Marco Celentano.
La scissione della relazione tra filosofia e politica nel pensiero antico e il
ripiegamento del filosofo su se stesso
Giulio De Rosa.
Note critiche sull'Atenaion Politeia
Clemente Sparaco.
La libertà del saggio e il ritiro dalla politica
Salvatore Bianco.
Segreto, religione, forza: i mezzi della conservazione politica in Ottavio Sammarco
Vincenzo Omaggio.
Forme del consenso. Contrattualismo "classico" e teoria dello scambio
politico
Stelio Mazziotti.
Il tema del consenso ne La Democrazia in America di Tocqueville
Enrico Voccia.
Il consenso come fondamento del potere politico: L'Unico e la sua proprietà di
Max Stirner
Lucia Aiello.
"Consenso" e "Obbedienza" attraverso la Leggenda del Grande
Inquisitore di Dostoevskij
Luca Anzani.
Il ruolo della ricerca del consenso nella scienza
Aldo Oliveri.
Consenso e validità scientifica
Riccardo Galiani.
Il consenso ingannatore
Raffaella Ioimo.
Il consenso in Karl Otto Apel
Rosaria Gagno.
John Rawls e la stabilità della società ben ordinata
Giuseppe Perfetto.
L'espressione ideologica del consenso alla schiavitù nel pensiero cristiano e
liberale. Una lettura del pensiero di Domenico Losurdo
Il nome che una rivista si sceglie è, in genere, indicativo della
sua essenza e dei suoi obiettivi. Infatti, un termine come Porta di Massa assume,
nella cultura filosofica di lingua italiana, una serie di valenze ed assonanze del tutto
particolari. A poche decine di chilometri da Napoli si trovano gli scavi dell'antica Elea,
la patria di Parmenide, il padre della Filosofia che ambienta il suo poema filosofico
proprio sotto la porta della sua città: una porta che, riportata alla luce negli anni
sessanta dall'archeologo Mario Napoli, ha assunto simbolicamente il significato di luogo
della filosofia. Nella lingua italiana, poi, il termine "massa" ha una duplice
valenza, significando al contempo "gente", "popolo" ed uno dei
concetti fondamentali della fisica contemporanea. Ma "Porta di Massa" è anche
la strada di Napoli dove sorge la Facoltà di Lettere e Filosofia dell' Università Federico
II, e la grande maggioranza dei redattori della rivista che state leggendo ha vissuto
gli anni universitari all'interno dell'edificio che sorge in quella strada, ed all'interno
di questo luogo buona parte di essi si sono conosciuti. Alcuni di essi erano attivi
all'interno del movimento studentesco e, da poco laureati o in procinto di laurearsi,
diedero vita al progetto di una rivista autogestita che intendeva dar voce alle energie di
ricerca presenti all'interno della Facoltà, offrendo loro uno spazio che si collocasse al
di fuori della mediazione con le varie cattedre istituzionali. Nacque così Porta di
Massa - Rivista di Lettere & Filosofia, che uscì per alcuni numeri e si
interruppe poi per motivi contingenti. I contatti tra i redattori non si sono tuttavia mai
interrotti, e, in tempi recenti, lavorando collettivamente al progetto di un manuale
scolastico di Filosofia, si è riaffacciata l'idea di riprendere l'esperienza di una
pubblicazione autogestita. Si è giunti così alla costituzione in associazione, dando
vita al prodotto che avete tra le mani, che, in continuità critica con la precedente
esperienza, intende costituire un momento autogestito di lavoro collettivo e di confronto
tematico - un "laboratorio" - in vista di un rinnovamento extraistituzionale del
dibattito e della ricerca filosofica.
