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Ascoltando Chopin
Ascolta gabbiano

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ascolta gabbiano

 

 

Ascolta gabbiano,

aspetta un momento, un attimo solo !

Sono io che ti chiamo,

sono io che rapita,

guardandoti in volo

invano le mani protendo

a prenderti l'ali...

Oh gabbiano, potessi io

lontano volare,

perdermi in orizzonti perlati,

potessi come te seguire l'onda

di mari infiniti,

cullarmi nel cielo coi venti !

Potessi io, ubriaca di sole

vagare stordita,

gustare appagata lo spazio

nei mari e nei cieli

e riprendere vita.

 

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Stelle

 

Lucciole immote, eterne.

Frammenti di luce al sole sfuggiti,

lontani pietosi tremori,

corpi senz'anima

vivi ad umani dolori.

Stelle.

Stelle che vegliano uomini e donne,

Sono dolcezza che tutto ama,

sono pietose.

Sono stelle.

 

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Alta marea

 

Sale

di notte

l'acqua

a rapir

la barca

che all'asciutto posa.

A sé

l'attrae

il flutto

e lava

la conchiglia

alla chiglia

abbarbicata

che in sosta

le rimanda

l'amico

fluire dell'onda.

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L'acacia

 

Era la prima volta che scendevo

lungo il sentiero a picco

che porta fino al mare.

Ero ormai certa

che l'angolo di mondo selvaggio,

col mare trapunto di scogli,

opulento di pace e bellezza

era mio,

l'avrei rivisto ogni giorno,

ogni ora, ogni attimo

avessi voluto.

Amico io lo sentivo,

burbero e benefico,

tenero e accigliato,

aperto e prodigo.

A lungo respirai di quel salmastro,

per troppo forse.

Mi scosse il sole ch'era già alto

e bruciava da ore la mia pelle.

Decisi di tornare.

Ansante, arsa la gola,

iniziai a salire.

Gli occhi, dalla luce offesi,

le palpebre accostavano

e con le ciglia

s'offrivano riparo.

Cercavano affannosi,

delusi e brucianti

un'ala pietosa, un'ombra.

Implacabile leone

addosso mi ruggiva,

facendo corti i passi e il fiato

mi contèndeva la mèta.

Stordita,

pietivo alla natura

sollievo di frescura

e fu allora che la scorsi

all'improvviso,

in cima alla salita,

e mi stupii non poco:

-Stamane non l'ho vista !

E pur c'era,

era un'acacia.

Era là, sul ciglio della strada,

verde contrasto

ai capperi selvaggi impolverati

che impudichi e innocenti

aprivano al sole i fiori

sfacciatamente viola.

Era in attesa,

protesa al mio ritorno,

l'ispida chioma china,

in generosa offerta.

Ed io la vidi bella,

la sentii amica.

Indietro poi mi volsi

e mi parve impoverita

l'immensità del mare.

Mossi un passo

e fui nell'ombra.

Poi mi sentii meschina.

 

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Epitaffio a un fiume

 

M'appresso,

frutto e pianta

di umana specie,

accesi gli occhi

ma pur le gote,

e leggo mesta

il lugubre epitaffio:

" Qui, creatura giace,

in non desiata pace,

da uomo condannata."

E' l'ultimo tuo canto

e a me è peso, ira e pianto.

Nel silenzio greve

l'orecchio tendo

per ritrovar la voce

del tuo fluir lieve,

dolce melodia

amica a fiori e piante

che con alterna vece

da te prendevano vita,

di te erano vanto.

E rubo al vento un soffio

che mi solleva a monte

sul candido tuo ceppo

che ti nutrì di nevi.

Ti vedo giovanetto

solcar di rughe e pianti

le gote alla montagna,

sparir per gioco in mal celati anfratti,

ricomparir più sotto,

a scatti.

Dal riso accompagnate

erano le tue cadute,

garrule fontanelle,

scroscianti cascatelle,

rimbalzi, saltelli,

di acqua gioiosi brandelli

poi, più giù tranquilli.

