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Il FUTURISMO CINEMATICO

Il modello cinematico di comunicazione nell'estetica, nell'arte e nello spettacolo futurista

1.2 La macchina come piacere necrofilo

Il futurismo si offre all'era elettromeccanica e aderisce alla storicizzata avversione, di stampo "barocco", verso una "natura" naturale intrasformabile (...). Sarà proprio l'amore incondizionato verso la natura artificiale, in qualche modo privata dei suoi attributi vitali, a far insorgere, in uno studio di Erich Fromm, Anatomia della distruttività umana, il sospetto che Marinetti, insieme ad altri famosi casi analizzati come Hitler o Churchill, fosse.affetto da tensioni necrofile. Una definizione di necrofilia, data da Fromm, sembra imparentarsi mirabilmente con alcune tematiche ricorrenti nei futuristi. Definizione che è utile, non solo per una lettura psicoanalitica delle particolari espressioni comportamentali dei futuristi, ma anche per l'analisi degli influssi che questa insorta patosi ha nei confronti della formulazione estetica del manifesto e sulla nascita del prodotto artistico:

... la necrofilia può essere descritta come la passione, l'attrazione per tutto quanto è morto, putrido, marcio, malato; la passione di trasformare quel che è vivo in qualcosa di non vivo; di distruggere per il piacere di distruggere; l'interesse esclusivo per tutto quanto è puramente meccanico. E' la passione di "lacerare le strutture viventi".

Al di là delle semplici analogie che questa definizione caratteriologica di necrofilia può far insorgere con la nota passione dei futuristi per la distruzione, da una parte, e con l'interesse per il meccanico, dall'altra, queste evidenze sono, in realtà, solo il punto di partenza verso una tensione per il criptico e il ferale che ha radici ben più profonde e non meno palesi manifestazioni variamente riconoscibili. La passione per la distruzione e l'interesse per il meccanico che Fromm, nella definizione data, espone in termini conseguenziali, hanno anche nella realtà del fare futurista un legame conseguenziale. Essi agiscono in sinergica attrazione, sono necessari l'uno all'altro e di segno contrario come la carne e il metallo. Ci sembra che Artioli abbia colto in pieno la sostanza di questa opposizione-attrazione:

La struttura dell'immaginario futurista, con il suo accanimento nei confronti dei simboli notturni e catamorfi e la concomitante esaltazione dei valori diurni e ascensionali, rivela (...) quell'angoscia della morte e del tempo (...) angoscia che solo l'evocazione di simboli aerei, ubiquitari, ignei e luminosi poteva esorcizzare.

Da una parte la caducità dell'essere, soggetto alla legge naturale della morte, spinge alla sistematica distruzione - che è poi rimozione - della natura biologica dell'uomo, compresi i sentimenti, il dolore e il piacere come si legge in un manifesto di Marinetti del 1910:

... noi aspiriamo alla creazione di un tipo non umano nel quale saranno aboliti il dolore morale, la bontà, l'affetto e l'amore, soli veleni corrosivi dell'inesauribile energia vitale, soli interruttori della nostra possente elettricità fisiologica.

Dall'altra per un superamento dell'uomo biologico si invoca il concorso della conoscenza scientifica, in specie quella meccanica, che da luogo alla creazione di un nuovo essere, il "tipo non umano":

Il tipo non umano e meccanico, costruito per una velocità onnipresente, sarà naturalmente crudele, onnisciente e combattivo.

Non può esserci una distruzione dell'uomo biologico, ascensionale e circolare, che non implichi, per i futuristi, una corrispondente sostituzione con un "tipo non umano e meccanico", discensionale e lineare, disegno opposto. E' qui che è riconoscibile il primo elemento necrofilo, almeno rimanendo entro i termini analitici di Fromm, nella sostituzione di tutto quanto è morto (il "non umano e meccanico" è una fredda e cadaverica determinazione della scienza) con ciò che è vivo: l'uomo biologico:

Il mondo della vita è diventato un mondo di "non vita"; le persone sono diventate "non persone". Un mondo di morte. La morte non è più rappresentata da feci e cadaveri maleodoranti. Ora i suoi simboli sono macchine linde, scintillanti; gli uomini non sono più attratti da gabinetti fetidi, ma da strutture di vetro e alluminio.

