Un uomo scaltro come un Saraceno,

con la figura di un Principe Normanno,

la gioia dell’arte di un antico Greco,

signore di vita come uno Spagnolo,

giusto e forte come un Romano,

tira la somma il vero Cilentano.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

PARCO NAZIONALE DEL CILENTO E VALLO DI DIANO: AMMINISTRAZIONE PER UNO SVILUPPO SOSTENIBILE.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Relatore: Prof. Aurelio Musi

Candidato: Dott. Francesco D’Amato

 

 

 

 

INDICE

 

Capitolo 1

La legge quadro sulle aree protette e l’istituzione del Parco Nazionale del Cilento

e Vallo di Diano (PNCVD)

 

Premessa…………………………………………………………………………………………1

Finalità e ambito della legge…………………………………………………………......……….1

Le aree protette in Italia:due possibili classificazioni…………………………………................….2

Il Comitato per le aree naturali protette e la Consulta tecnica per le aree naturali protette…………………………………………………………………………………………..2

La Carta della Natura…………………………………………………………………..………3

Istituzione e Delimitazione delle aree protette…………………………………………...........….3

Natura e Vigilanza……………………………………………………………………..……….4

Gli Organi………………………………………………………………………………………4

Gli Strumenti…………………………………………………………………………………..6

La Finanza……………………………………………………………………………………10

Misure di Salvaguardia del PNCVD………………………………………………......……...10

 

Capitolo 2

Gli ulteriori livelli amministrativi secondo il nuovo titolo V della Costituzione e il Testo Unico delle leggi sugli Enti Locali (TUEL).

 

Premessa…………………………………………………………………………………….12

Il rapporto Stato-Regioni……………………………………………………..……...………12

Province, Comuni e Comunità Montane……………………………………....……….......….14

 

Capitolo 3

L’Amministrazione per uno sviluppo sostenibile.

 

Premessa…………………………………………………………………………………..16

Area ristretta ed Area vasta……………………………………………………….....…….16

La Provincia………………………………………………………………………….…...18

La dimensione Statale e Regionale delle competenze…………………...........………….… 20

 .

Schema 1………………………………………………………………………………. ...21

Cartina 1………………………………………………………………………………. ...22

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO I

La legge quadro sulle aree protette e l’istituzione del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano (P.N.C.V.D.).

 

Premessa

 

I riferimenti normativi per un’analisi della disciplina del PNCVD sono essenzialmente due:

1)                 La legge 394/91, meglio conosciuta come legge quadro sulle aree protette;

2)                 Il D.P.R. 5/6/1995, istitutivo dell’Ente Parco.

Quest’ultimo costituisce la specificazione e l’attuazione della suddetta legge, che riserva espressamente ad un decreto del Presidente della Repubblica, adottato su proposta del Ministro dell’Ambiente, l’istituzione dell’ente.

Dall’analisi dei due provvedimenti, si potranno capire la natura, le funzioni, la struttura dell’Ente Parco così come i vincoli che da esso derivano, gli strumenti per l’attuazione di politiche di tutela e tutto quanto concerne l’attività di quest’istituzione territoriale.

La disamina sarà supportata da un adeguato vaglio critico degli elementi patologici, o potenzialmente tali, del panorama normativo cogente, in un’ottica costruttiva e propositiva e nella consapevolezza che una ridefinizione dell’esistente è sempre più indefettibile e da più parti richiesta.

 

1) Finalità e ambito della legge

 

La L.394 si propone di dettare quei principi e criteri fondamentali attraverso cui procedere alla Istituzione e, soprattutto, alla Gestione delle aree naturali protette.

Il tutto per Conservare e Valorizzare il patrimonio naturale del paese.

E’ evidente, anche ad una lettura sommaria del testo di legge, un’incongruenza tra l’intestazione della stessa (“legge quadro sulle aree protette”) e il dettato dell’articolo 1, ove si parla di aree Naturali protette e di patrimonio Naturale del paese.

L’auspicio sarebbe quello di poter ricondurre ciò ad un errore di trasposizione formale da parte del legislatore.

Nell’eventualità, piuttosto verosimile, in cui ciò non fosse, è necessario precisare che non si vede alcun ragionevole motivo per circoscrivere il concetto di protezione alla sola sfera naturalistico-paesaggistica, così sottraendo allo stesso regime di conservazione e valorizzazione il patrimonio storico, artistico, archeologico, antropico, gastronomico, culturale etc., presente nelle aree protette, vieppiù nel PNCVD[1], unico parco d’Italia riconosciuto tale  perché depositario sia di valori naturalistici che storico-antropologici!

Tale incongruenza diviene ancor più palese quando si va ad analizzare l’ambito di operatività della legge, definito nel medesimo articolo 1.

Il duplice collegamento che viene fatto è agli accordi internazionali, nel rispetto dei quali la legge dovrà operare e agli articoli 9 e 32 della carta costituzionale, che essa intende attuare.

Già il primo riferimento se da un lato può essere ricondotto ad una mera recezione formale del dettato congiunto degli articoli 10 e 11 della nostra costituzione,[2] dall’altro implica una riproposizione di quelle che sono le politiche comunitarie in primis, e internazionali in genere, sulla tutela delle aree di particolare valore.

Non ci sembra affatto, in verità, che la comunità internazionale intenda tutelare in via preferenziale o esclusiva la natura e il paesaggio in danno di tutti gli altri valori di cui un territorio può essere portatore, anzi la cura e l’apprezzamento che sembra avere in relazione a ricchezze culturali, antropiche, gastronomiche, tradizionali, è di gran lunga superiore rispetto alla considerazione che noi italiani abbiamo di esse.

Quella che abbiamo definito un’incongruenza diventa addirittura una palese illogicità ove ci si riporti al secondo richiamo legislativo.

Con l’ancoraggio costituzionale agli artt. 9 e 32 cost. in sostanza si intendono affermare tre concetti:

  1. “Proteggere un’area” significa tutelare il paesaggio (art.9cost.) e fin qui nulla quaestio;

  2. “Proteggere un’area” significa tutelare il patrimonio storico-artistico (art.9cost.);

  3. “Proteggere un’area” significa tutelare la salute umana e quindi di riflesso la persona umana (art. 2 cost., norma e principio fondante del nostro ordinamento giuridico).

