UOMO, SOCIETA’, PROFESSIONALITA’ nell’educazione non formale

Premessa

Il problema per eccellenza della vita è, consapevolmente o meno, il problema della sua finalità, del suo significato, del suo valore: in altri termini, è il problema della felicità e della gioia, della letizia per l’uomo.

L’universalità di questa problematica è rispecchiata, ad esempio, nel "Canto di un pastore errante dell’Asia" di Giacomo Leopardi (1798/1837 ). Nel silenzio della notte, di fronte alla sterminata steppa e all’ampia volta celeste, trapunta di stelle, il pastore, vegliando, si pone gli interrogativi che lo stesso poeta poneva a se stesso, come ogni uomo, più o meno coscientemente, pone a se stesso.

L’esperienza di vita e le condizioni specifiche delle singole persone influiscono nella risposta data a questi interrogativi: la risposta del poeta di casa nostra è piuttosto amara, sebbene sia conferma del valore dell’esperienza, del valore del vissuto nel viaggio che permette di andare oltre, di valicare, di superare l’esperienza stessa.

Si tratta di una vera e propria ricerca, ancorchè, appunto, inconscia, tuttavia spontanea, talora sofferta e tumultuosa, talora lineare e pacata.

All’alba dell’umanità, quando i pensieri dell’uomo cominciarono ad essere tramandati più concretamente attraverso la scrittura, si inizia ad avere una documentazione sul porre e sul porsi questi interrogativi: Talete di Mileto (624/548 a.C. ), contemporaneo di Solone e di Tarquinio Prisco, si pone, in Ionia, alla ricerca del "principio di tutte le cose " ( archè pantòn ), estasiato dalla contemplazione dei fenomeni naturali lungo la frastagliata costa dell’Asia Minore meridionale, disseminata di piccole isole e minuscole insenature, estremamente varia, tale da destare quella "meraviglia" che fa scaturire, appunto, gli interrogativi fondamentali.

Una ricerca che ancora non prende coscienza del posto autonomo che l’uomo (o àntropos=colui che guarda in alto ) ha nell’ambito dell’universo che lo circonda; presa di coscienza che avverrà più tardi attraverso i Sofisti ( seconda metà sec.V a.C. ) e Socrate ( 469/399 a.C. ), allorchè in termini politici, attraverso il dibattito democratico, ad esso, UOMO, verrà riconosciuto peso specifico; è l’età di Pericle ( 495/429 a.C. ) ed è trascorso dal tempo di Talete oltre un secolo.

Ogni ricerca su ciò che esiste e che ne voglia superare i limiti del qui ed ora, non può che prendere le mosse da questa stessa esistenza, qui ed ora, contenuta e vissuta nell’esperienza maturata giorno per giorno, anzi istante per istante.

Sembra, infatti, non sia possibile giungere a conclusioni oltre ciò che si vive, si vede e si tocca, se non avendo come punto di partenza ciò che si vive, si vede e si tocca, con un itinerario, un viaggio che porti ben oltre, ad un punto di arrivo che si prolunga, almeno ipoteticamente, anche nell’infinito.

L’andare oltre, il "meta" dei greci, e sì condizionato, ma è anche garantito dalla riflessione, dal prendere le mosse dalla fisicità dell’esistenza e dell’esperienza: la "meta-fisica" in un certo senso è un parto della "fisica", trova in essa la sua radice, la sua ragione, la sua giustificazione: "metafisica dell’esperienza" la denominava il filosofo contemporaneo recentemente scomparso, Gustavo Bontadini ( 1903/19 ), cogliendo in essa esperienza, il dato unitario e costitutivo della conoscenza sensibile e razionale donde trarre gli elementi di trascendimento necessari per ulteriori conoscenze ed ulteriori esistenze.

In un certo senso l’esperienza è, generalmente e normalmente, il punto di intersecazione per la presa di contatto da parte nostra con il resto del cosmo esistente, ivi compresa la realtà educativa.

 

  1. L’UOMO, PUNTO DI PARTENZA.

Questa esperienza che vogliamo analizzare e che ci interessa, è l’esperienza di un uomo, di una persona umana, di un vivente, razionale.

Ed è questo uomo a costituire il punto di partenza per un progetto di ricerca e di vita ( o per il relativo rifiuto ), tale da presupporre e da manifestare una concezione della vita e della realtà globale.