Argenteo percorrevi

le piste dei tuoi avi,

tra i boschi resinosi

di silvestri pini

vestiti ancor di rame

e dalle chiome glauche

che riverenti offrivano

umili frutti a cono.

Ma tu che fretta avevi,

tra i greppi,incauto, lasciavi

i gemmati intralci.

Sentivi

il grido del torrente

inquieto e rumoroso,

schiumoso e prorompente,

possente,

d'altri già pingue

ma ancor di te vorace,

che t'apprestava pronto

un letto più capace.

E lì giacevi adulto

senza sussulto.

Sereno andavi al lago

che grato t'accoglieva

e tu lasciavi pago.

Poi, tra il pian cantando

correvi al mare

la voce tua intonando

al suo mugghiare.

Oggi, che l'uomo

altro destino t'impone,

trascini nel tuo greto

i resti e le immondizie:

supremo baluardo

di un vivere balordo.

 

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Due pagine

 

Mia vita...

tutta su una pagina sgualcita.

Ad ogni riga anni

in ogni piega tarli;

e negli angoli i sogni,

i desideri occulti e poi sepolti,

le sorde ribellioni,

le ambizioni,

i visi indifferenti della gente,

le mani non protese dei parenti.

Qua e là, macchie indistinte,

le cose iniziate e mai finite.

Guardo delusa la pagina sgualcita

e mi coglie la febbre di finire,

finire di sognare,

finire di sperare, di aspettare.

Finire la pagina invecchiata

e continuar sull'altra

da un po’ già cominciata

e non sciupata ancora,

dove trovano risposta

domande mai osate,

e ascolto le parole,

dove si avverano i sogni,

i desideri si appagano,

le ambizioni riaffiorano.

Dove forse vacilla la ragione

ma viva mi sento.

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Eri in quel fiore, Padre

 

L'immobile quercia

da presto destino stroncata,

le radici

l'una all'altra sfuggenti

alla terra negava

e sul tronco,

incrociava i suoi rami!

Alla bocca,

in smorfia dolente,

un rimpianto di vita...

e di vita

uno sbocco affiorante

in rigagnolo bruno,

che nel fluire del fiotto

e nel suo macabro guizzo

ad un fiore vermiglio

invocava un appiglio,

in grottesco contrasto

a una morte non tarda

che seccato l'aveva,

beffarda.

E Tu eri in quel fiore, Padre,

eri in quel fiore.

 

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Ascoltando Chopin     

 

...sensazione lunare

le note di un notturno

si adagiano nell'aria

come carezza all'anima.

 

Poi improvvisi

risi di bimbi

gioia accesa

dal bacio del sole

in fredda giornata

di nuvole uggiosa.

E ancora note,

note oscillanti

poi chete

su tranquillo dolore,

preludi sublimi

su tanta tristezza

vaganti.

Lamenti al vento contesi,

dal vento portati,

nel vento svaniti.

Soffici brume

presagi di pianto,

mirabile sfogo di pioggia

che l'anima irrora.

 

Tenere note,

compagne all'attesa

di un albero solo

che aspetta il ritorno

del passero in volo.

Note timbrate

di amore lontano,

evasioni,

ire violente.

Inesorabili, diaboliche note:

fantasmi recanti paura di morte.

E il dramma l'anima

tutta riveste

frusta ed esalta

con furia irrompente,

tutta l'adduce

a febbrili deliri:

focose insegne

a tumulti

spenti in singulti.

Dirada l'ombre un valtzer brillante

prodigio d'estro,

inebriante,

che in vortice allaccia

impressioni fluttuanti,

fiori sgargianti,

farfalle danzanti,

voli di uccelli canori,

grazie che sublimano

il Creato

nel cielo del mattino

di tenero rosato.

Impressioni,

pennelli nel suono,

colori autunnali,

grigiori invernali

da eco eternati.

Divina armonia

che il tempo trascende.

Ti amo Chopin !

 

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Scogli

 

Bruni contrasti

al pallido azzurro,

emergenti ad alterne maree,

palpitanti

di piccole vite

suggenti

a prodiga fonte.