Si può allora concludere, senza tema di smentite, che il parametro di riferimento di una legge di protezione qual’era e qual è la 394/91, non può essere la natura, o un qualsivoglia elemento caratterizzante, ma debba essere l’Area oggetto della tutela con il suo paesaggio, il suo patrimonio storico-artistico e tutti i suoi valori, funzionali alla “piena espressione della persona umana” (art. 2 cost.)

 

2) Le aree protette in Italia: due possibili classificazioni

 

Dal 1991 si è avviato nel nostro paese un processo di ampliamento delle zone sottoposte  ad un regime vincolistico e di conservazione in virtù di particolari esigenze di tutela.

Allo stato attuale siamo vicini alla soglia fatidica del 10% di protezione del nostro territorio.

E’ quindi da considerarsi avviato un processo di tendenziale chiusura della forbice ancora esistente tra territorio nazionale nella sua interezza e quella parte di esso sottoposta ad una legislazione rispettosa delle peculiarità e orientata allo sviluppo sostenibile, alla preservazione dell’esistente, alla valorizzazione delle peculiarità endogene.

L’unico ostacolo al raggiungimento dell’obiettivo, invero auspicabile, è la mancata assimilazione da parte degli organi istituzionali e di riflesso della comunità nazionale, della inscindibilità del binomio tutela-sviluppo economico e sociale, che ha determinato una percezione negativa ed esclusivamente vincolistica e inibitoria delle aree protette.

Basti pensare ad un esempio che ci viene proprio dal PNCVD.

La regione Campania, si legge nelle premesse al DPR 5/6/95, ha richiesto l’esclusione dal territorio del parco di aree piuttosto vaste indicate come passibili di inclusione, manifestando di concepire il nascente organismo come un corpo estraneo e foriero di esautoramento e freni alla sua attività.

 

L’art.2 della legge 394/91 opera due ordini di classificazioni riguardo alle aree protette: da un lato si distingue tra parchi e riserve, dall’altro tra aree protette statali o regionali.

Una notazione critica è inevitabile.

Stentiamo a cogliere  le motivazioni del legislatore quando ha inteso distinguere aree di “interesse nazionale” e “aree di interesse regionale”.

Riteniamo esistano solo aree da proteggere e non può avere senso tra di esse una graduazione.

Ogni area degna di tutela appartiene alla nazione, nel senso più pieno del termine, come comunione di cultura, tradizioni, storia, territorio, civiltà.

E’ auspicabile che si rifugga dall’antico vezzo italico del dogmatismo e si eviti di proseguire sulla strada delle classificazioni, uniformando il concetto di area protetta con quello di territorio nazionale.

 

3) Il Comitato per le aree naturali protette e la Consulta tecnica per le aree naturali protette.

 

Il Comitato per le aree naturali protette è un comitato interministeriale compartecipato da sei presidenti di regione o provincia autonoma, o assessori delegati, designati, per un triennio, dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.

Tale comitato esplica una prima importantissima funzione allorché identifica, sulla base della carta della natura di cui parleremo a breve, le linee fondamentali dell’assetto del territorio, che sono adottate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente, previa deliberazione del Comitato.

Inoltre esso adotta il Programma triennale per le aree naturali protette importante documento programmatico che, tra l’altro, definisce il riparto delle disponibilità finanziarie per ciascuna area e per ciascun esercizio finanziario.

Competenze dunque di carattere programmatorio ma anche effettivamente gestionali.

Il Comitato nell’esercizio delle sue funzioni si avvale, quale organo consultivo, della Consulta tecnica per le aree naturali protette, costituita da nove esperti particolarmente qualificati per l’attività e per gli studi realizzati in materia di conservazione della natura, nominati, per un quinquennio, dal Ministro dell' Ambiente.

La Consulta esprime pareri per i profili tecnico-scientifici in materia di aree naturali protette, di sua iniziativa o su richiesta del Comitato o del Ministro dell'Ambiente.

Una riflessione conclusiva sul Comitato riteniamo sia doverosa.

Tra le sue funzioni v’è, come detto, la determinazione del quantum finanziario da destinarsi alle aree protette.

Ciò introduce un problema sempre vivo a tutti i livelli istituzionali locali: l’assenza di autonomia finanziaria che è foriera di frustrazione operativa e contribuisce a determinare situazioni di stallo nonché attribuzioni di compiti puramente programmatori, che spesso si risolvono in vuote dichiarazioni d’intenti.

Iniziano qui le osservazioni critiche verso la misconoscenza del principio di sussidiarietà.

 

4) La Carta della natura.

 

Una menzione fugace viene fatta nella legge 394/91 alla Carta della Natura che, si dice, deve essere predisposta dai servizi tecnici nazionali in attuazione degli indirizzi del Comitato, al fine di individuare lo stato dell’ambiente naturale in Italia, evidenziando i valori naturali e i profili di vulnerabilità territoriale.

La Carta della natura è adottata dal Comitato su proposta del Ministro dell’ambiente.

Nel processo di avvicinamento della Pubblica Amministrazione ai cittadini un tema ricorrente è quello della Carta dei Servizi, vale a dire un patto tra istituzione amministrativa e consociati sulla strutturazione dei rapporti reciproci.

Il tutto rappresenta un dovere, non coercibile quindi spesso inosservato, per gli apparati organici dello Stato.

Questa riflessione, analogia iuris, ci porta ad una proposizione: sarebbe auspicabile un patto tra i cittadini, e per loro le istituzioni, da un lato e la natura dall’altro, dove vengano fissati i criteri fondamentali, le misure di salvaguardia, le regole di condotta alla base di questo troppe volte tormentato rapporto.

E’ una lettura forse ardita, rebus sic stantibus, e non attualizzabile nel breve termine, ma ci sembra un buon punto di partenza per iniziare a vivere il rapporto con la natura secondo canoni che non richiedano, in seguito a condotte deteriori, un regime salvifico e riparatore.[3]

 

5) Istituzione e Delimitazione delle aree protette.

 

I parchi nazionali vengono istituiti con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’ambiente, sentita la regione.

Con lo stesso iter si procede alla perimetrazione.

L’accentramento decisionale di cui è figlio il procedimento di definizione dei confini delle aree da proteggere ha condotto, nel caso di specie da noi analizzato, ad effetti risibili e preoccupanti, ma per questo discorso rinviamo alla sede opportuna ovvero la terza parte del lavoro dedicata alle prospettive di miglioramento dello status quo.

