A metà marzo, Aldo ed io eravamo
molto contenti dellandamento del 3° Corso dintroduzione allarrampicata
sportiva sponsorizzato dalla nostra Associazione nellambito delle proprie attività
sportive annuali.
Il corso era partito ad inizio gennaio con una serie dincontri in sede ed in
palestra ed i 18 allievi si erano dimostrati attenti ed interessati ad apprendere le nozioni
di base ed anche ben disposti ad iniziare il primo contatto con la roccia sulle verticali
pareti delle falesie di cui il centro Italia è molto ricco.
Avendo alle spalle già due corsi portati a termine negli anni precedenti, conoscevamo
bene quale doveva essere la progressione nellapprendimento teorico e quali allenamenti
dovevano essere completati prima di poter cominciare quello pratico.
Sapevamo di dover intensificare linsegnamento delluso delle attrezzature, delle
corde e dei nodi.
Nella preparazione del programma del corso avevamo inserito le date e indicato i
luoghi per le varie sedute dapprendimento e studiato la relativa progressione.
Il "ricco" programma che fu preparato comprendeva così 8 incontri in sede, 10 lezioni
teorico-pratiche in palestra, 3 esercitazioni sulluso di materiali e delle attrezzature
e ben 18 uscite pratiche sulle falesie del centro Italia e sulle pareti del Gran Sasso.
A parte unuscita annullata in febbraio a causa del cattivo tempo, eravamo
riusciti a portare avanti il programma come previsto e vedevamo progredire gli allievi nella
loro tecnica e nellentusiasmo.
Avevamo fatto loro vedere molte volte le videocassette di Paolo Caruso (un famoso
arrampicatore romano) che insegnano le tecniche moderne darrampicata, le più conosciute
e adottate dai molti climbers e avevamo ossessionato gli allievi con la visione delle tecniche
di base, spiegate sulla videocassetta e provate più volte in palestra sui pannelli con
prese artificiali costruite ad-hoc da noi.
Eravamo andati per ben 3 volte (al posto delle 2 degli anni precedenti) alla palestra
di roccia cittadina della Cava di Ciampino, nei pressi dellaeroporto omonimo della
capitale, per essere sicuri che tutti gli allievi imparassero alla perfezione le tecniche di
progressione, la conoscenza e la composizione dei nodi di sicurezza statica e dinamica, e la
calata in corda doppia eseguita con le varie attrezzature in dotazione (lotto, il
secchiello, ecc.).
Avevamo già effettuato delle uscite per arrampicare sulle falesie di Sperlonga (sulle
pareti di Rocca Scarpona) e su quelle di Norma (sulle pareti delle Placche Rosse).
Alcuni ragazzi avevano già avuto qualche esperienza precedente ma per altri questo
era il primo contatto con la roccia.
Comunque, molti degli 8 ragazzi e delle 10 ragazze del Corso progredivano a vista
docchio.
Tra questi, si notava subito chi non aveva paura e si trovava a proprio agio con
la roccia verticale: sintravedevano quindi possibili bravi aiutanti per il nostro
impegno.
E poi letà aiutava: molti facevano ginnastica in palestra, erano in
forma ed avevano un peso corporeo proporzionato.
Stavano ovviamente meglio di noi istruttori che, con unetà doppia della loro,
ci sforzavamo di mantenerci in forma ed allenati.
Insomma, eravamo contenti di come stava andando il Corso.
A marzo quindi, visti i buoni risultati raggiunti, fu deciso di confermare
luscita programmata alle grandi pareti dellArgentario, approfittando anche del
previsto week-end di tempo sereno e caldo, dopo un periodo meteo non esaltante.
Luscita allArgentario, che prevedeva di arrampicare su vie lunghe di
"più tiri", era stata inserita volutamente in quel momento per far conoscere agli allievi
questo tipo dascensione e per addestrarli sui sistemi di protezione nella progressione
a più tiri, così diversi da quelli adottati sulle falesie con vie a "monotiri".
Volevamo far loro prendere confidenza con le calate in corda doppia su vie lunghe, proprio
perché esse sono più laboriose dato che prevedono lancoraggio delle corde su
molti punti della parete, con il recupero delle stesse corde dal punto più in alto della
calata e la ricerca dei chiodi o cordini più adeguati per il fissaggio delle corde per la
successiva calata.
Questa uscita quindi era considerata da noi un buon allenamento in previsione delle
uscite arrampicatorie sulle pareti più difficili ed impegnative del Gran Sasso che
dovevano essere affrontate nel successivo mese di luglio.
