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ECOMEDIA

Corpo e mente tra comunicazione orale e mass-media

Introduzione

La prima parte di questo breve testo è stata scritta nell’arco degli ultimi tre anni assommando una serie di esperienze provenienti dalla sperimentazione diretta sul rapporto tra: funzioni e valori della comunicazione orale e dimensioni psichiche scaturite dal consumo quotidiano di informazioni mediate.

Ho scelto di lavorare non su campioni umani esterni al soggetto che dimensiona i termini della sperimentazione (i tests), ma ho preferito essere contemporaneamente: laboratorio psico-fisico nel quale avvengono i fenomeni indotti da differenti eventi di comunicazione e osservatore imparziale di ciò che nella mia mente e nel mio corpo accadeva in relazione all’immissione di quegli eventi. Questa decisione di essere sia il soggetto operante che la cavia della sperimentazione era motivata dal fatto che volevo osservare, in dettaglio, l’influsso degli eventi di comunicazione, in particolare quelli provenienti dai mass-media, sul dialogo interiore (Cfr. I.3).

Sia per l’impegno che questo lavoro richiedeva, sia per le difficoltà oggettive di essere ad ogni istante, compreso l’evento del sogno, affianco all’eventuale cavia umana e poter liberamente scorazzare nel suo dialogo interiore ed osservare ogni più intimo movimento, decisi, viste queste premesse irrealizzabili, di semplificare la ricerca e nello stesso tempo, renderla più attendibile: nel senso di sperimentare l’immissione di comunicazioni mediate e immediate ripe-tutamente e osservarle in tempi lunghi e in maniera critica e, per quanto possibile, ‘imparziale’. Decisi appunto, di unire le figure, ordinariamente ma non tradizionalmente, separate dello sperimentatore e della cavia umana, nella mia persona.

Verso la fine del 1986, dopo alcuni anni dedicati allo studio e alla percezione intensiva dei sistemi di comunicazione mediati e dopo una serie di riflessioni su alcune trasformazioni comportamentali avvenute nella mia personalità che non condividevo e non avevo generato volontariamente, decisi di studiare queste trasformazioni nella loro origine e nella loro modalità di fissazione in comportamento. Dopo aver predisposto alcune metodologie operative e uno studio integrativo con altre discipline, in particolare psicoanalisi e filosofia, decisi di partire con l’esperimento cominciando con l’astenermi dal consumo di informazioni mediate per un periodo di almeno un anno.

La prima ‘vittima’ della mia decisione fu la televisione che presa in tutta la sua quotidiana maestà fu depositata accanto ad un bidone di rifiuti. Si trattava di una Tv in bianco e nero che utilizzavo, così come molta parte dell’audience crede, in maniera ‘intelligente’, vale a dire sceglievo i programmi più adatti alle mie aspettative e meglio confezionati e me li gestivo nel ‘tempo libero’ (nozione del tempo insorta nell’epoca dei media fabbricatori di sogni). Quest’epoca d’oro delle mie serate condivise con la luce del tubo catodico (‘catodo’ dal gr. káthodos ‘discesa’), volgeva al termine visto che la Tv era diventata un modo elegante per fissare la propria solitudine in una stanza credendo di sfuggirla.

Come secondo passo decisi, dopo anni di cinefilia e con una difficoltà che aveva l’apparenza di una separazione affettiva, di chiudere, al mio interno, ogni sala cinematografica e rinunciai, sempre volontariamente ad ogni film, sia dei grandi autori che al cinema commerciale fantastico dove si mostrano i muscoli finanziari dell’industria culturale.

Avevo comunque solo iniziato, poiché mi resi conto dell’attaccamento alla stampa quotidiana e al fatto che sotto la veste del consumo dei ‘fatti del giorno’ si celava un’ansia di partecipazione ‘in poltrona’ che non condividevo più. Quindi decisi di non comprare i quotidiani, anche perché non dovendo scegliere quale film andare a vedere la sera o quali programmi televisivi selezionare non ne avevo più realmente bisogno. In fondo capivo solo in quel momento che i media sono collegati l’uno all’altro da una fitta rete di rimandi e dipendenze, e cogliere e dimorare nell’aspetto di uno significa legarsi agli altri; e mi si palesava alla coscienza anche che la gara di velocità nell’informare limita il libero cielo della mente con mille giri d’opinione.