Fiori di roccia

sbocciati su vitrea zolla,

ispidi appoggi a corolle

di tenere erbe ricciute

che languide tendono

membra sinuose

di lambir d'onda vogliose.

Giganti inermi

a flagello di acque schiumanti.

Angeli neri,

custodi notturni

di argentei silenzi.

 

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Mattino

 

Il sorgere puro del sole,

piastra rovente

nel cielo di tinta sfuggente,

splendidamente nudo,

scevro d'orpelli

e umide tracce notturne,

l'assenza del vento,

distratto in immemori giochi

tra il verde dei colli.

Un lùbrico sciame

d'insetti impazienti,

ressa di amanti bramosi,

elude le foglie

e piega a sue voglie

le schiuse corolle

dei torpidi fiori

che lasciano all'erbe

una stilla

che brilla,

prelude a fatica.

 

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Dopo la pioggia

 

Sono immote

le foglie

dalla pioggia lavate:

simili a molli diamanti

le gocce percorrono

le facce venate,

inglobano discoli rivi

privi di meta.

S'ingrossa la goccia,

scivola, esita...cade!

Infranta ora giace

sull'umida torba

sacrario di spoglie,

e di foglie.

 

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Spero

 

e continuo a seminare

su terra solcata

da aratri,

nutrita da speranza

che non stacca

il bove dal giogo

ma l'un l'altro

alla zolla trattiene

con zelo.

Speranza,

chimera vagabonda

che erra su sogni

bruciati nei solchi

dal gelo.

E semino e spero.

 

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Sera

 

In tardi riflessi

vedo il sole giocare

nel denso cobalto del mare,

la riva assetata

l'acqua lappare

con lento fruscìo.

Sento imminente la sera

nell'aria che tace,

sento la sera

che dolce si spande

nella sua pace,

che spegne i bagliori

di obliqui cadenti rossori,

che avvolge i sospiri

del giorno che langue,

che estingue dell'astro la luce

nell'ultimo fuoco.

Non manca che poco...

la luna nel cielo è lucerna;

preghiera s'interna

alla serica sfera...

e abbraccio con gli occhi la sera.

 

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Vola!

 

Cerco lo spazio

con gli occhi,

per te,

anima mia braccata.

Sii discepola, una volta,

...ascolta:

rivendica i diritti

che ragione ti contende,

apriti mia anima,

non imputridire,

non far di te

quello che tempo

fa a tua spoglia!

Ridi, urla, canta,

libera la ragnatela che t'imbriglia!

Fai dell'istinto

il tuo fecondo limo,

snoda le radici nell'azzurro,

ne sentirai il sussurro.

Vola!

Sempre l'ignoto

è preferibile al vissuto.

Il cielo è tuo,

ne sei il tessuto.

Tuo è il tempo.

Tuo l'eterno.

 

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Sinfonia marina

 

Gioiosa e dolente

nel crepuscolo vaghi

sotto il viola del cielo

dove ancor non prevale

il ricamo di stelle.

Tu vivi e canti

nei sussurri dei soffi

su onde deboli e disperse,

tu vivi e piangi

nel vigore di quelle

che nel fiorir del sommo

in ribollìo ingordo

spengono del sole

il raggio stanco,

mentre su altre

lisce e cristalline

si specchia del giorno

l'ultimo contorno.

Tu sei nell'onda più potente

che scrosciante

scricchiola alla riva

come fascina frantumata

da piede di gigante.

Tu sei nell'alternare

del ritmo su scogli

che frenano ire furibonde

e inerti stanno

a carezze amorose.

E nell'instancabile vibrare

d'invisibili sonore canne

nasce un'armonia

di voci eterne

che al tramonto

dell'infinito

varcano le soglie.

 

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Lacrime

 

 

 

 

Dolore

di lutti di ieri,

amaro sgomento

presente.

Lacrime,

inutili arieti

a malefiche ombre,

rastrelli sdentati

a grovigli segreti,

urti di ansia

su contorti sentieri,

fonti di rabbia

impotente

vapore convesso

su ortiche.

 

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Sui sentieri della notte

 

Passi spronati d'angoscia

i miei pensieri

sui deserti sentieri della notte.