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Sei auto partono dallEUR di Roma dalla
zona tradizionale di raduno, il 17 marzo mattina alle ore 7, cariche di corde ed attrezzature
per larrampicata, con 18 persone a bordo.
Il percorso da Roma verso lArgentario è lungo e la prima sosta viene fatta nel
paese di Orbetello.
Qui attendiamo un gruppo di auto che procede più lentamente e intanto facciamo
colazione in un bar della piazza del paese.
La giornata è soleggiata e senza nuvole, come previsto, e si prospetta così
una bellissima e proficua attività arrampicatoria.
In questa uscita ci sono quasi tutti gli allievi ed alcuni aggregati, ex-allievi di corsi
precedenti, che oggi vogliono arrampicare con noi e desiderano darci una mano.
Noi istruttori, naturalmente, siamo ben lieti di questa loro disponibilità!
Dopo colazione, si riparte in gruppo, superiamo la località di Porto Ercole e
percorriamo la strada panoramica che contorna il promontorio a sud per raggiungere le prime
importanti pareti strapiombanti dellArgentario, sotto la cima del monte "Il Telegrafo"
(m. 635).
Dopo pochi chilometri, fermiamo le auto in un piccolo slargo della strada nella zona
meta di questa nostra uscita: siamo sotto le famose "Canne dOrgano" che presentano
pareti alte circa 200 metri, con vie darrampicata di varia difficoltà.
Oggi siamo solo due istruttori.
Decidiamo quindi di dividerci in due gruppi di 9 persone ciascuno.
Io salirò la "Via dello Spigolo" alta circa 200 metri che presenta difficoltà
fino al 4°+ (su placche, spigoli e diedri), accompagnando gli allievi meno esperti.
Aldo guiderà laltro gruppo di 9 persone e salirà la "Via del Rosmarino",
più difficile della nostra con difficoltà fino al 5°+ (su diedri e placche
verticali), accompagnando gli allievi più preparati.
Nel mio gruppo ci sono due ragazzi "aggregati", ex-allievi del corso dellanno
precedente: Alessia e Roberto, molto bravi e motivati.
Con loro mi preparo per formare tre cordate, composte di 3 persone, di cui saremo i
capi-cordata.
Laltro gruppo, che si accinge ad affrontare la via più difficile, fa
altrettanto.
Aldo, Amedeo e Francesco sono i capi-cordata di altrettanti gruppetti di 3 persone.
Lasciate le auto al piccolo parcheggio sulla strada panoramica, cinoltriamo su
tracce di sentiero nella fitta macchia mediterranea che ricopre il pendio che fa da zoccolo
alle pareti rocciose.
Sono già le ore 10 del mattino.
Si tratta ora di seguire queste tracce per una buona mezzora, in salita, verso
lattacco delle nostre vie che si trova proprio dove la parete rocciosa si libera
dallintricato abbraccio del bosco e sinnalza verticalmente verso il cielo.
La salita è un po faticosa, siamo carichi dattrezzature e spesso dobbiamo
rallentare il passo.
In alcuni tratti ci sono delle corde fisse piazzate nei punti più difficili che
facilitano il superamento di alcuni salti oppure laggiramento di alcuni strapiombi.
Qui i due gruppi procedono insieme e solo quasi al termine della salita, a ridosso delle
pareti, si separano; io e le altre 8 persone del mio gruppo pieghiamo a sinistra e ci
dirigiamo verso levidente spigolo mentre il gruppo di Aldo si muove a destra verso
lattacco della propria via.
Qui ci salutiamo e ci diamo larrivederci per la fine dellarrampicata:
«Ci vediamo dopo, tutti al bar a Porto Ercole, per la bevuta della solita birra
ghiacciata!».
Noi raggiungiamo finalmente la piazzola sottostante lo spigolo ed iniziamo a prepararci
per larrampicata.
Sono ormai le ore 10,45.
Ci cambiamo vestiario, calziamo le scarpette, indossiamo limbracatura, il casco
e tutta lattrezzatura per larrampicata; poi "filiamo" le tre corde lunghe 60 metri
che ci serviranno per la progressione.
Nascondiamo gli indumenti superflui e una parte degli zaini (alcuni preferiscono
arrampicare senza pesi sulle spalle) in anfratti sotto alcuni roccioni alla base della parete
e siamo pronti ad arrampicare.
Sono le ore 11,00.
