghi d’incontro anche culturali e via proponendo. Pensate università occupate per “qualsiasi motivo” ed oltre ad assemblee un “pezzo” di fantasia che comunque il 1968 ci aveva lasciato in eredità. E’ proprio il caso di dire che “la semplicità è difficile a farsi” (Brecht). La politica è triste! E’ resa triste ed è lontana dalle masse. Non unisce ma divide anche quando l’unità sarebbe un fatto naturale. Abbiamo l’obbligo, oltre la serietà di un “piano” di inventare come renderlo un “conformismo per l’alternativa”. Anche queste riflessioni parzialmente introdotte ci obbligano a ripensare la tattica e la stessa strategia rivoluzionaria.  Per colpire, infatti, efficacemente “il padrone” serve l’articolazione di lotte e programma diversamente si rischia, alimentando oltre misura forme repressive, di alzare grandi polveroni che alla fine non intaccano né i rapporti di produzione né la realtà sociale. L’assenza della contestazione, la “pace sociale”, sono anch’esse da rigettare ma è grave che non ne siano protagonisti i lavoratori. Le lotte del movimento sono destinate ad una grande crescita se sapranno, appunto, collegarsi al “mondo del lavoro” rendendo “omogenea” con queste realtà l’iniziativa di DP. L’alternativa nasce nella società e deve creare poteri nuovi contrapposti a quelli del sistema capitalistico oltre le elezioni o piccoli quanto pericolosi “complotti insurrezionali”. Il primo organizzatore di “complotti insurrezionali” è il potere stesso! Il problema che si pone è anche, dunque: come utilizzare le istituzioni? Non certo per “buone gestioni” ma per costruire l’alternativa e, a maggior ragione, il quadro di un partito non può corrispondere a quello istituzionale. Ritorneremo, sempre brevemente, sull’argomento. Ora dobbiamo, invece, precisare alcune idee.

5)       Lo sciopero, il grande corteo, il consiglio sindacale non perdono mai il loro valore “storico” ma si presentano oggi come “strumenti” insufficienti. Né è sufficiente “occupare uno spazio” o, esagerando, “impossessarsi con un gruppo di avanguardie del Palazzo”, meno che mai contestarlo tra una manganellata e l’altra. Anche se ottenessimo un “potere” (premesso che questo potere sia nelle mani di chi non deluda le aspettative dei soggetti coinvolti: oggi è sempre meno raro che accada anche se limitatamente ad amministrazioni locali e meno che mai nel Parlamento) dobbiamo convincerci che è un’altra la meta a cui aspiriamo e che non è garantita da nessuna maggioranza parlamentare: l’emancipazione ed il potere popolari! La tua battaglia non consiste, infatti, nel sostituire un “potere” con un altro ma una società nel suo insieme con un’altra organizzazione sociale, economica, culturale…

6)       Non va mai sottovalutato: tra vita economica e vita politica vi è una fitta rete di relazioni e di reciproca dipendenza (come vi è tra struttura e superstruttura, tra neo-globalizzazione e neo-regionalizzazione, tra neo-colonialismo e processi migratori, tra vita pubblica e vita privata, tra prodotti alimentari geneticamente modificati e carestie e fame, tra ricerca scientifica e guerre, ecc.) che condizionano ogni processo rivoluzionario fino a fargli assumere “forme” nuove (che coinvolgono la stessa organizzazione che se ne rende protagonista). Il socialismo non è, dunque, la conquista del Palazzo (magari con la maggioranza parlamentare del 51% ammettendo l’esistenza di un sistema elettorale proporzionale) ma, nelle mutate condizioni, un lungo “viaggio”  che vive di stazioni, piccole soste ovvero lotte per continue trasformazioni (anche parziali) oltre la loro riduzione gradualista e un incosciente determinismo. E, ancora, i Soviet o il semplice riproporre consigli di fabbrica (grande fu il loro ruolo storico ed averli realizzati) sono una “ortodossia” in una società diversamente strutturata ed in condizioni profondamente diverse mentre i rapporti di produzione invece di “rompersi” si adattano fino ad avere una grande protesta dei metalmeccanici per interessi esclusivamente corporativi o esasperate battaglie dopo un licenziamento o la chiusura (trasferimento) di una fabbrica dopo che “integrazione” e cultura piccolo-borghese o del “consumismo” hanno spadroneggiato. Lo Stato non è solo repressivo ma anche “paternalista” (la parata militare del 2 giugno 2001 sta lì a dimostrarcelo e la stessa campagna elettorale delle due grandi coalizioni in competizione o lo stesso bonario apprezzamento di un Presidente della Repubblica alla correttezza elettorale mentre stringe la mano sorridente a fascisti e razzisti, a nemici della Costituzione e a chi deve ancora risolvere i propri conflitti d’interesse o pratiche giudiziarie). Questa non è una contraddizione ma una scelta chiara quanto leggi elettorali truffa o politiche dell’alternanza…

7)       Il socialismo o è anche  un progetto di liberazione “partecipato” e di riumanizzazione dell’uomo o è semplicemente una “rivoluzione tecnica”. La lotta per avanzare nella sua direzione impone, allora, un radicamento profondo nella società, la ricerca di un linguaggio comprensibile, contenuti leggibili e da verificare immediatamente e continuamente ma, soprattutto, l’esempio coerente di chi lo propone: il suo rispettare nell’agire pratico le cose che si teorizzano. La nascita, altresì, dei Consigli Territoriali, oltre settarismi e presunzione, è un dovere per far nascere una necessaria “avanguardia collettiva” dotata di un piano credibile e possibile, autonoma mentre inventa un’unità dal basso tra soggetti pur diversi e da orientare contro il capitalismo, capace, mentre rinnova il “centralismo democratico”, di rovesciare la piramide per conquistare una democrazia di fondo che inventi continuamente dirigenti capaci di farsi dirigere.