 

6) Natura e Vigilanza.

 

L’ente parco ha personalità di diritto pubblico ed è sottoposto alla vigilanza del ministro dell’Ambiente.

La vigilanza, compito incontestato, dovrebbe essere pressoché esaustiva delle mansioni ministeriali, in luogo dell’ingerenza onnifaga che invece è sotto gli occhi di tutti.

Quanto alla natura di ente dotato di personalità di diritto pubblico, buon parte della dottrina afferma la necessità di soffermarsi sulle funzioni lasciando poco spazio a dispute meramente formali sulla qualificazione giuridica.

Riteniamo francamente che ciò sia giusto nella misura in cui si vuole premettere l’aspetto sostanziale-funzionale a quello dogmatico-formale, ma sia profondamente sbagliato se costituisce un modo per perpetrare la cecità degli interpreti rispetto alla marginalità strutturale dell’ente parco.

Questo viene considerato un oggetto estraneo ed eccezionale nel contesto amministrativo a fronte della oggettiva necessità di integrarlo in essa, considerandolo, anzi, un asse portante per lo sviluppo del territorio.

Le concrete funzioni amministrative dell’ente, insomma, sono da anteporre alle dispute strutturali, tuttavia per operare bene occorre una casa solida in un ambiente non ostile.

 

7) Gli Organi.

 

Sono organi dell’ente, secondo il dettato dell’articolo 9 della legge 394/91:

a) il Presidente;

b) il Consiglio direttivo;

c) la Giunta esecutiva;

d) il Collegio dei revisori dei conti;

e) la Comunità del parco.

A questi che sono gli organi necessari si aggiunga la figura del Direttore, il quale stipula un contratto di diritto privato con l’ente, in persona del suo Presidente, e quindi è da considerarsi, in epoca di city manager, un agente esterno al quadro organico normale.

 

Il Presidente;

Il Presidente è nominato con decreto del Ministro dell'ambiente, d’intesa con i presidenti delle regioni o delle province autonome di Trento e di Bolzano nel cui territorio ricada in tutto o in parte il parco nazionale. Il Presidente ha la legale rappresentanza dell'Ente parco, ne coordina l’attività, esplica le funzioni che gli sono delegate dal Consiglio direttivo, adotta i provvedimenti urgenti ed indifferibili che sottopone alla ratifica del Consiglio direttivo nella seduta successiva.

 

Il Consiglio Direttivo;

Il Consiglio direttivo è formato dal Presidente e da dodici componenti, nominati con decreto del Ministro dell’ambiente, sentite le regioni interessate, scelti tra persone particolarmente qualificate per le attività in materia di conservazione della natura o tra i rappresentanti della Comunità del parco di cui all’articolo 10, secondo le seguenti modalità:

a) cinque, su designazione della Comunità del parco, con voto limitato;

b) due, su designazione delle associazioni di protezione ambientale individuate ai sensi dell’articolo 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349 , scelti tra esperti in materia naturalistico - ambientale;

c) due, su designazione dell'Accademia nazionale dei Lincei, della Società botanica italiana, dell'Unione zoologica italiana, del Consiglio nazionale delle ricerche e delle Università degli studi con sede nelle province nei cui territori ricade il parco; in caso di designazione di un numero superiore a due la scelta tra i soggetti indicati effettuata dal Ministro dell’ambiente;

d) uno, su designazione del Ministro dell’agricoltura e delle foreste;

e) due, su designazione del Ministro dell' ambiente.

Il Consiglio direttivo elegge al proprio interno un vicepresidente scelto tra i membri designati dalla comunità del parco ed una Giunta esecutiva formata da cinque componenti, compreso il Presidente, secondo le modalità e con le funzioni stabilite nello statuto dell’Ente parco.

Il Consiglio direttivo delibera in merito a tutte le questioni generali ed in particolare sui bilanci, che sono approvati dal Ministro dell’ambiente di concerto con il Ministro del tesoro, sui regolamenti e sulla proposta di piano per il parco di cui all’articolo 12, esprime parere vincolante sul piano pluriennale economico e sociale di cui all’articolo 14.

Lo statuto dell’ente è deliberato dal consiglio direttivo, sentito il parere della comunità del parco ed è trasmesso al ministero dell’ambiente che ne verifica la legittimità e può richiederne il riesame entro 60 gg dal ricevimento. L’ente parco deve controdedurre entro 60gg dal ricevimento alle eventuali osservazioni di legittimità del ministero dell’ambiente, con deliberazione del consiglio direttivo. Il ministro dell’ambiente adotta lo statuto con proprio decreto entro i successivi 30gg.

 

Il Collegio dei Revisori dei conti;

Il Collegio dei revisori dei conti esercita il riscontro contabile sugli atti dell’Ente parco secondo le norme di contabilità dello Stato e sulla base dei regolamenti di contabilità dell’Ente parco, approvati dal Ministro del tesoro di concerto con il Ministro dell’ambiente. Il Collegio dei revisori dei conti è nominato con decreto del Ministro del tesoro ed formato da tre componenti scelti tra funzionari della Ragioneria generale dello Stato ovvero tra iscritti nel ruolo dei revisori ufficiali dei conti. Essi sono designati: due dal Ministro del tesoro, di cui uno in qualità di Presidente del Collegio; uno dalla regione o, d’intesa, dalle regioni interessate.

 

La Comunità del Parco;

La Comunità del parco è costituita dai presidenti delle regioni e delle province, dai sindaci dei comuni e dai presidenti delle comunità montane nei cui territori sono ricomprese le aree del parco.

La Comunità del parco è organo consultivo e propositivo dell'Ente parco. In particolare, il suo parere obbligatorio:

a) sul regolamento del parco di cui all’articolo 11;

b) sul piano per il parco di cui all’articolo 12;

c) su altre questioni, a richiesta di un terzo dei componenti del Consiglio direttivo;

d) sul bilancio e sul conto consuntivo;

dbis) sullo statuto dell’ente parco.

La Comunità del parco delibera, previo parere vincolante del Consiglio direttivo, il piano pluriennale economico e sociale di cui all’articolo 14 e vigila sulla sua attuazione; adotta altresì il proprio regolamento.

La Comunità del parco elegge al suo interno un Presidente e un Vice Presidente. E' convocata dal Presidente almeno due volte l’anno e quando venga richiesto dal Presidente dell’Ente parco o da un terzo dei suoi componenti.