Salgo per primo e mi trovo subito alle prese con un diedro verticale alto 5-6 metri
che supero in spaccata sulle due facce e raggiungo la sommità di un primo pilastrino e
poi, con unarrampicata più facile, salgo placchette e paretine verso destra fino a
portarmi sul filo dello spigolo che vogliamo salire.
Sono ormai le ore 11,30 quando, raggiunto il chiodo della prima sosta, sistemata in una
piazzola sotto un albero sospeso sul vuoto, mi metto in sicurezza e preparo le protezioni per
far salire i ragazzi della mia cordata.
Poi, per facilitare la salita degli altri gruppi, faccio salire come "secondo"
anche il capocordata dellaltro gruppo.
Lui, arrivato alla sosta e messosi in sicurezza, inizia a recuperare i ragazzi
del proprio gruppo e aiuterà il capocordata del 3° gruppo.
Questa tecnica si dimostra valida in termini di sicurezza, però il numero di
persone è sempre troppo numeroso quando ci si ritrova tutti nella stessa zona della
sosta.
Qui lo spazio è limitato e la sosta è scomoda per tutti.
Occorre muoverci in fretta!
Io cerco di sganciarmi dal gruppo il più rapidamente possibile, proprio per far posto
agli altri e per portare più in alto le persone della mia cordata.
Ma anche così laffollamento alle soste rimane notevole e ciò ci è
dimpaccio, cè sempre la possibilità di intricare le corde tra loro e
allora sono guai e perdite di tempo per sbrogliare le matasse.
Ma si sale!
Raggiungiamo la seconda sosta, ricavata su una piccolissima cengia sul filo di cresta.
Ci assicuriamo ai due chiodi della sosta e buttiamo uno sguardo di là dal ciglio.
Scorgo così i primi arrampicatori del secondo gruppo di 9 persone che sono
impegnati nel superamento di una placca liscia di roccia, molto più in basso del nostro
punto.
Ci diamo una voce!
Veniamo a conoscere che la loro progressione è rallentata da persone che hanno qualche
problema ad arrampicare su queste difficoltà.
La loro via è più difficile della nostra e questo spiega perché noi siamo
più in alto.
Questo fatto ci dà fiducia e pensiamo di farcela ad uscire dalla via e dalla
parete agevolmente!
Le nostre cordate procedono bene, seppur non velocemente, lungo la via dello Spigolo e,
piano piano, raggiungiamo la terza sosta e poi la quarta.
Ma il fatto di raggrupparci tutti - o quasi - alle soste provoca, oltre laffollamento
di persone e un inevitabile intrico di corde, anche un continuo rallentamento generale della
progressione.
Daltronde, essendo lunico istruttore, preferisco stare a stretto contatto con
il gruppo ed avere sempre la situazione sotto controllo; voglio vedere il comportamento e
levoluzione delle condizioni psico-fisiche degli allievi che salgono.
La situazione è buona e i ragazzi non sembrano affaticati: salgono bene e si
stanno divertendo!
Decido allora di proseguire e di terminare lascensione sulla vetta dello Spigolo, a
circa 200 metri di dislivello dalla zona dellattacco.
Buttando unocchiata oltre lo spigolo, noto che laltro gruppo sta scendendo e
che alcuni hanno già raggiunto la strada panoramica.
Scambiamo qualche telefonata con loro per aggiornarci sulle rispettive situazioni
e ci dicono che ci attenderanno per un po di tempo al bar di Porto Ercole.
Con un ultimo sforzo, superiamo le ultime difficoltà e siamo in cima!
Lo spettacolo è eccezionale, la vista spazia su unampia parte del promontorio e
sul bellissimo mare di fronte a noi, dun verde chiaro, leggermente increspato e con la
linea dellorizzonte interrotta solo dalle verticali pareti della piccola isola
"lIsolotto" che sinnalzano al largo sulla sinistra.
Questo panorama così affascinante e rilassante contrasta fortemente con il baratro che
si apre sotto i nostri piedi e con le rocce verticali che precipitano verso il basso tutte
attorno a noi.
Visto dallalto il bosco con vegetazione mediterranea, che ricopre le pendici del
monte, sembra avere un colore molto scuro: il verde chiaro misto al giallo di qualche macchia
di ginestre si è modificato in un omogeneo verde scuro.
Ci riposiamo un attimo: qualcuno si gode il panorama ed altri mangiano qualcosa.
Tutti sono contenti e molti sono sorpresi per questa loro prima impresa di un certo impegno.