Un punto di partenza che sembra essere il più vicino ed intimo ad ogni persona: l’UOMO, appunto, in quanto SE’ ed in quanto IN SE’, non cosa fra le cose come quando è oggetto dello studio da parte delle SCIENZE NATURALI, o PSICOLOGICHE, o SOCIOLOGICHE, secondo un punto di vista pur utile e necessario che ne aiuta una conoscenza più completa ed analitica.

L’uomo e considerato, da questo punto di vista, come realtà di ME; non un qualcosa da definire, ma come un qualcuno che si definisce.

Vi è stato un cammino della conoscenza e nella conoscenza, come si è intravisto, che porta progressivamente l’uomo a prendere coscienza della propria autonomia nei confronti della natura: è quel cammino che dalle considerazioni cosmologiche iniziali che lo inglobano nell’insieme dell’universo, giunge alla scoperta dell’individualità umana, talora esplorata nel soggettivismo sofistico, comunque favorita ed alimentata da un periodo storico socialmente e politicamente significativo ( il sorgere delle politiche democratiche nelle città greche ), esaltata dalla ricerca metafisica platonica ed aristotelica.

Lo stesso umanesimo italiano porrà il suo accento sull’uomo, microcosmo che racchiuderebbe in sé gli elementi fondamentali del più ampio macrocosmo, sia in senso fisico che metafisico, riscattando l’accusa di "agnosticismo" od anche di "negazione metafisica", casomai provocata da una reazione ad una teologia invadente e debordante dell’area della rivelazione e della fede all’area della ragione e della riflessione la cui non contraddizione e la cui linearità di prosecuzione ed innesto era stata dimostrata ed affermata dall’ Aquinate.

Fino alle riflessioni personalistiche dei tempi più recenti che attingono e si ricollegano all’"individua substantia rationalis natura" di Severino Boezio ( 480/526 ) ed all’"omne inviduum rationalis natura, dicitur persona" di Tommaso d’Aquino (1225/1274 ) per proseguire con "un activitè vècu d’auto-crèation, de communication, d’adhesion qui se saisit et se connait dans son acte " (Emmanuel Mounier 1905/1950 ) e con "ein gestatetes in Innerlichkeit begrundetes, geistig bestiommtes und schaffendes Werden" ( Romano Guardini 1885/1968); una sostanza formata e fondata sull’interiorità, spiritualmente determinata e produttrice.

Il definirsi dell’uomo è perciò un definirsi dal di dentro INTERIORMENTE, e cioè

L’"io" che vedo e descrivo non è quello visto dagli altri; tuttavia posso comunicare quello che vedo in me e gli altri possono controllare se le mie affermazioni valgono ( o no ) per ognuno di loro.

Essendo io dentro al pensiero, lo colgo mentre si compie e si srotola; l’essenza delle altre cose viene ricostruita dalle loro manifestazioni e dai loro aspetti esteriori e sensibili, mentre l’essenza del pensiero sono io stesso.

Questo "io" è UNITARIO; se tutto in noi si riducesse, come è anche stato affermato, ad un fascio di fenomeni fisici, affettivi, mnemonici, ecc., senza un riferimento di successione e di serie, dunque di continuità e di permanenza, non si potrebbe essere che avvenimenti sconosciuti gli uni agli altri: esiste un filo che lega, un avvenimento di riferimento come ad esempio la memoria che richiama una serie di ricordi collegati.

Dietro, sopra, sotto tutti i vari aspetti studiati dalla psicologia e dalla medicina, sta l’UOMO nella sua UNITARIA INDIVIDUALITA’, unità che non esclude anzi richiama la molteplicità delle manifestazioni per cui l’uomo e irriducibile alla sua sola corporeità come alla sua sola immaterialità, un lungo percorso di riflessione che partendo da Platone ( 384/322 a.C. ), trova un primo approdo e compimento in Tommaso d’Aquino.

Il dualismo, così ampiamente diffuso nella cultura contemporanea, tende a privilegiare il dato intellettuale e razionale e a scapito del dato fisico e materiale: è un esito della cultura moderna e muove, più razionalistico che razionale, dal cartesiano "penso, dunque sono": la prima certezza, immediata, punto di partenza, sarebbe data dall’essere l’uomo, pensiero.

Al contrario questa certezza è data non dal vostro essere e dal nostro essere pensiero, bensì dall’esserci "qualcosa" e nemmeno qualcosa di specifico.

Lo spirito critico così largamente diffuso dal pensiero cartesiano con esiti ampiamente positivi, non è stato fino in fondo applicato al pensiero del suo promotore (Renè Descartes 1596/1650 ) così da sfatare il "pregiudizio" del razionalismo per rapporto alle constatazioni del realismo.

