Dati tecnici:

Lunghezza: 5 Km circa A/R

Dislivello totale: 500m circa (Partenza e arrivo al livello del mare)

Difficoltà: medio-bassa

 

 

Marina di Camerota è uno dei più suggestivi approdi della fascia costiera del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano ed è da qui che si snoda l’itinerario che ci conduce a Porto Infreschi, confine meridionale del Parco stesso.

Immersi nella tenue foschia della salsedine spruzzata dalle onde, percorriamo il borgo marinaro in tutta la sua lunghezza fino ad arrivare in località Lentiscella, ultimo lembo di costa bassa e sabbiosa e ricovero dei mezzi di trasporto che siamo costretti ad abbandonare.

L’ergersi imperioso di una costa improvvisamente erta, infatti, ci annuncia la necessità di proseguire a piedi per un sentiero che si inerpica stretto, suscitando in noi fascino, curiosità ed un velo di timore.

Ai primi passi già una distrazione per i nostri occhi, attratti da un vascello appena visibile nei meandri di una grotta a poca distanza dal mare. Avvicinandoci leggiamo “Leon di Caprera” e la mente non esita a ricordare un nome: Giuseppe Garibaldi.

Siamo davanti ad una imbarcazione di fine ‘800, lunga non più di 8-10 metri, con la quale un cittadino di Marina di Camerota, accompagnato da due compagni di ventura, partì da Montevideo alla volta dell’Italia, con l’unico scopo di consegnare un libro di firme a sostegno dell’impresa che diede l’unità alla nostra nazione.

La vista di quell’imbarcazione, poco più che un fuscello al cospetto del mare burrascoso che sulla nostra destra possiamo ancora ammirare, lascia in tutti noi un margine di dubbiosità presto scacciato dalla poeticità della storia e dalla dolcezza di immaginarla realmente accaduta.

Ripartiamo tra ampi respiri e primi affanni lungo il sentiero che va stringendosi, tra praterie di lentisco in fiore e spoglie ginestre. 

100 metri di altitudine scalati tutti d’un fiato dando sfogo agli ardori della freschezza mattutina, ci permettono di giungere al primo dei molti scollinamenti che ci attendono: l’Armo di Monte di Luna.

Siamo certi, da quel po’ di greco che gli studi classici ci hanno lasciato, che col termine “Armo” si indichi una “roccia erta” (e guardando verso il basso capiamo bene…), nulla invece possiamo pronosticare su quel “Monte di Luna” che sa di ode leopardiana.

Baldanzosi  ci buttiamo nella discesa, graduale in verità, con gli occhi che si alternano tra i ciottoli pericolosamente sparsi lungo il cammino e il verde-azzurro dell’acqua di  “cala fortuna”,  prima testimonianza di quello splendido alternarsi di rade e promontori che ci accompagnerà alla sublimazione di tutto ciò: porto Infreschi!

Dopo una breve sosta per raccogliere un ramettino di odoroso mirto eccoci sulla spiaggia del “Pozzallo”, coi suoi ciottoli sbalzati dalle onde, un torrentello col suo fragile estuario e lo stretto vallone fitto di Lecceti e Querceti.

Uno scenario splendido che non lascia margini di errore….ricomincia la salita!

L’ambientazione muta repentinamente e ben presto la vegetazione d’alto fusto lascia il passo a paesaggi quasi pirenaici, arbusti sparsi, rocce brulle e sassose e caratteristici muretti a secco di pietra bianca e porosa.

Malgrado la maggiore esposizione al vento la cosa non ci dispiace affatto perché rende più percepibile la presenza di una fauna meravigliosa: merli, corvi, falchi, passeri passano radenti sulle nostre teste in un attento lavoro di ricognizione indigesto solo a parte della popolazione femminile del nostro gruppo, malsicura sulle capacità di manovra dei nostri occasionali compagni di viaggio.

L’unanimità si registra, tuttavia, quando in religioso silenzio assistiamo ad una danza-duello tra due nerissimi corvi ed un giovane falco, causa un probabile sconfinamento di quest’ultimo.

Impalpabilmente siamo giunti a “Cala Bianca”, splendida, piccola spiaggia che prende nome dal colore vivo dei sassi che vi si trovano.

Siamo di fronte all’ultimo baluardo roccioso che ci separa dalla meta e forse questo è il significato della torre costiera posta sul margine della cala, ancora imponente nonostante versi in uno stato di rudere.

Colmi del coraggio di chi si accinge all’ultimo sforzo intraprendiamo la salita e dopo un po’ intravediamo due complessi architettonici inattesti ma quanto mai degni di attenzione: sulla sinistra un casolare di campagna, probabilmente in disuso e in parte diroccato, simbolo di una civiltà contadina che è il nostro passato neanche tanto lontano e che meriterebbe ben altra attenzione, sulla destra “u telefono”, probabile stazione telegrafica di un mondo che fu e che cerchiamo silenziosi di immaginare, finchè lo squillo di un diretto discendente “r’u telefono” non ci ridesta traumaticamente.

La strada prende di nuovo a scendere e presto ci ritroviamo in un lembo di stretta vegetazione che sembra voler tenere celato il gran finale.

E ci riesce, tanto che quasi manca il fiato nello scorgere tutti d’un colpo la sabbia rosa della piccola spiaggia ricoperta da un arco di carrubi e pini, la chiesetta rupestre di San Lazzaro, il porticciolo naturale che chiude a mò di baia il mare limpido e incredibilmente calmo, la grotta d’Infreschi capace di far sgorgare acqua dolce dalle sue viscere e un tempo ricovero del pescato e dei pescatori.

Saranno cinque minuti che nessuno parla e ciò non mi rammarica affatto, sembriamo assorti nel tentativo di rubare a questo paradiso quante più emozioni è possibile.

Si credo proprio di essere un ladro di emozioni in questo momento e la cosa mi dona una forza incredibile, avrei voglia di buttarmi in mare, nonostante il freddo decembrino, di andare a rubare sensazioni anche laggiù dentro quello specchio pullulante di vita a me ignota.

Un lungo sospiro per constatare i miei limiti e il passo di nuovo si arresta, non ho più esclamazioni e allora taccio: Primula Palinuri,  una piantina che è il simbolo del Parco, una piantina che avevo visto solo in fotografia, avevo letto su un libro di botanica “specie endemica a insediamento puntiforme” cioè rarissima a trovarsi e vedersi……c’è n’è quanta ne voglio!!!

E’ aggrappata a questo costone a strapiombo sul mare, ne posso accarezzare le foglie, non ancora vedere i fiori, fiorisce in primavera.

Sono stanco ma i miei sensi mi ringraziano: ho sentito cantare un falco, ho inalato il profumo tenue del mare e quello intenso del mirto, ho toccato la sabbia più fine che si possa immaginare, ho visto il mare forgiare la roccia e il vento accarezzare gli alberi……ne manca uno, lo so, ma non è tempo di mangiare, voglio cibarmi ancora un po’ di questo paradiso…….