TEMI DI DISCUSSIONE PER IL DIBATTITO CONGRESSUALE

 

(Approvati dal Comitato esecutivo della CISL – 8.2.2001)

 

                                                            PREMESSA                                                                        1

A. GLOBALIZZAZIONE E SVILUPPO_________________________________________________ 2

B. POLITICA E SOCIETÀ___________________________________________________________ 5

C. DEMOCRAZIA E SOCIETÀ_______________________________________________________ 6

D. ECONOMIA E SOCIETÀ_________________________________________________________ 7

E. VERSO UN NUOVO WELFARE___________________________________________________ 10

F. LO SVILUPPO DELLA CONCERTAZIONE__________________________________________ 12

G. MUTAMENTI E DINAMICHE DEL LAVORO: LE FLESSIBILITA’CONTRATTATE_________ 13

H. AGGIORNARE IL MODELLO CONTRATTUALE_____________________________________ 16

I.  LA SFIDA DELLA DEMOCRAZIA ECONOMICA_____________________________________ 18

L. IL FUTURO DEL SINDACATO____________________________________________________ 20

M. VERSO IL “FEDERALISMO” SINDACALE_________________________________________ 23

N. LA CISL E L’UNITÀ DEI LAVORATORI E DELLE LAVORATRICI______________________ 24

 

 


 

PREMESSA

 

Il segno di questo nostro XIV Congresso è affermare e dimostrare che anche oggi si può.

 

Anche oggi, quando abbiamo appena finito di celebrare il cinquantenario di questa organizzazione nella consapevolezza, storicamente dimostrata e ormai da tutti riconosciuta, della giusta intuizione originaria: oggi come allora, quella del legame forte che c’è tra emancipazione di chi lavora e sviluppo della società tutta intera.

 

Di qui la scelta iniziale che motivò la CISL, di un’apertura internazionale capace di vedere il bisogno di legare sempre programmaticamente la libertà di tutte le persone a quella di ogni persona come condizione necessaria, anche se subito non sufficiente, insieme di giustizia e sviluppo.

 

Quella scelta è sempre la nostra. E determina la nostra ricerca di fare un sindacato che è sempre attuale e che sa come farlo anche oggi, nella società che per i fattori della produzione – anche se meno per gli esseri umani che per i capitali – sta diventando davvero senza frontiere.

 

Si può, ma per farlo dobbiamo volerlo adattandoci al nuovo: per progettarlo e pilotarlo, adeguando noi stessi e il modo nostro di fare, trasformandoci, ri-coordinando le nostre strutture e, in definitiva, ri-posizionandole.

 

Aggiornamento è il termine, carico di significato per un pezzo importante della tradizione nostra, che dà meglio il senso della continuità e, insieme, della novità che cerchiamo.

 

Non c’è nulla da mettere tra parentesi, e tanto meno da buttare a mare. Noi la nostra scommessa, sulla libertà e sull’autonomia, sul protagonismo e sull’innovazione, e sul far stare insieme pluralismo e unità, l’abbiamo vinta.

 

E l’unità che la CISL mantiene al suo interno, fatta anche delle ricchezza delle diversità, è un messaggio forte di prefigurazione delle basi di metodo (il come fare le cose da fare) e di merito (quali sono le cose da fare) di una possibile unità più larga del movimento sindacale: quella che delle differenze, grazie al dispiegarsi pieno della propria autonomia, sa fare ragioni di forza e non di frantumazione.  

 

Per noi, in questo Congresso, avendo deciso che si può e che quindi vogliamo e che dobbiamo farlo, si tratta di ridisegnare il modo di fare tutela, rappresentanza, identità.

 

Anzitutto, chiarendo e spiegando meglio a noi stessi chi oggi e domani, con la contrattazione, vogliamo aiutare ad organizzare la propria promozione e tutela; poi, i livelli nuovi che si impongono ormai per dare efficacia a questa difesa ed a questa crescita: come, con la concertazione, accorciare, e insieme allungare le strategie nelle dimensioni che contano e conteranno di più, il territorio e l’Europa; e, infine, con la spinta della democrazia economica – cioè, contando di più – come farlo.

 

Sappiamo bene che contrattare, concertare e fare democrazia economica non dipende solo da noi ma dalla buona volontà di molti altri interlocutori e dalla loro apertura a capire che questa è la strada giusta.

 

Non per questo, perché non li abbiamo ancora pienamente convinti, dobbiamo cambiar strategia. Piuttosto, dobbiamo forse imparare a far avanzare meglio dal basso la conquista di questi obiettivi, negoziando 10, 100, 1000 accordi di partecipazione nella società, in tutte le sue dimensioni.

 

 

A. GLOBALIZZAZIONE E SVILUPPO

 

1. La globalizzazione dell’economia, lo sviluppo delle biotecnologie, la salvaguardia dell’ambiente, le migrazioni di milioni di persone sono le sfide epocali di questo inizio di nuovo millennio.

 

2. Quotidianamente, da tutte e da tutti nel mondo, la globalizzazione è vissuta come disponibilità sul mercato mondiale – dunque, disponibile a tutti ma, nei fatti, solo a fronte del reddito necessario a pagarla – di servizi e prodotti; i cui componenti sono spesso essi stessi mondiali e resi fruibili dal combinarsi di informazione e comunicazione in tempi reali, da un’innovazione pervasiva, continua e rapida in ogni settore, dalla competitività a tutto campo tra economie dei territori, dei paesi e dei continenti, dall’esperienza crescente di una società sempre più multietnica.

 

3. La globalizzazione cambia prodotti e modi di produrre e, quindi, il lavoro sotto tutti gli aspetti – intelligenza, conoscenza, flessibilità diventano la risorsa fondamentale – e cambia le culture, gli stili di vita. E, pertanto, esige   innovazioni profonde nei sistemi di tutela sociale, nel modo stesso di concepire la solidarietà, nella politica: cioè, nei modi di perseguire il bene comune.

 

4. La novità storica del processo di mondializzazione attuale è che, per la prima volta nella storia, c’è l’opportunità concreta di mirare a conseguire, insieme, la giustizia e la libertà per tutta l’umanità: le risorse economiche, scientifiche e tecniche sono sufficienti – se si cambiano anche con moderazione stili e abitudini di vita – e ridistribuibili in maniera sufficientemente efficiente per sconfiggere fame, malattie ed analfabetismo e per affermare i diritti fondamentali, civili e politici, su tutto il pianeta.

 

5. Certo, in questo processo si segnalano altresì grandi rischi per la giustizia, l’ambiente e la democrazia se la globalizzazione, nell’esperienza delle persone e dei popoli, significa sviluppo dominato dal mercato e dalla finanza senza confini, dalle multinazionali, da entità economiche senza volto che decidono tutto per tutti sfuggendo alla responsabilità di rispondere alla politica ordinata al bene comune.

 

6. D’altro canto, la stessa competitività freneticamente perseguita per il profitto immediato, non assicura e non consolida lo sviluppo dell’economia e, tanto meno, della nuova economia in un mondo ormai senza confini, stravolti o annullati dalle tecnologie informatiche, e su un pianeta dove gran parte dell’umanità dispone di un reddito medio inferiore ad un dollaro al giorno, a molti manca l’acqua stessa e a moltissimi la corrente elettrica.

 

7. Nei paesi cosiddetti avanzati, nel nostro stesso paese, l’esperienza di questi rischi si concretizza nella precarizzazione del lavoro e, in particolare da noi, negli squilibri economici e sociali che accentuano quelli storici, nei fenomeni di emarginazione, nei dissesti ecologici ambientali, nella testimonianza degli immigrati che, del sommarsi di questi rischi e di quelli eclatanti della disparità evidente, sono le prime vittime.

 

8. E’ importante rilevare che gli effetti della globalizzazione non sono però soltanto economici. Toccano e modificano la regolazione giuridica e perfino la dimensione etica del sociale e del politico. Si pensi anche solo all’impatto che il fenomeno sviluppa nelle sue manifestazioni concrete, anche al di là dei codici, nel campo del diritto internazionale (l’ingerenza umanitaria, ad esempio) e del diritto commerciale (dove le “convenzioni” tra grandi imprese multinazionali non di rado soppiantano, e anche rimpiazzano, quelle tra Stati).

 

9. Il problema, allora, non è quello di contrastare o subire la globalizzazione ma di arrivare a “governarla” con istituzioni politiche democratiche e strutture tecniche non egemonizzate unilateralmente dai grandi interessi, le une e le altre altrettanto globali, per stabilire democraticamente priorità e scelte e realizzare il bene comune. Qui sono chiamati in causa, in forme diverse, l’ONU, il FMI, la Banca mondiale, l’OCSE, l’OMC, le stesse istituzioni che formano l’Unione europea e, poi, il modo di sceglierle e di delegare loro i necessari poteri: quindi, la volontà degli Stati che insieme le costituiscono di trasferire a questi livelli i poteri reali che servono a costruire un nuovo ordine internazionale.

 

10. L’obiettivo è di globalizzare la democrazia, la solidarietà, i diritti insieme all’economia, fondandola su due princìpi: quello dello sviluppo, non solo come diritto ma anche come possibilità di esercitarlo realmente e gradualmente da parte di tutti gli esseri umani; e quello del rispetto dell’ambiente, condizione non più lontana nel tempo di sopravvivenza per l’umanità stessa.

 

11. Sviluppo economico e sviluppo sociale devono andare di pari passo, governando la globalizzazione con più politica, più partecipazione, più società, più democrazia; e con le istituzioni internazionali che servono a farlo–– in definitiva, e in considerazione del fatto che ormai è così vicina ad essere, in senso proprio, politica “interna”, più Europa.. E’ questa, tra globalizzazione autoregolata dai poteri economici forti ed estremismi negazionisti, la politica che sceglie la CISL.

 

12. A questo fine deve cambiare, e rafforzarsi, lo stesso ruolo dei principali organismi internazionali del sindacato: la CISL Internazionale e, in Europa, la CES.

 

13. La CISL Internazionale, da soggetto di coordinamento generale della libertà negoziale nel mondo e strumento per estenderla e farla rispettare nei paesi in cui vengono, in genere, negate le libertà ed, in particolare, il diritto di chi lavora ad organizzarsi liberamente, deve diventare – con i necessari trasferimenti di poteri da parte delle Confederazioni nazionali e in coordinamento organico con le organizzazioni professionali – soggetto di rappresentanza, difesa e promozione dei diritti del lavoro, delle lavoratrici e dei lavoratori organizzati proprio nelle sedi economico-politiche internazionali che decidono del loro futuro e delle condizioni della globalizzazione.