Il rapporto, poi, che esiste fra la pulsione distruttiva espressa dai futuristi a) nel loro amore per la guerra, b) nell'avversione per ogni forma di "passatismo" umanitario, e c) la contemporanea divinazione della capacità "immensificatrice" della tecnica, esprime, secondo Fromm, quella "qualità necrofila" di cui "la nostra epoca offre tanti esempi":

La connessione palese fra distruzione e adorazione della tecnica trova la sua prima esplicita, eloquente espressione in F.T. Marinetti, il fondatore ed esponente più rappresentativo del futurismo italiano, e fascista per tutta la vita.

L'assunzione di caratteristiche necrofile passa, dunque, attraverso l'adorazione ossessiva del mondo meccanico e Marinetti sarebbe un primo esempio, "esplicito", nel quale la presenza patogena della coppia tecnica-distruttività è rivelatrice, tra l'altro, di atteggiamenti che "costituiscono un'ulteriore dimensione delle reazioni necrofile", vale a dire la tendenza spiccata e violenta verso le ideologie coercitive e reazionarie; non a caso Fromm sottolinea che l'apostolo del futurismo fu "fascista per tutta la vita":

Lasciatemi dire che le sue idee rivoluzionarie lo collocano vicino a Mussolini, e ancor più vicino a Hitler. Il nazismo, infatti è caratterizzato proprio da questa mistura di professioni retoriche di spirito rivoluzionario, dal culto della tecnica, da obiettivi di distruzione.

Marinetti esercita, accanto alla tradizionale immagine di ispiratore dinamico e intelligente, di guida sicura e energica del futurismo, quella meno diffusa di nume macabro e funereo, cresciuto all'ombra della necropoli millenaria egiziana. Del resto non mancano episodi all'interno del futurismo che ricordano questo retro-influsso marinettiano. La maniacale disposizione, per esempio, ad elencare nomi di cadaveri a scopo propagandistico, come è il caso accorso sulla rivista "Roma Futurista" dove, per tutto il 1918 e gran parte del 1919, si distinguono scrupolosamente, in prima pagina, i caduti futuristi in guerra fra: "Morti nella guerra", "Feriti nella guerra" e "Morti sotto le armi", non mancando, in altre occasioni, di descrivere minuziosamente il tipo di ferita, le eventuali amputazioni, mutilazioni e interventi chirurgici riportati, eroicamente, da ogni adepto. Da ricordare è la famosa serata futurista" organizzata per inaugurare la prima "Esposizione Libera Futurista Internazionale", tenutasi a Roma, alla Galleria Sprovieri, il 13 aprile del 1914, quando vi si " celebravano i funerali grotteschi di un critico passatista, morto di crepacuore sotto gli schiaffi futuristi". Bruno Corra scrive nella raccolta Con mani di vetro (1910-1914). Note biografiche su Lapa Bambi, un racconto che contiene un episodio grottesco, dello stesso tenore della serata da Sprovieri, che è il "funerale" di Lapa; infatti "il funerale comico (diventerà) caro ai futuristi". Dello stesso tenore un sogno "cinematografico" di Arnaldo Ginna che si svolge sentendosi, dannunzianamente, dentro un "catafalco". Mentre in una lettera di Marinetti a Balilla Pratella, del 20 dicembre 1916, a commento della situazione creatasi nel gruppo futurista dopo la scomparsa di Boccioni, il poeta esprime freddezza e cinismo, malcelati da una verbalizzazione enfatica, di fronte alla morte dell'artista. Vi si ritrova il già disumanizzato Marinetti scagliato "...contro quella schifosa tendenza che spinge tutti a mettersi comodamente a tavola sul corpo di un artista morto" e che esorta imperterrito di fronte alla morte dell'amico: "Dobbiamo dare l'esempio. I vivi, i vivi soltanto sono sacri".