8)       Viviamo il tempo in cui le cose prima accadono e solo dopo bisogna parlarne. Un tempo in cui il vento di destra, mentre solo ieri manifestavi contro il razzista Haider eletto in Austria o il fascista Pinochet, che non viene ancora processato per gli inauditi crimini commessi, o per i tanti “desaparecidos” dell’America Latina e del mondo, è il tuo Governo e la cultura di destra pervade il Paese intero. Giorni, dopo la sconfitta del centrosinistra (che pure si è fortemente impegnato a privatizzare, smantellare parte dell’istruzione pubblica verso i privati, fare guerre, ascoltare con attenzione le direttive USA o della Confindustria), nei quali l’opposizione è delegata a Rutelli o ad un PRC che insegue il No al G8 o un corteo metalmeccanico da altri organizzati o lotte all’Ansaldo che ha visto solo nelle sue crude immagini dopo l’aggressione poliziesca. In un periodo in cui, tra una bomba e l’altra, trionfano uno stato sociale per poveri, si calpestano diritti consolidati o da rispettare e la ricerca dei profitti sconfina nell’illegalità protetta. Anche per questo una nuova organizzazione “a sinistra” è un obbligo che va oltre qualsiasi analisi sulla frammentazione o il continuo declamare la nascita di ipotetici partiti comunisti. DP è già una realtà. Ma non basta e neppure si può nasconderne le difficoltà ed il suo bisogno di “maturare”… internamente e verso l’esterno. DP deve crescere ma deve formarsi nel vivo del dialogo, del dibattito e delle lotte (senza misurarne l’ampiezza o la quantità ma l’utilità e la qualità). Bisogna, innanzitutto, creare le condizioni per partecipare alle discussioni e al contrasto, non solo il confronto, delle idee per evitare azioni scoordinate o l’affermarsi di iscritti ed iscritte come massa da manovrare. Lo stesso agire deve considerare i rapporti di forza reali nella società e misurarsi con i propri limiti rifiutando il fare per il fare.  Ecco perché è importante avvicinare più esperienze e più capacità ed intelligenze all’organizzazione e al tempo stesso formare una nuova leva di combattenti pratici.  Iniziative come quella con Alberto Granado e per Cuba che abbiamo organizzato quest’inverno ci invitano a repliche altrettanto vive e unitarie. Diecimila giovani e ragazze hanno, con noi, vissuto, con gioia ed entusiasmo un’esperienza giovane ed intensa. Ecco perché si deve accettare l’adesione (aldilà del semplice e pur importante tesseramento) e la disponibilità anche di chi si avvicina a DP emotivamente, con curiosità o con idee diverse e fortemente critiche o digiuno di ogni nozione del marxismo-leninismo prima che questi diventi facile preda dell’apatia, della rassegnazione o, peggio, di fanfaroni piccolo-borghesi annidati nella stessa sinistra istituzionale. E’ compito dell’organizzazione preparare e rafforzare i suoi “militanti” per renderli più adatti a diffondere e creare coscienza sapendo che il terreno dello scontro è su più fronti: economico, politico, ideologico (mai disgiunti tra di loro). Per far diventare una lotta, anche rivendicativa, un fatto grande (dal verde alla casa) è necessario renderla lotta politica parte di una lotta generale che superi l’elemento dell’esigenza immediata e la sua stessa spontaneità. E’ appunto l’elemento ideologico che offre tale opportunità! Sarebbe comunque folle utopia pretendere una coscienza solida durante il dominio dei potenti della Terra e una visione completa del che fare da parte di tutti i membri e tutte le aderenti di un’organizzazione, nelle realtà unitarie con le quali si riesce ad avere un rapporto e nella società nel suo insieme. Anche per questi motivi intendiamo, nel rispetto di ogni autonomia, lavorare con maggiore lena in realtà come l’Associazione Internazionale di Amicizia e Solidarietà con i Popoli (tra una campagna di solidarietà, la proiezione di un film, l’incontro con il teatro o la visione di un evento sportivo), la Rete Associazioni Popolari, l’associazione per disabili o la cooperativa lavoro culturale, l’associazione “Il Puntino” e “Onda d’Urto”, il Comitato Silvia Baraldini e le polisportive popolari, l’associazione Dedalo di Sermoneta e quella contro la detenzione politica. Nel confonderci in queste organizzazioni unitarie intendiamo portare un vento denso di novità e che ci permetta di dialogare con donne e uomini non sempre facilmente raggiungibili. Ma se il partito non ha una coscienza alta gli sarà difficile guidare le lotte e più facile esserne trascinato: questo in gran parte è quello che di fatto sta già accadendo alla sinistra istituzionale alla sinistra del centrosinistra. L’attività teorica purtroppo, in Italia in particolare, è sempre stata sottovalutata dalle organizzazioni rivoluzionarie rimanendo appannaggio o della stessa borghesia e dei suoi intellettuali o di gruppi ristretti a sinistra che ne hanno trovato giovamento per convegni, seminari, libri o per diventare capi di questo o quel gruppo facendo e disfacendo a loro piacimento. Ecco perché non raramente assistiamo alle furbizie per ottenere privilegi personali, a marxisti che si chiamano democratici, a riformisti che si definiscono rivoluzionari, a rappresentanti della borghesia che si definiscono socialisti e via dicendo. E’ stato considerato un marxista Mussolini ancora pochi anni prima della “marcia su Roma”. E’ stato marxista D’Alema, Mussi, Savelli, Colletti, Ferrara Giuliano ecc. La conoscenza del marxismo-leninismo, la sua lettura critica sono un dovere!, che non ha nulla a che vedere con il dottrinarismo ed il puro accademismo ma, altrettanto, doveroso è  “viverlo” penetrando ed indagando la realtà ed ogni mutazione in atto o prevedibile. Mai, come ora, sono state tanto grandi le contraddizioni non solo in seno alla società ma in seno alla stessa sinistra in genere fino a confondere con la solidarietà il sostegno alla lotta di classe internazionale, la lotta al nuovo schiavismo e al nuovo colonialismo, la difesa dei diritti dei migranti, la battaglia contro la fame o il nucleare, contro la guerra o le dittature, dalla parte degli indios o dei senza terra e in un’altra serie innumerevole di accadimenti.  La sconfitta dell’EZLN nel Chiapas, dei curdi o dei lavoratori in Corea è la nostra sconfitta! Dobbiamo saper distinguere il perché ed il fine dei diversi avvenimenti ma non possiamo esprimere solidarietà come se non fossimo in presenza dell’organizzazione mondiale delle disuguaglianze generata dall’imperialismo: le favelas in Brasile o i drammi africani, il furto di risorse umane e naturali e i disastri ecologici non stanno accadendo nel Terzo Mondo, nei paesi poveri, nei paesi in via di sviluppo ma all’interno della società capitalista! E questo non può distrarci dalla comprensione di una lotta nazionale che non va elusa e che è essenziale alla più ampia Resistenza internazionale.

9)       Ogni limitazione della democrazia è una limitazione del socialismo - diceva Lucio Libertini e aggiungeva - … il capitalismo dell’efficienza, nell’epoca di una grande rivoluzione tecnologica grandiosa, contiene meccanismi di integrazione importanti (consumismo, dinamismo della società ecc.) ma lascia allo scoperto zone larghissime della società: crisi agraria, disoccupazione, condizione operaia in fabbrica, crisi della scuola, contenimento delle spese sociali, autoritarismo”. Eravamo nel 1969. Quegli appunti, oggi, hanno assunto proporzioni ancora più ampie e ci invitano a precisare come andare avanti, quale vie percorrere e con quali “mezzi”. Nel rapporto al II congresso dell’Internazionale Comunista Lenin comunica “che la borghesia si comporta come un ladrone sfrontato… ma non si può dimostrare che essa non ha nessuna possibilità di addormentare gli sfruttati per mezzo di concessioni e che non riesca a schiacciare movimenti ed insurrezioni di una parte degli oppressi e degli sfruttati”. L’opportunismo tattico della sinistra istituzionale non solo ha reso possibile che questo avvenisse tranquillamente, in Italia, ma si continuano a spendere non poche energie per evitare che nasca o si affermi una sinistra di classe coerente e organizzata. Mentre, nel frattempo, nascono come funghi nuovi fondatori di partiti comunisti che non esplicitano mai il loro programma né la loro linea tattica e strategica e in tanti e in tante sono lasciati e lasciate alla mercé di vari movimenti più o meno spontanei se non occasionali. Poi, tra una Organizzazione non Governativa spesso finanziata da poteri diversi e un ente benefico, vi sono “rivoluzionari a tema” che nulla fanno per rimuovere le cause di povertà e disastri d’ogni genere. Ciò che in Italia, in questo periodo, accade a sinistra del centrosinistra è l’affermarsi di un rivoluzionarismo confuso e confusionario, dilettantistico ed emotivo o nostalgico che da un lato accetta compromessi a tutti i livelli o dall’altro rifiuta totalmente le elezioni e qualsiasi rapporto con le istituzioni, con i sindacati (sempre più reazionari, certo!) le cooperative, ecc. Vi è una doppia ingenuità: a) pretendere di mutare i rapporti di forza in condizioni elettorali o con la presenza nei governi o mini-governi di centrosinistra (fatto interessante se non fosse un fine ma un mezzo); b) oppure esaltando il solo dottrinarismo o lo “spirito di gruppo” che ti rendono, nella  migliore delle ipotesi, una mera quanto inutile “testimonianza”: una  “razza particolare” che ha scelto di vivere in cattività.

10)   E’ tatticamente indispensabile rinnovarci nella continuità (il termine rifondare per i comunisti, a pensarci bene, non ha nessun significato… La Democrazia Cristiana si rifonda in Forza Italia o nel polo di centrodestra. Parte dell’ex Partito Comunista Italiano si rifonda con i Democratici di Sinistra. I comunisti non devono rifondare un bel niente ma penetrare il presente per mutarlo…) e determinare un “senso comune collettivo e nuovo” tra la gente misurandoci con ogni problema per un’unità d’azione che non può ridursi alle sole forze rivoluzionarie, soprattutto dopo un’ennesima sconfitta, anche perché “proprio la grande sconfitta è, al tempo stesso, per i partiti rivoluzionari e per la classe un’effettiva ed utilissima lezione, una lezione di dialettica storica, di comprensione, di capacità nel condurre la lotta politica. Gli amici si conoscono nella sventura… sapendo che bisogna, anche, imparare a ritirarsi, che bisogna imparare, in determinate occasioni, a lavorare legalmente e nelle più reazionarie istituzioni ed organizzazioni… ecco perché negare per principio i compromessi, negare ogni ammissibilità di compromessi è una puerilità che è difficile prendere sul serio” (Lenin). Il problema, dunque, non è “il compromesso” ma il modo di realizzarlo, oggi verso il fine. Dentro quali rapporti di forza, con quali scopi immediati e futuri: questo distingue DP che va al ballottaggio in talune situazioni in campagna elettorale da chi va al Governo del centrosinistra caricandosi di responsabilità ed un programma che non guardano nella loro totalità né agli interessi della classe e del popolo né ad una strategia per la trasformazione della società. Ecco perché poniamo la questione della “strategia riformista” consapevoli che non esistono condizioni nei Paesi a capitalismo avanzato per una “strategia” che “accademicamente”  è chiamata  “insurrezionale”.