 

14. Di fronte a una questione sociale che diventa mondiale, il problema non è quello di una impossibile parità di salario e/o di condizioni di lavoro dovunque nel mondo, ma della possibilità concreta, dovunque nel mondo da parte di tutti i lavoratori, innanzitutto di scegliersi ed organizzarsi il proprio strumento di difesa e di promozione, cioè il sindacato, senza dover seguire o vedersi imposti modelli da qualsiasi autorità esterna al mondo dei lavoratori. Questa “clausola sociale”, da principio riconosciuto nelle Convenzioni internazionali, deve diventare diritto effettivamente esercitato da tutti. 

 

15. Questa è la strada che la CISL Internazionale deve percorrere e, per farlo, aiuta sicuramente l’ormai possibile, e a questo punto non solo auspicata ma non più rinviabile, unificazione del sindacalismo a scala mondiale.

 

16. L’assunzione di un ruolo negoziale e politico pieno è ormai matura per la CES, la Confederazione europea dei sindacati. Qui si impongono senza più indugi i trasferimenti necessari di poteri e funzioni alle rispettive istanze da parte dei sindacati nazionali e delle Federazioni di categoria a livello europeo. 

 

17. In effetti, a livello di Unione europea già si decide oltre il 20% del valore effettivo – del potere di acquisto – di salari e pensioni del continente (medie standard delle tariffe di molti servizi pubblici; quote latte; livello medio dell’IVA…) ed oltre il 30% della legislazione nazionale è determinato da direttive europee.

 

18. E’ l’area europea quella dove, pur nella mondializzazione, hanno più peso scelte omogenee dei poteri economici e finanziari. E, tra le resistenze forti ed i misurati passi in avanti anche del vertice di Nizza, si fa sempre più evidente che, per non arretrare, lo stesso processo di unificazione monetaria va accompagnato da un processo di armonizzazione accelerata economica, sociale e politica. 

 

19. L’esigenza diventa, così, quella di fare della CES un sindacato vero, che contratta, negozia, concerta e firma per tutti a Bruxelles con i poteri decisionali reali, quelli istituzionali e quelli imprenditoriali che, diversamente, decidono senza di noi. Gli accordi realizzati in questi anni su tempo determinato, part-time, congedi parentali, così come l’impegno in atto al presente di negoziare a questo livello sul lavoro interinale, o la direttiva già conseguita sull’istituzione e il riconoscimento dei CAE, sono spazi contrattuali iniziali, che però indicano già la strada. E l’esperienza di concertazione del “modello” italiano è vista da molti come un contributo originale da far affermare per il nuovo sindacato europeo.  

 

20. La globalizzazione non governata da un ordine politico, provocando ed accentuando squilibri economici e sociali sempre più intollerabili e mal tollerati nell’era della comunicazione istantanea e globale, accentua la presa di fanatismi etnici e religiosi, gli arroccamenti nelle identità localiste e, ovunque, i rischi per la pace–– che, per la CISL, è figlia della giustizia e, quindi, dell’equità. Si tratta di rischi sempre più inaccettabili, quando le armi di distruzione di massa sono ormai alla portata di Stati, di potentati e di fondamentalismi della più svariata natura.  

 

21. Anche per questo l’impegno del sindacato, a livello internazionale e nazionale, deve svilupparsi con maggiore efficacia, facendosi interlocutore autorevole dei governi, delle istituzioni economiche e politiche internazionali e dei poteri, per affermare l’equità come parametro cruciale nelle politiche commerciali ed estere, sostenendo – su questa base di legittimazione reale – anche le politiche di “ingerenza umanitaria” debitamente definite e deliberate e non lasciando, nei fatti, ai poteri economici il monopolio dell’interlocuzione in materie che, come queste, riguardano tutti.

 

22. Per le stesse ragioni, diverso diventa il nostro impegno nella cooperazione internazionale. Qui dobbiamo verificare meglio le scelte fatte, riesaminando in ogni caso criteri per la selezione degli obiettivi, tipo di interventi e modi di intervenire, e l’efficacia stessa raggiunta rispetto agli obiettivi.  La CISL conferma che la sua è anzitutto una scelta di solidarietà, mirata a rafforzare il sindacalismo dove ce n’è più bisogno. Ma anche una scelta che, aiutando a governare fenomeni come quelli migratori di massa, è nel nostro stesso, beninteso, interesse.

 

23. Su queste questioni, occorre fare di più, come sindacato e, in particolare, poi, come CISL, tanto per far crescere tra lavoratori e lavoratrici la cultura della non violenza – e, caduto l’obbligo della leva, conquistare l’istituzione del servizio civile – quanto per estendere la mobilitazione contro la pena di morte.

 

 

 

 

B. POLITICA E SOCIETÀ

 

1. Negli anni ’90 la CISL, coerentemente alle scelte ideali delle sue origini, ha sviluppato una soggettività politica forte e nuova:

 

hha agito da protagonista per gli accordi di concertazione dal ’92 al ’98, decisivi per il risanamento finanziario con sostanziale equità e per la partecipazione stessa del paese dall’inizio alla moneta europea;

hha sostenuto uno schieramento politico in ragione dei valori, dei contenuti e dell’equilibrio del suo programma;

hma, particolarmente dopo che era stata acquisita l’entrata nell’euro, ha stigmatizzato le involuzioni dei governi di centro sinistra proprio rispetto alla politica di concertazione, alle questioni centrali del riequilibrio Nord-Sud, dell’occupazione e delle privatizzazioni, affrontate senza un progetto forte e coinvolgente di democrazia economica; e rispetto ai rischi stessi di ripresa dell’inflazione;

hè intervenuta nel dibattito sulle riforme istituzionali, schierandosi per un federalismo sussidiario e solidaristico; e sulla riforma elettorale, per una ricomposizione del sistema politico che, superando un bipolarismo sempre più dominato dagli interessi elettoralistici e programmaticamente paralizzato, lo liberasse dall’egemonia del liberismo e del dirigismo ridando rappresentanza alle ragioni equilibrate e progressiste del cattolicesimo sociale e del riformismo;

hha promosso l’incontro dell’associazionismo sociale, assai vitale in questi anni, per dargli una voce che conti anche in questo confronto costituente, politico ed istituzionale.

 

2. Questa soggettività politica è un’espressione alta della autonomia della CISL, della sua concezione del sindacato, della società, dello Stato, dei rapporti tra società e politica: è una concezione fondata sul primato della persona, che si esprime nel pluralismo e nell’autonomia del sociale e nell’organizzarsi dello Stato sulla base dei princìpi di sussidiarietà e solidarietà. Dunque, uno Stato interessato a riconoscere e sostenere l’autonomia delle espressioni organizzate della società, senza recinti di competenza corporativa né impedimenti allo sviluppo di una democrazia piena e diffusa, nell’economia e tanto meno nella politica.

 

3. Il sindacato associazione è espressione organizzata di questo tipo di società. Di qui, il suo pluralismo e la sua autonomia, la sua strategia di partecipazione con coerenti assunzioni di responsabilità espresse attraverso la contrattazione, nello specifico delle condizioni di lavoro, la concertazione a tutto campo, economico e sociale, l’attivazione degli strumenti di democrazia economica, gli interventi senza autolimitazioni né reticenze come quelli di qualsiasi soggetto sociale, nelle fasi costituenti, istituzionali e politiche, per assicurare questa agibilità strategica.

 

4. E’ una soggettività politica del sociale avversata – anche se, poi, nelle situazioni di emergenza, subita – sia dalle forze liberiste sia da quelle dirigiste:

 

hdalle une, in nome di un individualismo che misconosce i soggetti intermedi della società, fatta di individui soli davanti allo Stato e al mercato e, tanto più, misconosce il ruolo contrattuale, collettivo, del sindacato, intendendo ricondurre il negoziato piuttosto al rapporto individuale tra cittadini, liberi agenti tutti della produzione: tutti liberi ma, nella pratica, liberi in misura ovviamente del tutto ineguale;

hdalle altre, forze politiche ma anche sindacali che restano prigioniere di una vecchia cultura politica che postula il primato del partito ed il ruolo subordinato del sindacato; e, in ogni caso, dell’esclusività dei recinti della politica e dell’economia rispettivamente per i partiti e per i signori del mercato.

 

5. L’egemonia del liberismo e del dirigismo nei due schieramenti, costretti da una legge elettorale che penalizza la politica come confronto programmatico per contenuti condivisi e, quindi, come capacità di governo efficace e coerente, ha emarginato la rappresentanza attenta al pluralismo e all’autonomia del sociale. E, con la crisi della politica, ha incentivato in misura sconosciuta finora la patologia della disaffezione progressiva alla partecipazione democratica ed elettorale.

  

6. Con il decennio trascorso, aperto dalla crisi del vecchio ordine internazionale e nazionale, si è conclusa la percezione di un ciclo, politico e istituzionale: quella della lunga transizione che però, per essere tale, presupponeva un punto di arrivo, di normalizzazione, che non si è realizzato e, ancora, neppure si intravede.

 

7. In realtà, ora si tratta di essere consapevoli che occorre fare i conti con un processo che non ha momenti risolutivi ma si muove per aggiustamenti progressivi, influenzati da una complessa interdipendenza di fattori, economici, sociali, culturali, politici, istituzionali, sia locali e nazionali che europei e mondiali.

 

8. Per orientare questo processo nella prospettiva ideale e strategica della valorizzazione del pluralismo sociale occorrono uno sviluppo forte della soggettività politica e dell’autonomia del sindacato ed un ruolo consapevole della società civile nelle molteplici articolazioni organizzative e nelle diverse iniziative che esse possono dispiegare nell’economia e nel sociale.

 

 

C. DEMOCRAZIA E SOCIETÀ

 

1. La tesi della CISL è che per dare al paese un governo all’altezza delle sfide attuali, ormai occorre il passaggio ad una nuova idea di Stato: un processo politico ed istituzionale che ci porti dallo Stato che conosciamo ad una Repubblica fondata sui concetti di federalismo, sussidiarietà e solidarietà. Cioè, ad una autentica res publica.

 

2. Questa Repubblica, “rovesciando” sulla base di un beninteso principio di sussidiarietà l’assetto attuale di responsabilità e di poteri, va ordinata federalmente in Comuni, Province, Regioni e Stato. La Regione, così, assume un ruolo cruciale con un più pieno potere legislativo e la relativa autonomia finanziaria, mentre lo Stato è promotore e garante della sostanziale equità ed unità del paese. 

 

3. L’idea di solidarietà è alla base della civiltà europea e mediterranea. Associare le persone e le comunità in un rapporto di complementarità che valorizzi le identità e le differenze resta, per la CISL, il criterio fondamentale del suo modo di fare e di essere sindacato e di pensare la democrazia. 

 

4. La questione di quale forma di Stato nel tempo della globalizzazione, dell’unificazione europea e, insieme, della tensione localista e delle “piccole patrie”, della ridefinizione dei diritti e delle responsabilità personali e sociali ci riguarda direttamente.