Abbiamo salito bene questa parete, curando gli aspetti di sicurezza e facendo attenzione
ad eseguire bene i passi di progressione studiati sulla videocassetta e provati in falesia.
Però ciò, insieme al numero elevato di persone, ci ha procurato un grave ritardo.
Nella salita, io ho notato che alcuni tra gli allievi avevano dimostrato ancora una certa
imperizia in alcuni passaggi e nelle manovre di corda e altri non si trovavano a loro agio su
vie lunghe come questa.
Però siamo venuti qua apposta proprio per imparare cosa vuol dire salire vie lunghe!
Sono ormai le ore 17.
Scattiamo alcune foto e tutte le facce sono sorridenti.
Ora occorre scendere!
Nelle vicinanze del nostro Spigolo, non ci sono sentieri percorribili che ci possono
riportare velocemente alla strada panoramica e alle auto.
Bisogna scendere in corda doppia lungo il percorso di salita e ritrovare i punti migliori
per attrezzare 4 o 5 calate.
E qui cominciano i guai!
Sollecito la preparazione delle cordate per la discesa in corda doppia e chiedo di
preparare le corde e di verificare le attrezzature individuali per effettuare queste manovre.
Contrariamente alle loro assicurazioni verbali, scopro con gran sorpresa che solo pochi
allievi hanno assimilato la tecnica della calata in corda doppia, con luso
dellotto e del secchiello.
Nonostante le prove eseguite alla Cava di Ciampino, molti non si sentono ancora sicuri e
pronti per compiere tutte le operazioni per la calata seguendo le regole di sicurezza che
sono state insegnate poco tempo prima.
Le ore passano e io sono preoccupato dellapprossimarsi della sera e
dellarrivo del buio!
Solo qualcuno ha mangiato o bevuto qualcosa lungo la salita o in cima allo Spigolo,
molti alimenti sono rimasti negli zaini nascosti ai piedi della parete.
Ma non è questo che mi preoccupa.
Sono tutti giovani e in buona salute; non soffriranno certo per un digiuno prolungato di
qualche ora.
Mi preoccupa invece la sicura maggior lentezza della calata di nove persone, se questa
viene organizzata con un metodo diverso dalla tradizionale calata in corda doppia.
E mi metto a studiare quale sistema è meglio adottare in quella situazione per
calare, quasi di peso, ciascuno degli 8 allievi su 5 salti successivi di circa 40 metri
ciascuno, per un totale di 40 calate singole.
E molto probabile che cè da farsi venire un bel livello dacido
lattico nei muscoli per lo sforzo se devo eseguire da solo il controllo di queste calate,
ma siamo in ballo e non vedo altre soluzioni alternative alla veloce discesa in doppia.
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Quando procedevo nella salita dello Spigolo,
avevo calcolato che la discesa di nove persone lungo una parete con 4-5 doppie da 40-50 metri
ognuna ci avrebbe consentito di raggiungere la base della parete abbastanza rapidamente e
avevo stimato in circa 2 ore il tempo necessario per completare tutte le manovre adottando i
relativi sistemi di sicurezza.
Poi, avremmo dovuto affrontare la discesa del forte pendio allinterno della foresta
a macchia mediterranea, ultima barriera prima di raggiungere la strada.
Quindi, aggiungendo unaltra mezzora di sentiero, avremmo dovuto raggiungere le auto
attorno alle ore 21.
Certo, non era lora ideale per terminare unarrampicata, ma nemmeno
"impossibile".
Ma mi sbagliavo drammaticamente sulla capacità di scendere velocemente in doppia
da parte di molti allievi del mio gruppo e quindi sul tempo complessivo necessario!
--- ooo O ooo ---
Fortunatamente il cielo si mantiene sereno,
laria è tiepida e non spira alcun vento.
Via telefono, chiarisco la situazione allaltro gruppo in attesa a Porto Ercole
e mi viene detto che molte persone hanno impegni urgenti e devono forzatamente tornare a Roma.
Quindi laltro gruppo se ne va e noi rimaniamo soli!
Non mi preoccupo troppo, mi sento abbastanza sicuro di riuscire a far scendere tutti.
Certo, un aiuto di altre persone esperte ci sarebbe stato di grande aiuto, ma siamo troppo
in alto e questaiuto sarebbe in ogni caso arrivato in ritardo!
Viste le difficoltà di eseguire calate "veloci" in corda doppia espresse da
più persone, decido di calare le persone legate con una corda alla propria imbracatura
e assicurate dallalto sugli ancoraggi da doppia presenti alla sosta.
