8. Revisionismo allitaliana
Si è compattata una pattuglia di revisionisti
all'italiana, politici potenti, giornalisti e intellettuali di una
certa fama. Sono le loro parole a spiegare, se sottoposte a un adeguato
lavoro ermeneutico, perché in Italia un personaggio come
Sogno sia ancora preso sul serio, a dieci anni dalla fine
del confronto tra Est e Ovest
1. La democrazia secondo Sogno. Dunque Sogno si faceva pubblicamente
vanto delle sue azioni, anche illegali: «Avevamo assunto limpegno
di sparare contro i traditori...». Lo sanno bene anche coloro
i quali lo difendono oggi. Essi parlano ipocritamente di «persecuzione
giudiziaria», ma in realtà ritengono non che Sogno
non abbia commesso i fatti di cui è stato accusato, ma semmai
che questi non siano reato: sacrosanto intervenire per fermare il
comunismo, anche oltre e contro la Costituzione. Così essi
fanno proprio il cardine del pensiero (in verità non molto
sofisticato) di Sogno: la democrazia non è fine e valore
non-negoziabile, ma mezzo e strumento da utilizzare quando serve,
da accantonare quando scattano «interessi superiori».
Curioso esito: questa concezione strumentale e ancillare della democrazia
è esattamente la stessa del loro nemico mortale, il comunismo
marxista. Sogno e i suoi difensori (compreso il vecchio compagno
di loggia Silvio Berlusconi) vi si adeguano con una perfetta
e speculare simmetria: altro che valori liberali.
2. I «comunisti», nemici immaginari. Il nemico
contro cui Sogno ha combattuto, pronto fino allultimo a menare
le mani e a «sparargli addosso», è una proiezione
immaginaria, una costruzione paranoica: il mostro comunista sovietico,
il demonio che toglie la proprietà, che estirpa la libertà,
che uccide i valori cattolici occidentali, che precipita gli oppositori
nei gulag. I suoi avversari reali, in verità, erano diversi:
perché il Pci aveva accettato fin dal 1945 lappartenenza
dellItalia al campo occidentale e difendeva la sua «via
nazionale al socialismo» contro il Cominform; ma ancor più
perché i nemici concreti di Sogno erano i milioni di italiani
che, votando comunista oppure no, avevano come loro obiettivo non
il comunismo, ma migliori condizioni di lavoro e maggiore democrazia.
Anche i crociati dellanticomunismo, sotto gli alti ideali
di libertà, spesso nascondevano la difesa di interessi molto
concreti e la paura di semplici rivendicazioni socialdemocratiche
(la riforma del regime dei suoli, qualche cauta nazionalizzazione...)
realizzate in altri Paesi dEuropa senza alcun spargimento
di sangue. Lideologia, in quegli anni di dure contrapposizioni,
finiva per oscurare gli obiettivi reali di entrambi i fronti. Succede
ancor oggi ai nuovi crociati dellanticomunismo, che parlano
di supreme libertà universali, ma pensano a molto meno nobili
arbìtri personali.
3. Lasimmetria dei fronti. Sostengono gli amici di
Sogno che in Italia il Comunismo era potente e terribile (il Giornale
è giunto fino a sparare in prima pagina, il 14 agosto 2000:
«Il Pci progettava il colpo di Stato», con esilarante,
lunghissimo commento di Paolo Guzzanti: «Il golpe rosso»).
Dunque sono giustificate le contromosse dellOccidente. In
realtà in Italia, Paese saldamente ancorato nel campo dellOccidente,
la «low intensity war», la «guerra non ortodossa»,
è stata combattuta tra due fronti asimmetrici: da una parte
gli apparati e gli uomini armati di eserciti regolari e irregolari,
dallaltra i cittadini disarmati che si radunavano in una piazza
per manifestare contro il fascismo o che addirittura erano tranquillamente
impegnati nei loro affari in una banca o se ne stavano seduti nella
carrozza di un treno o nella sala daspetto di una stazione.