 

5. Negli ultimi anni diverse sono state le risposte tentate alla richiesta di autonomia, di riforma delle pubbliche amministrazioni, di partecipazione: dalle leggi di decentramento e semplificazione amministrativa, all’elezione diretta dei sindaci, dei presidenti delle regioni e delle province fino al potere statutario delle regioni.

 

6. Ma proprio questa diversità di interventi senza visione ordinata e condivisa ha finito col determinare una molteplicità di situazioni difficili da ricomporre in un disegno unitario.

 

7. La CISL ritiene che la riforma in senso federale dello Stato possa rappresentare uno strumento fondamentale per il governo delle differenze e delle complessità ed anche, appunto, per recuperare la dimensione locale e territoriale all’interno di una visione di res publica che diventi protagonista, valorizzando il territorio come luogo di partecipazione aperto alla costruzione di una nuova identità nazionale, europea, mondiale. 

 

8. Fondamento del federalismo è la traduzione in forme istituzionali e partecipative di una visione pluralistica della società. La sua direzione è la coesione sociale, il cui principio regolativo ed orientativo è la solidarietà.

 

9. E’ partendo da questa impostazione che ci sentiamo impegnati con il preciso intento di contribuire alla costruzione di uno stare insieme federativo e sussidiario, convinti che in questo modo riusciremo a sfuggire alla trappola della contrapposizione tra società e politica per determinare un articolarsi ed intrecciarsi più virtuoso e non frammentante delle diverse autonomie. Di questo processo, del resto, le politiche concertative sono state l’espressione più alta messa finora in pratica.

 

10. Il nostro impegno per questo federalismo solidale e cooperativo è anche la risposta a chi tende a creare una falsa contrapposizione tra Nord e Sud. Noi siamo convinti che sia più utile operare per realizzare le basi di una nuova coesione nazionale sul riconoscimento delle diverse responsabilità che si cementano nella solidarietà.

 

11. Infatti, questa ipotesi di federalismo che privilegia il principio di sussidiarietà è quella che oggi meglio di altre ci può aiutare a battere un’idea di solidarietà intesa come esigenza del debole che la reclama dal forte. E, proprio perché crediamo al federalismo come progetto per unire il paese, non riteniamo che lo si possa attuare con forzature, parlamentari o referendarie.

 

12. Del resto, la stessa autonomia impositiva e il federalismo fiscale devono rispondere all’esigenza di responsabilizzazione senza diventare strumento di squilibri e conflitti tra le diverse aree del Paese.

 

13. L’istituzione di una vera e propria Camera delle Regioni ed una precisa definizione di ruoli e funzioni per le varie articolazioni decentrate – regioni, province e comuni – sono necessarie, da un lato, per coniugare responsabilità locali e nazionali e, dall’altro, per evitare sovrapposizioni tra livelli diversi.

 

 

D. ECONOMIA E SOCIETÀ

 

 

1. L’universalizzazione del modello capitalistico dell’economia, senza più una concreta alternativa, la globalizzazione dell’economia, la generalizzata pervasività delle tecnologie dell’informazione e comunicazione nei sistemi produttivi di beni e servizi, la nuova economia, l’utilizzazione delle biotecnologie nella genetica vegetale, animale e perfino umana comportano mutamenti sociali e culturali, continui e diffusi capillarmente, di enorme portata, in ogni ambito della vita delle persone.

 

2. Mutano tutti i confini e tutti i parametri del fare economia e, con la frammentazione che ne consegue, anche del fare società.

 

3. La globalizzazione esalta una dimensione etica ambivalente che percorre e condiziona il sentire di tutti: cittadinanza senza confini e arroccamento su identità particolari; interdipendenza consapevole e frantumazione degli interessi; omologazione come semplificazione e diversità come ricchezza; competitività come esasperato individualismo e come perseguimento di risultati economici e sociali che valorizzano l’apporto e l’utilità di tutti; onnipotenza-precarietà e fiducia responsabile. 

 

4. Il discrimine politico non è più sui parametri tradizionali, quanto tra chi vuole conservare equilibri e poteri così come sono, e accetta di escludere chi è escluso – una minoranza in Italia, la maggioranza nel mondo –, e chi, come il sindacato, sceglie la via dell’inclusione progressiva, con ridistribuzione di poteri e risorse, oggi possibile, anche per chi sta fuori.

 

5. Cresce il benessere, ma crescono e diventano più intollerabili e penose le ingiustizie e le esclusioni; incombe su tutti la facilità di scivolare dall’inclusione alla esclusione e carica di tensione è la fascia sociale di confine.

 

6. Lo squilibrio economico tra Nord e Sud del paese – che non si ricompone, anzi si aggrava e, se rapidamente non vengono poste le condizioni di un circuito virtuoso che trasferisca e crei lavoro dove c’è mano d’opera, è destinato a complicarsi nella prospettiva dell’ampliamento dell’Unione europea – ha effetti dirompenti sulla coesione sociale nazionale, delegittima la politica economica dei governi, toglie credibilità all’impegno più generale rispetto all’istanza di un governo europeo e mondiale dell’economia.

 

7. Si allunga sempre più la durata della vita, per le sue migliori condizioni e per i progressi scientifici; e, da noi in misura anche maggiore che negli altri paesi avanzati, si acuisce la crisi demografica con la conseguenza di un numero sempre maggiore di anziani nella composizione anagrafica della società: è una vecchiaia vitale, che certo pone problemi rilevanti sul piano economico e sociale, ma che non intende essere emarginata e vuole continuare a svolgere un ruolo attivo nella società.

 

8. Oltre l’invecchiamento, due altri mutamenti sociali hanno rilievo e dimensione dirompenti: l’entrata cospicua delle donne nel mercato del lavoro e l’immigrazione; ed un terzo, l’essere giovani oggi, si esprime anch’esso in modi molto diversi rispetto a ieri.

 

9. Aumenta il tasso di attività delle donne – anche se è il più basso d’Europa e riproduce lo squilibrio Nord-Sud – ma aumenta anche la loro pressione sul mercato del lavoro con le conseguenze che ne derivano sulla struttura familiare e sulla conciliazione tra famiglia e lavoro. Il fenomeno, che vede le donne conquistarsi progressivamente il passaggio dalle pari opportunità a pari responsabilità davvero reali, oltre che modificare profondamente il mercato del lavoro, muta i tradizionali rapporti familiari, gli stili di vita, pone esigenze nuove all’organizzazione sociale.

 

10. Invecchiamento della popolazione e femminilizzazione del mercato del lavoro comportano più domanda di servizi alla persona, che è uno dei fattori della necessità di ridisegnare priorità, organizzazione, partecipazione, integrazione tra ruolo pubblico, iniziativa privata e del non profit rispetto al welfare e di trovare un nuovo equilibrio tra bisogni sociali e risorse.

 

11. L’immigrazione, al di là di tutti i fattori strutturali, economici e geopolitici, che espongono l’Italia all’esodo dai paesi più poveri e/o dilaniati da guerre e persecuzioni, è ormai sempre più avvertita come una necessità dello sviluppo economico del paese per compensare la grave crisi demografica e fronteggiare le difficoltà, nell’immediato, soprattutto nelle regioni del Nord, di reperimento di manodopera rispetto ad una elevata espansione della domanda.

 

12. La sindrome dell’invasione e quella della minaccia alla sicurezza vanno al di là dei dati oggettivi e di una loro corretta interpretazione e la percezione di minor sicurezza si fonda su un collegamento semplicistico con il fenomeno immigratorio, generalizzando difficoltà e criticità oggettive della criminalità diffusa, soprattutto nelle aree metropolitane del Nord. In ogni caso, è d’obbligo tenere conto di questa percezione dell’opinione pubblica, dando certezza di governare la programmazione dei flussi e di contrastare con determinazione la clandestinità – l’area del resto maggiormente esposta e vittima del lavoro illegale e dell’impiego delinquenziale – con tutti i commerci illegali ed inumani che essa sottende.

 

13. L’accoglienza dei cittadini stranieri non è solo inserimento lavorativo – la schizofrenia di chi apprezza il loro lavoro, magari sfruttandolo, ma li vorrebbe invisibili nella società – ma integrazione che, nel rispetto dei princìpi e degli ordinamenti fondamentali, consideri anche le diversità culturali e sociali con essi compatibili:

 

huna integrazione ragionevole che richiede una politica organica sia generale che settoriale nella scuola, nella politica culturale, nella formazione, nella sanità, nell’assistenza, particolarmente nei servizi dove più decisivi sono gli interventi di mediazione culturale;

huna integrazione che deve riempire di progettazione sociale dello sviluppo del territorio il vuoto che, anche per la scarsità dello spazio in molte aree di addensamento immigratorio, impedisce un’accoglienza adeguata per la carenza di infrastrutture;

huna integrazione che non può continuare ad ignorare il riconoscimento, come è avvenuto nel resto di Europa, dei diritti di partecipazione alla vita pubblica dei cittadini stranieri stabilizzati da anni, attraverso il diritto di voto amministrativo e una nuova regolamentazione della cittadinanza. Che è un modo, poi, non solo di prevenire ed attenuare i conflitti, in certa misura inevitabili, ma di avviare un processo positivo di reciproco arricchimento.

 

14. La CISL, come in genere il sindacato confederale italiano, è già un’esperienza avanzata di questo modello di integrazione, strumento per lavoratrici e i lavoratori immigrati di tutela concertativa e contrattuale, di vita associativa, di partecipazione e di assunzione di responsabilità in prima persona in quanto eletti anche da lavoratori italiani negli organismi di rappresentanza aziendali e territoriali.

 

15. La rapida trasformazione multietnica e multiculturale della società italiana, pur con i complessi problemi da governare con equilibrio, è una grande opportunità del Paese per affrontare le prospettive della globalizzazione.        

 

16. Sono i giovani, nel processo di mutamento, l’antenna più sensibile della società e i più disponibili all’innovazione. Sono i più pronti a cogliere le opportunità, nuove e reali, offerte dalle tecnologie moderne   – l’informatica, la comunicazione – che aprono anche, nei fatti, spazi veri alla loro soggettività lavorativa e occasioni di autoimprenditorialità effettivamente realizzabili.

 

17. Sono sempre loro ad avvertire per primi, però, l’esigenza pressante di livelli qualificati di istruzione, di formazione, di conoscenza sia per affrontare il lavoro che si trasforma in lavori, sia per districarsi dentro le complessità del sociale nell’era della globalizzazione avanzante. 

 

18. La disponibilità istantanea dell’accesso all’informazione, e la profusione dei modi con cui esso si offre alla società, cambia in profondità, in loro prima che in altri, stili e valori di vita. Il lavoro resta tuttora un riferimento centrale per l’identità di ciascuno e di tutti, anche dei giovani; ma per loro cambia soggettivamente di peso, diventa più strumentale nella gerarchia dei valori vissuti, pur facendosi più esigente, al contempo, la ricerca della sua qualità.