 

 

Il Direttore;

Il direttore del parco è nominato con decreto dal ministro dell’ambiente, scelto in una rosa di 3 candidati proposti dal consiglio direttivo tra soggetti iscritti ad un albo di idonei all’esercizio dell’attività di direttore di parco istituito presso il ministero dell’ambiente, al quale si accede mediante procedura concorsuale per titoli. Il presidente del parco provvede a stipulare con il direttore nominato un apposito contratto di diritto privato per una durata non superiore a 5 anni.

 

 

Gli organi dell’Ente parco durano in carica cinque anni ed i membri possono essere confermati una sola volta.

Il Consiglio direttivo può nominare appositi comitati di consulenza o avvalersi di consulenti per problemi specifici nei settori di attività dell’Ente parco.

 

Dopo l’illustrazione pedissequa del quadro organico dell’Ente Parco, ci sentiamo di fare alcune osservazioni:

Il nostro ordinamento da anni è orientato all’uniformità organica degli enti locali, vale a dire la triade organo deliberativo, esecutivo, rappresentativo (Consiglio, Giunta, Presidente). Alla domanda perché il legislatore si sia discostato, nella strutturazione interna dell’ente, da questa formula comprovata, dobbiamo rispondere che evidentemente lo si è voluto considerare davvero come un quid pluris, un operatore esterno e settoriale, uno strumento di decentramento-accentramento ovvero di dislocazione del potere centrale.

Tale osservazione è confortata dalla mancanza pressoché totale di sussidiarietà e di radicamento al territorio degli organi direttivi.

Ci si trova dinanzi ad un Presidente nominato dal ministro dell’Ambiente e quindi calato dall’alto, così come 8 dei 13 Consiglieri Direttivi, quindi la Giunta esecutiva, i Revisori, e questo ci può anche stare, nonché il Direttore.

Perché non costituire allora non un Ente Parco decentrato ma un comitato interno, presso il ministero dell’Ambiente, con compiti di vigilanza e di gestione dell’area?

Urge una ristrutturazione organica alla luce del criterio di sussidiarietà e ciò non può non comportare, sulla falsariga della legge 426/98, un ampliamento deciso dei poteri della Comunità del Parco, unico organo veramente rappresentativo, anche se in via indiretta, della popolazione e unico organismo concretamente partecipe della realtà locale.

 

8) Gli Strumenti;

 

Gli strumenti normativi, organizzativi e gestionali di cui è dotato l’Ente Parco, a tenore rispettivamente degli artt. 9, 11, 14, 12, 13 della legge 394/91sono:

1.      Lo Statuto;

2.      Il Regolamento del Parco;

3.      Il Piano Pluriennale Economico e Sociale;

4.      Il Piano per il Parco;

5.      Il Nulla Osta.

 

Lo statuto dell’Ente definisce in ogni caso l'organizzazione interna, le modalità di partecipazione popolare, le forme di pubblicità degli atti.

 

Il Regolamento del parco disciplina l’esercizio delle attività consentite entro il territorio del parco ed è adottato dall'Ente parco, anche contestualmente all’approvazione del piano per il parco di cui all’articolo 12 e comunque non oltre sei mesi dall’approvazione del medesimo.

Allo scopo di garantire il perseguimento delle finalità di cui all’articolo 1 e il rispetto delle caratteristiche naturali, paesistiche, antropologiche, storiche e culturali locali proprie di ogni parco, il regolamento del parco disciplina in particolare:

a) la tipologia e le modalità di costruzione di opere e manufatti;

b) lo svolgimento delle attività artigianali, commerciali, di servizio e agro-silvo-pastorali;

c) il soggiorno e la circolazione del pubblico con qualsiasi mezzo di trasporto;

d) lo svolgimento di attività sportive, ricreative ed educative;

e) lo svolgimento di attività di ricerca scientifica e biosanitaria;

f) i limiti alle emissioni sonore, luminose o di altro genere, nell’ambito della legislazione in materia;

g) lo svolgimento delle attività da affidare a interventi di occupazione giovanile, di volontariato, con particolare riferimento alle comunità terapeutiche, e al servizio civile alternativo;

h) l’accessibilità nel territorio del parco attraverso percorsi e strutture idonee per disabili, portatori di handicap e anziani.

Il regolamento del parco valorizza altresì gli usi, i costumi, le consuetudini e le attività tradizionali delle popolazioni residenti sul territorio, nonché le espressioni culturali proprie e caratteristiche  dell’identità delle comunità locali e ne prevede la tutela anche mediante disposizioni che autorizzino l’esercizio di attività particolari collegate agli usi, ai costumi e alle consuetudini suddette, fatte salve le norme in materia di divieto di attività venatoria previste dal presente articolo.

Salvo quanto previsto dal comma 5, nei parchi sono vietate le attività e le opere che possono compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati con particolare riguardo alla flora e alla fauna protette e ai rispettivi habitat. In particolare sono vietati:

a) la cattura, l'uccisione, il danneggiamento, il disturbo delle specie animali; la raccolta e il danneggiamento delle specie vegetali, salvo nei territori in cui sono consentite le attività agrosilvo-pastorali, nonché l'introduzione di specie estranee, vegetali o animali, che possano alterare l’equilibrio naturale;

b) l’apertura e l’esercizio di cave, di miniere e di discariche, nonché l’asportazione di minerali;

c) la modificazione del regime delle acque;

d) lo svolgimento di attività pubblicitarie al di fuori dei centri urbani, non autorizzate dall’Ente parco;

e) l’introduzione e l’impiego di qualsiasi mezzo di distruzione o di alterazione dei cicli biogeochimici;

f) l’introduzione, da parte di privati, di armi, esplosivi e qualsiasi mezzo distruttivo o di cattura, se non autorizzati;

g) l ' uso di fuochi all’aperto;

h) il sorvolo di velivoli non autorizzato, salvo quanto definito dalle leggi sulla disciplina del volo.

Il regolamento del parco stabilisce oltre le eventuali deroghe ai divieti di cui al comma 3. Per quanto riguarda la lettera a) del medesimo comma 3, esso prevede eventuali prelievi faunistici ed eventuali abbattimenti selettivi, necessari per ricomporre squilibri ecologici accertati dall'Ente parco. Prelievi e abbattimenti devono avvenire per iniziativa e sotto la diretta responsabilità e sorveglianza dell’Ente parco ed essere attuati dal personale dell’Ente parco o da persone all’uopo espressamente autorizzate dall’Ente parco stesso.