11)   Se si ha la pretesa di creare coscienza tra le masse è necessario lavorare  dove sono le masse evitando di accontentarsi delle pur splendide declamazioni rivoluzionarie o di inseguirci “a sinistra” tra di noi come se la competizione fosse riducibile a quanti iscritti tolgo al PRC o ai DS, i DS al PRC, il PdCi al PRC e ai DS, i DS al PdCI, la Margherita o l’Ulivo a chi può in un “pezzo di mercato” dove la competizione è anche tra ONG ed associazioni e tra queste a loro volta. Va evitato, tra l’altro, tra un salotto televisivo e una cena eccellente, il sentirsi lusingati dinanzi alle adulazioni dei giullari della borghesia o degli stessi “lor signori”: fenomeno questo sempre di più spettacolarizzato. Alcune organizzazioni o correnti che si auto-definiscono leniniste, a sinistra del centrosinistra, dimenticano, poi, con rapida facilità che il proletariato puro come la borghesia pura non esistono e che la dittatura fascista è diversa da una società democratico-borghese e che il riformismo piccolo-borghese o socialdemocratico sono altra cosa da Governi nelle mani unicamente di faccendieri e che una tattica ed una strategia rivoluzionarie devono tener conto di queste diversità e di ogni “oscillazione” delle classi dominanti. Ignorarlo o “massificare” è una sorta di “analfabetismo del rivoluzionario”.

12)   DP viene osteggiata anche da bravi e sinceri compagni, da compagne capaci, perché avrebbe scelto di “spaccare” ulteriormente il già frammentato arcipelago della sinistra: DP allora è un microcosmo (e questo è gia un complimento) se non un partitino o l’ennesima organizzazione che rende sempre più debole la sinistra. Se nasce il PRC dopo la nascita dei DS è giusto. Se nasce DP dinanzi alla catastrofica esperienza del PRC è un male. “Una scissione è in ogni caso preferibile alla confusione che è di ostacolo alle lotte e allo stesso sviluppo ideologico, teorico e rivoluzionario necessari alla maturità di un partito e al suo lavoro politico, concorde, realmente organizzato - ma sappiamo anche – che abbiamo il dovere con i nostri principi nuovi di lavorare in tutti i campi, di qualsiasi genere, anche nei più vecchi, nei più aridi e apparentemente infecondi perché altrimenti non saremo all’altezza del compito, non saremo poliedrici, non saremo padroni di tutte le specie di “armi”, non ci prepareremo né alla vittoria né all’organizzazione di tutta la vita dopo la vittoria”: vi è, qui, una incredibile modernità del pensiero di Lenin. Nella nuova fase dell’organizzazione imperialista avanza l’obbligo di creare un’organizzazione comunista e di riflettere il marxismo in rapporto alla democrazia borghese dove questa esiste e nella mutata attualità condizionata dalla velocità dello sviluppo tecnologico rivalutando il “concetto di egemonia”, l’analisi sulla nuova classe operaia, la nuova emarginazione e conseguentemente la tattica e la strategia di un’organizzazione trasformatrice con un’attenzione particolare ai nuovi rapporti sociali, ai giovani, alle donne in particolare, all’egoismo delle vecchie generazioni. Non c’è futuro per il socialismo ma il rischio di un decomporsi delle classi in lotta se questo non si propone e si afferma, principalmente, in una società a capitalismo avanzato o dove più evidenti sono le sue contraddizioni (Brasile o Italia, Francia o Spagna, Argentina o Germania o USA ne sono, ad esempio,  le culle potenziali e, non casualmente, vi si sono alternate svolte autoritarie più o meno violente ad un capitalismo dal volto umano).

13)   Il socialismo è un orizzonte di vita, una scelta di civiltà, e non è Marx ad aver inventato il proletariato: il marxismo ha individuato nel “mondo del lavoratori” la modernità per eccellenza e la storia come processo “liberatorio” verso una società migliore e regolata nel rispetto degli esseri viventi e della natura: il vivere, appunto, rispetto il sopravvivere, la certezza del futuro rispetto il permanere di un primivitismo basato sulla vittoria del più forte contro le moltitudini e, inevitabilmente, responsabile di catastrofi imminenti o già in atto. Contrapporsi al G8, al Fondo Monetario Internazionale, all’OCSE e in generale ai potenti della Terra dimenticando l’essenza storica della classe operaia (oltre ogni banale logica operaista) rende inconcludente, una sorta di “sacrificio inutile” pur se eclatante, qualsiasi lotta si realizzi. Altrettanto banale è valorizzare “il mondo del lavoro”, la classe, in maniera dogmatica, fideistica e libresca. Da qui l’esigenza di pensarsi parte dello stato di cose presente prima ancora di proporsi come  protagonisti della sua abolizione. Il marxismo-leninismo si rinnova e deve rinnovarsi nella “critica della politica”! Per cambiare l’uomo non possiamo aspettare che cambi il mondo né  confonderci con gli avvenimenti comunque… “La dottrina materialistica della modificazione delle circostanze e dell’educazione dimentica che le circostanze sono modificate dagli uomini e che l’educatore stesso deve essere educato” (Marx oltre centocinquanta anni fa).

14)   La maturazione dei soggetti “antagonisti” è una condizione essenziale, al pari dell’autoeducazione e della critica a se stessi, per realizzare qualsiasi cambiamento (piccolo o grande) duraturo. Non ha senso battersi per la libertà se non si lotta per le libertà! Anche perché una società non è libera se non è pensata come un insieme di relazioni, un insieme di donne e uomini che devono viverci liberamente. La socializzazione diviene per questa via la negazione del settarismo e di un anacronistico proporsi, per alcuni, come detentori di “verità assolute” e “avanguardie perenni” mentre l’emancipazione della classe è inevitabilmente intrecciata con quella della società. Dobbiamo condurre una iniziativa contro l’homo economicus ovvero contro una parzialità culturale nello stesso movimento socialista. Engels ammetteva, giustamente, che “il movimento operaio tedesco doveva essere l’erede della filosofia classica tedesca e non il suo carnefice”: i giovani e le ragazze in particolare, le masse, vanno conquistati al cambiamento senza rinunciare ad un rapporto con la nostra storia, senza rinunciare a processi di contaminazione tra culture diverse come realtà nuova e senza rinunciare ad un internazionalismo che rispetti diversità mentre deve rendere “universale” il bisogno di società socialiste. Il compito è arduo quanto faticoso anche perché abbiamo una parte della generazione “anziana” lontana e “vecchia” e una parte della generazione giovane infantile, non raramente pressappochista e altrettanto “vecchia”: trionfo di egoismi generazionali facilmente gestibili dal potere nonostante la mancanza di orizzonti certi e la messa in discussione di diritti conquistati. L’irrequietezza, la contestazione, l’insoddisfazione, la stessa mancanza di lavoro e di prospettive non sono elementi determinanti per qualsiasi progetto di trasformazione e, anzi, possono rendere fertile un terreno contrario. E, comunque, la società non è gestita dagli “adulti” anche se questa sembra la realtà e neppure dai giovani anche quando sembra tutti li rendano responsabili di qualcosa. Le società sono gestite in termini di classe (dominanti e dominati, sfruttati e sfruttatori…) mentre sempre più confuso è il ruolo degli “intellettuali” e sempre più pressante quello dei “senza classe” e del “parassiti”. Il distacco allora non è solo generazionale ma anche tra un vecchio mondo e il nuovo che fatica oltre misura a nascere. Le ideologie sono in crisi? I partiti hanno perso la loro funzione storica? La militanza è anch’essa in crisi? Ammettere che ideologie, partiti e militanza sono in crisi è cadere in un “trabocchetto” utile essenzialmente alle classi dominanti che possono tranquillamente fare a meno dei partiti (hanno ben altri strumenti per realizzare egemonia e potere), delle ideologie e della partecipazione popolare. Segnali di crisi vi sono senz’altro ma non serve ammetterlo quanto trovare soluzioni… Un passaggio reale dalla “filosofia speculativa” alla politica e, quindi, all’azione rivoluzionaria non si è mai completamente compiuto mentre, al contrario, si lavora per umiliare ogni mezzo a tale scopo utile, necessario, adeguato. Pertanto deve ripartire un lavoro per l’egemonia coscienti che l’egemonia della classe anticapitalista non rappresenta l’affermazione di una nuova struttura economica e una nuova organizzazione politica ma un nuovo orientamento culturale, ideale e morale che ci consente di penetrare prima la conoscenza e la filosofia e, poi, il che fare praticamente. Sappiamo che la base economica determina una complessa superstruttura politica, ideologica, che è condizionata dai rapporti di produzione e di scambio e, a maggior ragione, si comprende come la filosofia sta alla politica e l’operare per trasformare una società sia un grande valore filosofico appunto. Pertanto “chi vuol marciare verso il socialismo per un cammino che non sia di grande democrazia politica arriverà inevitabilmente a conclusioni assurde e reazionarie, sia dal punto di vista economico che politico” (Lenin). In Occidente, infatti, la rivoluzione borghese (e non in tutte le società è compiuta) che esprime la necessità di sviluppo del capitalismo e dell’imperialismo, che li allarga e li approfondisce, che opprime e sfrutta senza ritegno (esseri viventi ed ambiente) non può farci dimenticare i principi elementari del marxismo circa l’inevitabilità dello sviluppo del Capitale sulla base della produzione mercantile né, tanto meno, che le libertà politiche, pur nei limiti della democrazia borghese e senza rimanerne coinvolti, sono la condizione stessa per conquistare la democrazia di fondo e per mettere in discussione la proprietà dei mezzi di produzione valorizzando personalità diverse, capacità diverse e giusta considerazione di ciò che deve essere pubblico e di ciò che appartiene, necessariamente, alla “sfera privata” valorizzando intelligenze e risorse. La borghesia, infatti, ha da temere dalla sua stessa rivoluzione e le forze antagoniste dall’incapacità di portare a compimento la tappa della rivoluzione democratica ed antifascista, della rivoluzione culturale per un uomo nuovo, una nuova donna. “Quanto più sarà completa e decisiva la rivoluzione borghese tanto più il successo del proletariato nella sua lotta contro la borghesia sarà garantito” (Lenin). Va riattualizzato, pensato nel presente, il rapporto tra democrazia e socialismo, lotta quotidiana e obiettivi, organizzazione rivoluzionaria e movimenti sociali e via elencando. Ecco perché ci deve essere unità tra pensiero ed azione e praticabilità degli stessi, capacità dirigente della classe (anche verso se stessa), e possedere una prospettiva che superi l’immediatezza empirica individuando ogni specificità nazionale e storica, ogni specificità internazionale.