 

19. I giovani non solo avvertono come tutti ma subiscono in prima persona l’inadeguatezza dell’attuale sistema di formazione che, pur interessato da profondi processi di cambiamento e di estensione e articolazione, deve più risolutamente attuare l’integrazione, ai vari livelli, tra istruzione, formazione professionale e lavoro e qualificarsi, nei livelli alti del post-secondario, dell’università e della formazione assunta come dimensione della ricerca scientifica e tecnologica.

 

20. Allo stato attuale, invece, per la natura stessa della nuova economia, per l’insufficienza del sistema formativo e l’inadeguatezza dei meccanismi preposti all’incontro tra domanda ed offerta, da una parte permane, anche se motivato in forme spesso diverse a Nord ed a Sud, il fenomeno grave della descolarizzazione degli adolescenti, mentre dall’altra si prolunga, a volte di un intero decennio, l’esclusione dal lavoro dei giovani che, quando poi riescono a entrarvi, trovano a confrontarli tutta la precarietà dei nuovi lavori.

 

21. Conseguenza di questo fenomeno nuovo è la carenza di autonomia, non solo di reddito ma anche di certezze e sicurezze più generali, che si esprime nel protrarsi del loro restare in famiglia.

     

22. Cambia altresì l’approccio dei giovani con la politica: non più disponibili alle ideologie e alle astrazioni, si identificano in valori universali e semplici, subito percepiti per veri, investendo il proprio impegno in problemi e nella soluzione di problemi concreti.

 

23. Il sindacato, oggi, deve fare i suoi conti con questo mondo giovanile. Gli diventa impossibile comunicare con loro se non impara, anzitutto, a parlare il loro linguaggio, quello delle tecnologie dell’informazione. Ma gli diventa pure difficile se, al tempo stesso, non assume come priorità, aprendosi al loro protagonismo, le loro istanze rispetto al lavoro, alla qualità dei lavori e della vita, al necessario riequilibrio del sistema di welfare.

 

 

E. VERSO UN NUOVO WELFARE

 

1. La competitività che i sistemi produttivi dei vari paesi devono reggere a fronte della globalizzazione dei mercati sta mettendo in crisi i sistemi di welfare: la pressione a ridurre sia il costo del lavoro sia le tasse rischia di minare alle fondamenta il patto fra cittadini e Stato che ha fondato, dall’Ottocento, i sistemi di protezione sociale.

 

2. D’altro canto la diffusione di forme di lavoro mobile, discontinuo, l’assenza di lavoro in vasti territori, le dinamiche sociali caratterizzate dal prolungamento delle aspettative di vita, da una radicale trasformazione della struttura familiare, da nuove domande di assistenza e di benessere hanno determinato – e determinano – una struttura di bisogni sempre più vasta e complessa da soddisfare.

 

3. Ed anche le “vecchie” domande di protezione rispetto al non lavoro, alla malattia, all’ignoranza, alla povertà, alla vecchiaia, all’inabilità e all’abitare esigono risposte più mirate, qualitativamente più adeguate.

 

4. Il sindacato, qui, affronta due sfide: da un lato, portare a regime le riforme già fatte (pensioni, sanità, assistenza); dall’altro, completare la riforma del welfare col collegamento, tuttora carente, tra lavoro ed ammortizzatori sociali per tutelare i lavoratori e governare tutte le flessibilità che li coinvolgono. 

 

5. Questa modernizzazione del welfare non può significare, però, come pure da diverse parti si pensa, lasciare solo l’individuo rispetto ai rischi della vita, garantendo soltanto ai poveri ed ai bisognosi il sostegno dello Stato, allargando così i rischi di esclusione sociale ma anche l’area di disimpegno rispetto alla solidarietà condivisa.

 

6. Significa invece ridefinire le regole dello scambio tra cittadini e Stato, tra pressione fiscale e contributiva e qualità delle prestazioni sociali perseguendo gli obiettivi della equità, trasparenza e qualità attraverso nuovi e più flessibili e partecipati strumenti di gestione che fondino e diano un senso, appunto nuovo, alla solidarietà sociale.

 

7. L’entità definita dalle risorse disponibili a fronte di una generalizzata e sofisticata domanda di servizi impone l’introduzione di elementi di selettività: tali, tuttavia, da non pregiudicare il diritto di tutti i cittadini a fruire delle garanzie costituzionalmente fondate o sorrette all’istruzione, alla salute, alle pensioni, all’assistenza, alla casa.

 

8. Richiede, al contrario, che venga individuata nei vari settori la soglia delle prestazioni essenziali (uniformi e non minime) da garantire a tutti; e quelle da erogare, invece, attraverso una compartecipazione dei cittadini sulla base del reddito.

 

9. In questo senso vanno giudicati negativamente incertezze e ritardi nell’introduzione nel nostro paese di un indicatore di reddito basato su scale di equivalenza familiare, l’unica strada per rendere trasparenti ed equi in tutto il territorio i criteri di accesso ai servizi a fronte della inattendibilità dimostrata dell’accertamento fiscale.

 

10. Del resto, non è solo nella determinazione del reddito reale che va tenuto presente meglio e di più il ruolo chiave che, in termini di equità perseguita e concretizzata, la famiglia può realisticamente giocare nel ridisegnare, modernizzare e dare dinamica a un diverso, e più “umanizzato”, welfare.

 

11. Il processo avviato di federalismo fiscale e di decentramento amministrativo, insieme alla necessità di responsabilizzare i cittadini e le comunità rispetto ai servizi, devono essere colti in definitiva dal sindacato come una grande opportunità per ridefinire i connotati gestionali del nostro modello di welfare anche attraverso la capacità di fare patto fra i soggetti sociali del territorio.

 

12. Le riforme della sanità, dell’autonomia della scuola e dell’assistenza, così come l’istituzione di un servizio civile nazionale, che la CISL sollecita, se gestite correttamente rappresentano un contesto in cui sviluppare un nuovo rapporto fra pubblico-privato-non profit-volontariato, qualificando così e rinforzando – anche con l’aiuto delle diverse strutture di servizi di cui si è dotata la CISL – il ruolo del pubblico nella capacità di programmare, definire standard, controllare la qualità delle prestazioni, integrare i servizi: attivare, insomma, così sul territorio una competizione regolata che consenta al cittadino di operare scelte responsabili.

 

13. In questo senso, la CISL è impegnata a rilanciare la politica di concertazione per realizzare e generalizzare i patti sociali sul territorio: per noi il federalismo diventa un passo verso una democrazia sostanziale se i soggetti sociali e quelli istituzionali di ogni territorio – Comuni, Province e, in particolare per i loro nuovi poteri istituzionali, le Regioni – diventano protagonisti nella definizione della vocazione allo sviluppo del loro specifico territorio, ma anche della qualità sociale, cioè della vivibilità del livello di coesione sociale di ogni realtà.

 

F. LO SVILUPPO DELLA CONCERTAZIONE

 

1. E’ per governare, a tutti i livelli e a tutto campo, i grandi mutamenti economici e sociali indotti dalla globalizzazione che la CISL ripropone la concertazione.

 

2. Dopo gli esiti positivi e risolutivi di questa politica per il risanamento finanziario del Paese, negli ultimi anni governi, poteri economici e forze interne anche del sindacato hanno provveduto sistematicamente a depotenziarla rispetto agli obiettivi dello sviluppo ed a ridurla a mera informazione/consultazione rispetto alle più recenti scelte ridistributive di politica economica.

 

3. La polemica sulla concertazione come metodo e come politica contrappone due concezioni strategiche:

 

hl’una, la riduce ad un’invasione di campo istituzionale e politico da parte del sociale: tollerabile nelle scelte politiche generali, economiche e sociali normalmente considerate come dominio esclusivo dei partiti e delle istituzioni e, sottobanco, del lobbismo, solo in situazioni di crisi e di emergenza;

hl’altra, la nostra, la ritiene la politica che porta tutte le parti – istituzionali, economiche e sociali – a condividere gli obiettivi dello sviluppo: e che rende consapevoli ciascuno e tutti delle responsabilità di ogni parte, nella propria sfera di autonomia, a comportamenti coerenti per il perseguimento degli stessi obiettivi determinati in comune.

 

4. Questa strategia, come hanno dimostrato gli accordi degli anni ‘90, è l’antidoto alle politiche del liberismo e del dirigismo, amplia la democrazia con il protagonismo del pluralismo sociale, accresce il consenso e la legittimazione delle istituzioni, coniuga sviluppo e giustizia sociale rispetto a processi che tendono – altrimenti – ad accrescere l’esclusione, assicurando un governo efficace della complessità.

 

5. La concertazione – questa concertazione – va rilanciata quindi, dopo il risanamento, oltre che al livello nazionale con un nuovo patto per lo sviluppo:

 

hin Europa, oltretutto in una contrastata fase costituente di nuove istituzioni politiche con i necessari trasferimenti sovranazionali di poteri, la concertazione, oltre la prassi consultiva del Comitato economico e sociale, va conquistata e praticata come politica di governo, cominciando da una più decisa e piena valorizzazione dell’autonomia già riconosciuta alla contrattazione tra le parti sociali sui temi del lavoro;

hai livelli regionali e locali – dove è già cominciato, del resto, un trasferimento rilevante di risorse finanziarie, poteri e funzioni, compresa l’autonomia impositiva, e dove si decidono le condizioni dello sviluppo e della coesione – occorre un nuovo impulso alla concertazione sociale sia nell’ambito della programmazione negoziata, che troppo spesso si esaurisce nella sola concertazione istituzionale, sia sull’insieme dei processi attraverso patti territoriali per lo sviluppo economico e per lo sviluppo sociale;

hnella stessa dimensione delle grandi aziende e dei grandi gruppi, specie quelli del settore dei servizi di pubblica utilità.

 

6. Oltre l’efficacia di governo, con la concertazione si promuove infatti proprio una coesione forte e la risocializzazione del territorio mobilitando sussidiarietà e solidarietà; si contrastano i rischi di neocentralismi regionali; si compensano, con la partecipazione delle forze sociali, le tentazioni presidenzialistiche indotte dall’elezione diretta di sindaci e presidenti di regione e provincia.

7. L’elaborazione in atto degli statuti regionali costituisce, per la CISL, l’opportunità del riconoscimento in via di principio della concertazione come politica di governo, senza irrigidimenti che condizionino le rispettive autonomie.

 

 

G. MUTAMENTI E DINAMICHE DEL LAVORO: LE FLESSIBILITA’CONTRATTATE

 

1. L’utopia di una società dove diminuisce il lavoro necessario sembra oggi estinguersi: dove c’è lavoro, spesso si lavora di più e le nuove tecnologie sviluppano l’effetto contrario a quello preconizzato della diminuzione generalizzata del tempo di lavoro; e, dove il lavoro non c’è, e ci sono magari tanti lavori, è comunque al lavoro stabile che la gente aspira.