Le persone devono seguire, nella discesa, una corda precedentemente distesa lungo la
parete, ancorata come una corda fissa o meglio come un "filo d'Arianna" che le condurrà
alla sosta sottostante.
Per ottenere ciò devo necessariamente far scendere per primo una persona più
esperta che, raggiunta la piazzola di sosta, provvede ad ancorare la "corda fissa" e a guidare
gli altri allievi in discesa da una sosta allaltra.
Questo sistema mi rende più tranquillo di poter stare insieme al gruppo più
numeroso per tenere docchio la situazione mentre chi scende è calato dallalto
ed è guidato dal basso.
--- ooo O ooo ---
Avevo deciso di procedere così dopo aver
effettuato alcune prove di calata con allievi legati solo su una corda che controllavo io
dallalto, ma molti di loro avevano difficoltà a trovare la via "giusta" di discesa
e la piazzola di sosta sottostante.
Inoltre, qualcuno tra questi non sapeva guidare la corda durante la propria discesa
disincastrandola da spigoli, fessure e cespugli e spesso questa sincagliava e si
bloccava, lasciando penzoloni il malcapitato.
Mi toccava allora scendere in doppia su unaltra corda e disincastrare la prima
facendo attenzione a farla scorrere piano per non provocare uno sblocco violento e un volo
alla persona rimasta appesa.
Durante questa manovra di sblocco facevo recuperare un po di corda in alto con
laiuto di Roberto, un altro ex-allievo in gamba che mi aiutava alla sosta superiore.
Poi, mentre lallievo riprendeva a scendere e raggiungeva la sosta, io dovevo
risalire la parete e tornare alla sosta superiore per organizzare il recupero della corda
e la successiva calata di un altro allievo.
Ma così non poteva andare!
Avremmo impiegato un tempo enorme e io mi sarei stancato eccessivamente, mentre dovevo
invece restare lucido e in forze per sostenere anche psicologicamente il gruppo di allievi.
Stava ormai scurendo!
Dovevo organizzare una corda fissa che guidasse ognuno alla sosta e una corda legata
allimbracatura dellallievo per calarlo dallalto piano piano mentre lui
seguiva la corda fissa.
--- ooo O ooo ---
Chiedo allora ad Alessia, unex-allieva
molto brava e senza paura, di scendere per prima ad ogni sosta, di fissare la corda fissa ai
chiodi della sosta e di darmi una mano a guidare dal basso le persone fino alla zona di sosta,
mentre io resto col gruppo in alto e controllo personalmente la calata dogni persona.
Provo questo sistema con due o tre allievi e vedo che funziona, anche se è un
po laborioso e lento.
Non cè altro da fare in questa situazione.
Ormai è tardi e non si può perdere più tempo.
Sono ormai le 19 quando siamo scesi di un livello.
Ho però capito quali sono le manovre giuste e allora cominciamo tutti ad avere
un ritmo migliore nelle discese successive, solo poche volte le corde s'impigliano ed è
necessaria una mia calata volante per disincastrarle.
Tutto sommato, la situazione non è grave.
Sopraggiungono però alcune nuove difficoltà: il buio e le chiamate ai
telefonini.
E si, siamo al buio e, nemmeno a farlo apposta, in cielo non cè la luna ma
solo un tappeto di stelle che non ci aiuta molto e non siamo in vena di romanticismi, al
momento.
Il buio ormai quasi totale impedisce agli allievi in discesa di vedere bene appigli
ed appoggi.
Anche se, così appesi, non serve arrampicare, molti di loro si sentono più
tranquilli quando possono vedere i vari passaggi nella discesa.
Non sempre ciò è possibile ma sono facilitati dalla corda fissa e dallaiuto
dato loro dal basso.
Alessia lavora al buio alla sosta sottostante e man mano che la raggiungono gli altri
allievi anche questi ultimi sono al buio, però li sento parlare, farsi coraggio e
compagnia.
In effetti, sono lunica persona ad avere una lampada frontale funzionante.
Infatti, sono uno dei pochi che ha arrampicato con lo zaino e nello zaino io porto sempre
una lampada frontale con batteria "nuova".
Nessun allievo ha portato una lampada, non lo abbiamo richiesto poiché non era
prevista unarrampicata notturna.
Sia per coordinare le calate dallalto e sia per tranquillizzare il gruppo più
numeroso di allievi alle soste superiori, io resto con loro con la lampada accesa.
Mi serve per le manovre e per guardarci in faccia.