Marinetti, in altre occasioni, ha avuto modo di riconoscere indirettamente una generica "paura di morire" - che si è manifestata nella ricerca affannosa di un'esorcizzante volontà di dominio - quella stessa paura che Celli pone come radice inconscia della sua incondizionata accettazione del mondo moderno.

Un rapido excursus sulle microfasi tematiche a carattere necrofilo presenti nelle "sintesi teatrali" futuriste, può risultare interessante, in coda agli esempi finora riportati. Nella sintesi Parallelopipedo di Paolo Buzzi il personaggio del poeta dorme in una bara, di giorno usata come armadio, che contiene un materasso ripieno di capelli di donna. Nelle sintesi di Marinetti: in Improvvisata un carro funebre schiaccia un morto; in Cura di luce il "corpo erotico", che è un enorme pene che si erge al tatto, è portato come un morto da sei donne; in Indecisione l'uomo "vestito di bianco" trova una mascella di scheletro nella tasca dei pantaloni e la mostra al pubblico. Ne I Pervertiti di Mario Carli, il personaggio "Serio" si dichiara interessato ai "segmenti" e alle "frazioni" (Fromm, nel suo saggio, ricorda la caratteristica necrofila della predilezione per i frammenti e le sezioni del corpo umano). In Costruzioni di Remo Chiti si assiste al dialogo fra un "Assassino" e un "Morto", il primo dei quali desidera bere il sangue del "Morto" che, a sua volta, lo invita a farlo. In Sensualità meccanica di Fillia, infine, si esalta la geometrica luminosità del "sesso artificiale" nel totale annullamento dell'"Io".

Curiosamente inclini al "sentimento" necrofilo sono alcuni "progetti per un'architettura funzionale al servizio del macchinesimo" di Renato di Bosso e Ignazio Scurto come "L'altare della civiltà meccanica illuminato da un'ampolla contenente lo spirito bruciante del Dio-macchina"; o il "Tempio-officina per la solidificazione dell'oltre vita"; o lo "Strumento motoristico musicale che avrà il compito di sonorizzare il trapassato". Si tratta di una fredda miscelazione fra architettura e design di marmorea e fascistica solidità.

Ancora, un poeta pubblicitario, Giovanni Gerbino, dalle pagine di "Dinamo Futurista" lancia uno slogan rivoluzionario: "...perché la mia Beatrice non debba essere una Isotta Fraschini?". Fromm, a sua volta, nel paragrafo "Il nesso fra la necrofilia e la tecnica" può affermare che nel "...mondo industrializzato vi sono uomini che sono più teneri con la macchina che con la propria moglie...".

Necrofili sono anche coloro che prediligono i cattivi odori, e anche se Fromm non parla di odori artificiali, si può estendere a questi ultimi - pur sempre prodotti tecnologici - l'analogia con gli odori fecali e dei corpi in decomposizione caratteristici di una necrofilia pre-industriale. Pur essendo lontani dalla raffinata ossessione odorosa del conte Des Esseintes, protagonista di A' rebours di Huysmans, più volte accusato dai futuristi di perversione ed effeminatezza, ma pur sempre imitato, l'"aeropoeta" Fedele Azari dedica il manifesto La flora futurista ed equivalenti plastici di odori artificiali, in onore alla morte degli odori e dei fiori naturali e alla loro sostituzione con altri progettati e realizzati in laboratorio.

Lo stesso ordine di considerazioni vale per il "cibo sintetico", che trova, sempre in Marinetti e con qualche moderazione in Depero, dei ferventi assertori.