 

2. Il lavoro è il cardine su cui si impernia la vita della grande maggioranza delle donne e degli uomini. Esso non è solo la fonte del reddito, ma il fondamento dell’identità, e non solo sociale.

 

3. L’occupazione resta la grande emergenza del paese e continuerà ad aggravare lo squilibrio tra il Nord e il Sud, finché non verranno attuate efficaci politiche che rendano conveniente il trasferimento e la creazione di attività produttive dove la manodopera c’è ed, oltretutto, è giovane, con alti tassi di scolarità.

 

4. Non è un’alternativa funzionale ad uno sviluppo equilibrato del paese ipotizzare la mobilità di lavoratrici e lavoratori dal Sud ad un Nord che, oltretutto, già presenta problemi di addensamento produttivo rispetto alla compatibilità ambientale, in assenza poi di convenienze per gli stessi lavoratori; né la soluzione è affidare esclusivamente al lavoro immigrato la compensazione di manodopera rispetto alle fasi espansive dei cicli produttivi, alla luce anche dei complessi problemi legati all’integrazione.

 

5. Certo è che l’accessibilità ad un mercato del lavoro più ampio di quello nazionale – la cui utilizzazione comporta, però, la contraddizione indicata e costi rilevanti per l’intera collettività – vanifica la vecchia legge di mercato che imporrebbe di alzare le paghe, comunque di incentivare l’offerta, fino a ritrovare gli equilibri necessari a farla incontrare con la domanda.

 

6. Il mercato del lavoro, accanto a questa squilibrata articolazione territoriale, presenta a danno dei giovani – e soprattutto delle giovani donne – in cerca di prima occupazione ulteriori squilibri e problemi rilevanti sul versante della qualità dell’offerta e dell’incontro con la domanda per la carenza e l’inadeguatezza sia dei servizi per l’impiego sia delle politiche attive, in particolare della formazione professionale, tanto per i giovani che per chi viene espulso dalla produzione.

 

7. Nelle economie globalizzate convivono lavori ad alto contenuto conoscitivo, lavori tradizionali, nuove forme di lavoro dequalificato e marginale. Competitività ed innovazione sottopongono, poi, i sistemi produttivi a continue trasformazioni di prodotto e di processo, con ricadute su contenuti, qualità, mobilità e tipologie dei rapporti di lavoro.

 

8. Questi processi, che hanno al centro la minuziosa diffusività delle nuove tecnologie, tendono ad uniformare, tra i diversi settori, pubblici e privati, della produzione e dei servizi, i modelli di organizzazione del lavoro ed i profili professionali, sia vecchi che nuovi; così come favoriscono il consolidamento di una struttura produttiva imperniata su un nucleo stabile di lavoratori professionalmente tutelati che tende sempre più a ridursi; e di un’area variabile, sempre più ampia, caratterizzata, anche attraverso il decentramento produttivo, da rapporti di impiego flessibili e per lo più anche precari.

 

9. L’area del lavoro così detto flessibile non riguarda solo la grande impresa e le tante articolazioni del suoi processi di decentramento, ma l’insieme del sistema produttivo di beni e servizi, compresa l’economia sociale. E’ il fenomeno indicato come il passaggio dal lavoro ai lavori, alle tante tipologie di lavoro, ai così detti lavori atipici che però tutti assieme stanno diventando il lavoro più tipico e coinvolgono giovani e meno giovani.

 

10. E’ questo mondo del lavoro che chiede al sindacato di essere organizzato e tutelato in modo nuovo rispetto alle sue esigenze: politiche attive di informazione e di orientamento, opportunità di formazione professionale e di servizi per l’impiego, consulenza e assistenza fiscale e previdenziale, una politica contrattuale differenziata e specifica.

 

11. La flessibilità del lavoro è un aspetto della flessibilità complessiva della produzione che, per competere, deve continuamente innovare tecnologia, organizzazione, prodotti; ed è una condizione necessaria dello sviluppo, ma anche una grande opportunità dei lavoratori.

 

12. Certo, la flessibilità si manifesta in tante forme diverse. Quelle più convenienti e accettabili – comunque, per noi, sempre da contrattare – come

 

hl’adattabilità professionale, che presuppone la capacità di sostenere processi di riqualificazione e riconversione continue;

hl’articolazione degli orari, con l’obiettivo sia di innalzare i tassi di attività, molto bassi nel nostro paese rispetto all’Europa soprattutto per le donne, sia di dare risposte alle esigenze individuali di lavoratrici e lavoratori garantendo, con un’organizzazione sociale diversa, la migliore conciliazione tra tempi di lavoro e tempi di vita;

hil tempo parziale, la determinazione temporale del rapporto, i mix di formazione e lavoro, il telelavoro, il lavoro interinale, il parasubordinato: cioè, in sintesi, i tanti rapporti di impiego, misti o atipici oggettivamente necessari all’ottimizzazione dell’impiego delle tecnologie e dell’organizzazione del lavoro ed all’andamento dei cicli produttivi; più utilizzati – e, comunque, quelli più fruibili oggi – per i primi inserimenti lavorativi, per il graduale rimpiazzo dei lavoratori anziani, per attività più efficacemente espletate senza un inserimento organico nell’organizzazione aziendale.

 

Ma la flessibilità si manifesta anche nelle forme meno accettabili e più negative, quelle di sempre, precipuamente come

 

hla licenziabilità arbitraria del lavoratore, che mira ad ottenerne più subalternità ai fini di più sfruttamento e di più immediato profitto;

hla copertura, attraverso rapporti atipici simulati, di lavoro irregolare, al limite del sommerso.

 

13. La CISL, che è ben consapevole delle ambivalenze della flessibilità richiesta al lavoro nella nuova realtà produttiva, ritiene che, per fronteggiarle, le flessibilità vadano governate attraverso la contrattazione, lasciando ampi margini di intervento anche a quella aziendale dove, concretamente, possono essere verificate tutte le condizioni oggettive della richiesta. La flessibilità verso la quale la CISL non soffre tabù, insomma, è quella contrattata.

 

14. Ciò non toglie che la questione flessibilizzazione-precarizzazione ha un rilievo centrale nel mercato del lavoro italiano, se si considera che attualmente solo un terzo delle nuove assunzioni sono a tempo indeterminato e che, specie nel caso della manodopera femminile, il tempo determinato si traduce con grande difficoltà in assunzioni stabili.

 

15. In definitiva, la flessibilità non si traduce in precarietà e il lavoratore è tutelato se siamo in presenza della contrattazione e di un contesto di condizioni che la sostengono in termini di effettiva “occupabilità”, cioè con i servizi della formazione, dell’orientamento, di un incontro domanda-offerta adeguato.

 

16. A questo fine il sindacato deve riprendere un’iniziativa forte sui temi del mercato del lavoro, disattesa dopo la legge 196/’97:

 

hsul completamento, con i necessari finanziamenti, della riforma della formazione professionale;

hsul recupero dei ritardi in quella dei servizi pubblici per l’impiego e per superare le difficoltà allo sviluppo delle agenzie private, pienamente conformi alle leggi ed allo scopo che le leggi prevedono, di collocamento e di lavoro interinale;

hsulla strategia di flessibilizzazione ed articolazione degli orari, anche riordinando il part-time;

hsulla riforma degli ammortizzatori sociali, estendendone la fruibilità e superandone il carattere esclusivamente assistenziale: una riforma di grande rilievo per l’obiettivo dell’occupabilità,

hsul riordino degli strumenti di ingresso incentivato al lavoro (contratti di formazione-lavoro, tirocini, piani di inserimento professionale) e la regolamentazione delle collaborazioni coordinate e continuative, soprattutto affrontando la questione della forbice dei costi tra contratti di lavoro subordinato e collaborazioni coordinate e continuative, anche in materia previdenziale.

 

17. Nel contesto di questo riordino e di una rete efficiente di politiche attive di sostegno, la flessibilità contrattata diventa un’opportunità di sviluppo e di occupazione tutelata.

 

18. A questo fine, per sviluppare occupazione stabile e favorire la trasformazione a tempo indeterminato dei rapporti atipici e l’emersione dell’area grigia e nera del lavoro, occorre riflettere se, con particolare riferimento alle zone in ritardo di sviluppo ed a quelle in difficoltà strutturali, possa essere prevista la possibilità di contrattare un regime sperimentale di gestione di tutte le flessibilità: per non lasciarne, nei fatti, gestire nessuna solo alla controparte. E, ciò, anche valorizzando lo strumento della conciliazione e dell’arbitrato ormai in via di generalizzazione negoziale e l’impiego, mirato all’occupabilità, delle politiche attive del lavoro nel loro complesso.

 

19. Queste misure di nuova regolamentazione, soprattutto per via contrattuale, del mercato del lavoro, assieme a quelle relative ai contratti di riallineamento e agli strumenti previsti come le commissioni territoriali e i tutor di emersione, sono un modo efficace per contrastare il lavoro irregolare e sommerso, che è una piaga della nostra economia dai costi sociali molto alti, nel Nord e soprattutto nel Sud.

 

20. Occorre anche conquistare ed utilizzare strumenti contrattuali nuovi per misurare lo stato della lotta al sommerso, la capacità di incidenza degli aiuti che servono a farlo emergere ed il progresso conseguito in questo specifico impegno: una specie di “emersiometro”, un metro che, per una lotta proficua, consenta di incrociare dati e rapporti.

 

21. Non diversamente, la ripresa dell’impegno del sindacato di questi anni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro deve ulteriormente svilupparsi sul piano contrattuale e istituzionale, utilizzando bene tutti i nuovi strumenti e spazi di intervento conquistati.

 

22. Se, infatti, le nuove tecnologie, in generale, hanno alleviato la gravosità fisica del lavoro, non si può confutare che le organizzazioni del lavoro, le stesse nuove tecnologie e l’impiego massiccio del decentramento produttivo, delle terziarizzazioni e degli appalti sottopongano ancora ai vecchi ed espongano anche a pericoli nuovi l’integrità fisica e psichica di lavoratrici e lavoratori. Le flessibilità dell’impiego, poi, quando non siano contrattate e manchi la prevenzione, l’informazione e la formazione in azienda e sul territorio – e tanto più se applicate dentro il fenomeno del sommerso – sono ulteriori fattori di aggravamento della condizione dei lavoratori.

 

23. Rispetto alla piaga del lavoro minorile – come per il sommerso: di cui è l’aspetto più disumano – oltre una più decisa ed efficace iniziativa di controllo e di contrasto, occorre il dispiegamento di politiche attive preventive: in sostanza, di una politica di sostegno alla famiglia concepita all’interno di una nuova coesione sociale nel territorio e di lotta agli abbandoni scolastici con percorsi di istruzione più personalizzati, socialmente più integrati con altri servizi, arricchiti con la formazione professionale e con esperienze di lavoro capace di renderli più motivanti e promettenti.