Chissà cosa potrebbe immaginare una persona che, guardando la parete dal basso,
vedesse muoversi quel lumino a metà parete in pieno buio!
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Avendo sperimentato in tanti anni di
arrampicate difficili e di rientri in rifugio al buio oppure di escursioni o traversate
lunghissime con finale sempre al chiaro di luna o al buio pesto, ormai riempivo lo zaino con
una dotazione fissa di accessori: moschettoni piccoli per calate demergenza, lampada
frontale, batteria nuova, fischietto, coltello, medicamenti e antidolorifici, ecc..
Spesso essi rappresentavano solo un peso aggiuntivo nello zaino ma qualche volta erano
utili.
Come in questo caso!
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Poi cominciano a squillare tutti i telefoni
cellulari.
Sono gli amici che stanno rientrando a Roma che vogliono conoscere la nostra situazione.
Ma sono soprattutto i parenti degli allievi che non hanno più ricevuto notizie dai
ragazzi.
Sono preoccupati e ascoltando la descrizione della situazione in cui ci troviamo, a volte
più colorita del necessario, cominciano ad entrare in agitazione.
Chissà cosa diranno dellistruttore!
Per evitare che sinneschi un circolo vizioso: che cioè gli allievi preoccupino
i genitori e che questi ultimi mettano in agitazione gli allievi stessi, alzo un po la
voce.
Afferro al volo qualche cellulare e parlo direttamente con qualche parente che continua
a telefonare ogni 5 minuti e ci disturba nelle manovre di discesa.
Spiego che la situazione è sotto controllo e che avremmo chiamato noi a fine discesa.
Poi ordino a tutti gli allievi di spegnere i telefonini.
Non avrei mai creduto di constatare quanto fossero tremendamente fastidiosi e pericolosi
questi aggeggi diabolici in situazioni delicate come questa.
Provare per credere!
Ma è meglio non fare questesperienza!
Ristabilita un po di tranquillità, continuiamo con le nostre manovre e il
nostro ritmo.
Qualcuno ha fame, qualcuno ha freddo.
Dico a questi che ormai siamo quasi fuori e di tenere duro.
Qualcuno deve fare la pipì.
E si, anche questa necessità fisiologica diventa un problema quando siamo in 5 o 6
sulla stessa piccola piazzola di sosta, impegnati a far calare le persone.
In un gruppo di soli uomini o di sole donne ciò non sarebbe un problema, ma in una
situazione mista come la nostra occorre trovare una soluzione.
E allora minvento le calate fisiologiche!
Scendono per primi coloro che hanno questa necessità e tra una sosta e laltra,
dove è possibile, riescono a liberarsi.
E continuano le calate!
Favorisco anche discese "sequenziali" di una coppia di giovani allievi che desiderano
stare insieme, per tenersi più compagnia e farsi coraggio!
Sosta dopo sosta, si susseguono uguali manovre ormai collaudate e si continua a perdere
quota.
Pian piano la massa scura informe che sta sotto di noi diventa più leggibile e
sento il rumore delle foglie degli alberi in basso.
A parte il male alle braccia, sono quasi allegro quando tutto il gruppo raggiunge
lultima sosta a soli 30 metri dalla base della parete e posso rassicurare tutti che
ormai è fatta.
Mando giù di nuovo Alessia e le dico di gridare quando tocca terra!
Non le prometto soldi come premio ma so che questurlo tranquillizzerà tutti gli
altri.
Finalmente lurlo di Alessia arriva:
«Terra! Sono alla base della parete, evviva!».
Stanchi ma rinfrancati, gli allievi si calano per lultima volta fino alla base delle
rocce.
Roberto ed io li raggiungiamo con una doppia veloce (così come avevamo fatto,
da ultimi, nelle soste superiori) e poi recuperiamo per lultima volta le corde.
Le riavvolgo e le metto negli appositi sacchi per il loro trasporto negli zaini, mentre
molti si rivestono e mangiano qualcosa.
Riprendono a squillare i telefoni cellulari!
Ci cambiamo le scarpe, sostituendo le scarpette darrampicata con le pedule ed
è come essere liberati dalle catene ai piedi.
Questa sosta per il cambio di vestiti e per la sistemazione delle attrezzature
darrampicata negli zaini, permette anche di riposarci un po.
Molti che erano in apprensione, sono ora più tranquilli.
Alcuni hanno ripreso a sorridere e a scherzare.
E luna di notte.