Echi tenaci

di giorni corrosi

in deluse speranze,

di ore scandite

da inutili attese,

un lampo

invocano a lor tempo,

un sogno,

anche se breve,

che infranga

di cose l'Essenza,

invocano un lampo

che irraggi la notte.

Un lampo...

pastura

a breve esistenza

di benefiche larve

corrotte all'aurora.

 

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Cristo, perché

 

Lasciarli alla croce

contrasto al dolore?

E' gioia

allora il morire,

ché a dolore piace

trovare nella fine

la sua pace.

Chi è sulla croce

ormai contorto

vuole con questa

breve rapporto,

non chiede alla vita

lunga tortura

per vita,

non scende a patti

con la paura

ma invoca con gli occhi

rottura.

Cristo,

perché farli soffrire?

 

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Estate

 

Sei nel mare che medita e tace,

nei trabocchi d'azzurro,

nella sabbia che scotta

e nell'alghe ammassate

in ristagno alla riva.

Sei negli africi soffi

che disperdono malìa

nell'afoso tormento

dei meriggi infuocati,

nella città vuota,

nei caldi vapori

che ammollano asfalto,

nelle orbite vuote di un tram,

nell'abbacinìo di una bianca facciata

in pienezza di luce,

nella violenza

di scrosci improvvisi

che sciacquano solerti

le foglie ed i tetti.

Sei nel sereno

che succede ai tuoni,

nelle rideste erbe

che libando il sole

smaltiscono ebbrezze

in effluvi buoni,

nei limpidi ruscelli,

nelle serene fonti,

nel candore dei gigli

e nel ronzio delle api.

Sei nel buio, palpitante

di mille muti voli,

nello scemar dei trilli,

nel crescendo dei frinii,

tra i sospiri cadenti del vento,

nel caldo bacio della sera.

Sei in me

che vagheggio il freddo delle stelle

e gravitare vorrei nel cielo

per asciugare le notturne stille.

 

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A una rosa bianca

 

Pura sei,

fiocco di schiuma,

chiostra di petali

in rapida vita.

Bagliore lunare nel sole

che t'ama,

ti bacia,

t'invade,

ti assorbe,

t'invecchia

e in un giorno

ti sfoglia.

 

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Perché ho te

 

Perché ho te poesia

vivo,

perché ho te

amo e sono,

parlo per chi tace,

canto anche nel pianto.

con la tua voce

grido,

affido al vento il mio pensiero

e sento la risonanza delle stelle.

E' in te,

porto dai moli evanescenti

che attracco la mia anima.

Tu,

nocchiera alla mia barca,

sicura passi

tra i grovigli della mia palude,

ne fori le nebbie;

e accarezzo nuove aurore

se mi sveli i misteri

delle radici della notte,

e voli di gabbiani

vedo su mari inesistenti

se mi proietti

nei tuoi tersi cieli.

Ti cerco,

ti desidero,

brucio,

mi distruggo e

mi ricreo,

e finalmente libera

mi levo,

grido,

amo

e canto

perché da cielo,

mare e terra

m'arriva la tua voce.

 

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Fermati tempo

 

Fermati tempo !

Fammi stordire d'argento di luna

e oro di stelle,

beami di soffi notturni tra i capelli,

fa' che la mia corsa

lungo la battigia

competa ancora con garrule spume.

Fermati !

Fammi sentire ancora

desiderio di tenerezza

e voglia d'amore,

fammi rubare ancora

i raggi al sole

e tuffare il viso

tra i candidi petali

delle rose che ho nel cuore.

Possiedimi tempo,

fammi tua essenza,

tua linfa,

fermati in me,

amami,

lasciami ancora

lava di passione

e seme di libertà.

Non infierire sulla mia corteccia,

non ghermirmi con artigli,

accarezzami con guanti di velluto,

dammi ancora denti di perla,

labbra di corallo

e occhi che bramano azzurro.

Porta al presente il mio passato

e fa che da esso

non arrivino sospiri

ma solo risa

a infrangere il silenzio.

Voglio ali di soffici piume

per fluttuare con te nello spazio,

voglio che si fermi il mio tramonto,

voglio un futuro nell'eterno.