Fromm sottolinea anche che una eccessiva igiene, allo stesso modo che la passione per i cattivi odori, è uno dei refusi caratteriali della necrofilia; basta qui sottolineare, semplicemente, la costante ricorrenza negli scritti dei futuristi del termine "igiene".

Anche l'amore futurista per la metropoli, che sia Mumford che Fromm, considerano una ciclica estensione della necropoli, è latore della formazione della passione sadica, oltre che di quella necrofila.

La metropoli è anche il regno del "diurno" nell'essere permanentemente forata da neon e "fotoelettriche", quel fluire continuo di luce che annulla la notte, è anche l'emblema della pianificazione del territorio, dove si operano quei lifting generazionali dell'apparenza architettonica che Sant'Elia diagnosticava come auspicabili con una incessante demolizione-ricostruzione. Nel progetto architettonico futurista della metropoli, il concetto di "passato" veniva sostituito con un eterno presente, cimiteriale sintesi della staticità e della distruzione delle stratificazioni simboliche, operate nel tempo dall'uomo.

La metropoli, ancora, stimola la nascita dell'androide, quell'"uomo meccanico dalle parti cambiabili", capace di resistere alla sua incessante richiesta di energia e di movimento. I futuristi, ossessionati dall'idea della morte, escogitano l'"organo artificiale", anch'esso emblema della non-vita, ennesimo legame edipico con la macchina, di un uomo ormai ridotto ad essere "parte del meccanismo complessivo che egli controlla e dal quale viene simultaneamente controllato". Si emula la precisione dell'ordigno, l'esattezza ritmica dell'ingranaggio, si osa con fare inconsapevole contro la caoticità ma anche la necessità vitale delle sensazioni fisiologiche:

SENTIAMO MECCANICAMENTE. CI SENTIAMO COSTRUITI IN ACCIAIO ANCHE NOI MACCHINE. ANCHE NOI, MECCANIZZATI.

Si potrebbe continuare sulla scia di quest'analisi, a vedere nell'amore per la velocità, nella convinzione che la forza e la violenza siano l'unico strumento utile alla conquista delle coscienze, elementi di quel carattere necrofilo, di cui i futuristi sono assertori nella teoria come nel prodotto artistico. Fromm commenta, con queste parole, il manifesto di fondazione del futurismo del 1909

Ritroviamo qui tutti gli ingredienti classici della necrofilia: culto della velocità e della macchina, poesia come strumento di attacco; glorificazione della guerra; distruzione della cultura; odio per le donne; locomotive e aeroplani visti come forze vitali.

Votre futur est déjà passé!

C'est un procédé uniquement mécanique.

(..) Vous marchez véritablement à la mort.

Robert Delaunay

L'amore per la macchina è dunque un piacere necrofilo. La centralità che essa assume nel pensiero futurista, dando vita ad una poetica che non cessa di favorire "querelles", ci induce a considerare questa breve proposta di rilettura come necessaria ad uno studio che vuole occuparsi prevalentemente di una delle macchine predilette dai futuristi: il cinematografo.

In un contesto, come quello appena descritto, il cinematografo assume nel futurismo il ruolo di meta-macchina - capace di parlare di macchine - vale a dire strumento di quella tecnica, da loro così esaltata, in grado di riportare su uno schermo, allo sguardo, la non-vita di esseri "disumanizzati" e "meccanizzati", all'occorrenza sostituiti con "oggetti" o "parole", "linee" o "colori". Lasciamo commentare a Barthes e ad Adorno, attraverso due brevi citazioni, il ruolo dell'immagine che da quello schermo è visibile:

...bisogna pure che in una società la Morte abbia una sua collocazione; se essa non è più (o è meno) nella sfera della religione, allora deve essere altrove: forse nell'immagine che produce la Morte volendo conservare la vita.

(La)... produzione cinematografica (...) manipola oggetti dati - già defunti in anticipo - e li lascia con rassegnazione nella loro esteriorità, senza introdursi nell'oggetto stesso se non ad intermittenze...


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