Ad uno stato sociale delle attività filosofiche che vede oggi lo studioso di queste
discipline sempre più disarmato e disancorato professionalmente fa riflesso, nel mondo
dell'economia e del lavoro, un giudizio che inquadra il filosofo come operatore culturale
non portatore, in quanto tale, di abilità e pratiche specifiche, - le cui forme di
conoscenza possono essere utilizzate solo riassorbendole in altre discipline portatrici di
tecniche e di obiettivi precisi. Se questo giudizio è a sua volta riflesso di una forma
di pressione continua che attualmente viene esercitata su tutte le forme del sapere (in
funzione di una loro ristrutturazione in senso tecnologico/ specialistico e di una loro
più immediata "commerciabilità") esso raccoglie d'altra parte l'eredità di un
giudizio più antico, radicato nel linguaggio comune, e che pure ha contribuito a
costruire un'immagine tradizionale del filosofo e della Filosofia. Questo più antico
giudizio áncora il filosofo alla sua immagine di uomo solitario e dedito alla
meditazione, orientato a perseguire un distacco e un'autonomia nei confronti del mondo,
del corpo, dei sensi, uomo che si rifiuta di inseguire ciò che i "molti"
reputano più importante (piacere, amore, felicità, potere), che infine trova il proprio
spazio espressivo nel privato pensare e colloquiare, più che nel pubblico agire - nella
"teoria" piuttosto che nella "pratica". É questa un'immagine del
filosofo che è stata storicamente alimentata dall'interno e dall'esterno della Filosofia.
In modo evidentemente più sottile e mediato uno stato sociale di marginalità culturale
delle discipline filosofiche trova oggi riflesso nella cultura che si occupa in modo
specialistico di questa disciplina, esprimendosi in una forma di autocomprensione della
Filosofia che, quasi schierata a difesa delle proprie tradizionali forme di lavoro e di
espressione contro l'invadenza di altre modalità di comunicazione, tende a racchiudere le
attività filosofiche nel circolo delle attività solitarie della riflessione, della
lettura e della scrittura, e a circoscrivere il loro momento pubblico nei luoghi,
istituzionalmente predisposti, dell'insegnamento scolastico/ universitario e del convegno
tra esperti.
Ciò che rischia di andare perduto e/o occultato in queste immagini della Filosofia
tuttavia è proprio una caratteristica che è stata matrice essenziale per la nascita
stessa di questa disciplina, e che nel corso della sua storia si è ripresentata
puntualmente ogni volta in connessione con i momenti essenziali di rinnovamento e di
svolta della cultura occidentale. Tale caratteristica va individuata nella pretesa della
Filosofia di essere una modalità di partecipazione diretta alle forme di comprensione
dell'essere e della vita sociale, nonché revoca di quel consenso che viene concesso, per
autorità di rivelazione o di tradizione, per timore della forza o per invidia, ai poteri
culturali e politici vigenti.
Il progetto/laboratorio di Porta di Massa è volto perciò alla costruzione di un
lavoro di ricerca non elitario ed esoterico, che riscopra quel ruolo sociale che la
Filosofia aveva all'atto della sua nascita e che ha caratterizzato i suoi momenti
maggiormente autentici. L'obiettivo è mostrare come la Filosofia possegga la capacità di
parlare in modo razionale e sensato - di offrire cioè momenti di riflessione, di
elaborazione di categorie e comportamenti culturali la cui valenza sia al tempo stesso
interpretativa e pratica - sui nodi cruciali dei vari e diversi campi dell'esperienza
umana. La scelta del tema consenso come filo conduttore del primo numero non è
perciò casuale, ma ha inteso affrontare una tematica che potesse suscitare interesse
anche al di fuori dell'ambito degli "addetti ai lavori" della speculazione
filosofica e, nel contempo, permettesse di in qualche modo di ritrovare le fila
dell'attitudine critico/pratica della Filosofia.
Al di là di ciò, non esiste una "linea" culturale prefissata della
pubblicazione, il che la rende simile ad una sorta di matematico insieme di Cantor: come
questo, essa è definita in modo esclusivo dai suoi elementi, ovvero dai testi che di
volta in volta, numero per numero, costituiranno l'ossatura del dibattito e del lavoro
collettivo. D'altronde la redazione stessa è costituita da persone provenienti da
esperienze culturali e politiche eterogenee, che ritrovano nell'autogestione culturale -
in una forma e non in un contenuto - il loro punto di incontro.
Scrivere su Porta di Massa - Laboratorio Autogestito di Filosofia significa
pertanto riaffermare la volontà di mantenere uno spazio aperto e totalmente autogestito
di discussione e di dibattito; ciò, ovviamente, non implica la corresponsabilità
reciproca degli indirizzi d'indagine. Il ruolo e la responsabilità del dibattito
redazionale e, in ultima istanza, quello del Direttore Responsabile sono limitati perciò,
nella piena libertà di indirizzi culturali dei singoli, alla garanzia nei confronti del
lettore della correttezza scientifica dei materiali presentati alla sua attenzione.