15)   Nel programma minimo di DP, nelle schede di documentazione prodotte, nei tanti articoli pubblicati sulla sua rivista o nei siti internet, hanno trovato ampia trattazione argomenti per analizzare la fase e per corrispondervi organizzate iniziative. Cercheremo, allora, in questa relazione ridotta ai minimi termini, di andare oltre e di aggiungere nuovi elementi teorici per agire con più consapevolezza. E, comunque, eviteremo di approfondire tematiche anche rilevanti e che lo meriterebbero.

16)   Non è casuale che il più grande impegno dei potenti della Terra sia quello, nel nuovo millennio, di mortificare la democrazia utilizzando la stessa informazione come possente quarto potere (dai sistemi elettorali al diritto di sciopero, attraverso consumi imposti e smantellando i diritti) per meglio tutelare il profitto ed interessi particolari. Proclamare, lo ribadiamo, “ritorni a Marx” o sperare in un Keynes che ce la metta tutta per una “pace sociale” che oggi neppure riterrebbe utile per il Capitale dinanzi alla crisi del movimento operaio, ipotizzare il ritorno di un qualsiasi grande del pensiero rivoluzionario, così come auto-proclamarsi tutti zapatisti, spiana la strada ad un positivismo fuori tempo che esalta quello che ancora definiamo materialismo volgare. Ci sono, poi, coloro, a sinistra della sinistra del centrosinistra (e anche di DP) che propagandano l’obiettivo finale ma non individuano, dopo essersi dichiarati avanguardie e aver constatato che la massa è piena di idioti che non li comprendono, il modo concreto per giungervi, altri, infine, sempre a sinistra di ogni sinistra, mentre continuano senza sosta le discussioni su Stalin e Trotskij, vivono il presente in attesa di tempi migliori e di una rivoluzione che sarà “mondiale” o non sarà. Il riformismo, invece, sconfina con un darwinismo interpretato male e attende tranquillamente un capitalismo umano o lo sollecita dentro una miriade di speranze deluse e con la convinzione non nascosta che si passerà da un regime all’altro (o che forse alternandosi è già accaduto) senza una funzione determinante dei soggetti rivoluzionari e lasciando l’organizzazione nell’ombra riducendo la storia stessa ad un indagine delle leggi della formazione economico-sociale, alle statistiche, alla sociologia, alla continua considerazione dell’erba del vicino, al meccanicismo. Vi sono a sinistra sogni che immaginano un partito alla Sem Terra e altri che lo ipotizzano alla Blair ecc. Poi non mancano quelli che rimangono convinti che la rivoluzione borghese sta al capitalismo come la crisi dello stesso ed il suo andare a destra al socialismo: e li incontri sorridenti mentre fascisti, razzisti e padroni vanno al Governo definendo incoerenti coloro che ritengono che la classe può essere egemone anche di una rivoluzione democratico-borghese in talune situazioni attraverso l’anello essenziale dell’insediamento territoriale e della chiarezza di un programma per l’alternativa socialista. Ecco: ritorna prioritario avere un piano anche per evitare che proposte di sinistra unita, fronti unici, consulte della sinistra critica e antagonista non siano slogan o future “alleanze” vuote, demagogiche, affidate ad una spontaneità che non va oltre il livello della coscienza sindacale, rivendicativa e contestativa. Bisogna fare propria la teoria del movimento tra le masse, dirigere, provare a dirigere, saper ascoltare, organizzarsi nelle forme più diverse, sporcarsi con le diversità tollerandole e rispettandole, rendersi leggibili, elaborare una strategia e condurre una tattica adeguate, non rifiutarsi di condurre iniziative modeste, sapere un po’ di tutto, investire la società con atti pratici e a tutti i suoi livelli e fare politica nel senso più ampio del termine coscienti che l’aggravamento dell’oppressione nazionale si esprime su una nuova base storica: il neo-imperialismo. Con Croce ci perderemmo in un internazionalismo come fuga dalla nostra stessa realtà. Con Lenin, e poi con Gramsci, sappiamo che la questione nazionale assume maggior rilievo  quando l’imperialismo arriva in una fase superiore e che una qualsiasi riforma strutturale si deve ottenere dentro il sistema come conquista contro il sistema e i rischi di una neo-regionalizzazione essenziale alla neo-globalizzazione. Ciò che va valorizzato è “il senso di un processo” collegandolo alla realtà effettuale e continuamente mutevole e, non casualmente, in Italia ad esempio, la sinistra perde quando si muove in maniera tardiva, confusa, tra orientamenti diversi perennemente in lite, potenziando un’eterogeneità fatta di attriti e “scissioni opportunistiche” che l’allontanano dagli avvenimenti, incalzanti oltre modo, fino a farla diventare preda di avventurieri, burocrati di quarto livello, carrieristi, trasformisti ecc.. La stessa protesta viene subita e non orientata! Abbiamo, senza dubbio, un aumento vertiginoso di notai a sinistra che “registrano” o fatti spontanei o quanto le classi dominanti decidono. La vittoria del centrodestra in Italia, figlia anche delle esigenze del Capitale internazionale e delle grandi Banche, è la cartina al tornasole dei nostri limiti ideali, costituzionali, sociali che maggiormente evidenziano una società in frantumi, comunità in crisi (coinvolgendo la stessa famiglia), scelte scellerate di un centrosinistra piegato ora dagli interessi di Confindustria e di una finanza sempre reazionaria, ora dalla Nato (Otan) e dal potere imperiale ad egemonia statunitense. Un’opposizione delegata ai Rutelli è la ricerca sbiadita di un tradeunionismo fuori luogo e fuori tempo mentre oggettivamente si può ripartire dal basso e dalle piccole amministrazioni locali per marcare il segno di una differenza che spinga in avanti un processo dell’alternativa. I Consigli Territoriali che proponiamo rientrano in questa logica. La svolta autoritaria in Italia, dopo i tentativi post-guerra, la proposta di legge-truffa del 1953 (oggi una realtà), il Governo di Scelba e Tambroni (che si riattualizza con Fini e Berlusconi: la rima è casuale), anni di malgoverno democristiano, sogni di Golpe, le stragi di Stato ed il piano di Licio Gelli, oggi si è concretizzata. Passeranno pochi giorni e assisteremo ad industriali che porteranno il conto al nuovo Governo insieme a lobbies, grandi commercianti, poteri “nascosti”, poteri internazionali (FIAT docet)… si ritornerà a parlare con maggiore insistenza di gabbie salariali e meno che mai di qualità del lavoro, licenziamenti anzi esuberi, abolizione della legge sull’aborto, fecondazione assistita, soldi alle scuole private e confessionali, sviluppo finanziato di una sanità privata, attacco allo stato sociale a partire dalle pensioni, soldi all’istruzione privatizzata, ruolo predominante delle assicurazioni per sopravvivere, armamenti, infrastrutture senza altro criterio se non quello speculativo, militarizzazione del Paese e razzismo legalizzato… Il divario tra Nord e Sud aumenterà in maniera considerevole e la stessa carta costituzionale sarà attaccata nei suoi stessi principi con un’informazione sempre più controllata e bigotta. Si è riaffermata una “vecchia” Democrazia Cristiana, ancora più populista, con nicchie dorate per neofascisti e razzisti, destra clericale e faccendieri che rappresentano già l’affermazione di una nuova barbarie. E’ qui, a sinistra, che si pone il problema di “unire quello che il padrone divide” in funzione anticapitalistica: realizzare, cioè, un patto storico, una consulta, non tra partiti e partitini ma tra orientamenti ideali, sociali e culturali affini e diversi, tra condizioni sociali, tra generazioni, verso emarginati vecchi e nuovi, movimenti, associazioni ecc. verso quell’Italia viva che c’è e resiste e senza mai dimenticare la funzione insostituibile dei lavoratori. Senza mai dimenticare l’importanza di una “strategia riformista” in direzione del porre o risolvere questioni nazionali ancora significative e storiche: la questione meridionale e del Sud del mondo, la questione vaticana e la stessa questione religiosa, la questione della grande criminalità organizzata, la questione dell’informazione intrecciata con un analfabetismo di ritorno e la proposta di un nuovo modello di sviluppo, nella pace, a partire dalle condizioni del non lavoro. Mancata riforma agraria, sviluppo distorto del turismo, “patetica” politica dei beni storici ed ambientali ed un altro lungo elenco di tematiche vanno rimesse all’ordine del giorno come contrapposizione necessaria a chi ti vuole sulla difensiva mentre massacra ogni conquista realizzata e normalizza, tra pensiero unico e futuri scudi stellari, la società nel suo insieme.