Ora si tratta di scendere il pendio ripido tra la fitta macchia mediterranea, facendo
attenzione a ritrovare il sentiero che non è segnato e, soprattutto, le corde fisse che
ci permettono di evitare i salti e gli strapiombi.
Chiedo a tutti di verificare bene che tutto il materiale venga messo nello zaino.
«Non dimenticate niente, che non ho voglia di tornare qui in cima a riprendere
qualcosa!» spiego a tutti.
Riusciamo anche a ritrovare un paio di calzini "neri" di un allievo, smarriti nel
sottobosco scuro.
Allora vuol dire che le stelle ci proteggono!
«Cè il pendio ripido da superare. Cercate di stare vicini
a me che ho la luce e cercherò di illuminare il sentiero nei punti più
difficili» concludo.
Procediamo in discesa molto lentamente.
Più volte giro la lampada, che ora tengo in mano, verso il gruppo che mi segue per
illuminare qualche tratto di sentiero più scosceso.
Inevitabilmente qualcuno scivola e va a terra ma senza conseguenze.
Mi sposto verso sinistra cercando di ricordare il percorso fatto la mattina e
finalmente trovo prima tracce di sentiero e poi il sentiero vero e proprio.
Poi raggiungiamo le corde fisse e allora sono molto più tranquillo anchio.
Ci teniamo molto vicini in questo tratto centrale della discesa e illumino i passaggi
più difficili.
Stiamo per superare le difficoltà più importanti.
Il sentiero ci conduce rapidamente verso la strada panoramica o quasi.
Quando il pendio diventa meno ripido e in falsopiano, arriviamo ad un sassone che si trova
vicino ad un bivio importante di sentieri.
Arrivare al sassone è un passaggio obbligato.
Poi bisogna girare a sinistra, prendere il sentiero più evidente e superare
unultima intricata barriera boscosa.
Arriviamo al sassone, questo è certo, poi giro a sinistra ma non so di quanti
gradi.
Di là del sassone, si aprono vari sentieri a raggiera.
Di giorno non è difficile individuare il percorso giusto.
Ma ora al buio, con la lampada la cui luce comincia ad affievolirsi, è molto più
difficile.
Giro a sinistra, ma di quanto non so.
Prendo la traccia di sentiero che mi sembra più evidente e mi addentro in una fitta
boscaglia.
Gli altri mi seguono ma con molta difficoltà.
Gli zaini simpigliano spesso in rami bassi e in rovi.
Quando la macchia si chiude in un fitto intrico di rami mi accorgo di aver preso una
traccia sbagliata.
Siamo ormai sul ciglio della macchia, molto vicini alla strada, e non è il caso di
tornare indietro al sassone per cercare un altro sentiero.
Decidiamo di proseguire e Roberto va in avanscoperta, aprendo un nuovo varco.
Con qualche parolaccia rivolta al bosco, al buio e allarrampicata sportiva notturna,
riusciamo ad uscire dal bosco e ci troviamo cosė sulla panoramica a soli 10 metri circa
più su delluscita "buona".
Beh! Poteva andare anche peggio!
Lultimo rischio lo corriamo proprio sulla strada asfaltata mentre percorriamo
qualche decina di metri, in leggera discesa, per raggiungere il parcheggio delle auto.
Da una curva, sale verso di noi unauto a forte andatura e con i fari abbaglianti.
Ci buttiamo da una parte e lauto si ferma.
Scende una guardia forestale che, meravigliata e un po allarmata per vedere un
così numeroso gruppo di persone con zaino e corde, ci chiede cosa facciamo lì a
quellora.
Le spieghiamo sommariamente cosa cè successo, anche se mi rendo conto che
è difficile capire, e lui se ne va scuotendo la testa:
«Se volete camminare di notte, accendete almeno una luce e state sul bordo della
strada».
«Grazie, signora guardia!» rispondiamo, «lo faremo sicuramente
la prossima volta!».
E difficile spiegare, alle ore 2 di notte, che abbiamo sceso una parete rocciosa
e la sua scarpata senza luci.
Siamo alle auto, riponiamo i materiali e beviamo qualcosa.
Si formano gli originali equipaggi dellandata, e ripartiamo per Roma senza
pensare ad una sosta in qualche bar, tanto sono tutti ormai chiusi da tempo.
Ci aspettano ancora due ore dauto per raggiungere Roma e la zona di sosta
dellEur, per poter riprendere le altre auto lasciate qui di mattina e per fare
ritorno alle proprie abitazioni per un meritato riposo.
Alcuni sono molto stanchi e pochi hanno voglia di parlare.