In questo primo numero il tentativo è stato quello di presentare una serie di elementi
che mostrassero lo sviluppo storico della riflessione filosofica sul rapporto di
accettazione, da parte dei sudditi, del potere politico. Ad esso affianchiamo la
traduzione di un testo filosofico classico sul tema: il Discorso sulla Servitù
Volontaria di Étienne de La Boétie - il grande amico di Michel de Montaigne, autore
di un testo scritto "in onore della libertà contro i tiranni". Il testo in
questione è stato coeditato insieme all'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici,
il cui spontaneo appoggio al nostro progetto editoriale non può che farci onore e a cui
vanno, fin dall'inizio di questa collaborazione, i nostri più sentiti e genuini
ringraziamenti.
Marco Celentano
La scissione della relazione tra filosofia e politica nel pensiero antico ed il
ripiegamento del filosofo su se stesso (abstract)
Risulterebbe probabilmente impossibile comprendere la nascita stessa della filosofia,
quale si venne delineando tra VI e IV secolo a. C., e le sue successive trasformazioni,
senza tenere conto sia della vocazione politica che alle origini caratterizzò le azioni,
le riflessioni e i discorsi dei filosofi, sia del fallimento e dell'esito tragico cui
questa vocazione andò incontro, già durante i primi secoli di vita della filosofia. In
questo saggio vengono ripercorsi quegli eventi che, dal "sapiente" del VI
secolo, la cui attività fu più fortemente caratterizzata in senso politico, all'ultimo
dei grandi filosofi dell'epoca classica greca che tentò l'attuazione di un progetto
politico globale, segnarono l'evolversi della relazione tra attività filosofica e
attività politica, e la sua prima drammatica rottura all'interno della cultura greca.
Ricostruendo questo percorso vengono poste essenzialmente tre domande: in che modo, ovvero
con quali pretese, la filosofia, e il movimento sapienziale che la precedette, si
accostarono alla politica e quale fu il senso dell'innovazione da essi introdotta in
quell'ambito? Quali trasformazioni fondamentali la filosofia stessa subì dal fallimento
di questo suo primo grande tentativo di partecipazione diretta alla regolamentazione e
all'autorganizzazione della vita sociale, e dalla presa d'atto platonica di questo
fallimento? Quali trasformazioni subì entro questo percorso che va da Solone a Platone,
la stessa nozione filosofica dell'agire politico?
Giulio De Rosa
Note critiche sull'Atenaion politeia (abstract)
Composto molto probabilmente tra il 431 ed il 424 a. C., l'Atenaion Politeia è
un dialogo dalla paternità anonima. Si tratta di una riflessione "empirica" sul
carattere della democrazia e sulla difficoltà da parte dei suoi avversari di abbatterla -
ovvero sulla coesione interna e sulla coerenza complessiva di un tale sistema politico.
Largo spazio alla "canaglia", sperpero del denaro pubblico,
"impersonalità" della decisione politica, lentezza esasperante delle pratiche
burocratiche, corruzione dei funzionari pubblici: per l'anonimo autore del trattato,
quanto elencato non sono i "difetti", bensì la forza della democrazia; essa
può reggersi proprio perché si comporta in questa maniera. Risulta pertanto utopistico
immaginare di "cambiarla dall'interno": si tratta di un regime politico con
leggi ferree, perfettamente integrato ed omogeneo, che può sopportare mutamenti molto
delimitati. É opinione dell'anonimo ateniese che questo regime politico - come tutte le
forme politiche storicamente realizzatesi - consista in una società politica esclusiva
dal punto di vista della rappresentanza e per niente egualitaria. L'anonimo ritiene che il
carattere "degenerativo" e intollerante del regime politico democratico in cui
si trova a vivere non è un dato accidentale o contingente ma strutturale. La democrazia
si trova perciò nell' impossibilità materiale di tradursi in isonomia, nel regime
di ciò che è uguale e giusto. Il limite interno della sua analisi è però proprio qui:
non si comprende su cosa sia fondata la sua predilezione nei riguardi del regime
oligarchico. Infatti appare chiaro da tutta la sua analisi precedente che ogni forma
politica sarà irrimediabilmente di parte e destinata a governare in funzione di sé e in
nome del tutto.