17)   Si tratta, in sostanza, d’individuare i tratti specifici della nostra situazione storica e di ogni processo in atto per un progetto che eviti il tuo isolamento e lo determini per l’avversario.

18)   DP sente un dovere la semplicità del lavoro porta a porta, il gazebo in una piazza o in un mercato, il volantinaggio in una fabbrica, in una scuola, in una piccola azienda agricola o fuori uno stadio. Con la capacità di cogliere proposte (ascoltare) e di indicare soluzioni attraverso un linguaggio altrettanto diretto, chiaro, comprensibile. Sentiamo il dovere di andare ovunque si esprima protesta e lanciare la grande battaglia con una proposta di legge sulle 35 ore a parità di salario, parlando dei diritti del malato e proponendo un miglioramento della legge sull’aborto o per una corretta alimentazione, per il diritto all’istruzione e la cultura, per lo sport popolare e la libertà nell’affiggere un manifesto. Dobbiamo crescere come buoni rivoluzionari misurandoci anche con la mediocrità del presente e tornando ad essere combattenti pratici. Dobbiamo amplificare le nostre voci e contrastare oscuramento ed esclusione senza aspettare che qualcuno lo faccia per te! E non dobbiamo mai smarrire il fine che vuole vederci impegnati in una fatica quotidiana che deve partire da un quartiere, una periferia per il riscatto delle classi subalterne…

19)   La Chiesa, il centrodestra (e riconoscendo le dovute differenze lo stesso centrosinistra), hanno imparato ad utilizzare due linguaggi per tenere in un unico blocco le forze dominanti e quelle subalterne, gli intellettuali o gli sprovveduti con lo scopo di tutelare, nella maniera più indolore possibile, gli interessi dei potenti della Terra e di mantenere in uno stato di “analfabetismo” il resto degli esseri umani. Non dovremmo stupirci neppure se dovessero riconoscere al movimento anti-globalizzazione delle ragioni che loro stessi condividono! Sarebbe interessante, comunque, proporre ai Grandi della Terra di incontrarsi in Colombia, in Palestina o in Brasile: andremo ancora più volentieri a manifestare se non fossero così vigliacchi da rinunciarvi preferendo navi da crociera e la protezione di “militari” e Governi complici. La Terra è del popolo: noi siamo in realtà i Potenti della Terra! E’ anche in questa contraddizione che dovremmo inserirci percorrendo strade anche inesplorate, sollecitando la sinistra a fare la propria parte, con un linguaggio esplicito che scaturisca dai problemi stessi che ci sono ed aumenteranno perché la lotta per l’egemonia è essenzialmente una “rivoluzione culturale”.  Capitani senza esercito sono una miserevole opportunità quanto eserciti senza capitani: ancora più miserevole è avere capitani che non creano i loro sostituti capaci o che non sanno valorizzare tra le fila dell’esercito ogni intelligenza e disponibilità. E’ il materialismo volgare che affida la propria fortuna unicamente alla sconfitta e alla speranza che la forza delle cose a lungo andare ti vedrà vincente mentre, al contrario, la lotta per l’egemonia prevede anche piccole tappe per realizzare piccole conquiste e un intervento continuo verso la base economica, la sovrastruttura politica e la superstruttura ideale affinché un gruppo sociale inizi ad essere dirigente prima ancora di ottenere il potere: e questo è ancora più valido se sei abbastanza ambizioso di avere nel tuo programma ampio l’abolizione dello Stato e delle classi. L’organizzazione deve essere un collettivo di uomini e donne che non inseguono interessi particolari o personali ma indagano, organizzano, persuadono, costruiscono… Si tratta, cioè, di travasare l’analisi scientifica nel recipiente della politica concreta per capire esattamente come si specifica il capitalismo nel pianeta, in un Paese rispetto un altro, in un preciso momento, come si modificano le stratificazioni sociali che non si riducono alla borghesia e al proletariato, come si organizzano, vivono o si manifestano i partiti, le aggregazioni in genere, i movimenti culturali e di opinione, come agiscono le grandi unioni del potere (dall’ONU al Fondo Monetario Internazionale), quale ruolo hanno le ideologie, come s’interviene sull’ambiente e come si sfrutta ogni sua risorsa e per cosa e a favore di chi… e molto altro. Scegliere di essere rivoluzionari non è una moda né un hobby: è nei momenti più difficili che la piccola borghesia rivoluzionaria torna all’ovile e, viceversa, compagni e compagne leali aumentano il loro impegno. Non è il contrario o, almeno, non dovrebbe esserlo! Qui, tra vita pubblica e vita privata nasce una circolarità che può appartenere anch’essa, insieme a tante altre cose, ad una vera scelta di vita. Tra l’altro non bisogna mai banalizzare il Potere come se fosse la stessa cosa “vivere la politica” sotto Mussolini o Prodi, sotto Jospin o sotto Berlusconi. In Italia con i Governi di centrosinistra avevamo le condizioni per indicare un’alternativa a sinistra appunto. Non era tanto il resistere quanto la possibilità di avanzare. Occasione persa. E questo ci invita ulteriormente a comprendere che il problema non è la conquista dello Stato se non si conquistano trincee nella complessa società civile (la sconfitta del centrosinistra ha camminato di pari passo con un forte ridimensionamento del PRC e la quasi scomparsa del PdCI senza un’affermazione esaltante delle liste alternative o dei radicali o della lista Di Pietro): in Occidente vi è, dunque, un intreccio tra guerra di movimento e guerra di posizione anche perché l’una non è, unicamente, offensiva e l’altra non è, unicamente, difensiva. Questa analisi incide profondamente sulla tattica e sulla strategia rispetto a quanto già teorizzato o vissuto in precedenti situazioni storiche. E’ un elemento che se ignorato ci ingabbia nel rischio o di battaglie solo difensive o in un’offensiva inconcludente e facilmente gestibile per giustificare una mortificazione senza freni del già precario sistema democratico. Attendere una fatidica ora X, invece, è semplicemente da imbecilli!

