Articolo pubblicato dall'A.N.P.A. su "Italia Oggi" pag.23 del 21/02/02

I dati afferenti le percentuali di neoavvocati nella sessione di esami del 2000, confermano un preoccupante decremento di abilitati in tutte le sedi di Corte d’Appello, comprese quelle ritenute più “accoglienti” come Catanzaro e Reggio Calabria.
Il problema inerente la sempre più evidente contrazione di promossi, si caratterizza per la sua dimensione nazionale investendo anche i distretti di Catania, Caltanissetta o Lecce ove si registrano basse percentuali di idonei non dissimili da quelle “storiche” di Milano,Torino o Roma.

In tale contesto, non appaiono condivisibili le affermazioni del Presidente del C.N.F. Avv. Buccico, nella misura in cui egli riscontra nella diminuzione del numero di abilitati “un piccolo miglioramento che consente di affermare che non siamo più in presenza di percentuali bulgare di idoneità” (Italia Oggi del 31/01/2002 p. 18).

L’Associazione Nazionale Praticanti e Avvocati, che rappresenta 50.000 tra praticanti ed avvocati fino a tre anni dall’abilitazione, non ritiene che tra i compiti del C.N.F. vi sia quello di auspicare un tetto massimo annuale di neoavvocati, né che l’ organismo forense in parola debba impegnare la “sua forte pedagogia istituzionale” (Italia Oggi cit.) in tale ottica.

Com’è noto, l’esame di avvocato non è un concorso bensì una prova di abilitazione, alla stessa stregua di quella vigente per le altre libere professioni, per le cui “bulgare percentuali” nessuno osa lamentarsi.

La soluzione del problema non riposa nell’accentramento dell’esame in una o più sedi nazionali, che in ogni caso non eviterebbe le inevitabili discrasie di valutazioni tra le presumibili innumerevoli sottocommissioni, bensì in un auspicabile numero chiuso di iscritti presso la facoltà di Giurisprudenza ed in un controllo intransigente dei praticanti fittizi.

Esauritasi l’immigrazione interna degli aspiranti avvocati verso sedi d’esame reputate più “accessibili”, si assiste ad un’ emigrazione sempre più consolidata verso la Spagna, ove non è previsto alcun esame abilitante alla professione legale.

Lungi dall’ incentivare simili scorciatoie di cui approfitterebbero solo i più furbi, l’A.N.P.A. denuncia una intollerabile discriminazione nei confronti dei praticanti italiani, ravvisabile nell’ iscrizione all’ Albo degli Avvocati di Torino da parte di un “abogado” spagnolo che non ha superato alcuna prova di abilitazione, neppure in Patria.

Se da una parte è indubbia la fondatezza della pretesa di “stabilimento” del collega iberico ai sensi della direttiva 98/5/CEE, è d’altro canto difficilmente sanabile il contrasto con l’art. 33 comma 5 Cost. che prescrive “un esame di Stato" .... "per l'abilitazione all'esercizio professionale".

Al fine di porre rimedio anche a paradossi di questo tipo, l’A.N.P.A.,in rappresentanza delle sue 48 federazioni, auspica l’approvazione del progetto di legge n. 1202 attualmente in Commissione Giustizia presentato a mezzo dell’On. Volontè, con cui si garantirebbe l’ iscrizione all’albo degli avvocati anche ai patrocinatori legali che dimostrino - con adeguata certificazione inerente un certo numero di cause patrocinate nei tre anni precedenti - di avere idonea “capacità all’ esercizio della professione” (direttiva 89/48/CEE).

Questo tipo di accesso “binario” alla professione ,simile a quello vigente in tema di abilitazione alla Cassazione, non contrasterebbe con l’antescritta norma costituzionale, atteso che “il legislatore può stabilire che in taluni casi si prescinda dall’esame di Stato, quando vi sia stata in altro modo una verifica di idoneità tecnica” (sent. Corte Cost. n. 5/1999).