Restano salvi i diritti reali e gli usi civici delle collettività locali, che sono esercitati secondo le consuetudini locali. Eventuali diritti esclusivi di caccia delle collettività locali o altri usi civici di prelievi faunistici sono liquidati dal competente commissario per la liquidazione degli usi civici ad istanza dell'Ente parco.

Il regolamento del parco è approvato dal Ministro dell’ambiente, previo parere degli enti locali interessati, da esprimersi entro quaranta giorni dalla richiesta, e comunque d’intesa con le regioni e le province autonome interessate; il regolamento acquista efficacia novanta giorni dopo la sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Entro tale termine i comuni sono tenuti ad adeguare alle sue previsioni i propri regolamenti. Decorso inutilmente il predetto termine le disposizioni del regolamento del parco prevalgono su quelle del comune, che tenuto alla loro applicazione.

 

La tutela dei valori naturali ed ambientali nonché storici, culturali, antropologici tradizionali affidata all'Ente parco è perseguita attraverso lo strumento del piano per il parco, di seguito denominato piano, che deve, in particolare, disciplinare i seguenti contenuti:

a) organizzazione generale del territorio e sua articolazione in aree o parti caratterizzate da forme

differenziate di uso, godimento e tutela;

b) vincoli, destinazioni di uso pubblico o privato e norme di attuazione relative con riferimento alle varie aree o parti del piano;

c) sistemi di accessibilità veicolare e pedonale con particolare riguardo ai percorsi, accessi e strutture riservati ai disabili, ai portatori di handicap e agli anziani;

d) sistemi di attrezzature e servizi per la gestione e la funzione sociale del parco, musei, centri di visite, uffici informativi, aree di campeggio, attività agroturistiche;

e) indirizzi e criteri per gli interventi sulla flora, sulla fauna e sull’ambiente naturale in genere.

Il piano suddivide il territorio in base al diverso grado di protezione, prevedendo:

a) riserve integrali nelle quali l’ambiente naturale è conservato nella sua integrità;

b) riserve generali orientate, nelle quali è vietato costruire nuove opere edilizie, ampliare le costruzioni esistenti, eseguire opere di trasformazione del territorio. Possono essere tuttavia consentite le utilizzazioni produttive tradizionali, la realizzazione delle infrastrutture strettamente necessarie, nonché interventi di gestione delle risorse naturali a cura dell'Ente parco. Sono altresì ammesse opere di manutenzione delle opere esistenti, ai sensi delle lettere a) e b) del primo comma dell’articolo 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457 ;

c) aree di protezione nelle quali, in armonia con le finalità istitutive ed in conformità ai criteri generali fissati dall’Ente parco, possono continuare, secondo gli usi tradizionali ovvero secondo metodi di agricoltura biologica, le attività agro-silvo-pastorali nonché di pesca e raccolta di prodotti naturali, ed incoraggiata anche la produzione artigianale di qualità. Sono ammessi gli interventi autorizzati ai sensi delle lettere a), b) e c) del primo comma dell'articolo 31 della citata legge n. 457 del 1978 21, salvo l’osservanza delle norme di piano sulle destinazioni d'uso;

d) aree di promozione economica e sociale facenti parte del medesimo ecosistema, più estesamente modificate dai processi di antropizzazione, nelle quali sono consentite attività compatibili con le finalità istitutive del parco e finalizzate al miglioramento della vita socio-culturale delle collettività locali e al miglior godimento del parco da parte dei visitatori.

Il piano è predisposto dall’ente parco entro 18 mesi dalla costituzione dei suoi organi, in base ai criteri e le finalità della presente legge. La comunità del parco partecipa alla definizione dei criteri riguardanti la predisposizione del piano del parco indicati dal consiglio direttivo del parco ed esprime il proprio parere sul piano stesso. Il piano, approvato dal consiglio direttivo, è adottato dalla regione entro 90 gg dal suo inoltro da parte dell’ente parco.

Il piano adottato è depositato per quaranta giorni presso le sedi dei comuni, delle comunità montane e delle regioni interessate; chiunque può prenderne visione ed estrarne copia.

Entro i successivi quaranta giorni chiunque può presentare osservazioni scritte, sulle quali l’Ente parco esprime il proprio parere entro trenta giorni. Entro centoventi giorni dal ricevimento di tale parere la regione si pronuncia sulle osservazione presentate e, d’intesa con l’Ente parco per quanto concerne le aree di cui alle lettere a), b) e c) del comma 2 e d’intesa, oltre che con l'Ente parco, anche con i comuni interessati per quanto concerne le aree di cui alla lettera d) del medesimo comma 2, emana il provvedimento d’approvazione. Qualora il piano non venga approvato entro ventiquattro mesi dalla istituzione dell’Ente parco, alla regione si sostituisce un comitato misto costituito da rappresentanti del Ministero dell’ambiente e da rappresentanti delle regioni e province autonome, il quale esperisce i tentativi necessari per il raggiungimento di dette intese; qualora le intese in questione non vengano raggiunte entro i successivi quattro mesi, il Ministro dell’ambiente rimette la questione al Consiglio dei ministri che decide in via definitiva. 5. in caso di inosservanza dei termini di cui al comma 3, si sostituisce all’amministrazione inadempiente il Ministro dell’ambiente, che provvede nei medesimi termini con un commissario ad acta.

Il piano è modificato con la stessa procedura necessaria alla sua approvazione ed aggiornato con identica modalità almeno ogni dieci anni.

Il piano ha effetto di dichiarazione di pubblico generale interesse e di urgenza e di indifferibilità per gli interventi in esso previsti e sostituisce ad ogni livello i piani paesistici, i piani territoriali o urbanistici e ogni altro strumento di pianificazione.

Il piano è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e nel Bollettino ufficiale della regione ed è immediatamente vincolante nei confronti delle amministrazioni e dei privati.

 

Il rilascio di concessioni o autorizzazioni relative ad interventi, impianti ed opere all’interno del parco sottoposto al preventivo nulla osta dell'Ente parco. Il nulla osta verifica la conformità tra le disposizioni del piano e del regolamento e l’intervento ed è reso entro sessanta giorni dalla richiesta. Decorso inutilmente tale termine il nulla osta si intende rilasciato.