20)   La storia del marxismo si è intrecciata con gli avvenimenti di oltre un secolo ed ha convissuto con vittorie e sconfitte ma un vero trattato politico (dopo Lenin e Gramsci) non è mai stato scritto. Indubbiamente gli scritti di Labriola o Mao, Luxemburg o Mariategui, Guevara ed Ho Chi Min ( e di tanti e tante combattenti) rimangono pietre miliari! Niente a che vedere con tante produzioni che pure esistono e che spesso si sono inserite in un mercato editoriale più che nel vivo delle lotte…. Enorme comunque la produzione marxista su diverse tematiche ma non raramente essa ha oscillato tra erudizione e accademismo e con qualche difficoltà si è lavorato per precisare l’essere comunisti e quale società esattamente si propone. “Senza teoria nessun movimento rivoluzionario è possibile” (Lenin) e si avanza come un bambino che ancora deve imparare a camminare fino a non comprendere che esiste solo l’economia politica in rapporto con tutte le relazioni sociali. La società neo-liberale, ad esempio, non disdegna né il conflitto, né la contrattazione e neppure l’accomodamento tra le parti purché siano rispettate le regole del gioco. Ciò che essa rifiuta, ritorno di un anticomunismo feroce dopo l’URSS ed il muro di Berlino, è il conflitto di classe con la disponibilità ad attaccarlo anche se in crisi o non espresso. Compito dei comunisti, invece, è attualizzare il marxismo-leninismo (e la lezione delle tanti e plurali esperienze) oltre il mero conflitto. Questo vale per l’Occidente, per quei Paesi industrializzati che si vedono comunque ridimensionati mentre i loro poteri economici e finanziari vengono “presi” ad uno ad uno, lavati e conditi, come accade alle foglie di insalata. Ed intanto assistiamo ad uno scontro tra aree capitalistiche, tra un capitalismo “stagnante” ed uno “dinamico”, tra grande industria e nuova media e piccola industria collegata alla stessa nella produzione o con essa in competizione. In altri Paesi, oltre l’Occidente, nasce una nuova classe operaia schiavizzata, esplodono nuovi processi migratori ancora non gestiti pienamente dagli interessi del profitto,  si assiste ad un ulteriore assalto alle ricchezze ed alle risorse e continua ad essere quasi inesistente una forte classe autoctona di capitalisti nonostante una “perenne” consistente proprietà terriera. L’organizzazione mondiale delle disuguaglianze assume anche per questi motivi proporzioni nuove e dinamiche altrettanto originali rispetto al passato. Ai paradisi fiscali si aggiungono quelli salariali. Una delle forme più tragiche per le lotte in Africa o in Sud-america, ad esempio, può essere rappresentata dalla non considerazione delle tante culture presenti, degli indios, della condizione agraria, della continua mobilità delle risorse umane e del ruolo prepotente di un capitalismo straniero fortemente condizionato dalle scelte delle istituzioni di Bretton Woods (dal Fondo Monetario Internazionale alla Banca Mondiale).

21)   Tre compiti sono, dunque, dinanzi ai comunisti ed alle comuniste: a) diritto ad esistere per b) creare coscienza sociale e di classe e c) creare coscienza in generale. Le classi dirigenti sono sempre coscienti dei loro interessi e possono, anche per questo motivo, dedicare parte sostanziale del loro tempo a “strappare”alla classe antagonista consensi e partecipazione. Il mondo del lavoro e degli oppressi ecc. rappresenta la grande maggioranza della popolazione ma la sua prosperità non dipende dallo sfruttamento e la sua “rivoluzione” se compiutamente realizzata rappresenta la più radicale rottura con i rapporti tradizionali di proprietà: questo i potenti della Terra lo sanno meglio di chiunque altro! Ma se il lavoro paziente e con ogni mezzo delle classi dominanti è dedicato ad allontanare le masse dalla loro rivoluzione il programma delle forze alternative non può non vivere di lotte intermedie, battaglie quotidiane e continua “riforma per un nuovo senso comune” e per costruire una “volontà collettiva” che liberi gli elementi della nuova società “dei quali è gravida la vecchia…” (Gramsci).  Oggi, però, dopo il fallimento e le sconfitte di alcune società socialiste e di alcuni partiti comunisti, dobbiamo ammettere che la stessa coscienza di classe una volta acquisita è “mutabile”.

22)   E’ un conflitto, che a volte inganna, anche quello della piccola e media borghesia contro la borghesia. E’ il più reazionario dei conflitti, finalizzato alla conservazione e nemico di ogni piccolo mutamento. Ma i comunisti devono avere la capacità di inserirsi in questa contraddizione anche perché non deve ingannarci la capacità di resistenza del capitalismo: esso non è mai riformabile e non può fare a meno dello sfruttamento e della stessa disumanizzazione pertanto inserire elementi di socialismo nella società è sconcatenare la stabilità contraddittoria del sistema.  Si tratta, possiamo affermare, di trovare risposte adeguate alla capacità del capitalismo di “perpetuare se stesso” e si tratta di farlo nella consapevolezza che la lotta per l’egemonia va distribuita in ogni direzione coscienti che non vi è solo frammentazione della sinistra ma divisioni profonde nel mondo del lavoro (contratti, specializzazioni, funzioni, salari, condizioni di vita e status sociale…)  e tra questo ed altri soggetti antagonisti mentre gli stessi termini di solidarietà e fratellanza sono stati quasi totalmente svuotati o indirizzati ad un nuovo “missionarismo”. Compagni e compagne: la conquista della stessa società  socialista, che non è dietro l’angolo, è comunque una tappa, e non il fine ultimo, del più grande progetto di liberazione e di emancipazione dell’umanità. E, intanto, abbiamo imparato che le classi dominanti, oltre la protezione di Stati e apparati, grandi Istituzioni e affaristi d’ogni risma, hanno risorse enormi per “resistere” nonostante la crisi strutturale che le pervade. E non è la protesta a farle tremare! Né la sola organizzazione anche se, senza la stessa, senza un programma, senza la creazione di un nuovo “blocco antagonista”, nessuna lotta ha senso compiuto né capacità trasformatrice. Non è il tempo, probabilmente, del partito di massa ma neppure quello del solo movimento. Non è neppure il tempo per la nascita di un grande sindacato unitario collegato alla classe. La crisi della sinistra è l’unica certezza di questo presente. Ragionarci invita appunto a definire quale strategia, in un Paese a capitalismo avanzato e dentro il nuovo panorama globale, è necessaria. Costituzionale? Una tendenza alla realizzazione di riforme sociali (ogni controriforma del sistema ormai viene chiamata riforma) va distinta da una strategia propriamente riformista e tuttavia tale tendenza (che va oltre la semplice rivendicazione) può rendere permanente un processo rivoluzionario anche perché uscire dal quadro democratico-borghese implica un suo grave arretramento e l’impossibilità di allargarlo per la conquista di bisogni immediati, per creare coscienza, per preparare un diverso futuro… Dobbiamo far diventare “eversivo” nel “senso comune” l’attacco alla Costituzione, ai diritti fondamentali (da quelli del disabile a tutti gli altri), “eversivo” l’intreccio tra politica ed affarismo e l’intreccio tra poteri occulti e politica. “Eversivo” toccare la carta dei diritti nel lavoro ed “eversivo” finanziare chi a ricchezza vuole aggiungere ricchezza tra lavoro sommerso, precarietà e disoccupazione. “Eversivo” puntare il fucile contro l’ambiente e contro i diritti della donna o dell’infanzia. “Eversivo” un basso salario, portare capitali all’estero o partecipare ad una guerra quanto sgombrare uno spazio abbandonato occupato per valorizzarlo, negare la diversità o uno sciopero, assalire un lavoratore che difende il posto di lavoro o un disoccupato che cerca di conquistarlo. “Eversivo” è privatizzare utenze e servizi e non garantire sanità, istruzione, trasporti, luoghi sociali. “Eversivo” essere anche a parole razzisti quanto negare pensioni vere per vivere a chiunque contro privilegi e sperequazioni inaudite. “Eversivo” è escludere i lavoratori e la popolazione in genere dalla gestione della “cosa pubblica”: il Governo Berlusconi è un Governo “Eversivo”, combatterlo è difendere la democrazia per ampliarla! E’ portare a compimento un “nuovo Risorgimento” che si incarna nella rivoluzione democratica ed antifascista,  è contrastare il “piano eversivo” delle classi dominanti che non rispetta neppure le stesse leggi nate sul terreno della democrazia borghese. Le affermazioni di Bossi, invece, a Sud dell’Austria, della Svizzera ecc. sono semplicemente patetiche nonostante non bisogna abbassare la guardia verso questo gruppo di pericolosi esaltati…

