CHI È L’EDUCATORE PROFESSIONALE?

(luglio 1999)

Nel pieno del sedicesimo secolo, lungo la via di Panico, un prete fiorentino riuniva attorno a sé i ragazzi della strada del rione, figli di genitori dalla condotta equivoca:

"State fermi, se potete!", si sbracciava ad esclamare Pippo Buono, Filippo Nèri, fondatore degli Oratoriani con sede a1la Chiesa Nuova, complesso architettonico che si affaccia, da un lato sull’attuale Corso Vittorio e dall’altro, appunto, su Panico, al culmine di Monte Giordano. Un educatore profes-sionale, ante litteram, con funzioni che più di trent’anni fa i colleghi francesi, in reazione ad un sistema di intervento, prevalentemente orientato verso l’internato, denominavano di strada, ma che ora viene denominato, con minore equivocità, di prevenzione.

Se la denominazione è nuova, la funzione risale a tempi assai antichi, all’età classica, anche se questo educatore non insegnante era piuttosto privilegio di famiglie benestanti.

Nel nostro paese e nella nostra città questa professionalità si sta affermando solo ora. Da un punto di vista sociale la professione è, non di rado, messa in questione. Da un punto di vista giuridico si sta costruendo adagio, adagio. Da un punto di vista economico è conseguentemente in difficoltà. Al con-trario, in Europa, essa è riconosciuta e affermata oramai da decenni e, in molti paesi, anche economicamente e giuridicamente tutelata. La denominazione varia fra quella di "educatore specializza-o" e quella di "educatore sociale". Dopo il ongresso dell’Associazione internazionale degli educatori a Versailles, nel 1970, ove la denominazione di educatore specializzato fu contestata, in casa nostra fu proposta e accettata la denominazione proposta dall’educatore della rieducazione minorile Giuseppe La Greca, oggi Magistrato di Corte di Cassazione: "educatore professionale".

Non è, dunque, una professione nata di recente. Ha una tradizione alle sue spalle e di ampio respiro: dalle attività della "Boy’s Town" di P. Flanagan alla "Colonia Gorkj" di A. S. Makarenko. Un gran parlare di contenuti culturali e delle modalità della loro acquisizione e trasmissione hanno, nel tempo, messo in ombra gli aspetti di primaria importanza, da un punto di vista dell’educazione e della maturità umana: la persona come soggetto del processo di crescita, ed i vissuti della vita di ogni giorno sui quali si fondano e si costuiscono tutte le altre acquisizioni e maturazioni della personalità. Elemento caratterizzante la professione non è solo l’aiutare la persona del cliente ad aiutarsi da sé, quell’offerta di aiuto, si ritrova fin dal pensiero pedagogico medioevale, ma è, soprattutto, la capacità di condividere e partecipare agli eventi, anche imprevisti, talora imprevedibili, della vita quotidiana delle persone di cui ci si occupa, poiché sono questi eventi che non solo raccolgono, strutturano, unificano, racchiudono tutte le altre esperienze e vissuti di queste persone, ma costituiscono occasioni importanti e notevoli di stimolo ed incentivo alla crescita ed alla maturazione delle persone e dei gruppi, anche quando si tratti di eventi tragici.

Vi è, poi, il rifiuto a rinchiudere la professione all’interno di interventi esclusivamente riparativi, senza alcuna prospettiva nei confronti degli inteventi che possono essere di natura, largamente e generalmente, preventiva sull’intera popolazione giovanile.

In tale direzione si pone una precisa contestazione da parte della professione nei confronti di una organizzazione dei servizi sociali che non oltrepassi la dimensione dell’intervento in presenza di rischi e danni già in atto.

La professione di educatore offre, dunque, la possibilità di accompagnamento della persona e del gruppo in un itinerario di sviluppo che nella condivisione di momenti ed episodi fausti ed infausti, nell’ambito della vicenda esistenziale, da essa ed in essa, trae motivi ed occasioni per la soluzione di problemi, di conflitti, di ansie, di frustrazioni, così come la maturazione di affetti, di amicizie, di conoscenze. E’ il poco che l’educatore professionale crede di poter offrire per la crescita delle persone; ma un poco che si costruisce giorno dopo giorno, in continuità, valorizzando aspetti della vita, non di rado, ritenuti banali, in quanto ripetitivi, e ricorrenti, come il mangiare, il bere, il dormire, il camminare, il conversare e molte altre azioni ritenute di scarso significato.

 

 

Chiediamo di essere aiutati attraverso itinerari formativi che sappiano coniugare la scienza con la vita, anzi che sappiano trarre la scienza dalla vita, valutando il contenuto scientifico dell’esperienza professionale. Difficile operazione, certo, per una formazione che si appresta a consolidarsi nell’ambito accademico come attesta il progetto di Decreto del Ministro della Sanità.

"Se" - come ci rammentava Lord Robert Baden Powell, il fondatore dello scautismo internazionale - "la strada entra dai piedi", così "la vera scienza entra dall’esperienza". Gustavo Bontadini, filosofo contemporaneo recentemente scomparso, ci esortava a muovere verso la riflessione metafi-sica, partendo dall’analisi dell’esperienza umana.

E chiediamo di poter ottenere un salario adeguato almeno alle necessità della vita.

 

Paolo Marcon

(educatore professionale)