Infatti, a me, sono continuamente presenti corpi, cose che sono enti estesi, colorati, duri, molli, caldi, freddi; ho coscienza di pensare ma anche di sentire, di un sentire corporeo. Ed è lo stesso io che sente e conosce intellettualmente a conferma della UNITA’SOSTANZIALE dell’uomo.

L’essere corpo dell’uomo è un dato immediato della conoscenza sensitiva e non necessita di dimostrazione: l’uomo ha coscienza della sua corporeità come di un suo modo di essere anche se questa conoscenza diretta e immediata non dice cosa sia questo suo corpo, oggetto dello studio di discipline scientifiche fra cui la MEDICINA.

L’uomo che sente caldo o freddo, gioia o dolore è lo stesso uomo che studia, pensa e ragiona: è unità per sua specifica natura di INTELLETTO e CORPO ove l’intelletto è principio di unità sostanziale, principio determinatore, costituente l’essenza dei corpi per cui un corpo umano è quello che è e non un altro.

Le attività umane non possono essere ridotte né a puri fatti spirituali, né a sole manifestazioni corporee.

L’affettività ha substrati biologici, ma si prolunga oltre; l’arte plasma la materia, ma ha significati che vanno oltre; La tecnica è immersa nella materia, ma è attività che si caratterizza per il segno dell’intelletto umano; la società nasce da bisogni materiali, ma procede a soddisfare esigenze affettive e culturali.

Vi sono, tuttavia, attività dell’uomo che gli appartengono e che oltrepassano l’attività corporea e non possono procedere da un soggetto esclusivamente corporeo: l’uomo ha la capacità di conoscere principi universali ed ha la capacità di riflessione.

Un corpo conosce solo ciò che lo impressiona "qui ed ora", l’universale è una conoscenza che prescinde dal "qui ed ora".

Questo pensare, questo riflettere dell’uomo di fronte al vivere, di fronte all’esperienza, caratterizza tutto ciò che è umano.

I progressi della tecnica di fronte alla staticità della tecnica degli animali ne è conferma, oltre ad altre manifestazioni, fra tutte l’arte.

L’uomo conosce anche il suo conoscere, di cui ha coscienza riflessa, e conoscenza non mediata dagli organi corporei, come la conoscenza diretta ed immediata del corpo.

Nella conoscenza sensitiva ed esperienziale il corpo è consoggetto di attività: chi sente è il corpo animato e non la sola parte incorporea; nella coscienza intellettiva il corpo fornisce l’oggetto, l’immagine della quale con l’intelletto astraiamo il concetto.

Non è, dunque, possibile sentire senza il corpo, ma nel conoscere l’uomo manifesta la sua capacità di andare oltre la conoscenza sensitiva ed esperienziale.

L’UNITA’ dell’uomo è CONFLUENZA di elementi materiali ed immateriali: questi trascendono i primi, ma senza i primi, i secondi sarebbero insussistenti. Cosicchè l’uomo sta all’orizzonte tra due mondi: il materiale e l’immateriale, il corporeo e lo spirituale. La spiritualità si manifesta attraverso il modo do conoscere e di trattare le cose corporee.

QUESTA REALTA’ NON E’ UN ORNAMENTO MA CARATTERISTICA SPECIFICA.

L’analisi del personalismo aggiunge ulteriori approfondimenti al panorama e allo scenario dell’umano di cui sottolinea ulteriormente non solo alcune caratteristiche quali:

ma anche quali:

Tuttavia la finitezza si integra con la caratteristica della razionalità : nell’esprimersi razionalmente a se stessa, la persona fa affiorare assieme al proprio limite esistenziale, le condizioni cosmiche, sociali, politiche, storiche e metafisiche cui è correlata; riconoscendole avverte in sé la presenza effettrice di altro da sé, arricchendosene ed espandendosi oltre il proprio limite

La pienezza dell’essere passa per ogni singola persona senza confondersi con essa o risolversi in essa che mantiene la propria identità, anzi rende pienezza alla persona stessa e permette lo stabilirsi di rapporti molteplici che insediano la persona nell’alterità del cosmo, della vita sociale e politica, della storia, della realtà metafisica da cui è avvolta e che le offre condizioni specifiche di vita e di sviluppo;

Tanto è libera la libertà che può esaurirsi in se stessa, volendosi negativamente, come solo spirito di indipendenza: quella libertà da Nicolaj Alexandrovic Bardjaev ( 1874/1948 ) denominata formale e che si esplica inanemente ed in modo distruttivi nei confronti della razionalità, generando tragedie nel mondo.