23)   Impadronirsi strategicamente di un piano per lo sviluppo della democrazia non può non evidenziare i limiti “rivoluzionari” delle classi dominanti e la loro assurda permanenza al potere e non può non condizionarne le scelte verso lo stesso sviluppo tecnologico, la ricerca scientifica ed i bisogni in generale. “I riformisti” negano esplicitamente il marxismo e vivono le piccole conquiste insistendo nel dominio sulle classi subalterne e in un gradualismo che non modifica sostanzialmente i rapporti di forza nella società tra le classi. Altra cosa è l’utilizzo ragionato delle riforme che valorizzi la lotta di classe su molteplici e differenti fronti e ai diversi livelli. E, infatti, non è casuale che a questa strategia le classi dominanti, tentando di fermare le stesse lancette della storia, si oppongono senza tregua e con ogni mezzo repressivo o parallelo. Dopo la svolta autoritaria del 13 maggio 2001, in Italia, le istituzioni rappresentative vanno salvaguardate e deve, al tempo stesso, da sinistra essere riproposto il tema di un loro sviluppo e, quindi, di un’oggettiva Riforma dello Stato che renda più consistente la partecipazione popolare e dei lavoratori. Va ampliata la libertà, vilipesa e mortificata a partire dai meccanismi elettorali, e la stessa plurale e peculiare esistenza dei partiti, movimenti, associazioni, tutelando particolarmente ogni minoranza. In campo internazionale riformare l’ONU o il Fondo Monetario Internazionale, ad esempio, assume identico valore. Significati altrettanto utili li comprende la lotta per lo smantellamento della Nato (Otan) e ogni incontro tra i potenti della Terra che escludono le rappresentanze sociali. Saranno nostre battaglie quella contro la militarizzazione del Paese, per la pace, contro eserciti professionali, per riformare il sistema carcerario, per tassare la nuova tecnologia a favore dei disoccupati, per carte dei diritti che guardino alla società multietnica e al controllo dei mezzi d’informazione. Senza dimenticare borgate, quartieri e piccole questioni. Stiamo con i piedi per terra e pertanto sappiamo, anche, che saremo soprattutto una “provocazione sociale”, una forza di denuncia, uno stimolo per organizzazioni attualmente più consistenti di noi e, comunque, una presenza che con idee chiare cercherà di vivere con coerenza l’essere comunisti e comuniste senza temere l’essere “minoranza” e le tante sconfitte che costelleranno il nostro cammino. Non siamo dei sognatori per questo, per noi, “resistere ed avanzare” è un tutt’uno! Come spesso affermiamo. Avanzare, dopo la vittoria della parte più cinica e retriva della società, è realizzare nell’immediato un’opposizione “matura” che condizioni fortemente le stesse cittadelle del centrosinistra, ripartendo dal basso ma utilizzando, quindi, anche, tutti gli espedienti istituzionali e costituzionali per sviluppare lotte e far esplodere contraddizioni in ogni settore della società. Con una forza maggiore avremmo detto: per spingere in trincea le forze della reazione, per liberare le zone maldestramente occupate da cinici e corrotti invasori…

24)   Quando le forze di destra ottengono il potere attraverso “libere elezioni”, abusiamo dei termini, hanno un vantaggio politico (e anche psicologico verso la stessa popolazione) nel fare scelte e leggi per quanto scellerate (alcune tra l’altro neppure immediatamente comprensibili nella loro disuguaglianza ai più: meno che mai se il problema del centrosinistra è constatare se Berlusconi rispetterà il suo programma come se anche il farlo riguardasse gli interessi del Paese)  e tra i loro primi obiettivi vi è quello di condizionare le opposizioni al dialogo, alla semplice critica e alla correttezza definita impropriamente democratica. E, invece, un processo della contrapposizione deve partire dalle grandi città dimostrando la pericolosità del “contratto” delle destre, la loro incapacità e miopia politica, il loro asservimento acritico ai potenti della Terra mettendo in cantiere, altresì, lotte tenaci e coinvolgenti per una “strategia delle riforme” a tutto campo privilegiando le questioni legate al lavoro, alle certezze, al futuro e alla stessa qualità della vita (dalle fonti alternative di energia al tempo liberato, da nuove leggi elettorali proporzionaliste al controllo popolare sull’informazione). La rivoluzione democratica diviene solo così la base per ogni ulteriore avanzamento e la condizione stessa per resistere. Non è apocalittico dichiarare che il manganello la farà da padrone nei cortei, che la vita carceraria sarà più dura, la libertà strangolata, il grande privilegio privilegiato, ogni conquista umiliata. Non è apocalittico presupporre che tante “emergenze” renderanno città e cittadine sempre di più controllate e “armate” (emergenza pedofili, emergenza droga, emergenza piromani, emergenza microcriminalità, emergenza migranti tutti cattivi, emergenza violenza rom, emergenza coste da tutelare da arrivi indesiderati, emergenza terrorismo, emergenza discoteche dove “ci si sballa” ecc. ecc.) e “imporranno” maggiore repressione.  Non è apocalittico il ritorno di un vecchio cattolicesimo alla ricerca disperata di un Carlo Pisacane da fermare e, tra un Gasparri e un ministro leghista, un Galileo Galilei da processare e qualche Mozart da “assassinare”… Ora alcuni “rivoluzionari”, mai domi, sono convinti (come se non sapessero che nessuna strategia insurrezionale è proponibile in Italia e nell’Occidente capitalistico) che un governo delle destre offre la possibilità  certa di uno scontro ai livelli più alti. In passato alcuni erano convinti che i comunisti dovessero trionfare in Sicilia o nel Veneto. Chissà quale era lo stato d’animo degli apostoli mentre il popolo mandava a morte certa e dolorosa il Cristo dei miracoli. In realtà è dinanzi ad un Governo di centrosinistra che bisognerebbe non lasciare nulla d’intentato per spostare il popolo verso l’alternativa ed evitare che il suo fallimento corrisponda ad una affermazione “elettorale”, inizialmente, delle destre: non è stato fatto! Va svelata la debolezza di un riformismo “interclassista” che lascia l’elemosina ai poveri e continua a tutelare i ricchi (miopia e cedimento più che revisionismo…). Contro il centrodestra, supportato da forti poteri, va realizzata una strategia che crei coscienza generale e sociale e partecipazione popolare. E’ realizzare qualcosa di estremamente complesso. Anche questo ci hanno insegnato le esperienze del passato oltre ad un quadro attuale indubbiamente “esplosivo” (le destre che avanzano in Europa, che sono annidate in Israele e negli USA, il plan Colombia, le situazioni di crisi nei Balcani, in Medio Oriente, in Palestina, in diversi Paesi africani e asiatici e nelle Americhe, i rischi di conflitto tra le due Coree ecc. ecc.). Diverse situazioni che richiedono “convenzioni internazionali per l’alternativa” e, al tempo stesso, la comprensione di diversità che impongono tattiche e strategie altrettanto diverse in ogni Paese.