Il diniego, che immediatamente impugnabile, è affisso contemporaneamente all’albo del comune interessato e all’albo dell’Ente parco e l’affissione ha la durata di sette giorni. L’Ente parco dà notizia per estratto, con le medesime modalità, dei nulla osta rilasciati e di quelli determinatisi per decorrenza del termine.

Avverso il rilascio del nulla osta ammesso è ammesso ricorso giurisdizionale anche da parte delle associazioni di protezione ambientale individuate ai sensi della legge 8 luglio 1986, n. 349 .

L’esame delle richieste di nulla osta può essere affidato con deliberazione del Consiglio direttivo ad un apposito comitato la cui composizione e la cui attività sono disciplinate dal regolamento del parco.

Il Presidente del parco, entro sessanta giorni dalla richiesta, con comunicazione scritta al richiedente, può rinviare, per una sola volta, di ulteriori trenta giorni i termini di espressione del nulla osta.

 

Nel rispetto delle finalità del parco, dei vincoli stabiliti dal piano e dal regolamento del parco, la Comunità del parco promuove le iniziative atte a favorire lo sviluppo economico e sociale delle collettività eventualmente residenti all’interno del parco e nei territori adiacenti.

A tal fine la Comunità del parco, avvia contestualmente all’elaborazione del piano del parco un piano pluriennale economico e sociale per la promozione della attività compatibili, individuando i soggetti chiamati alla realizzazione degli interventi previsti eventualmente anche attraverso accordi di programma. Tale piano, sul quale esprime la propria motivata valutazione il consiglio direttivo, è approvato dalla regione o d’intesa dalle regioni interessate.

Il piano di cui al comma 2 può prevedere in particolare: la concessione di sovvenzioni a privati ed enti locali; predisposizione di attrezzature, impianti di depurazione e per il risparmio energetico, servizi ed impianti di carattere turistico-naturalistico da gestire in proprio o da concedere in gestione a terzi sulla base di atti di concessione alla stregua di specifiche convenzioni; l'agevolazione o la promozione, anche in forma cooperativa, di attività tradizionali artigianali, agro-silvo-pastorali, culturali, servizi sociali e biblioteche, restauro, anche di beni naturali, e ogni altra iniziativa atta a favorire, nel rispetto delle esigenze di conservazione del parco, lo sviluppo del turismo e delle attività locali connesse. Una quota parte di tali attività deve consistere in interventi diretti a favorire l’occupazione giovanile ed il volontariato, nonché l'accessibilità e la fruizione, in particolare per i portatori di handicap.

Per le finalità di cui al comma 3, l’Ente parco può concedere a mezzo di specifiche convenzioni l'uso del proprio nome e del proprio emblema a servizi e prodotti locali che presentino requisiti di qualità e che soddisfino le finalità del parco.

L’Ente parco organizza, d’intesa con la regione o le regioni interessate, speciali corsi di formazione al termine dei quali rilascia il titolo ufficiale ed esclusivo di guida del parco.

Il piano di cui al comma 2 ha durata quadriennale e può essere aggiornato annualmente con la stessa procedura della sua formazione.

 

9) La Finanza;

 

Secondo il combinato disposto dell’articolo 16 l. 394/91 e l’articolo 3 del DPR attuativo della stessa, costituiscono entrate dell’Ente parco da destinare al conseguimento dei fini istitutivi:

a) i contributi ordinari e straordinari dello Stato;

b) i contributi delle regioni e degli enti pubblici;

c) i contributi ed i finanziamenti a specifici progetti;

d) i lasciti, le donazioni e le erogazioni liberali in denaro di cui all’articolo 3 della legge 2 agosto 1982, n. 512 , e successive modificazioni e integrazioni;

e) gli eventuali redditi patrimoniali;

f) i canoni delle concessioni previste dalla legge, i proventi dei diritti d’ingresso e di privativa e le altre entrate derivanti dai servizi resi;

g) i proventi delle attività commerciali e promozionali;

h) i proventi delle sanzioni derivanti da inosservanza delle norme regolamentari;

i) ogni altro provento acquisito in relazione all’attività dell’Ente parco.

Le attività di cessione di materiale divulgativo, educativo e propagandistico di prodotti ecologici, nonché le prestazioni di servizi esercitate direttamente dall’Ente parco, non sono sottoposte alla normativa per la disciplina del commercio.

Le cessioni e le prestazioni di cui al comma 2 sono soggette alla disciplina dell’imposta sul valore aggiunto. La registrazione dei corrispettivi si effettua in base all’articolo 24 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 , come sostituito dall'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 29 gennaio 1979, n. 24, senza L’ obbligo dell’uso dei registratori di cassa.

L’Ente parco ha l’obbligo di pareggio del bilancio.

 

10) Misure di salvaguardia del PNCVD;

 

Il DPR 6/5/95 prevedeva, oltre alla mera istituzione dell’ente parco, un regime transitorio da considerarsi ancora vigente, stante la incapacità di formulare, a 10 anni dall’entrata in vigore della legge quadro, sei dall’istituzione dell’ente parco, quattro dall’entrata a regime dell’operatività del primo consiglio direttivo, un piano per il parco.

Si opera, allo stato attuale, ancora sulla base di un preliminare di piano per il parco.

Il regime transitorio sottopone cinque tematiche alla nostra attenzione:

1.      La Zonazione;

2.      La tutela e promozione nel parco;

3.      I Divieti;

4.      Il regime autorizzativo;

5.      Il ruolo del Corpo Forestale dello Stato.

 

           

L’area del PNCVD è suddivisa dal DPR in due zone: una zona 1 di rilevante interesse   naturalistico, paesaggistico e culturale con limitato o inesistente grado di antropizzazione e una zona 2 di valore naturale, paesaggistico e culturale con maggior grado di antropizzazione. Ciò fa del Parco un unicum a livello nazionale non a caso riconosciuto Patrimonio mondiale dell’umanità dall’UNESCO e inserito tra le riserve mondiali di biosfera.

E’ chiaro che nella zona 1 insistono divieti di spessore maggiore rispetto alla zona 2 in cui sono consentite un maggior numero di attività.

Un’elencazione, da ritenersi esemplificativa e non tassativa, dei divieti in concreto esistenti è contenuta negli artt. 3 e 4 del DPR.

