7. I volonterosi funzionari del doppio Stato
Dopo il 74 il «partito del golpe»
si scioglie o, meglio, cambia tattica. Abbandonata quella dello
scontro frontale, si avvia a praticare nelle mutate condizioni internazionali,
politiche e sociali una più raffinata, foucaultiana occupazione
dei centri di potere, coordinandosi in quel club delloltranzismo
atlantico noto come Loggia P2. Continuità e cambiamento:
tutti i protagonisti della dura stagione passata alla storia come
«strategia della tensione», compreso Sogno, li ritroviamo
nelle liste della loggia di Licio Gelli, che del «partito
del golpe» aveva fatto parte, con ruoli non marginali; tutti
gli elementi salienti di programma del «golpe bianco»
passano nel gelliano Piano di Rinascita Democratica; e Sogno compare
anche nella vicenda Sindona: con Gelli, John McCaffery, Philip
Guarino, Carmelo Spagnuolo e Anna Bonomi Bolchini è tra
i firmatari degli «affidavit» al bancarottiere, le dichiarazioni
giurate che chiedevano alla magistratura americana di non estradare
Michele Sindona in Italia, poiché qui era perseguitato
dalla giustizia in quanto anticomunista. Intanto la vicenda giudiziaria
di Sogno si risolve felicemente. Un mese e mezzo di carcere; i servizi
e il governo che oppongono il segreto di Stato su molti dei documenti
che lo riguardano; il trasferimento del procedimento a Roma; la
richiesta di proscioglimento del pubblico ministero, il 7 dicembre
1977, per insufficienza di prove; la dichiarazione del giudice istruttore,
il 12 settembre 1978, di non doversi procedere per le attività
eversive di Sogno e dei suoi coimputati «perché il
fatto non sussiste». Negli anni seguenti Sogno fa sentire
la sua voce attraverso unossessiva attività pubblicistica,
sempre a tinte forti. A un saggio sulla «guerra non ortodossa»
apparso su Micromega (Gianni Barbacetto, Il Polo occulto,
Micromega 8/95) reagisce scrivendo sul Giornale che si tratta di
«ripugnante cinismo e di intollerabile aggressività
totalitaria che continuano a imporci una risposta di totale rottura».
Ma non risparmia critiche neppure alla destra, colpevole (scrive
sul Foglio nel novembre 1998) di non opporsi con sufficiente energia
al comunismo, di non lavorare per quella «paralisi totale
del sistema» auspicabile per «approdare, dopo trentanni,
a un chiarimento se non col mitra, almeno britannicamente coi guantoni».
La lotta politica si sovrappone alla voglia di menare le mani, e
spesso in questa si esaurisce. Così fino alla fine, fino
alla morte e ai funerali di Stato. Comprensibile, per un volonteroso
funzionario del doppio Stato, «uomo dalla voce femminea, dal
coraggio grandissimo e dalla debole intelligenza politica»,
come ha scritto Giorgio Bocca. Meno comprensibili i commenti
di chi oggi lo ha descritto come un eroe vittima di una persecuzione
giudiziaria, contro le sue stesse, orgogliose rivendicazioni: «Avevamo
assunto limpegno di sparare contro i traditori pronti a fare
il governo con i comunisti», di «impedire con ogni mezzo
che il Pci andasse al potere, anche attraverso libere elezioni»,
dichiara apertamente nel 1990. E nella sua ultima lettera, estremo
messaggio inviato a un gruppo di amici e sostenitori il 13 luglio
2000: «La difesa sul piano del pensiero e della logica non
esiste al di fuori della distruzione fisica, ossia della guerra
civile. Per cinquantanni mi sono battuto per la distruzione
dello Stato. Non cè soluzione al di fuori della distruzione
totale di questa realtà». Questo è Edgardo Sogno,
personaggio chiave della «guerra non ortodossa» italiana,
più di chiunque altro (esclusi i politici, che si sono poi
comunque rapidamente riciclati) protagonista cosciente del «doppio
Stato»: proprio perché egli non era fascista, non era
uno dei tanti neri che credevano di usare gli apparati dello Stato
e ne erano invece usati. Ma Sogno ha almeno il merito di avere rivendicato
orgogliosamente, senza ipocrisie e fino allultimo, di aver
combattuto e di voler continuare a combattere. Non ha mai negato
di aver compiuto le azioni per cui è stato processato, le
ha solo ritenute necessarie e meritorie. Gli rende un cattivo servizio,
dunque, chi sostiene che il processo in cui è stato imputato
è stato una «persecuzione giudiziaria». Chi,
come Silvio Berlusconi, ha scritto (sul Giornale): «Per
aver combattuto il comunismo in tempo di pace e con le armi della
parola e degli scritti egli è stato incarcerato, accusato
di crimini inesistenti da parte di una magistratura più ligia
ai principi dellideologia comunista che non a quelli dello
Stato di diritto. Le vicende giudiziarie di Sogno sono state una
delle pagine più tristi dellItalia repubblicana, e
continua ad essere un vulnus della nostra storia civile il fatto
che coloro che ne furono protagonisti non hanno mai avuto il coraggio
personale e la saggezza politica di riconoscere che non si trattò
di un umanissimo errore giudiziario, ma di una persecuzione frutto,
forse anche inconsapevole, dellodio ideologico». Macché
errore giudiziario, risponderebbe Sogno, se fosse in vita. Egli
aspettava un riconoscimento per quello che aveva fatto, non una
difesa per ciò che non avrebbe fatto. Lo sanno bene, in realtà,
anche i suoi amici e difensori che però, privi della sua
franchezza e bloccati dallipocrisia politica, si guardano
bene dallo scrivere la verità.
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