 

24. Tutte le questioni prospettate – dalle istanze del mercato del lavoro qui esaminate a quelle di una partecipazione responsabile rispetto alla complessità dei mutamenti economici, sociali, politico istituzionali, alla stessa strategia partecipativa del sindacato con riferimento alla contrattazione, alla concertazione, alla democrazia economica – richiedono cittadini in possesso di strumenti culturali e professionali che evocano come centrale la qualità dell’istruzione e della formazione.

 

25. Gli obiettivi decisivi sono, qui, l’attuazione dell’innalzamento dell’obbligo di istruzione e il diritto alla formazione fino a 18 anni, quest’ultimo anche con un più efficiente sistema di formazione professionale e con un esercizio effettivo dell’apprendistato, diffusi e capillari su tutto il territorio nazionale. Sono queste le condizioni che costituiscono l’indispensabile base dei percorsi di formazione continua da potenziare ed incentivare concretamente e adeguatamente.

 

26. Le riforme in atto, pur prevedendo questi obiettivi, non ne assicurano però la traduzione in innalzamento reale per tutti della cultura generale e professionale di base, prospettando, con un’ingegneristica tanto radicale quanto priva di contenuti culturali alti, un involucro istituzionale vuoto: manca un serio piano di investimenti e manca, anche, una politica di concertazione istituzionale e sociale ai fini di un’efficace integrazione di sistema.

 

27. E’ l’autonomia scolastica, invece, la riforma condivisa. Essa, con le sue specifiche istanze – culturali, sociali e del mercato del lavoro – ricompone nel territorio gli obiettivi formativi se, dentro e fuori gli organismi collegiali della scuola, si attiva una reale partecipazione della comunità locale e se, in particolare, il sindacato si propone come un reale e incisivo referente sociale.

 

 

H. AGGIORNARE IL MODELLO CONTRATTUALE

 

1. Coerentemente con la concezione che ha dell’autonomia del sociale, per la CISL anche la regolamentazione del rapporto di lavoro e la tutela dei lavoratori devono privilegiare la contrattazione: da estendere, oltre al salario e alle condizioni proprie del lavoro, anche alla qualità della vita che al lavoro è legata.

 

2. Non è vero che la legge difenda i lavoratori meglio e più del contratto. Ogni esperienza, dal ’46 ad oggi e anche negli ultimi anni (dal Pubblico impiego ai referendum tentati per abrogare diritti dei lavoratori e dei sindacati: cosa che col contratto non si può fare) sta lì a dimostrarlo.

3. E’ vero invece che, per definizione, la regolazione per legge del lavoro e dei diritti del lavoro – ad eccezione della legislazione a sostegno della stessa contrattazione – consente intromissioni esterne sull’autonomia sindacale e, alla fine dei conti, sul diritto di lavoratrici e lavoratori dipendenti a determinare le proprie scelte da sé.

 

4. Ma oggi, per tutelarle e tutelarli nelle mutate condizioni economiche e sociali, occorre una revisione profonda delle relazioni sindacali e, in particolare, proprio del modello contrattuale.

 

5. Per la CISL, innanzitutto è chiaro che quando parliamo di livelli di negoziazione che devono coinvolgerci ormai anche in Europa, parliamo implicitamente non certo di un terzo livello della contrattazione, oltre ai due già esistenti, ma più propriamente di un livello di ricerca dell’armonizzazione contrattuale che impegni sindacati ed imprenditori anche a livello europeo.

 

6. La questione da discutere, invece, è quella del come ridistribuire il peso e le competenze dei due livelli di contrattazione esistenti. La nostra proposta è che il contratto collettivo nazionale continui a riguardare tutti, garantendo a tutti i diritti fondamentali; e che la contrattazione aziendale o territoriale di secondo livello, conquistata anche nella Pubblica amministrazione vada collegata alla produttività ed alla redditività nelle singole imprese, nelle amministrazioni e nel territorio.

 

7. D’altro canto, l’erosione del ruolo del contratto nazionale è già una realtà in Italia e in Europa – è di questo che non vogliono prendere atto le ben note reticenze e ostilità di parti del movimento sindacale – in ragione sia della grande articolazione e progressiva flessibilizzazione del sistema produttivo, sia delle conseguenze del patto di stabilità e della moneta unica dell’Unione europea.

 

8. Per questo, la ridistribuzione concretamente possibile della ricchezza creata avviene nei fatti a livello decentrato: cioè, dove essa è prodotta, resta crescente, consente ai più, se c’è contrattazione, e non ai meno di difendere e migliorare il salario.

 

9. Mantenere, come qui si propone, i due livelli di contrattazione comporta quindi – nel rispetto delle prerogative delle Federazioni di categoria, che potranno sperimentare esse stesse modelli possibili ed utili di flessibilità contrattuale, e con la necessaria attenzione all’articolazione emergente della rappresentanza – la semplificazione dei CCNL e la loro razionalizzazione per numero e capacità di copertura di più ampie aree di lavoro omogenee dal punto di vista della rappresentanza e della sindacalizzazione.

 

10. Sul tema della rappresentanza e della sua articolazione, comincia a segnalarsi in termini finora inconsueti un dilemma che riguarda tanto i settori tradizionali che quelli più innovativi e che va affrontato in termini organizzativi. Si tratta della diffusione di tecnologie nuove e di tipologie di lavori che comportano qualche incertezza nell’attribuzione dell’uno o dell’altro contratto alla competenza di uno piuttosto che di un altro settore.

 

11. Il nuovo sistema di contrattazione dovrebbe, dunque, articolarsi su due livelli:

 

hil primo è il contratto nazionale di settore che potrebbe prevedere anche tempi e scadenze diversi da quelli attuali e contenuti in grado di cogliere le specificità dei comparti; tutelerebbe, in sostanza, tutti e, quindi, anche le aree oggi non coperte dal livello decentrato e quelle più deboli con adeguamenti minimi nazionali di garanzia del potere di acquisto;

hil secondo è un contratto di secondo livello che assumerebbe una funzione regolativa delle ulteriori condizioni salariali e normative, collegate alle specificità dell’azienda, dell’amministrazione o del territorio.

12. Va garantita, attraverso efficaci strumenti applicativi dei CCNL ed anche provvedimenti validativi, l’esigibilità della contrattazione di secondo livello per tutti i lavoratori attraverso la contrattazione territoriale che la CISL intende promuovere ad iniziare dai settori maggiormente dominati da emarginazione e frammentazione della struttura produttiva.

 

13. E’ certo che affrontare questa sperimentazione su scala significativa postula la risoluzione dei problemi organizzativi, anche interni del sindacato, imposti dallo spostamento di risorse contrattuali verso le piccole aziende e i territori; perché è lì che va, nei riscontri concreti, trovata la soluzione alle questioni della sicurezza e della salute sui luoghi di lavoro, al nodo dell’estensione della rappresentanza (piccole imprese, artigianato, impiegati e quadri, giovani) con iniziative organizzative efficaci e mirate ed alla messa in agenda, prima, della contrattualizzazione e, poi, del sostegno legislativo al lavoro parasubordinato.

 

14. La dimensione territoriale di questa proposta impegna, in particolare, al rilancio ed al consolidamento degli strumenti della bilateralità e di tutte le relazioni sindacali partecipate intese anche al rafforzamento della nostra rappresentanza e del proselitismo.

 

 

I.  LA SFIDA DELLA DEMOCRAZIA ECONOMICA

             

1. Lo scopo della nostra proposta su questo tema, che per la CISL è una priorità strategica, è quello di sempre, già presente nei primi anni della nostra storia quando – col nome di risparmio contrattuale, poi ripreso altre volte come per la proposta dello 0,50 – mirava a favorire anzitutto il processo di accumulazione necessario alla rinascita del paese che la guerra aveva lasciato in rovine ma anche, già, alla partecipazione alle decisioni strategiche ed organizzative delle imprese ed a una più condivisa ripartizione dei benefici dei risultati aziendali.

 

2. Già allora, ma oggi in condizioni diverse e tanto migliori ancor più nettamente, lo scopo era quello di contare di più nel determinare il futuro della società. Tanto più obiettivamente giustificato si fa oggi, questo nostro discorso, perché ormai parte da una premessa di fatto, che tutti riconoscono come oggettiva ma della quale troppi rifiutano poi di trarre le conseguenze: il capitale umano – la “mentedopera” – che tutti definiscono decisivo, per l’impresa, almeno quanto quello finanziario.

 

3. E’ in ragione di questo radicamento e di questa elaborazione che la CISL fonda la sua strategia sulla partecipazione, basata sulla pari dignità tra gli interessi sociali dei lavoratori rappresentati e le ragioni della compatibilità e dell’efficienza delle imprese. Per questo, valorizzazione del lavoro e buon andamento dell’impresa vanno condivisi e messi a fattore comune delle parti, realizzando un equilibrio di potere tra lavoro e capitale. In questo contesto, la democrazia economica si articola operando in diversi campi di iniziativa del sindacato:

 

hnella concertazione, come strategia di governo delle politiche economiche e sociali a tutti i livelli (nazionale, regionale, provinciale e comunale);

hnella contrattazione nazionale di categoria, attraverso la definizione di diritti di informazione e consultazione sulle politiche settoriali ed aziendali;

hnella contrattazione nei luoghi di lavoro e sul territorio, attraverso la pratica della partecipazione alle strategie aziendali e la definizione di premi salariali legati al raggiungimento di obiettivi aziendali definiti dalle parti;

hnell’intervento dei lavoratori, diretto e collettivo (fondi complementari ed azionariato), ai processi di accumulazione per co-decidere le scelte strategiche).  

4. Se ci fosse coerenza, le considerazioni riproposte oggi, universalmente, sul ruolo nuovo, “imprenditivo”, del lavoro e del capitale umano nel creare ricchezza di impresa titolerebbero, di fatto e di per sé, i lavoratori al possesso di azioni della loro impresa perché possessori del capitale umano che, per unanime rilievo. è alla base del successo presente, e futuro ancor più, dell’impresa. Ma non è ancora così e, in assenza di questa coerenza, per poter contare nelle decisioni strategiche d’impresa è necessario che i lavoratori possano anche diventare azionisti collettivi dell’impresa e titolati, perciò, a decidere, a co-decidere.

 

5. Questo è l’azionariato dei dipendenti che ovviamente richiede anche una legislazione adeguata. Si tratterebbe di una partecipazione economica che, nella sua articolazione d’impresa e di territorio – dalla co-determinazione alla partecipazione azionaria al capitale (di categoria o intercategoriale), alla previdenza complementare contrattuale – inizierebbe a modificare natura e struttura dell’impresa in maniera più coerente con la realtà che essa è e che essa stessa proclama di essere: prodotto insieme di capitale umano e finanziario. Ma si tratterebbe, anche, di una strumentazione che attuerebbe una politica redistributiva della ricchezza – o che su di essa potrebbe influire – sostenendo e promuovendo il risparmio collettivo.