Clemente Sparaco
La libertà del saggio e il ritiro dalla politica (abstract)
La questione politica prioritaria per Seneca è nella scelta fra l'impegno o il ritiro
dalla vita pubblica. Il soggetto di questa scelta non è un individuo qualsiasi ma un
individuo speciale, il sapiente, ossia il filosofo che si distingue nettamente in
virtù della sua dirittura morale, oltre ovviamente che per il suo sapere, dalla massa
indifferenziata degli uomini comuni. In questo contesto il consenso che si prende in esame
è quello che riguarda il sapiente e che porta questo, eventualmente, a discendere
nell'agone politico in aiuto del suo cliente, mentre il dissenso equivale al ritiro
forzato dalla politica cui il sapiente si trova costretto in determinate circostanze. Come
l'etica, così anche la riflessione politica di Seneca è vocazionalmente aristocratica,
nel senso che non s'interroga sul rapporto fra politica e individuo, ma fra la politica e
un individuo del tutto particolare - il sapiente - ne s'interroga sul valore della
libertà in assoluto, ma soltanto sulla libertà del saggio. Si capisce ancor meglio che
consenso o dissenso verso il potere non possono che riguardare il saggio, e solo il
saggio. Di conseguenza in Seneca troviamo impostato in questi termini, e soltanto in essi,
il tema politico: è possibile al saggio non perdere la sua beata condizione di felicità
nel contatto con la vita pubblica?
Salvatore Bianco
Segreto, religione, forza: i mezzi della conservazione politica in Ottavio Sammarco
(abstract)
Oggetto di questa lavoro è un testo apparso per la prima volta a Napoli nel 1628: si
tratta del libro Delle mutazioni de' Regni, scritto da Ottavio Sammarco, un autore
politico che ha lasciato ben poche tracce di sé. Delle mutazioni de' Regni
testimonia la decisa revisione del paradigma tradizionale dell'aristotelismo politico
anche nel pensiero politico meridionale del primo Seicento. Naturalmente, risulta
problematica l'utilizzazione in chiave interpretativa della categoria di consenso,
almeno nell'accezione moderna del termine. Nondimeno, anche il Seicento ha conosciuto
l'emergenza di far coincidere, sul piano teorico e pratico, comando principesco e
obbedienza dei sudditi. L'obiettivo dell'articolo sarà appunto quello di smontare nelle
sue parti semplici il dispositivo prudenziale messo a punto da uno dei tanti trattatisti
politici del primo Seicento, alle prese con la difficile "arte" di garantire la
conservazione al detentore del potere politico. L'analisi del testo di Sammarco conduce
quindi alla conclusione che la modernità politica tende a nascere con un preoccupante
vizio di fondo, una sorta di "peccato originale": in altre parole, con una
componente nient'affatto residuale di violenza e segretezza che gli sviluppi successivi
dello stato moderno non sembrano aver modificato nella sostanza.
Vincenzo Omaggio
Forme del consenso. Contrattualismo "classico" e teoria dello scambio
politico (abstract)
Le maggiori linee di frattura teoriche tra il contrattualismo sei/settecentesco ed i
modelli contemporanei sono da ricercare: a) nella perdita del radicamento individualistico
e perciò tendenzialmente universalizzante del patto a favore di una titolarità dei
gruppi; b) nella corruzione della funzione "originante" del patto rispetto allo
stato a vantaggio di una prassi contrattuale, parte integrante della politica statuale
anche nella vicenda successiva alla sua formazione; c) nel coinvolgimento del potere
sovrano nella prassi negoziatoria: questo non è più risultato, ma parte contraente, e,
ambiguamente, anche garante della legittimità di questa prassi. Ad andare perduta è
così la tensione deontologica dello schema contrattuale, che nell'ipotesi classica,
tentava risposte ai problemi fondamentali della filosofia politica: perché sorge lo
stato? perché deve essere obbedito? Il modello neocontrattualista contemporaneo è invece
completamente assorbito dal piano descrittivo della dinamica della forze interne al
sistema. Dalla multiforme presenza dello stato nei processi economici prende avvio un
sistema fondato su una prassi di "scambio politico" tra i suoi protagonisti
organizzati. In questa prassi vengono scambiati beni non formalmente negoziabili (i
"beni d'autorità") che riguardano il consenso alla politica di governo,
l'autodisciplina del lavoro, ecc. La teoria dello scambio politico ha il pregio di un'alta
capacità descrittiva rispetto all'esistente, ma è sul piano giustificativo, in ordine
alla capacità di legittimazione delle proprie procedure, che la teoria mostra i propri
limiti. Dove vige uno scambio sui beni d'autorità il dissenso non è più tale, è
soltanto conflitto d'interessi, e per ciò stesso non più legato alla rivendicazione
della cittadinanza, bensì al potere di fatto che ciascuno ha.
