Linfomi non Hodgkin ed immunodepressione  - Informazioni per pazienti

Autore: Vincenzo Cordiano 
Divisione di Medicina Generale, O.C. Valdagno (VI) 
Ultimo aggiornamento: 13/09/2002 17.28.54

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Rapporti fra linfomi non Hodgkin ed immunodepressione

Numerosi stati  di immunodeficienza congenita o acquisita rappresentano un fattore di rischio per lo sviluppo di linfomi. Le forme congenite sono molto rare; fra di esse le principali sono : l'immunodeficienza severa combinata legata al sesso, l'immunodeficienza combinata variabile, il deficit di IgA, la sindrome di Wiskott-Aldrich, la sindrome di Chediak-Higashi, l'atassia-teleangiectasia, ecc.. Tute queste sindromi sono caratterizzate da carenze più o meno gravi del sistema immunitario e dall'insorgenza di infezioni, spesso fatali, a volte fin dalle prime settimane di vita. I linfomi insorgono in genere negli anni successivi, e per alcune di queste malattie il rischio è molto elevato con il passare del tempo.  
Più frequenti sono le condizioni di immunodepressione acquisita. Le persone a rischio appartengono a tre categorie principali:

I linfomi non Hodgkin che compaiono negli stati di immunodepressione hanno numerose caratteristiche particolari, di cui riassumiamo le più importanti:

 

Virus di  Epstein-Barr e linfomi negli immunodepressi

Il virus di Epstein-Barr (EBV) svolge un ruolo molto importante nell'insorgenza dei linfomi nei pazienti con immunodeficienza  congenita o acquisita.   
Questo virus infetta prima o poi quasi tutte le persone. L'infezione può decorrere in modo asintomatico o provocare la mononucleosi infettiva, in quanto esso è efficacemente controllato dal sistema immunitario. Il virus rimane comunque nei linfociti B e può essere riattivato, provocando la proliferazione di queste cellule, quando le difese immunitarie siano compromesse ad opera di farmaci o, come accade nei pazienti HIV positivi, quando i linfociti T CD4+ (che impediscono la crescita eccesiva dei linfociti B infettati da EBV) sono distrutti dal virus dell'AIDS. I soggetti trapiantati possono acquisire l'infezione da EBV con l'organo trapiantato o con le trasfusioni di sangue, oltre che essere essi stessi positivi per EBV, già prima del trapianto. I bambini con immunodeficienza congenita non riescono  a controllare efficacemente l'EBV quando essi vengono infettati per la prima volta, cosicché il virus può agire praticamente indisturbato sui linfociti B, inducendoli a moltiplicarsi senza controllo (i tecnici parlano di immortalizzazione dei linfociti B da EBV), spiegandosi così il decorso a volte rapidamente fatale dell'infezione e, nei soggetti che sopravvivono, l'insorgenza precoce di linfomi.
Sebbene ci siano molte prove a favore del ruolo causale dell'EBV nei linfomi, non è ancora completamente chiaro il meccanismo o i meccanismi innescati dal virus nelle cellule che subiscono la trasformazione neoplastica
 

Linfomi non Hodgkin ed  AIDS

 In questi soggetti i linfomi non Hodgkin possono anche rappresentare la modalità di esordio clinico della sindrome da immunodeficienza acquisita; è stato calcolato che circa il 3% dei soggetti HIV-positivi sviluppa un linfoma, e la percentuale sembra destinata ad aumentare, anche in conseguenza dell'aumentata aspettativa di vita di questi pazienti dopo l'introduzione di efficaci terapie antivirali avvenuta negli ultimi anni. Anche la malattia di Hodgkin sembra essere più frequente nei soggetti HIV positivi.
Generalmente il linfoma compare in pazienti affetti da AIDS conclamata e con basso numero di linfociti T CD4+, si comporta istologicamente e clinicamente come un linfoma aggressivo o notevolmente aggressivo, è in stadio avanzato, interessa spesso il cervello ed ha una prognosi molto severa, essendo pochi i pazienti che sopravvivono ad un anno o più di distanza dalla diagnosi. Il problema principale è che raramente questi pazienti possono essere trattati con i protocolli abitualmente usati per i pazienti senza infezione da HIV: essi infatti hanno spesso delle gravi infezioni concomitanti e/o delle riserve midollari notevolmente compromesse che rendono impossibile l'uso di dosi "normali" di farmaci. Si è costretti quindi a postcipare l'inizio della terapia (e nel frattempo la malattia progredisce inevitabilmente) o ad usare dosi ridotte di farmaci, probabilmente meno efficaci. Sono stati proposti protocolli ad hoc per questi pazienti, quasi sempre in associazione con la terapia antiretrovirale,ma i risultanti sono stati generalmente poco confortanti.
L'EBV è stato dimostrato nelle cellule neoplastiche della maggioranza di questi pazienti.

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