 

6. In questo modo cambia il ruolo dei lavoratore che, da oggetto passivo delle strategie aziendali, diventa soggetto responsabile e motivato della produzione e della distribuzione, protagonista perciò dell’incremento di produttività, fattore strategico della valorizzazione dell’impresa, con effetti pratici – da calibrare e governare con capacità di gestione efficace e di adattamento – e virtualmente crescenti sull’andamento stesso della curva dei redditi.

 

7. Questo, della democrazia economica da cominciare a costruire nei fatti anche con l’azionariato dei dipendenti e con i fondi previdenziali per modernizzare, democratizzare e rafforzare il mercato finanziario, è uno dei casi evidenti in cui c’è bisogno dell’elemento propulsivo di una normativa di sostegno – importante in proposito è già stato il passaggio della “Società europea” fra i Quindici – che preveda una fiscalità di vantaggio del tipo avviato per la previdenza complementare e fornisca, anche per le società che non si quotano in borsa come prevede, del resto, lo sviluppo del dibattito recente in sede OCSE, una revisione coerente del diritto societario e del governo d’impresa (“corporate governance”).

 

8. La CISL sostiene che l’affermazione di una compiuta democrazia economica può e deve anche fondarsi su strumenti, come la “banca etica”, tesi ad affermare nuove regole e diversi campi d’impiego del risparmio e dei capitali che abbiano, a riferimento e centralità, la persona e il suo sviluppo.

 

9. Democrazia economica significa, in buona sostanza, per noi, avere e mantenere una visione plurale dell’economia in cui trovi legittimità, cittadinanza e spazio quanto l’inventiva sociale ha saputo e saprà creare: non-profit, forme cooperative diverse, tutta quell’area dell’economia del privato-sociale, niente affatto residuale, che non aspira né si motiva prioritariamente al profitto (e, in questo senso, non è puro “privato”), che non innalza a fini quelli che sono mezzi, ma dà vita a strutture ed imprese sociali capaci anche di dare una risposta complementare – di risorse aggiuntive: umane e finanziarie; di maggiore duttilità e personalizzazione; di capacità di innovazione, già dimostrata – alla crisi qualitativa e quantitativa – finanziaria, burocratica, di efficienza ed anche fiscale – dello Stato sociale.

 

10. Si è detto “complementare” perché questo “privato sociale con finalità pubbliche” non ha, e non può avere nella nostra visione, alcuna pretesa di rimpiazzare le funzioni dello Stato sociale, conquista fondamentale della moderna cittadinanza. Copre uno spazio autonomo, invece, che anche in collaborazione col pubblico – sinergicamente – è in grado di offrire valide risposte di gestione, di partecipazione, di responsabilizzazione ai problemi differenziati e complessi di questa società e di questo contesto economico-sociale in continuo divenire.

 

11. Quest’impegno, che vede ormai anche la CISL protagonista in prima persona, deve spingerci – come l’ultima Assemblea organizzativa ha deliberato – a sollecitare un contesto adeguato negli ordinamenti giuridici e fiscali, al di là dei progressi che ci sono stati in quest’ambito; ad aiutarne il finanziamento attraverso le opportune, utili agevolazioni pubbliche e creditizie; a stabilire, anche, un rapporto corretto con tutto il Terzo settore che – proprio perché e a questi fini viene così sostenuto – deve superare le situazioni anomale che ancora di frequente vi si verificano nell’applicazione della contrattazione.

 

12. Sarebbe anche di grande importanza, che nell’Unione europea, pur rimanendo nell’ambito dei singoli paesi la determinazione dei modelli e delle strutture retributive attraverso la contrattazione collettiva, si procedesse da subito almeno ad avviare un percorso di avvicinamento nelle normative di tipo contributivo e fiscale per meglio corrispondere alle nuove esigenze di un mercato che non è più nazionale sotto la spinta della globalizzazione e della competitività allargata che essa porta con sé.

 

13. In ogni caso, la CISL propone di cominciare ad aprire un confronto nel nostro paese su quel che si può fare qui, in questo campo determinante. E di verificare l’esistenza delle condizioni che servono per avviare un progetto concreto senza correre dietro ad ipotesi su improbabili appiattimenti, o addirittura unificazioni, di aliquote (al dunque non adottate poi da nessun paese) e costruite tutte, in radice, sull’aspetto iniquo che rifiuta la progressività dell’imposta sul reddito.

 

14. La CISL propone alla discussione le linee fondamentali di un progetto tendente a ridurre gradualmente per le imprese il costo sociale del lavoro, favorendo così anche possibili incrementi di occupazione e l’emersione del sommerso. Si tratta di ridefinire, per questo obiettivo, l’assetto contributivo dei salari, contestuale ad una coerente riforma fiscale che garantisca il salario in godimento e la prestazione pensionistica spettante, assicurando aumenti retributivi in particolare per quanti hanno familiari a carico. In questo modo si realizzerebbe un assetto capace anche di ridurre fortemente le attuali differenze contributive tra lavoratori dipendenti, autonomi e parasubordinati.

 

15. Lo strumento per la realizzazione di tale progetto, è quindi quello di una contestuale ed innovativa riforma fiscale per ridurre in modo consistente l’IRPEF gravante sul salario e per ridistribuire, con criteri diversi da quelli attuali, gran parte delle risorse da recuperare con la lotta all’evasione fiscale.

 

 

L. IL FUTURO DEL SINDACATO

 

 

1. Il sindacato non è in crisi, non sta scomparendo come qualcuno spera e parecchi vanno profetizzando. La CISL, più in generale il sindacalismo confederale italiano, godono di una solida rappresentatività, intesa sia come capacità di rappresentare il sociale sia come riconoscimento conferito di fatto dagli altri attori sociali. E questo al di là della contestazione concorrenziale del sindacalismo autonomo, di quella politica dei partiti, dei tentativi di emarginazione che, di volta in volt, si intestano – con esiti, per lo più, nei fatti poi inesistenti – l’una o l’altra forza del panorama politico,

 

2. Questa rappresentatività è dimostrata:

 

hda uno dei più alti tassi di sindacalizzazione del mondo (attestato dal BIT: tra gli attivi, intorno al 38%);

hdal voto dei lavoratori (referendum, RSU, organismi di rappresentatività elettiva);

hdalla capacità di mobilitazione, per scioperi e manifestazioni;

hdall’assunzione scontata, di imprenditori e governo – non sempre pacifica anche in molti grandi paesi avanzati – del sindacato come interlocutore vitale ed indispensabile della contrattazione, della concertazione, delle grandi riforme economiche e sociali;

hdalla conquista di un apparato di misure legislative di sostegno all’azione del sindacato.

 

3. Il sindacato confederale – la CISL ancora di più – non è stato coinvolto nella crisi dei grandi partiti e nella frantumazione del sistema politico – e agli occhi di molti ciò sembra quasi una colpa... – ma è impegnato a declinare in termini nuovi, rispetto ai grandi cambiamenti del mondo del lavoro, le ragioni dello stare assieme dei lavoratori nel sindacato – tutela, identità, rappresentanza – che la CISL avverte più direttamente di altri per il suo legame profondo con la società non filtrato da schemi ideologici neanche residui.

 

4. Perché è vero, proprio in ragione di questi cambiamenti, anche il sindacalismo confederale italiano registra una affiliazione in calo di lavoratrici e lavoratori, malgrado una tenuta superiore a quella di molti altri (meglio in Europa tengono solo i sindacati scandinavo e belga che, senza rinunciare al vecchio mestiere e tanto meno alla loto natura, sono – non certo a caso – anche i più impegnati nella partecipazione e nella “gestione” diretta.

 

5. Questo impegno di rinnovamento non è reso difficile solo dai cambiamenti profondi nel lavoro e nel mondo del lavoro, ma anche da altri fattori di incertezza che qui richiamiamo soltanto:

 

hle resistenze di parti importanti del sindacato, pur essendo il pluralismo una ricchezza, a misurarsi con innovazioni strategiche evidenti per far fronte comune a cambiamenti – appunto – epocali;

hla divisione tra gli imprenditori che, per molti aspetti, è speculare a quella sindacale, tra chi vuole farla finita col sindacato (è minoranza, ma su questi temi nel mondo dell’impresa chi prevale può cambiare, di volta in volta), imponendo la logica dei rapporti di forza, e chi resta convinto della sua necessità come interlocutore per uno sviluppo equilibrato;

hl’incertezza e l’instabilità di ogni prospettiva politica di compiuta riforma istituzionale, compresa quella elettorale.

 

6. La CISL propone un nucleo di valori vitali e una strategia innovativa di contrattazione (il secondo livello), di partecipazione (nuove relazioni sindacali, bilateralità, concertazione, democrazia economica), di servizi (per l’assistenza sociale, previdenziale, fiscale, assicurativa, per la formazione professionale, l’impiego, la tutela dei consumatori, la cooperazione, il tempo libero) – i valori e la strategia qui presentati per il dibattito congressuale – in grado di rispondere dinamicamente e con efficacia tanto alla domanda di identità quanto alle esigenze articolate e complesse di tutela delle lavoratrici e dei lavoratori, così come di aiutarci ad intercettare e valorizzare esigenze e rappresentanza dei nuovi lavori.

    

7. La condizione è che anche i cambiamenti organizzativi della CISL e nella CISL siano sempre più idonei ad intercettare le istanze di rappresentatività dei vecchi e dei nuovi soggetti del lavoro, ora che scompare la grande fabbrica e, con essa, un soggetto sociale predominante. Ad intercettare, cioè, le lavoratrici ed i lavoratori dei tanti lavori “umili” della vecchia tecnologia e quelli delle nuove tecnologie. Dove, certo, il più dei “lavori” restano “umili” ma dove, nell’area della tecnologia alta i lavoratori tendono ad esaltare l’individualismo e a “saltare” i corpi intermedi: fino al momento in cui, magari, si accorgono di essere finiti nel mirino essi stessi...  

 

8. In questi anni, il cambiamento organizzativo si è fatto sulla scelta di alcune direttrici di fondo che vanno, tutte, riconfermate:

 

hquella dei grandi accorpamenti categoriali: per mettere in campo soggetti politico-sindacali visibili e forti; per favorire un processo di razionalizzazione e settorializzazione dei contratti nazionali al di là delle vecchie articolazioni merceologiche; e per ottimizzare l’impiego delle risorse e rinforzare i livelli aziendali e territoriali;

hquella del decentramento a livello di Unioni regionali e di Unioni territoriali di Confederazione e categorie, con l’avvio di trasferimenti di risorse e poteri e con il riconoscimento di un ruolo più determinante delle lavoratrici e dei lavoratori attivi delle rappresentanze aziendali;

hquella della promozione di nuove forme associative e di pre-adesione collettiva per sindacalizzare i soggetti dei “nuovi lavori”, delle aree professionali, i quadri, i dirigenti; e di specifici progetti, come quello relativo ai lavoratori stranieri e quello intrapreso per meglio intercettare il mondo del lavoro femminile;

hquella della promozione di un sistema integrato di servizi, complementare alla strategia e, quindi, più “inserito” nella struttura della CISL per potenziare ed “utilizzare” le capacità offerte ai soci e quelle di incontro ed accoglienza per i nuovi iscritti; contribuendo così ad un welfare più solidale e partecipato, migliorando l’attività di tutela e di promozione delle opportunità sui posti di lavoro e nel territorio rispetto anche ai nuovi lavori ed ai nuovi bisogni.