In seguito scoprii che in casa continuavo ad accendere la radio, nelle pause di studio e scrittura. Un medium con il quale si fanno volentieri tante cose dalle pulizie al bricolage e che si incontra nel tessuto urbano, spessissimo, nei supermarket, perché pare favorisca la ‘spesa’ ammansendo l’udito di musiche e notiziole tribali mentre le mani prendono dagli scaffali ogni ‘bene’. Questo filo tenue di onde mi teneva informato sui ‘fatti e le melodie del giorno’ e anche qui fu staccata la presa con convinzione, visto che lo scopo che mi prefiggevo, per il primo anno, era semplicemente quello di ‘disintossicarmi’ dal consumo quotidiano dei media, prima ancora di poter osservare l’influsso sul mio dialogo interiore e quindi sulla mia visione o, nel caso della radio, udizione del mondo.

Dopo la radio fu la volta dei riproduttori audio domestici (Cfr. I.6) su vinile (i dischi) e su nastro magnetico (le cassette): quindi niente più musica riprodotta artificialmente ma solo concerti ‘dal vivo’ e musica fatta con voce, fiato e mani. I riproduttori audio domestici, divenuti col walkman ambientali, delineano la colonna sonora del nostro ‘film vissuto’ e producendo dei suoni attraenti e ben congegnati, reiterabili a piacere, guidano con ‘successo’ ad un certo rallentamento il dialogo interiore o, come nel caso delle discoteche, dove l’udito viene saturato dal volume eccentrico, ad una sospensione tattica del dialogo, per immettere i ritmi criptomilitari del rock.

Rimanevano in casa i libri e il telefono. Per quanto riguarda i libri (pensiero materiato in un ‘volume’ geometrico, solido), solo per brevi periodi sono riuscito a non comprarne e a non leggerne e da ciò fu tratta l’impressione che l’alfabetizzazione permea, allo stesso modo del linguaggio verbale, in maniera profonda, al punto da essere difficile pensare che in breve tempo si possa liberare la vista dall’acquisire concetti e poterli finalmente restituitre all’orecchio, sede naturale dell’ascolto dei discorsi (Cfr. I.2).

Il telefono, invece, ("la tua voce" al di là di valli, montagne e mari), ha il carattere degli invadenti e come un intruso, notte e giorno, si fa sentire nei momenti più impensabili ad interrompere il ‘fare’ e spostarlo subito nel ‘dire’. La sua caratteristica principale è comunque quella di farti pagare il dialogo, qualsiasi dialogo, d’affari e d’affetti, con ritmiche cascate di scatti: invita perciò alla concisione affrettata, cioè al dire poco e male. Anche del telefono è stata estratta la spina nel fianco delle mie giornate in modo che temporanei ‘distacchi dalle linee’ mi consentissero di rimanere, senza disturbi e interferenze, nella circolarità delle presenze fisiche, viventi accanto allo spazio occupato dal mio corpo. Appena decisi di ridurre l’uso del telefono, con quel parlare che ti rende solo di fronte alle stanze vuote o, nel caso del cellulare, sospeso dal flusso esterno come in vetrina, mi sono subito accorto che per comunicare con le persone lontane tornavo ad usare la romantica ‘lettera’. Ogni conversazione telefonica è quindi un sostituto della lettera, solo che il telefono è adatto anche agli analfabeti. Questa vocazione ‘postale’ del telefono è stata resa evidente dall’avvento del fax che trasferisce manoscritti e altro, non più con la serie messaggero-cavallo-strada-carrozza-binari-motore e consegna con tempo differito, ma attraverso fibre ottiche in tempo ‘reale’.