Per quanto attiene alla tutela e promozione è da dirsi che nei territori del parco sono assicurate:

a) conservazione di specie animali o vegetali, di associazioni vegetali o forestali, di singolarità geologiche, di formazioni paleontologiche, di comunità biologiche, di biotopi, di valori scenici e panoramici, di processi naturali, di equilibri idraulici e idrogeologici, di equilibri ecologici;

b) applicazione di metodi di gestione o di restauro ambientale idonei a realizzare una integrazione tra uomo e ambiente naturale, anche mediante la salvaguardia dei valori antropologici, archeologici, storici e architettonici e delle attività agro-silvo-pastorali e tradizionali;

c) promozione di attività di educazione, di formazione e di ricerca scientifica, anche interdisciplinare, nonché di attività ricreative compatibili;

d) difesa e ricostituzione degli equilibri idraulici e idrogeologici.

Altresì differenziato tra zona 1 e zona 2 è il complesso regime autorizzatorio disegnato dagli artt. 5/8 del DPR.

Com’è immaginabile sono numerosi gli atti sottoposti ad oneri di tipo autorizzativi, anche se bisogna osservare che ciò dovrebbe essere regola e non eccezione, seppur ampia.

Un criterio generale e residuale da adottare per il problema autorizzazioni sarebbe quanto mai auspicabile.

Infine è da dirsi del Corpo Forestale dello Stato al quale dovrebbe essere affidata la sorveglianza sul territorio.

Non è stata ancora attuata la riforma dell’ordinamento interno di tale istituzione, al fine di realizzare la previsione normativa anzidetta, e ciò induce uno stato di confusione e incertezza operativa.

Anche qui è da auspicarsi una rapida soluzione del problema che permetta una effettiva e coordinata difesa del territorio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO II

Gli ulteriori livelli amministrativi secondo il nuovo titolo V della Costituzione e il Testo Unico delle leggi sugli Enti Locali (T.U.E.L.).

 

1) Premessa;

Dopo aver scansionato analiticamente funzioni, strumenti e poteri dell’Ente Parco dobbiamo soffermarci sugli ulteriori livelli amministrativi incidenti sul territorio di riferimento.

Operazione in verità non facile, considerato che una ricognizione globale ci fa imbattere in una miriade di organi che va dallo Stato alla Regione, dalla Provincia alle Comunità Montane, ai Comuni, ai Consorzi d’ogni specie, alle Autorità settoriali e quant’altro integra questo nostro moderno Leviatano.

E’ un sistema di cerchi concentrici, integranti svariati livelli di competenza, difficile da conoscere ancor più da capire.

In esso è lecito muoversi solo per Principi ovvero cercando di implementare un sistema di base avente validità generale, senza andarsi ad impelagare nei meandri delle singole leggi speciali.

E’ pacifico che questo sia l’unico rimedio, di fronte alla riproposizione dell’antico dogma divide et impera con il suo derivato primo “dividi e ignoreranno”.

Allora guardiamo alla carta costituzionale, ed in particolare al rinnovato titolo V, per capire come sono stati ridefiniti i rapporti Stato-Regioni ed al T.U.E.L. per conoscere le funzioni espletate in loco da Comuni, Province e Comunità Montane.

Ne discenderà un quadro di massima su chi e come gestisce la vita della realtà territoriale su cui insiste il nostro Parco.

 

2) Il rapporto Stato-Regioni;

 

Il referendum costituzionale del 7/10/2001, confermativo della modificazione del titolo V, ha ridisegnato il rapporto tra Stato e Regioni specie nell’esercizio della funzione legislativa.

Non vi è più un’elencazione tassativa di materie nelle quali la Regione può legiferare, ma vi è una tripartizione in:

·        Materie in cui lo Stato ha legislazione esclusiva;

·        Materie di legislazione concorrente;

·        Materie in cui la Regione ha legislazione esclusiva.

Più precisamente lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:
  a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l’Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea;

 b) immigrazione;
        c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose;
        d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi;
        e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario;     sistema tributario e contabile dello Stato; perequazione delle risorse finanziarie;
        f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo;
        g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali;
        h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale;
        i) cittadinanza, stato civile e anagrafi;
        l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa;
        m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;
        n) norme generali sull’istruzione;
        o) previdenza sociale;
        p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane;
        q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale;
        r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale; opere dell’ingegno;
        s) tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.

Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato.

Due riflessioni ulteriori si impongono: le Regioni sono l’organo cui in genere e di regola spetta la funzione legislativa ed esse, pure nelle materie a legislazione concorrente, subiscono solo il vincolo della legiferazione di principi.

Di più; la potestà regolamentare spetta allo Stato solo nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. Spetta alle Regioni in ogni altra materia.

Aspetti di forte problematicità si riscontrano ad esempio quando, dopo aver acquisito che la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema, dei beni culturali è devoluta allo Stato, si legge che il governo del territorio, la valorizzazione dei beni culturali e ambientali e la promozione e organizzazione di attività culturali è oggetto di legislazione concorrente. Sembra chiara allora la continuazione di quel sistema dei cerchi concentrici, che non volge né verso la sussidiarietà né verso la chiarezza.

Un buon passo dunque verso un decentramento delle competenze legislative e regolamentari, però guai a considerarlo definitivo.

La più importante innovazione della legge costituzionale è comunque, a nostro avviso, contenuta nel successivo articolo 118, allorché si afferma che le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.

Da ciò discende che il Comune può essere finalmente considerato il vero centro dell’azione amministrativa.

Trattasi di un’importantissima dichiarazione di principio, al di là dell’oggettiva difficoltà di darle effettività stante, soprattutto, un’autonomia finanziaria comunale solo formalmente garantita dall’articolo 119 cost.

Essa diviene vieppiù importante ove si consideri l’abrogazione dell’articolo 128 cost. e il nuovo dettato dell’articolo 114 cost

E’ risaputo che nella cogenza di queste due norme del vecchio dettato costituzionale, solo le Regioni e  non anche gli enti locali erano fatti oggetto di una garanzia ed un rilievo costituzionale.

Oggi invece i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono tutti enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i princìpi fissati dalla Costituzione.

 

 

3) Province, Comuni e Comunità Montane.

 

Scendiamo di livello e passiamo ad analizzare gli enti territoriali più vicini ai cittadini, vale a dire la Provincia, la Comunità Montana e il Comune.