La libertà sostanziale, esplicandosi nella razionalità, è atto umano attraverso il quale la persona sceglie se stessa e si edifica con energico consenso nell’ambito delle grandi coordinate dell’essere: la libertà così intesa è crescita del valore dell’uomo nei percorsi della storia, mentre l’astratto volersi della libertà, pur sembrandone l’espressione più alta e più pura, diviene il disfacimento della libertà, sfigurando il volto razionale della persona.

L’uomo non dispone di sé in modo da potersi annullare con il proprio atto pur se rivolto arbitrariamente contro di sé: la responsabilità è sempre immediatamente della persona verso se stessa e mediatamente verso l’altro con cui è in relazione, verso la società, verso la storia, verso l’Assoluto che ne è la fondazione.

La riflessione "personalistica" distingue il concetto di individualità (che costituirebbe il polo corporeo dell’uomo ) da quello di individualismo che per E.Mounier non organizza nell’uomo che attitudini di isolamento e difesa, centrando l'individuo su se stesso. La persona, al contrario, ha cura di diffondersi verso le prospettive aperte dalla persona stessa.

Se l’altro diventa alieno alla persona, contemporaneamente la persona aliena se stessa e se il "tu" non precede l’ io, almeno lo accompagna.

 

 

 

  1. DALL’INDIVIDUALITA’ ALLA SOCIALITA’
  2. L’uomo/persona si caratterizza, come detto, anche per la sua socialità; la sua individualità, la sua perseità, la sua identità non hanno significato di individualismo: la vita sociale è una espressione caratteristica motivata dagli stessi "bisogni" materiali che l’uomo soddisfa attraverso reciproche collaborazioni basate su di una razionale organizzazione; si tratta di una estensione partecipativa e relazionale del proprio essere al più ampio orizzonte della realtà e dell’essere nella sua totale globalità.

    L’aspetto negativo del materialismo storico non sta nell’affermare che alla base della vita stanno anche esigenze materiali, quanto nell’affermare che stanno solo esigenze materiali.

    Poiché le conoscenze attraverso l’esperienza diretta necessitano di processi a lungo termine, ci sono conoscenze che possono essere acquisite attraverso la comunicazione e la riflessione critica sull’esperienza storica e sociale.

    La vita sociale e la socialità umana non sarebbero, perciò una sovrastruttura contrattualistica sulla base di interessi utilitaristici, quanto un elemento costitutivi della realtà umana che necessita di uno sviluppo e di una maturazione per dare pienezza alla personalità individuale.

    Una società a dimensione d’uomo è concepita come unione morale e stabile di più individui che tendono ad un medesimo fine; essa tuttavia non esiste di per sé, chi esiste ed opera sono sempre gli individui:

    essa è unità di relazione, è un complesso di relazioni tra coloro che la compongono.

    Comunque, l’essere in società pone nell’individuo qualcosa di più e qualcosa di nuovo, si arricchisce di molte qualità e beni.

    Una visione integrale dell’uomo mostra l’ESIGENZA di vedere le cose anche dal punto di vista del gruppo, della comunità, della relazionalità. Se ciò che esiste è l’individualità umana, tuttavia esistono anche le relazioni fra persone e delle persone.

    Queste relazioni sono delle dimensioni anche materiali, e si collocano in luoghi topograficamente estesi cosicchè ogni relazione sociale ha anche una caratteristica di territorialità, di estensione topografica più o meno distante, radicata o sradicata dall’ambiente di vita comune delle persone che sono o sono state in relazione ove si svolge o si è svolta tutta o parte della reciproca vicenda esistenziale.

    Il progresso non ha avuto il significato della scomparsa del degrado umano in senso individuale e sociale, riprova evidente e drammatica, se mai ce ne fosse bisogno, della finitezza della persona umana. Tuttavia se da un lato ha impresso un ritmo vorticoso ai processi di evoluzione e dall’altro lato ha rese sempre più complesse le relazioni umane, i contatti ed i rapporti sociali, l’organizzazione dei servizi a disposizione della persona e la stessa valutazione del valore educativo dell’ambiente sociale comune in senso positivo è andato maturando.

    Il che significa che nell’attuale situazione storica, la valutazione che si scoda circa l’influenza negativa del dato ambientale (psicologico e fisico ) di un determinato territorio nei confronti dell’utenza va connessa con la valutazione dell’insieme dei contributi positivi che detto territorio offre da un punto di vista della struttura ambientale e dell’organizzazione dei servizi sociali alle persone.