Stelio Mazziotti
Il tema del consenso ne La Democrazia in America di Tocqueville (abstract)
La sovranità popolare è l'aura della democrazia e, già al tempo del viaggio di
Tocqueville nel 1830, il suffragio universale ne era stata la conseguenza ben presto
ammessa in tutti gli Stati dell'Unione Americana. Ma a chi si aspettava dal suffragio
universale ogni bene ed ogni male possibile Tocqueville oppose lucide osservazioni sui
suoi effetti, "generalmente diversi da quelli che si suppongono." Il consenso
come legittimazione del potere ha, secondo Tocqueville, nelle società democratiche la
tendenza a trasformarsi e farsi strumento del principio di maggioranza, del suo dominio
assoluto e del suo imperio morale.
Enrico Voccia
Il consenso come fondamento del potere politico: L'unico e la sua proprietà di Max
Stirner (abstract)
Max Stirner sostiene che la società contemporanea è totalmente ideologizzata e
sacralizzata: noi non ci troviamo immersi nel regno dei valori materiali bensì in quello
degli "spiriti", dei "fantasmi", delle "idee fisse". Con il
passaggio all'età contemporanea non si è avuta una desacralizzazione, ma semplicemente
un mutamento dell'oggetto sacralizzato. I nuovi idoli, l' "uomo", gli
"interessi pubblici", il "bene comune", ecc. sono - non meno del Dio
della religione cristiana - oggettivamente inesistenti e pure funzioni
linguistico/ideologiche con le quali si portano avanti i propri interessi privati
depotenziando le altrui volontà. Il potere politico, lo Stato, è nell'analisi di Stirner
l'esatto contrario di una funzione pubblica, non essendo altro che il privato più
forte - così forte proprio perché riesce a convincere il resto della società che il
perseguimento dei suoi scopi privati coincide con il "bene pubblico". L'unica
possibile strategia di rifiuto del consenso dovrà passare a sua volta per
l'"egoismo", per i "biechi interessi materiali del singolo". Stirner
afferma infatti che l'egoismo è distruttivo se - e solo se - una parte della società è
depotenziata di esso, a tutto vantaggio della parte restante. L'egoismo generalizzato,
invece, eguaglierebbe di fatto le condizioni umane, impedendo la formazione delle
gerarchie sociali. Rifiutare il consenso alla società gerarchica significa dunque, per
Stirner, rompere il meccanismo ideologico di autodenigrazione che porta il singolo a
rinnegarsi, a credersi un essere abietto, le cui inclinazioni e i cui desideri devono
necessariamente passare in secondo piano davanti a Dio, Patria, Nazione, Bene Pubblico,
Interesse Generale, Società, Comunità, Chiesa, Uomo, Verità, Santità e via
all'infinito. Per questo Stirner afferma che noi viviamo ancora pienamente immersi in una
cultura mitico/religiosa: dal suo punto di vista è assolutamente indifferente
inginocchiarsi davanti alla volontà di Dio o all'essenza dell'Uomo, alla Fede o alla
"Libertà". Avremo sempre a che fare con meccanismi ideologici che
depotenzieranno alcuni individui a tutto favore di altri, creando servi e padroni: la
società gerarchica.
