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Educazione alla nautica costiera

La poco edificante storia patenti - motori

Una storia per chi non ha carità di patria.

Cominciamo la storia da una situazione risalente agli anni 70, piuttosto stabilizzata, nella quale sono nati molti degli attuali gommonauti. Lo spartiacque natante - imbarcazione era costituito da 25 CV all'elica. C'erano in effetti anche altri vincoli (lunghezza massima, stazza lorda), ma erano ben poco influenti per un gommone. Natante significava anche senza patente.
Erano tempi duri per le imbarcazioni, con obblighi ed oneri fiscali esagerati, che sconsigliavano caldamente l'acquisto di una barca sotto i 7 - 8 metri. Oneri che, a chi aveva risorse sufficienti per gettarsi nell'impresa, consigliavano di rivolgersi direttamente verso qualcosa di più impegnativo, magari con bandiera ombra, o di lasciar perdere.
La nautica "popolare", un po' sulla falsariga della Seicento che motorizzò gli Italiani, si poteva sviluppare solo coi natanti.
25 cavalli senza limiti di cilindrata, per evitare che i motori si "tirassero" oltre limiti di affidabilità, in mare essenziale. La rinuncia ad una cilindrata massima, fiscalmente più facile da controllare di una potenza massima, consentì l'ingresso del primo "depotenziato": il Johnson-Evinrude 521 bicilindrico, in realtà un 35 CV (32 CV all'elica), opportunamente modificato per il mercato italiano. Era ampiamente noto che una grossa percentuale degli acquirenti di questo motore provvedevano al "ripristino" della potenza originaria, ma, in fondo, si trattava di un peccato veniale. Saper chiudere un occhio è una delle migliori doti italiane.
Per parecchi anni, sul mercato, due erano i motori accessibili agli Italiani che volevano sfruttare al massimo i limite di legge: il Johnson-Evinrude 25 ed il Mercury 25 400 cc (senza possibilità pratiche di incremento di potenza perché in realtà già derivava dal 20 CV), entrambi bicilindrici.
Il Mercury non era poi tanto penalizzato grazie alla sua maggiore leggerezza ed al minore consumo. Intanto, il settore dei 40, 50 e 60 CV era praticamente inesistente.
L'egemonia dei due colossi USA fu però presto messa in serio dubbio dai Giapponesi: in particolare Yamaha e Suzuki cominciarono a far brillare sotto gli occhi degli Italiani novità tecnologiche di rilievo. Il mercato si smosse.
E' inutile stare a cercare chi iniziò: fatto sta che nel giro di poco tempo si creò una corsa al "depotenziato di famiglia". Tutti i 40-50 CV, di tutti i produttori, venivano convertiti in 25 per il particolare mercato italiano. La cosa cominciava ad essere imbarazzante. Come si faceva a chiudere un'occhio? Trovare sui vari listini due motori identici, anche nel prezzo, uno da 50 ed uno da 25 CV suonava strano a chiunque. All'inizio qualcuno parlò di motori iperaffidabili, idonei agli impieghi più gravosi, poi la situazione si aggravò: il "papà-clone" era una 60, un 75, un 90!
Controlli a tappeto avrebbero determinato conseguenze gravi su troppi diportisti. Soluzione all'italiana: Condono! Un riaccertamento della potenza, magari un po' oneroso, ma sostanzialmente una soluzione soft. Restava ancora il problema patenti. Con vari decreti legge scaduti, rinnovati, modificati, in un'Italia ormai abituata a balletti del genere, il limite patente fu portato a 40 CV. Per un breve periodo fu addirittura 75 CV, ma era evidente che si trattava di un banale refuso, forse dovuto alla confusione fra KW e CV. Come diritto imponeva, però, per due mesi 75 CV fu il limite (e chi comprò un 75 dovette poi munirsi di patente).
Infine l'attuale normativa che, con un occhio ai listini dei motori ed uno al passato, stabilisce
definitivamente, oltre ai 40 CV, dei limiti di cilindrata.

Gabriele Orsini ©

Regolamento sulla disciplina delle patenti nauticheDecreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1997, n. 431