     

  3. LA CENTRALITA’ DELL’UOMO
  4. Un progetto di vita è sempre, perciò, un progetto "UOMO".

    In una dimensione temporale e fisica egli è il CENTRO di attenzione e di attrazione perché esige il rispetto della sua individualità e della sua unità, espressione della sua molteplicità materiale ed immateriale, pertanto libera ed autonoma, nonché della sua dimensione ed espansione sociale.

    E’ più facile dirlo che realizzarlo, anche perché le enunciazioni se non connesse alle realizzazioni, lasciano, nei fatti, la situazione immutata; se così non fosse, non so comprenderebbero tanti fenomeni deteriori di rapporti umani dal razzismo, all’integralismo religioso, alla violenza, all’intolleranza, al pauperismo, all’adultismo, al totalitarismo, al capitalismo, all’esercizio dispotico del potere…

    Dimentichiamo che in quell’individuo è sempre inscindibilmente stretta una componente immateriale ed una componente materiale che si garantiscono e si compenetrano vicendevolmente in una armonica estensione relazionale.

    In una dimensione extratemporale egli è il PUNTO DI PARTENZA per una esplorazione metafisica in direzione dell’Assoluto, alla ricerca, all’interno delle percezioni temporali, dei significati e dei segni, delle tracce di un’essenza e di un’esistenza assoluta.

    Sembra che l’uomo non possa raggiungere immediatamente la conoscenza dell’Assoluto: il suo conoscere anche in direzione dell’Assoluto è sempre un conoscere mediato.

    Un Assoluto che nella tradizione cristiana si è manifestato agli uomini, condividendo la loro vita terrena, parlando la loro lingua, assumendo la loro natura anche materiale, è per svelare, attraverso la persona di Gesù, il Cristo, i misteri della propria essenza divina, inconoscibili direttamente a maggior ragione perché superiori alla comprensione dell’uomo e per confermare la presenza divina accanto all’uomo, presenza su cui egli aveva tanto a lungo concentrata la sua riflessione e su cui avrebbe continuato e continuerà a concentrare tale riflessione.

    La novità del messaggio cristiana, infatti, è data soprattutto da una visione d’Amore gratuito, cioè disinteressato; amore di donazione che non attende contraccambio, nemmeno sul piano affettivo, quell’Amore gratuito, la "Charitas" che nel pensiero paoliniano ha un rilievo tutto specifico: "nunc autem manent fides, spes, charitas: tria haec, maior autem horim est charitas (agàpe )"; come a dire che l’amore di donazione e gratuito riassume ogni altra virtù in quanto la contiene: si esprime una tale forma di amore perché si crede nella rivelazione e nel Rivelatore, e si attende la Vita nuova.

    Come l’uomo è capace di conoscenza, ugualmente è capace di amore; ma anche questo amore-Carità che si rivolge al Dio Uno e Trino, passa, è mediato dall’amore verso i propri simili, il "prossimo".

    Gratuitamente, con l’aiuto di Dio.

     

  5. EDUCARE E’ AIUTARE AD EDUCARSI

Sia che si consideri l’educare sotto il profilo dell’"edere", cioè del "nutrire", che sotto il profilo dell’"educere", cioè del "trarre fuori", del favorire lo sviluppo, in entrambi i casi, pur prevalendo nel primo un significato più legato a funzioni organiche e nel secondo a funzioni psicologiche, prevale un identico e specifico significato.

Se il nutrimento è un elemento che giunge all’organismo dall’esterno, esso viene, tuttavia, elaborato e trattenuto all’interno in vista dello sviluppo dell’organismo, secondo le sue esigenze, espellendo, generalmente, all’esterno quanto di superfluo o di dannoso.

Non differentemente nello sviluppo psicologico ove la maturazione della personalità risulta ugualmente dalla convergenza di due fattori, quelli, interni, connessi con la dotazione ereditaria e costitutiva della personalità e connessi con il suo sviluppo, e quelli, esterni, d’interazione sociale ed ambientale, con la variante che l’accoglimento o meno di tale apporto non è legato all’automatismo della natura organica, ma è aperto alla libertà e all’autonomia progressiva della persona.

Questo sviluppo, questa crescita, che è crescita dell’uomo in quanto persona, si configura, pertanto, come un movimento che, pur presentando come indispensabile il contributo di fattori sociali esterni ( sia in funzione di stimolo e di accelerazione, sia in funzione di contenimento ), tuttavia è il risultato dell’attività di disposizioni e potenzialità interne che la società non crea, ma utilizza.