Sulla mia auto, che sto guidando nonostante la stanchezza, ci sono alcuni allievi.
Provo ad intavolare un discorso e a chiedere quali sensazioni hanno provato in questa
strana esperienza.
Ma non vogliono esternarle ora!
Superata la paura e lapprensione, ora sale la rabbia per aver dovuto affrontare
unimpresa non prevista e forse sopra le proprie possibilità tecniche.
Unarrampicata piacevole, in una calda giornata di marzo, si era trasformata in uno
sforzo eccessivo, con lincertezza di non venirne fuori senza conseguenze e soffrendo
i morsi della fame e del freddo.
Solo qualcuno è riuscito a dire qualcosa, durante quel viaggio di ritorno.
«Abbiamo avuto, hai avuto una fortuna sfacciata» mi ha detto
«nessuno si è fatto male, ma stavo per chiedere a mio padre di mandare i soccorsi,
quando ci hai chiesto di spegnere il telefono».
Altri si lamentano che lindomani mattina, lunedì, hanno impegni impellenti
di lavoro e si devono alzare presto e che rimangono ormai poche ore di riposo.
Qualcun altro ancora è arrabbiato perché pensava di passare la serata e la
nottata al night o al pub con gli amici mentre invece questavventura glielo ha impedito.
Una persona confessa che ha problemi agli occhi e che, al buio, in sostanza non
è riuscita a vedere quasi nulla, tantomeno la roccia che doveva scendere.
Io rimango a bocca aperta!
Non conoscevo questa difficoltà fisica.
E, dentro di me, penso:
«Altro che far fare una calata veloce in corda doppia!».
Tutti erano effettivamente stanchi e provati.
Ho provato a dire loro che in montagna può sempre capitare una situazione simile,
spesso provocata da molte concause e che occorre sempre trovare una soluzione per venirne
fuori e che in questo sforzo è di molto aiuto lesperienza acquisita.
E un passaggio obbligato per entrare in sintonia con questo mondo.
Ma mi sembra troppo difficile da far comprendere in questo particolare momento e allora
lascio cadere il discorso.
Si, sicuramente ho commesso qualche errore anchio!
Ho voluto raggiungere la cima senza prima accertarmi che tutti fossero in grado di
eseguire una calata in corda doppia in maniera autonoma e sicura (ma qui devo confessare che
ero abbastanza sicuro di questa loro capacità dopo le lezioni e le prove pratiche fatte
in falesia).
Evidentemente una via di più tiri è diversa e limpegno è maggiore.
Poi, il numero eccessivo di persone da controllare e guidare da solo non permette di
compiere grandi salite se non a scapito del tanto tempo occorrente.
Ed era proprio ciò che mi è capitato.
Forse era meglio effettuare due soli tiri e scendere subito, ma la bella e calda giornata
mi ha tratto in inganno cosė come la relativa facilità della salita, spingendomi a
raggiungere la vetta dello Spigolo.
Molte idee e pensieri si accavallano in testa e finalmente raggiungiamo Roma.
Spostiamo i bagagli sulle rispettive auto e ci salutiamo con un veloce abbraccio.
«Ci vediamo alla prossima uscita. Dai, su col morale! Oggi
ve la siete cavata benissimo ed avete imparato molte cose in una volta sola!» saluto
così i miei compagni e riparto verso casa.
Nellultimo tragitto penso un po a tutte le situazioni affrontate nella
giornata e mi ritrovo a dire a me stesso:
«meno male che avevo la frontale con la batteria carica!».
Quel banale accessorio ci ha veramente tolto dimpaccio!
Ci ha permesso di eseguire bene tutte le manovre alle soste e di tenere tranquille le
persone.
E mi viene di concludere: «senza la lampada avremmo dovuto sicuramente fermarci
ad una sosta e bivaccare lì, fino alle prime luci dellalba, con tutte le
conseguenze del caso».
Una tale situazione, con lallarme delle famiglie, sarebbe stata molto più
pericolosa della discesa lenta ma sicura che abbiamo compiuto.
Ecco! Questavventura arrampicatoria è finita!
Così come questo racconto!
E mentre bevo, a casa, la meritata birra ghiacciata, mi viene da porre una domanda
a te, caro lettore, che sei riuscito ad arrivare pazientemente alla fine di questa lettura:
«qualè il tuo verdetto?»
Nelle scelte operate e nella conduzione di tutte le mie manovre di quella giornata,
cè stata anche esperienza oppure è stata solo fortuna?
Oppure un bel mix di tutte e due?
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