Lucia Aiello
"Consenso" e "Obbedienza" attraverso la Leggenda del Grande
Inquisitore di Dostoevskij (abstract)
Se, dunque, la libertà è un "dato naturale", se "non si può tenere
nessuno in schiavitù, senza fargli torto, e che non c'è niente al mondo di così
contrario alla natura, che è tutta razionale, dell'ingiustizia", perché, si chiede
La Boétie, sembra che nell'uomo sia più radicata la "ostinata voglia di
servire"? É questo anche il quesito del Grande Inquisitore dostoevskiano nel suo
drammatico "dialogo" con Cristo. Al centro del ragionamento di Ivan/Grande
Inquisitore non è il rapporto tra un tiranno o un sistema di potere tirannico e i suoi
"servi volontari"; vi è l'individuo che, essendo libero non per "dato
naturale", ma grazie al sacrificio di Cristo che ha voluto l'uomo libero anche di
scegliere il male, e quindi ha legittimato la presenza del male come una delle
possibilità di scelta date all'uomo, sperimenta nella sua concretezza i limiti di questa
esperienza originaria che è la libertà. I confini tra "Consenso" e
"Obbedienza" risultano sempre più sbiaditi, nel momento in cui un atto di
obbedienza si qualifica come atto di volontaria rinuncia alla libertà di scegliere, e
quindi, ancora una volta esercitazione delle possibilità date da quel dono o dato
originario.
Luca Anzani
Il ruolo della ricerca del consenso nella scienza (abstract)
Attraverso l'analisi delle posizioni di, Popper, Kuhn, Feyerabend, viene analizzata
l'ipotesi epistemologica in base alla quale una teoria scientifica nuova diviene
accettabile, indipendentemente dalla sua validità "intrinseca", solo dopo aver
riscosso consenso all'interno - innanzitutto ma non solo - della comunità dei
ricercatori. Tutto ciò che si dirà all'interno della casta che costituisce la comunità
scientifica sarà in direzione della ricerca del consenso, e si può dire che le teorie
correntemente esposte nei manuali nella stragrande maggioranza dei casi vengono accettate
sulla base del principio di autorità (dell'autore e della comunità scientifica).
Aldo Oliveri
Consenso e validità scientifica (abstract)
Il metodo della verifica sperimentale sembrerebbe costituire un arbitro imparziale
della validità oggettiva di una teoria rispetto alle altre teorie alternative, della sua
effettiva "corrispondenza" con la realtà. L'epistemologia critica moderna,
però, ha posto seri dubbi su tale "imparzialità", mostrando come il consenso
della comunità scientifica sia il fondamentale criterio su cui poggia lo sviluppo della
scienza, della tecnica, e, in definitiva, del modello sociale in cui viviamo e vivremo.
Riccardo Galiani
Il consenso ingannatore (abstract)
Da cosa, e come, nasce il consenso sociale? Esso è il risultato della pressione
all'uniformità/ conformità, o meglio: il consenso rappresenta l'obiettivo implicito (ed
ultimo) della pressione all'uniformità/conformità, espressione che si riferisce al
processo concludentesi con l'adesione ad una norma (più spesso implicita che esplicita).
L'esistenza e l'efficacia della pressione all' uniformità/conformità è stata l'oggetto
di alcuni esperimenti di psicologia sociale, divenuti ormai classici: quelli di Muzafer
Sherif (1935), di Salomon Ash (1946) e di Stanley Milgram (1965). Non era nelle intenzioni
di questi psicologi analizzare, attraverso questi esperimenti, la natura del consenso;
pare tuttavia legittimo porre in relazione le categorie di "uniformità",
"conformità" ed "obbedienza", proprie della psicologia sociale, con
la natura del consenso. Infine, dopo la discussione di questi esempi, viene posta la
domanda: può darsi un consenso non indotto? In altri termini: esiste la "libera
scelta del consenso"?
Raffaella Ioimo
Il consenso in Karl Otto Apel (abstract)
Di fronte al tentativo di sostituzione della fondazione ultima attraverso il ricorso
all'eticità habermasiana del mondo della vita (Lebenswelt), Apel propone un
progetto di scienza critico/ ricostruttiva, affinché sia possibile una comprensione
scientifica delle azioni comunicative. In tal senso egli dà l'avvio ad un processo di
smascheramento di quei tipi di "cripto-metafisica" (come il riduzionismo
scientifico e le posizioni storicistiche). Apel sostiene che colui che rifiuta in linea di
principio il discorso come oggetto di teorie, si deve supporre che rifiuti anche il
discorso di autocomprensione.
