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MATERIALISMO ARTISTICO E ARTE SPIRITUALE

5. L'arte impersonale

Platone disprezza l’imitazione fine a se stessa di immagini esteriori (come l’esempio riportato a proposito degli Impressionisti e della fotografia Cfr. 3-4) e, contemporaneamente, le opere che recano temi con implicazioni prevalentemente individualistiche. Da un punto di vista tradizionale infatti la rappresentazione nelle opere d’arte delle emozioni personali è del tutto irrilevante, mentre è considerata preziosa la rappresentazione dei sentimenti scaturiti dalla conoscenza reale della propria condizione, sentimenti questi che possono essere comunicati ed hanno un senso anche per gli altri.

Molte persone a questo punto chiedono: ma allora l’artista tradizionale è un essere inesistente da un punto di vista della presenza emotiva? La risposta è tutt’altro! L’artista tradizionale dimora in una libertà dal mondo formale, al quale noi siamo profondamente vincolati anche a causa delle nostre arti così realistiche, ed è libero anche da vincoli concettuali e passionali che ci danno l’illusione di possedere il mondo e di sentirci padroni della realtà (Cfr. 19). Piuttosto, nel nostro caso, sono proprio i vincoli di passioni grezze e non autoindagate a fondo e chiarificate dalla consapevolezza, a condizionare tutta la nostra esistenza percettiva. Quando poi si scambia questa realtà, percepita con i filtri delle passioni, come realtà oggettiva, scaturisce un atteggiamento un po’ troppo presuntuoso e pesante fatto di cecità concettuale e integralismo materialista. E’ evidente che anche le arti elaborate sotto l’effetto di questi filtri percettivi e coscienziali non evoluti, sono effimere e poco significative.

Del resto l’arte moderna è, in senso generale, una rappresentazione della soggettività e questa tendenza, che nasce alla fine del Medioevo, che il Rinascimento istituzionalizza, si consolida nel periodo Barocco (tuttavia i confini non sono mai netti) e si cristallizza infine in maniera evidente in epoca moderna, fino a diventare un modo ordinario di produrre arte nella contemporaneità.

Se ad esempio guardiamo l’opera dell’artista dell’alto Medioevo, vediamo, fra le mille particolarità, che non firma il lavoro eseguito. Questo costume è in uso ancora oggi presso l’artista indiano o tibetano o aborigeno ecc., perché l’opera prodotta, in questi contesti culturali, non viene riconosciuta come parte esclusiva della soggettività di un singolo artista. In altri termini, l’artista tradizionale non crede che l’opera d’arte che produce appartenga esclusivamente al suo mondo egoico1, ma crede che appartenga all’umanità, a quell’umano che lui è andato a cogliere al proprio interno.

Questo disegno comportamentale dimora nella concezione e nell’esperienza di uno stato dell’essere molto più vasto dei limiti angusti dell’ego. Si tratta del mondo delle idee matrici di ogni forma che ha la potenzialità di manifestarsi nel mondo umano ed essere percepito e apprezzato dai nostri sensi e dalla nostra mente.

Per questo un artista tradizionale quando produce un’opera non la sente quindi come propria, nel senso che è il frutto esclusivo della sua individualità al punto da firmarla. Per questo non c’è alcun desiderio né bisogno di privatizzare l’opera d’arte e di vincolarla alla singola inventività di un individuo.

L’artista tradizionale, in questa visione del mondo dell’arte, si offre come tramite o ponte generativo per la cristallizzazione dell’opera, perché dedica la sua esistenza ad acquisire tutte le abilità tecniche che gli consentono di essere un veicolo adatto all’apparizione delle forme ideali nel nostro mondo percettivo e psichico. L’artista si dispone quindi ad essere il tramite per il quale l’archetipo dei tipi umani si manifesta in tutto il suo splendore, trasfigurato nel corpo dell’opera d’arte.

Di fatto nessuno si sognerebbe di considerare questo tipo di opera come un’opera che ha avuto spazio solo grazie all’attività di un capriccioso e limitato ego che fra le altre cose è considerato, nelle filosofie e religioni tradizionali, un aggregato transitorio che scompare con la morte e non incide più di tanto sullo stato della coscienza:

" ...la passione è un’assenza nell’anima dell’essere oggettivo... " (PR, 40)

Nella sua attività l’artista tradizionale non cerca di separarsi dal cosmo, ma opera in stretta e intima collaborazione con gli archetipi. In lui dimora la capacità di attingere ad un linguaggio universale, altrimenti l’opera d’arte come potrebbe ambire a poter parlare a tutti gli uomini? Se l’idioma dell’opera fosse solo egotista chi potrebbe giovarsene?


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