4. Il doppio Stato. Ernesto Galli della Loggia, che
si è autoproclamato caposcuola e portavoce del revisionismo
allitaliana, non perde occasione di scrivere contro la teoria
del doppio Stato. Negli episodi eversivi s ono coinvolti non organi
e strutture dello Stato, scrive Della Loggia, ma solo «singoli
individui inseriti nella pubblica amministrazione». Lo dimostrerebbe
anche il fatto che «le sentenze hanno sempre e solo riguardato
un certo numero di funzionari». Geniale: si sono mai viste
sentenze contro organismi collettivi, in uno Stato di diritto, in
cui le responsabilità penali sono sempre e solo personali?
Della Loggia, in nome dei suoi pregiudizi ideologici, si improvvisa
commentatore in una materia che evidentemente non conosce: basta
leggerle, le sentenze e le carte processuali e le testimonianze
dei protagonisti e le ricerche degli studiosi, per rilevare la corposa
presenza di strategie e la pesante ingerenza di apparati, stranieri
e italiani, nella storia delleversione (gli consigliamo per
esempio i saggi di Vincenzo Vinciguerra, allergastolo
per la bomba di Peteano, nazista non pentito). Corpi «deviati»,
si diceva un tempo: in realtà le «deviazioni»
dallordine costituzionale erano compiti distituto, obbedienza
alla logica sotterranea del doppio Stato.
5. La «tensione senza strategia». Galli della
Loggia, in sintonia con gli altri della compagnia di giro del revisionismo
allitaliana (Angelo Panebianco e Giovanni Sabbatucci,
per esempio), sostiene che leversione italiana, comunemente
denominata «strategia della tensione», è stata
invece una serie di episodi slegati tra loro, una «tensione
senza strategia». Si tratta di una lettura riduttiva, di un
«revisionismo debole». Debole perché si condanna,
atomizzando ogni singolo evento, a non capire linsieme, a
non spiegare nulla. E debole perché supportata più
da pregiudizi ideologici che dalla conoscenza dei fatti. Per esempio
Della Loggia, per dimostrare la frammentazione della storia eversiva,
mette insieme troppo materiale, da piazza Fontana alla strage di
Bologna, da Argo 16 al terrorismo rosso: fenomeni evidentemente
diversi, con diverse logiche interne (anche se andrebbe individuato
quel «filo nero» che li ha innescati tutti, quel «microclima»
che ha propiziato in Italia, e solo in Italia, la crescita rigogliosa
di ogni tipo deversione). Ma per cominciare, senza porsi compiti
troppo superiori alle sue conoscenze, si applichi alla stagione
1970-74: questo è larco temporale della cosiddetta
«strategia della tensione», che sarebbe più
corretto chiamare «guerra non ortodossa» o «low
intensity war». è una stagione incredibilmente ricca
di fatti eversivi, ma compatta, con gli stessi nomi, gli stessi
protagonisti che si muovono sulla scena: i gruppi di civili, neonazisti
o «liberali»; gli apparati militari e i servizi segreti;
i politici, alcuni dei quali devono reggere il gioco, anche quando
passa sopra le loro teste; gli uomini degli apparati atlantici,
che vegliano sulla corretta esecuzione - anche con «cover
actions» (azioni coperte) e apparati paralleli - dei dettami
del National Security Council (anche questa una lettura istruttiva,
che consigliamo a Galli della Loggia).
6. La pista internazionale. Dopo aver deciso, per atto di
fede (atlantica), che lo Stato non è doppio, un della Loggia
alla spasmodica ricerca di spiegare come mai comunque in Italia
le bombe sono scoppiate e gli aerei sono caduti, escogita alfine
la teoria dello «sfondo storico». E dunque: stragi e
atti eversivi sono accaduti in Italia non perché vi era al
lavoro un apparato, un potente partito trasversale delloltranzismo
atlantico, che doveva dare lo stop al comunismo a ogni costo e con
ogni mezzo (anche illegale, anche inappropriato, anche controproducente:
solo a posteriori si può valutare che cosa funziona); ma
perché lItalia, Paese debolissimo, non ha rinunciato
negli anni Settanta ad avere una propria politica estera, e per
di più ardita: così è diventata il terreno
di scontro tra i servizi segreti di mezzo mondo. Questa tesi non
ha nemmeno il pregio di essere originale: è la riproposizione
accademica della vecchia «pista internazionale» che
politici e agenti segreti italiani puntualmente estraevano dal cilindro
dopo ogni bomba. Allora si trattava di depistaggi. Oggi affermare
che in Italia (come altrove) erano attivi i servizi di Usa, Urss,
Israele, Francia, Germania eccetera è una verità banale,
che però non spiega nulla: chi fece che cosa? quali le alleanze
e le strategie? quali i conflitti (anche tra gli americani: Cia-Sid
contro Fbi-Affari riservati...)?