Rosaria Gagno
John Rawls e la stabilità della società ben ordinata (abstract)
La natura generale del contratto è quella di fornire uno schema tipico di ingresso
volontario in società. In Una teoria della giustizia Rawls affida a questo
strumento teorico il compito di realizzare una promessa: far germinare la società
migliore dalla correzione morale del mercato. Da un lato Rawls assume la logica di mercato
come ossatura obiettiva e razionale di una teoria della giustizia sociale, dunque come
parte formale dell'etica, dall'altro è alla ricerca di vincoli morali alla
massimizzazione del benessere perché interpreta la caduta del consenso, cui le moderne
democrazie a capitalismo avanzato sono esposte, come una richiesta di moralità che la
cittadinanza rivolge alla struttura fondamentale della società. Quando nella riflessione
politica diventa centrale il problema del consenso, unito a quello della tutela dei
diritti e del cambiamento sociale, si possono dare due alternative: o si vuol far valere
un punto di vista esterno, di rifiuto della logica degli ordinamenti giuridici vigenti,
oppure si fa un discorso di riformismo interno e garantismo giuridico. Rispetto a queste
opzioni, la riproposizione contemporanea del contrattualismo, che ripropone il pathos
catartico della protesta morale alle ragioni della ratio strumentale, sembra avere
una forte connotazione ideologica. Il contrattualismo o è la veste ideologica di una
prassi politica già sperimentata oppure non può che tacere. Il contrattualismo, poiché
azzera la funzione sociale del sapere, può produrre esclusivamente utopie sociali
praticabili - cioè già praticate.
Giuseppe Perfetto
L'espressione ideologica del consenso alla schiavitù nel pensiero cristiano e
liberale. Una lettura del lavoro di Domenico Losurdo (abstract)
In vari luoghi della sua opera di ricercatore, il Professor Domenico Losurdo ha
condotto una serrata analisi sulla giustificazione ideologica dell'istituto della
schiavitù nella tradizione cristiano/ liberale - un momento della cultura occidentale
assai spesso rimosso ed anche occultato dalla cultura ufficiale. In questa sua linea di
ricerca Losurdo è andato evidenziando come Nietzsche, pensatore che passa per critico
radicale del moderno pensiero cristiano/liberale, può invece essere tranquillamente letto
come la massima espressione di quello stesso pensiero, smussato dai falsi moralismi e da
determinate mistificazioni ideologiche. In altri termini, Nietzsche rappresenterebbe un
"liberale estremista" che considera l'istituto della schiavitù in modo
spregiudicato e duro, privandolo delle tradizionali trasfigurazioni ideologiche. La
riflessione di Domenico Losurdo giunge a portare alla luce come non ci sia stato istituto
sociale inegualitario che, per quanto oggi possa essere disprezzato ad ogni pie' sospinto,
non abbia trovato ieri la sua corte di estimatori e giustificatori. E, volendo, l'oblio
che circonda oggi queste posizioni è a sua volta un fondamentale meccanismo ideologico
consensuale, teso presentare la teoria politica liberale alla base delle attuali forme
politiche planetarie come un inno senza macchia alla libertà politica e magari sociale.
Étienne de La Boétie
Discorso sulla Servitù Volontaria (abstract)
Negli Essais di Montaigne troviamo un lungo capitolo intitolato
"Dell'amicizia", quasi totalmente dedicato alla celebrazione ed al ricordo di un
amico scomparso in giovane età: il Consigliere al Parlamento di Bordeaux Étienne de La
Boétie, noto come l'autore di un un testo "maledetto" che - assai probabilmente
interpolato e spesso in edizioni clandestine - ha percorso con la sua carica liberatoria i
movimenti di opposizione all'ancien régime prima, allo stato borghese/liberale poi, e che
in Italia conobbe la sua prima traduzione durante la Rivoluzione Napoletana del 1799.
Il testo che qui presentiamo nella traduzione italiana di Vincenzo Papa è tratto dal
cosidetto "Manoscritto di Mesmes", ovvero dalle trascrizioni - pressocché
identiche - che Henry de Mesmes e Claude Depuy, amici di Montaigne, faranno del
manoscritto originale di La Boétie conservato presso la biblioteca dell'autore degli Essais.
Ad esso si accompagna, a cura di Enrico Voccia, un approfondito saggio introduttivo (Un'ambigua
utopia repubblicana) ed un ricco apparato bibliografico e di note.
F T P
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