L’allontanamento del telefono fa riscoprire il valore dei vicini di casa, quegli esseri occasionali con i quali condividi lo stabile. Questi rapporti sociali si rivalutano spontaneamente, uscendo come da una distrazione che non ti aveva mai consentito di renderti veramente conto della loro presenza. Il ‘distacco dalle linee’ telefoniche mi aveva fatto osservare anche che avevo modificato l’insana tendenza a liquidare facilmente le amicizie attraverso le incomprensioni della ‘voce (da) lontano’ (gr. têle ‘lontano’ e phone ‘suono’, ‘voce’), ma di discorrere, delle cose scottanti o dei problemi del rapporto amicale o affettivo, esclusivamente viso a viso, evitando tante cornette ‘sbattute in faccia’, cioè nell’‘orecchio’, con quelle pericolose interruzioni violente del dialogo, che scavano solchi profondi di amarezza, risentimento e false valutazioni dei comportamenti. In questo modo ottenni anche un buon risultato sul piano materiale, passando da bollette che si aggiravano mediamente dalle tre alle quattrocentomila lire a cinquanta-ottantamila lire al bimestre. Il telefono è comunque difficile da controllare poiché mette in campo la propria voce e quella di un referente (o twins o più), che conosciamo o stiamo conoscendo e ciò ci interessa terribilmente.

Dopo qualche tempo, e con parecchi problemi, quando sono riuscito a ‘liberarmi’ dalla presenza e dal consumo quotidiano di molti media contemporaneamente, ho notato che i miei amici e conoscenti manifestavano disappunto e costernazione di fronte alle mie scelte e si preoccupavano, come segno di compassione rispetto al mio stato anomalo, prima uno poi l’altro, di tenermi informato. In questo modo ho continuato a ricevere i ‘fatti del giorno’ e i racconti orali delle storie dei film, dalla voce di esseri viventi che discutevano con me quello che apprendevano nel loro tempo mediato e ci fu più di uno che si mostrò meravigliato di come fossi al ‘corrente’ nonostante il mio ‘digiuno’.

Un’altra fonte di informazioni ‘non eludibili’, giungeva dalla pubblicità stradale, dalle insegne ‘fisse’ (fr. afficher ‘affiggere’, dal lat. adfigere’ ‘fissare’) e mobili (sugli autobus e sui camion aziendali) e dalle edicole di giornali. Tutto questo apparato disposto, come le reti per la pesca a strascico dei fondali, lungo gli assi stradali delle città, ‘affligge’ gli spostamenti quotidiani dei cittadini prendendo tutta l’attenzione possibile da chi passa vicino o lontano, per dare in cambio quanche volta un bi-sogno altre volte un sogno, altre volte, invece, certezze o consigli a scopo d’orientamento.

Sono rimasto in questo stato di ‘sospensione’ volontaria e parzialmente non-condizionato da media chimici e meccanici, elettrici o elettronici, e misti molto più tempo di quanto avevo previsto. Il risultato di queste scelte generò un profondo cambiamento nella mia vita privata, sia nel modo di vedere che nelle relazioni sociali, dove recuperai l’immediatezza, oltre i ‘fatti del giorno’ e le fantasticherie cinematiche (Cfr. II), le quali si dissolsero come quando salendo sugli Appennini dalla Pianura Padana, ci si solleva oltre il velo di nebbia e si vede il sole disteso potente su quella coltre grigia, spessa poche decide di metri. Contemporaneamente il lavoro teorico programmato, con questo esperimento, bisognava portarlo a compimento, nel senso di scriverlo e svilupparlo almeno quel minimo che lo rendesse comprensibile, com’è nel testo che presento. Questo fu reso possibile nei due anni dedicati all’insegnamento (orale) nelle Accademie di Firenze e Carrara, quando dedicai parte del corso sui mass-media al rapporto fra comunicazione orale e comunicazioni mediate delineando una comparazione.


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