7. Antistragismo e legittimazione. La tesi finale di Della
Loggia è che la teoria del doppio Stato sia «in realtà
uno strumento della lotta politica attuale, un modo per cercare
di condizionare il presente grazie alluso del passato».
Servirebbe a «delegittimare i due cardini ideologico-politici
- latlantismo e lanticomunismo, appunto - di quella
che è stata la ricostruzione democratica in Italia»
e della «cultura politica moderata». Aprendo così
la strada alla sinistra, che esibirebbe l«antistragismo»
come «lasciapassare» per essere ammessa «a godere
di una piena legittimazione politica». Che dire? Non si può
fare la storia partendo dalla fine, elidere i fatti perché
rischiano di delegittimare la parte politica che si è scelto
di servire. Atlantismo e anticomunismo, culture politiche in sé
legittime, sono state declinate nella concreta storia italiana come
pratiche che hanno mortificato la sovranità nazionale e dispiegato
lillegalità antidemocratica: lo dicono i fatti, e i
gusti ideologici di Della Loggia non bastano a cancellarlo. Intanto,
la cultura politica a cui egli si riferisce, «moderata»
non lo è stata affatto: non ha esitato a servirsi di mafiosi
e criminali, stragisti ed eversori per mantenere salda nelle mani
la barra del potere. Speculare, anche in questo, alla cultura comunista,
a cui dice di opporsi. Quanto alla sinistra, non mi pare che in
democrazia debba avere alcun bisogno di legittimazioni politiche,
né di esami da superare, magari davanti alla cattedra del
professor Della Loggia. In ogni caso, non la vedo affatto assumere
l«antistragismo» (e, più in generale, la
legalità) come propria bandiera: peccato, perché proporsi
di far emergere tutta la verità sulla guerra sotterranea
combattuta in Italia sarebbe già un bellinizio di programma.
Ma cè un punto su cui Della Loggia ha ragione: il doppio
Stato è diventato strumento della presente lotta politica.
Il centrodestra si mostra sensibile alle vecchie storie delleversione
italiana, non perde occasione per difenderne i vecchi arnesi. Strano:
una destra nuova, moderna e pulita, davvero liberale, che cosa avrebbe
mai da spartire con la vecchia armata dellanticomunismo da
guerra fredda, che ha svenduto la sovranità nazionale e pezzi
importanti della legittimità democratica, ha coperto e condiviso
illegalità e stragi come male minore in una guerra che si
poteva e si doveva combattere senza spargere sangue innocente (non
si è fatto così in Francia, in Germania e nel resto
dEuropa?). Segno che è stato stretto un patto non scritto
tra il vecchio e il nuovo, anzi che il «nuovo» non è
che la nuova forma del vecchio: sulla scena sono rimasti gli stessi
personaggi, gli ex missini del «polo occulto», i gentiluomini
del club P2, i politici degli omissis. Limpunità per
il passato deve essere garantita: quel passato è presente.
Ma cè di più. Nuove crociate anticomuniste vengono
oggi proclamate da qualche estimatore di Sogno: in nome, questa
volta, della difesa del proprio monopolio televisivo e del diritto
eterno alla commistione dinteressi tra politica e potere mediatico.
Anche lanticomunismo non è più quello di una
volta: dopo essersi presentato sotto forma di grande tragedia storica,
si ripresenta ora sotto forma di poco nobile farsa. (gb)
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