Questo processo, che intende assecondare la crescita e favorire lo sviluppo, messo in rilevo recentemente da Jean Piaget in "dove va l’educazione" ( A.Armando. Roma 1991, pagg.47 e segg.) e che aveva già avuto un precedente significativo ed illustre nella maieutica socratica agli inizi della civiltà occidentale, contrasta ed abbatte le concezioni "adultistiche" e "riduzionistiche" dei secoli XVII e XVIII di natura innatistica secondo cui l’uomo sarebbe preformato nel bambino e lo sviluppo mediante l’educazione consisterebbe solamente nella attualizzazione di facoltà già virtualmente e non solo potenzialmente presenti: arricchire ed alimentare facoltà già formate e non, invece, promuoverne la formazione.

Si tratta, dunque, di una concezione che privilegia la "costruttività" e la "promozionalità" e respinge più semplici "innatismi o associazionismi".

Il contributo e la disponibilità, l’assenso. La partecipazione, l’adesione al soggetto dell’educazione, l’utente o cliente, che dir si voglia, è essenziale e promuoverlo è, probabilmente, il primo e primordiale compito dell’azione educativa.

Azione educativa che, appunto, non può che essere di natura attiva ed attivante il soggetto che interessa, pena, se autoritaria ed impositiva, di non potersi denominare tale, quanto piuttosto addestramento od ammaestramento.

Tommaso d’Aquino, riprendendo i principi aristotelici della potenza e dell’atto, nelle sue "Quaestiones disputatae" dedica l’attenzione ai problemi dell’educazione.

Riprendendo da Aristotele il paragone tra medico ( ed Aristotele era figlio del medico di Filippo, il Macedone )e natura del malato, ricorda: "uno guarisce in due modi: in un primo modo per opera della sola natura; in un secondo modo mediante la natura con l’aiuto della medicina".

Come. Dunque, si dice che il medico causa la guarigione del malato benchè sia propriamente la natura quella che opera, così pure si dice che un uomo può contribuire alla crescita di un altro, benchè quella che propriamente opera sia la personalità del soggetto: e questo è l’educatore, per cui si può dire che un uomo educa un altro essere umano.

L’educatore produce la crescita dell’educando portandolo dalla potenza all’atto, egli che rappresenta una maturazione ed una crescita in atto (donde la necessità deontologica per un educatore di una formazione e che non sia limitata alla tecnicità metodologica ma che ne investa la stessa personalità ; si trova cioè ad un punto più avanzato del processo evolutivo in cui il soggetto educando sta muovendosi; per questo l’educatore pur non essendo causa dell’evoluzione e della crescita, tuttavia egli risveglia e sollecita le potenzialità, mostrando percorsi ed itinerari da seguire, le finalità e gli obiettivi da raggiungere, i valori da realizzare ed offrendo una esperienza storica vissuta.

Opera offrendogli aiuti e strumenti, ma anche sostegno, rafforzando attività ed impegno della persona e delle persone affidategli.

L’educatore esercita una funzione esteriore come quella del medico che risana; come la natura interiore è la causa prima della causa della guarigione, così le forze interiori alla personalità sono la causa prima della crescita e della maturazione.

Non è, dunque, arbitrario affermare che la vera e più autentica dell’educazione è quella di aiutare il soggetto dell’educazione, il "cosiddetto educando", cliente o utente che si voglia denominare, ad educarsi: l’autoaiuto è storicamente più antico di quanto non sembri, anche se offuscato da indirizzi pedagogici più recenti, anche se non recentissimi.

Infatti i tempi più recenti stanno riscoprendo il valore dei tempi antichi.

Allorchè questo delicato e complesso processo non si sia realizzato, vuoi per le difficoltà, le complessità, le carenze interno alla persona, vuoi per la povertà degli stimoli esterni sociali o ambientali, ivi compresi quelli più esplicitamente educativi, si è inclini ad introdurre un tipologia di intervento che viene, a seconda dei casi, denominata rieducazione, o riabilitazione sociale o terapia: a prescindere dal significato specifico di tale terminologia in ambito sanitario e medico, si tratta di un intervento che si esplica in connessione con una carenza antecedente di sufficiente, adeguata e valida azione educativa.

Si tratta, pertanto, ed in effetti, di un’azione educativa da iniziare, tenendo conto, per di più, delle situazioni regressive ed involutive che si sono andate costituendo e radicando nei periodi di assenza educativa.