 

9. Il congresso è la sede di verifica di questo processo politico-organizzativo, dei suoi risultati e della rimozione delle difficoltà riscontrate nello sviluppo di questa linea al fine di migliorare le scelte fatte e la loro capacità di incidere sullo sviluppo dell’organizzazione.

 

10. Sono linee di fondo da riconfermare ma, anche, più coerentemente e decisamente da implementate rispetto ad esigenze venute ormai in maggiore evidenza:

 

hla necessità, negli accorpamenti categoriali, di contrastare un possibile appiattimento delle identità professionali e settoriali: quando, per accrescere la rappresentanza, è decisivo il loro dispiegarsi e su di esso si va costruendo la sintesi contrattuale-politica ai diversi livelli;

hl’opportunità di far fronte alle tentazioni di un “centralismo” finanziario che ostacola il trasferimento di risorse alle istanze territoriali e, soprattutto, aziendali: incoerente rispetto all’obiettivo strategico di valorizzare la “prima linea”; a questo riguardo è anche matura l’opportunità che le categorie siano corresponsabilizzate nei servizi, partecipando dei risultati così prodotti per finanziare progetti operativi di proselitismo nel territorio concertati tra Confederazioni e categorie stesse;  

hil superamento della difficoltà, insita sempre nelle resistenze al cambiamento, di chi deve riconvertirsi nelle funzioni, nei compiti e nei ruoli, sia politici che di staff, ai diversi livelli: tanto categoriali come confederali, ma anche in termini di integrazione dei processi di decentramento nella strategia contrattuale e concertativa;

hil consolidamento di una pratica trasparente di democrazia associativa per evitare che troppo spesso gli organismi siano sede di informazione e di dibattito tra pochi ma raramente di decisioni;

hlo sviluppo di una maggiore attenzione alle sfide di testimonianza di valori, alle esigenze di comunicare e rendere visibili e condivisibili obiettivi di organizzazione per conquistare l’adesione delle lavoratrici e dei giovani: un esempio di tutta evidenza, l’incapacità di valorizzare nei fatti la dirigenza al femminile dell’organizzazione.

 

11. I giovani, soprattutto, ci richiamano tutti al tema della motivazione. Smentendo ogni facile accusa di egoismo e di narcisismo, in milioni dedicano una parte importante non solo del loro tempo ma della loro vita agli altri, al volontariato. Per “conquistarli”, non abbiamo via diversa che proporre il sindacato come occasione di coinvolgimento credibile in un grande progetto di mobilitazione ideale su un’utopia quotidiana – magari una sola, ma subito riconoscibile – quindi su un’identità forte. Quella che si costruisce nel lavoro di ricerca ma, soprattutto, con la capacità dell’esempio e la capacità di ricominciare a discutere e a fare politica. Non la politica politicante del “milione di posti” o del “salario sociale”, ma quella del protagonismo e dell’impegno, per gli altri come per sé, che si elabora, si discute e si fa nelle articolazioni reali, quelle decentrate del sindacato.

 

12. D’altro canto, nella storia recente della CISL – e paradossalmente, ma solo in apparenza, proprio al polo opposto anagrafico – esiste un’esperienza forte di partecipazione, quella dei pensionati, chiaramente motivata da valori ed interessi – anch’essi antichi ed autentici – che tendono al miglioramento delle condizioni di vita di tutti. E’ un’esperienza che la CISL è impegnata a sostenere e valorizzare. Si tratta di una partecipazione, attraverso l’esperienza ormai capillare delle Leghe, misurata con lo spirito del volontariato e con i problemi concreti della qualità della vita nel territorio; e che si dimostra, allo stesso tempo, capace di mobilitazione attiva con gli altri lavoratori per obiettivi generali, economici e sociali.

 

 

M. VERSO IL “FEDERALISMO” SINDACALE

 

1. La strategia della CISL in questi anni – sul piano contrattuale, su quello dello sviluppo locale, delle riforme sociali, della modernizzazione delle Pubbliche amministrazioni, delle proposte istituzionali – ha praticato, nei fatti, un percorso di sussidiarietà solidale che, ora, rende maturo l’obiettivo organizzativo di una compiuta federalizzazione del sindacato senza necessariamente dover attendere il compiersi di un disegno di riforma istituzionale sul piano statuale.

 

2. Risulta chiaro per noi che, nel compimento di questo percorso, il nodo da sciogliere, con coerenza e prudenza, è il rapporto categorie-territorio: quello, cioè, dei poteri reali e delle risorse tra strutture orizzontali e verticali della CISL. Poteri reali perché – se è riconoscimento comune che il territorio oggi conta di più per l’organizzazione e la sua salute – il federalismo possa agire sul serio, ridistribuendo dal centro ala periferia una serie di decisionalità oggi sempre accentrate; e risorse perché – sempre nell’assunto indicato – consenso e capacità della leadership non possono, in una struttura che diventa piò federale, restare le uniche leve della dirigenza territoriale.  

 

3. Il rapporto del sindacato con i lavoratori non è, e non sarà mai, focalizzato tutto sul territorio. Per cui, a partire dai posti di lavoro, è decisivo il ruolo dei sindacati di categoria. Sostenerne uno sviluppo vitale ed efficiente, adeguato ai profondi cambiamenti del mondo del lavoro, è un compito prioritario di una Confederazione di categorie come la CISL.

 

4. Dobbiamo, in definitiva, arrivare a cambiare ciò che va cambiato senza stravolgere i princìpi, senza cedimenti ai localismi tanto più avvertiti nella dimensione europea, confermando la nostra originaria natura di Confederazione di Federazioni ma con l’attenzione, se vogliamo cogliere a pieno le opportunità di rappresentanza che ci vengono offerte dalla “domanda” di lavoratrici e lavoratori, al fatto che anche le categorie vanno ormai ricentrate sul territorio e più organicamente ricompresa a tutti i livelli nelle responsabilità di governo confederale.

 

5. In questa prospettiva, il baricentro dell’organizzazione deve sempre più seguire la realtà della contrattazione e della concertazione là dove esse effettivamente si fanno. E quindi, oggi e in futuro ancor più, ai livelli regionali e territoriali, in coerenza con la strategia.

 

6. In particolare, il trasferimento – già in atto, qui, sul piano istituzionale – di poteri e risorse alle regioni anche per le competenze che ad esse saranno riconosciute a livello europeo deve trovare un riscontro nell’organizzazione col potenziamento del ruolo delle nostre strutture regionali: in coerenza, cioè, col principio sussidiario secondo il quale un’opportunità si coglie ed un problema si risolve meglio là dove concretamente si pongono.

 

7. Tutto questo può e deve avvenire senza, ovviamente, cadere in deviazioni di neocentralismo regionalista rispetto alle Unioni sindacali territoriali del tipo di quelle che tendono a manifestarsi a livello politico-istituzionale.

 

8. Per questo occorre specificare bene quantità e metodi della ridistribuzione di competenze, poteri e risorse. Ogni livello deve “ricostruire” le sue funzioni politiche, contrattuali, di servizio e di supporto. Il metodo, perché decisivo è il consenso, è quello che ricerca il più alto livello possibile di partecipazione democratica: liberamente discutere ma, anche, decidere assieme. E, al fine proprio di una partecipazione allargata, non è avveniristico anche sfruttare tutte le opportunità aperte dall’uso di Internet, non solo per dirigenti e quadri ma per gli iscritti che vanno impegnati a fare la CISL.

 

 

N. LA CISL E L’UNITÀ DEI LAVORATORI

E DELLE LAVORATRICI

 

1. La proposta della CISL di unità sindacale non ha trovato risposta dalle altre organizzazioni confederali. Nonostante ciò, non è considerata da noi un reperto d’archivio.

 

2. Postula, però, di essere costruita – come avevamo richiesto e proposto dal Congresso del ’93 – su condizioni precise: l’autonomia, che comporta una forte soggettività politica e il decidere da sé traguardi, strategie e strumenti; il pluralismo, che significa aprirsi al di là dell’attuale ambito confederale a tutte le espressioni di lavoratori; un modello centrato su un forte profilo associativo, che affonda radici reali nel mondo del lavoro e dei lavori.

 

3. I nostri interlocutori hanno preferito non fare un’unità sindacale qualificata così proprio perché – questa è la nostra convinzione – era proposta con questi connotati precisi che, all’interno, avrebbero aperto tensioni e contraddizioni. Per enunciarli: concertazione come scelta strategica e come politica; ricalibratura attualizzata del peso dei livelli contrattuali; democrazia economica anche – non solo – attraverso le forme del possibile azionariato die dipendenti.

 

4. L’unità d’azione, però, per la CISL è necessaria, senza che l’agire insieme porti alla paralisi dei veti accettati o subiti.

 

5. L’unità è altra cosa. E’ un valore, ancor più che un semplice e possente strumento, se qualificata su contenuti forti e, come tale, rimane nel nostro orizzonte. Del resto, non siamo più al dogma che nel ’48 motivò la scissione: oggi tutti sanno cosa fosse il comunismo reale, anche coloro che allora vi ponevano fede tanto spesso sincera quanto anche cieca. La divisione, frutto di quella cultura e di quelle condizioni politico-istituzionali, della temperie della guerra fredda, è superata da tempo.   

 

6. Ma c’era – e c’è ancora, alla base delle difficoltà a ricostituire l’unità malgrado il superamento di questo dato – una certa visione diversa della rappresentanza e del rapporto tra politica e società. Oggi, il dibattito vero tra noi è tutto sul come si rappresenta e si tutela al meglio il lavoro.

 

7. Per tutte queste ragioni la prospettiva dell’unità passa, oggi, attraverso il percorso della competizione. Significa che bisogna discutere e tessere – alla base, tra i lavoratori, le lavoratrici e nei processi reali della società – il proprio filo offrendolo a paragone con quello che altri, eventualmente, riescano a tessere.

 

8. Su queste basi di merito, e nel merito, la discussione resta sempre apertissima: tra di noi; con gli altri; e anche – la scommessa è questa – soprattutto tra di loro. Competitività, dunque, ma con l’avvertenza che il cemento di ogni possibile unità dei lavoratori e, in primo luogo, la ricerca del merito delle cose, dei problemi e delle soluzioni, indipendentemente, anche, dagli schieramenti nominali.