Ti voglio tempo

per contare ancora le stelle

vestita di opale di luna

per lasciarmi penetrare nella notte

dalla voluttà dei gelsomini

con l'anima sospesa

a un trillo d'usignuolo.

 

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Schegge d'autunno

 

Dell'autunno amo le stelle

vigili al giorno che muore,

l'ora estrema della notte

preludio alla variegata aurora,

ed i lattiginosi chiarori del giorno.

Amo l'ansimare del mare

nel rincorrersi di ribollenti schiume,

il vento

che impietoso,

estirpa ,lacera e contènde,

i tuoni

che squassano l'aria,

la tempesta

che in debole ticchettìo

muore sui vetri

e le gravide corolle

chine sugli steli.

Amo lo sfioccare di nubi

e il cielo imbronciato,

l'umido fiatare

delle imbibite zolle

e le ospitali pozzanghere

dove poveri raggi di sole

tremuli si accovacciano

tra il gricolìo di foglie morte.

 

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Quando

 

Quando per sempre

muto sarà il vento,

quando ai monti,

le pianure e le valli

dei fiumi resterà

solo il ricordo,

quando alle foglie assetate

saranno negati

diamanti di brina

e il sole avvilito

a poco a poco

richiamerà

le sue tristi ed inutili carezze

e per sempre immoti

i mari specchieranno

cieli indifferenti,

quando i destini del mondo

saranno compiuti

e il silenzio incolume

dominerà su resti inerti,

allora , solo allora,

forse,

nella loro polvere

troveranno risposta

i mille perché della vita.

 

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Ai confini della luce

 

Ora sta il gabbiano argentato

e non osa

i cieli tersi

e i mari infiniti.

Ansimante,

e con l'ali raccolte,

sul suo atollo

di spenti coralli

conta i giorni

sgranati dal tempo,

dove,

sempre in più rapida corsa

dilegua il suo tramonto,

e dove,

ai confini della luce,

stanco si perde

l'ultimo suo volo,

dove il suo canto

lacera l'anima ai venti,

dove eco,

pietosa,

ne raccoglie

la spettrale armonia,

dove le sue ali,

per sempre inerti,

si perdono

in fredde trasparenze di cristallo,

dove la notte

genera ombre più dense

per nascondere

il pietoso tremolio delle stelle.

 

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L'altro paradiso

 

Ascolta... è il vento!

Dal suo mobile podio

impone il ritmo

a crepitanti, corruschi vapori

che in crescendo

divorano pini, larici e faggeti.

Senti?

Non è stormire di foglie

il canto

ma lugubre concerto,

pianto,

grido

che lacera il silenzio

del cielo immobile e sconfitto,

ignora l'ebete sorriso

del sole indifferente,

sale, sfiorando

il flagrare d'ignote stelle,

rotola tra ombre

fatte di nulla,

fatte di distanze.

Deluso,

averte la sua prora

dal rutilio delle vanesie lucciole

che affollano il sidereo.

Porta lontano

il gemicare della sua pena,

sa che

c'è un altro paradiso che l'attende,

un paradiso

senza porte e chiavistelli

dove

sarà eterea armonia

che affonda le radici nell'eterno.

 

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Ed io ti creo

 

Ed io ti creo

con occhi vigili alla mia tristezza,

orecchio teso ai miei pianti muti,

mani che mi sfiorano la pelle,

all'improvviso, come presaghe

dei miei inespressi desideri,

braccia che si allargano e mi accolgono,

profonde, senza fine

dove trovo ciò che è,

ciò che non ho.

Così ti creo,

arpa che vibra ai miei deliri,

mare di tenerezza infinita,

porto di pace,

faro che squarcia le mie tenebre,

furia avida di me.

Così ti creo uomo,

così ti voglio,

come non sei.

 

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Ora

 

Ora

i rami rinsecchiti

disperati proteggono

le foglie gialle

dalle ombre della sera,

ora c'è in me solo il tepore

di quel fuoco che la vita mi sostenne,

solo il tepore

che nulla potrà

contro l'imminente freddo.

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