25)   La strategia che per un’organizzazione rivoluzionaria si rende nel presente non sostituibile non realizzerà, indubbiamente, un desiderato, repentino ed immediato, rovesciamento dello Stato capitalista (stiamo costruendo l’opposizione di classe) ma mentre intende ostacolare il permanere di una destra eversiva e sociale al potere deve evitare che il centrosinistra la rincorra sul suo stesso terreno e assimilandone parte sostanziale del programma. Chiedere che un Governo cada subito non troverebbe forti consensi ma creare le condizioni per farlo cadere il prima possibile smascherandone le mire antipopolari è una necessità. Va ostacolata, anche, un’ulteriore decomposizione sociale e una decadenza nelle masse in genere. Essenzialmente, in presenza di un piano anti-economico che mantiene disoccupazione anche occupando e disoccupazione di fatto e di un piano anti-sociale che non risparmierà, in nome del profitto, nessun settore della vita civile dobbiamo prestare forte attenzione al rischio di criminalizzazione del movimento antagonista e passare dal terreno delle polemiche e della contestazione a quello della proposta e dell’agire nel profondo e in ogni direzione. Va ricercata fortemente la visibilità di una coerente organizzazione rivoluzionaria, una precisa propaganda che aggreghi sapendo che non sono importanti i numeri ma la continuità, il non tirarsi in disparte, il non esaltarsi nel chiuso delle proprie sedi, trovare appuntamenti (anche per la semplice raccolta di firme) che leghino tra di loro le diverse realtà di DP dal Sud al Nord del Paese e DP a quanto comunque si realizza contro questo Governo, contro il Capitale, contro l’imperialismo. Farlo con serietà, con grande senso di responsabilità, evitando di fornire all’avversario i pretesti per stringere ancora di più la morsa contro la democrazia. Farsi trasportare dalle semplici passioni e da rivolte corpose che riducono lo scontro ad un conflitto tra manifestanti e poliziotti non hai mai determinato la fondazione di nuovi Stati e neppure si fanno le rivoluzioni con l’eroismo ed i sacrifici inutili. Serve perseveranza e la ricerca di mezzi adeguati per non essere né una semplice testimonianza e neppure una notizia priva di contenuti in un telegiornale che più che rendere esplicito un programma valorizza una finta democrazia: paternalista mentre ti criminalizza. Il Consiglio Territoriale che intendiamo costruire deve, anche per questi motivi, essere la cellula viva della stessa società nuova che s’ambisce edificare, la base in potenza di un più ampio mutamento di fondo ovvero un nuovo “organismo collettivo” consapevole che le modificazioni dell’ organizzazione del lavoro così come quelle dei rapporti tecnici di produzione si ripercuotono sulla stessa classe e sulla società complessivamente e che, nella fase attuale, il capitalismo “internazionalizzato” ed i suoi giullari o complici hanno deviato le lotte, gran parte delle stesse, dalla sfera della produzione verso la sfera privata. Il lavoro base è conquistare consenso: un consenso partecipato, critico, ragionato. Le stesse lotte sindacali, chiunque le proponga, sono quasi esclusivamente tese alla ricerca di miglioramenti salariali (neanche la qualità del lavoro è considerata (scarna la stessa battaglia contro le morti e la nocività lavorando), indirizzate alla sfera del soddisfacimento individuale). Ciò impone un lavoro paziente che scardini quello che definiamo un “consenso volontario” all’equilibrio capitalistico purché non si metta in discussione “il benessere” raggiunto. La lotta, in Occidente, per il socialismo è una lotta politica e una lotta ideologica che devono rendere una strategia apparentemente mediata oggettivamente rivoluzionaria. C’è una realtà operaia ancora rivoluzionaria, un’altra aristocratica e una terza oggettivamente corrotta con conseguente arretramento della stessa democrazia borghese e lotte per la mera difesa di privilegi egoistici. Un’analoga situazione è sempre di più evidente anche nel mondo dei “pensionati”. Ed in parte tra le donne in carriera. In carriera sono anche molti “capi” più o meno storici della sinistra istituzionale. Sembra quasi che la lotta di un operaio nella Corea del Sud non sia la tua e che la solidarietà internazionale non abbia nulla a che vedere con quella che si manifestò per il Vietnam o per il Cile. Sembra anche che la lezione del ’68 e quanto quella stagione aveva individuato ed inventato sia qualcosa da ricordare per qualche convegno o assai lontano nel tempo, come lontani appaiono anni e anni di malgoverno (vengono premiati i loro responsabili sotto altre spoglie), il decisionismo craxiano, tangentopoli che pur non rappresentando nessuna rivoluzione ha comunque reso più evidenti corruzione, malaffare e interessi coltivati contro il popolo.

26)   La sinistra istituzionale, nel suo insieme, senza farci ingannare da frasi sommesse o altisonanti, è allo sbando ed ha smarrito non solo le ragioni di classe che ne giustificavano l’esistenza ma non possiede una tattica ed una strategia comunicata né un programma nell’immediato o di lungo respiro oltre ai soliti titoli noti o slogan oppure, quando individua o propone importanti mete, le mortifica prima ancora che si estendano a tutta la società ed entrino oggettivamente nel dibattito politico (la tassazione dei BOT, le firme per la “scala mobile” o contro gli stipendi d’oro: ricordate? Che fine hanno fatto? E la gagliarda lotta davanti al Parlamento contro le liste civette ora non ha più senso quanto farlo per ogni diritto minacciato o eluso?).

27)   Ecco, dunque, alcune proposte. Esserci a Genova, al corteo dei metalmeccanici ed ovunque con strumenti di informazione e propaganda. Provocare il PRC a chiarire cosa intende per Consulta Unitaria della Sinistra e lavorare, nel rispetto di ogni autonomia sulla base di un programma e di un progetto, perché ci si trovi uniti nel fare opposizione e nel proporre. Incalzare le amministrazioni di centrosinistra a creare opposizione e a chiarire, oltre l’alternanza, il bisogno di alternativa. Costruire Consigli Territoriali per gettare semi nella società che inseriscano ovunque elementi di socialismo. Avviare una strategia riformista a partire dalle 35 ore a parità di salario, tassazione delle rendite e dello sviluppo tecnologico, richiesta di ampliamento di ogni legge conquistata per le donne e dei servizi in genere, proporre adesione alla difesa dello stato sociale inserendo nel dibattito proposte che guardino alla lotta contro la criminalità organizzata. Rilanciare il dibattito sulle questioni ambientali e la ricerca di fonti di energia alternative. Rimettere all’ordine del giorno le questioni della pace e della solidarietà, della libertà dei popoli e della cooperazione contro lo sviluppo ineguale. Ostacolare la nuova militarizzazione e favorire la riforma degli enti penitenziari. Rendere visibile la battaglia culturale e dell’uso del tempo libero conquistando spazi e liberandoli… Difendere la Costituzione e creare comitati unitari antifascisti sollecitando movimenti e creandone di nuovi. Evidenziare i privilegi dei potenti e insistere su una Riforma dello Stato contro sprechi, burocrazie e mancata partecipazione popolare. Valorizzare i grandi appuntamenti del 25 aprile e del 1 maggio ed il loro carattere internazionale a difesa della democrazia. Pretendere il rispetto della carta del Lavoro e dei diritti dei migranti. Intensificare i già proficui rapporti internazionali. Andremo a Cuba e porteremo il FZLN in Italia. Ci auguriamo, anche, di poter ospitare nel nostro Paese rappresentanti del PCML del Brasile o i compagni e le compagne della Rifondazione Comunista Argentina e coloro che avendone la possibilità e l’opportunità intendano venire in Europa e in Italia. Organizzeremo le prime conferenze programmatiche regionali per approfondire questi appunti ed arricchirli con specifici territoriali che devono essere patrimonio di tutta l’organizzazione. Da questo inverno partirà una scuola formazione quadri e quest’estate, intanto, realizzeremo, anche per autofinanziarci, feste popolari. Cinque appuntamenti sono già previsti a Roma. E già i compagni e le compagne della Capitale si stanno organizzando per iniziative in ogni quartiere. In sintesi: non ci spaventa né può impensierirci la mole di lavoro che ci andiamo imponendo per raggiungere risultati anche parziali ma è importante viaggiare uniti e soprattutto conquistare all’organizzazione altre energie da rispettare, valorizzare e rendere protagoniste. Nella tabella di marcia vi sono sit-in sotto le ambasciate americana (per l’ambiente e per Cuba) e israeliana per la Palestina.  Abbiamo scelto di essere rivoluzionari, di non farci distrarre da una fraseologia demagogica, di non prendere in giro noi stessi e coloro che vogliamo raggiungere. Abbiamo scelto di misurarci con la realtà, coscienti che ne facciamo parte, di metterci in discussione più volte, di non rinunciare a lottare per il socialismo senza illusioni ne false scorciatoie. E’ in questa ottica che crediamo interessante l’organizzazione autonoma dei giovani di DP: che va sostenuta e stimolata rispettandone scelte e creatività. Per avere, su ogni tema, vere e proprie commissioni probabilmente ci vorrà ancora del tempo ma già questa Direzione Nazionale indicherà compagni e compagne di riferimento. L’Italia si appresta ad avere giorni disordinati e noi dobbiamo lavorare per esserci e per orientare. Per costruire un progetto di liberazione al plurale. Non siamo dei protestatari, non siamo operaisti e neppure dei fanatici. E mentre saranno diversi a proporre nuovi partiti comunisti noi cercheremo di fare il possibile per una sinistra unita e rivoluzionaria che  ritorni ad appartenere a quel popolo con il quale vogliamo condividere un “sogno” da realizzare perché realizzabile... I vostri interventi, i contributi di idee che arriveranno, saranno la giusta conclusione per un’introduzione che va letta semplicemente come proposta parziale di un programma più ampio che deve appartenere, come la stessa organizzazione, a tutti e tutte.

19 giugno 2001