Il riferimento normativo obbligato è il T.U.E.L. ovvero il testo unico delle leggi sugli enti locali, entrato in vigore nel 2000 col Decreto Legislativo n°267.

Esso ci illustra le funzioni espletate dai tre organi in esame sul territorio di cui sono espressione:

Al Comune innanzitutto spettano tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale, precipuamente nei settori organici dei servizi alla persona e alla comunità, dell'assetto ed utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico, salvo quanto non sia espressamente attribuito ad altri soggetti dalla legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.Il comune, per l'esercizio delle funzioni in ambiti territoriali adeguati, attua forme sia di decentramento sia di cooperazione con altri comuni e con la provincia.

Si ripropone dunque il fondamentale concetto di centralità comunale che abbiamo già messo in rilievo parlando dell’articolo 118 cost.

Spettano alla Provincia, invece, le funzioni amministrative di interesse provinciale che riguardino vaste zone intercomunali o l'intero territorio provinciale nei seguenti settori:
a) difesa del suolo, tutela e valorizzazione dell'ambiente e prevenzione delle calamità;
b) tutela e valorizzazione delle risorse idriche ed energetiche;
c) valorizzazione dei beni culturali;
d) viabilità e trasporti;
e) protezione della flora e della fauna parchi e riserve naturali;
f) caccia e pesca nelle acque interne;
g) organizzazione dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale, rilevamento, disciplina e controllo degli scarichi delle acque e delle emissioni atmosferiche e sonore;
h) servizi sanitari, di igiene e profilassi pubblica, attribuiti dalla legislazione statale e regionale;
i) compiti connessi alla istruzione secondaria di secondo grado ed artistica ed alla formazione professionale, compresa l'edilizia scolastica, attribuiti dalla legislazione statale e regionale;
l) raccolta ed elaborazione dati, assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali.

La provincia, in collaborazione con i comuni e sulla base di programmi da essa proposti promuove e coordina attivita', nonche' realizza opere di rilevante interesse provinciale sia nel settore economico, produttivo, commerciale e turistico, sia in quello sociale, culturale e sportivo.

La gestione di tali attivita' ed opere avviene attraverso le forme previste dal testo unico per la gestione dei servizi pubblici locali.

La Provincia inoltre è depositaria di notevoli compiti di programmazione in quanto:

a) raccoglie e coordina le proposte avanzate dai comuni, ai fini della programmazione economica, territoriale ed ambientale della regione;
b) concorre alla determinazione del programma regionale di sviluppo e degli altri programmi e piani regionali secondo norme dettate dalla legge regionale;
c) formula e adotta con riferimento alle previsioni e agli obiettivi del programma regionale di sviluppo propri programmi pluriennali sia di carattere generale che settoriale e promuove il coordinamento dell'attivita' programmatoria dei comuni.

La provincia, inoltre, ferme restando le competenze dei comuni ed in attuazione della legislazione e dei programmi regionali, predispone ed adotta il piano territoriale di coordinamento che determina gli indirizzi generali di assetto del territorio e, in particolare, indica:
a) le diverse destinazioni del territorio in relazione alla prevalente vocazione delle sue parti;
b) la localizzazione di massima delle maggiori infrastrutture e delle principali linee di comunicazione;
c) le linee di intervento per la sistemazione idrica, idrogeologica ed idraulico-forestale ed in genere per il consolidamento del suolo e la regimazione delle acque;
d) le aree nelle quali sia opportuno istituire parchi o riserve naturali.

Tre grandi linee di pianificazione dunque: la partecipazione alla programmazione regionale, i programmi pluriennali e l’importantissimo piano territoriale di coordinamento.

Tutto ciò non basta a fugare i dubbi su un ruolo sempre più marginale della Provincia nel moderno apparato amministrativo.

Alle Comunità Montane spetta l'esercizio associato di funzioni proprie dei comuni o a questi conferite dalla regione. Spetta, altresi', alle comunita' montane l'esercizio di ogni altra funzione ad esse conferita dai comuni, dalla provincia e dalla regione.

Spettano alle comunita' montane le funzioni attribuite dalla legge e gli interventi speciali per la montagna stabiliti dalla Unione europea o dalle leggi statali e regionali.

Le comunita' montane adottano piani pluriennali di opere ed interventi e individuano gli strumenti idonei a perseguire gli obiettivi dello sviluppo socioeconomico, ivi compresi quelli previsti dalla Unione europea, dallo Stato e dalla regione, che possono concorrere alla realizzazione dei programmi annuali operativi di esecuzione del piano.

Le comunita' montane, attraverso le indicazioni urbanistiche del piano pluriennale di sviluppo, concorrono alla formazione del piano territoriale di coordinamento.

Il piano pluriennale di sviluppo socioeconomico ed i suoi aggiornamenti sono adottati dalle comunita' montane ed approvati dalla provincia secondo le procedure previste dalla legge regionale. Gli interventi finanziari disposti dalle comunita' montane e da altri soggetti pubblici a favore della montagna sono destinati esclusivamente ai territori classificati montani.

Alle comunita' montane si applicano le disposizioni dell'articolo 32, comma 5, vale a dire le disposizioni sui Comuni.

 

Volendo chiosare l’esposizione sulle singole funzioni dei principali organi amministrativi, ci sembra di poter osservare un avanzamento poderoso delle Regioni e dei Comuni, nuovo forte binomio legislativo-amministrativo, a fronte di un indebolimento dello Stato centrale ed un pressoché totale esautoramento della Provincia. Un ruolo sempre più marginale assumono poi le Comunità Montane, organi di tutela settoriale che mal si adattano alla presenza dell’ente parco.

Questo in estrema reductio il quadro di riferimento organico in cui è chiamato ad inserirsi l’Ente Parco.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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CAPITOLO III

L’Amministrazione per uno sviluppo sostenibile.

 

1) Premessa.

A questo punto entriamo nel vivo della discussione, prospettando la soluzione, crediamo, ideale per un riassetto istituzionale del territorio del Cilento-Diano-Alburni.

 

2) Area Ristretta ed Area Vasta.

Al centro di un nuovo ordine istituzionale del territorio del parco, dovrebbe a nostro avviso esserci una struttura dicotomica costituita da due livelli istituzionali, l’uno per l’area ristretta l’altro per l’area vasta.

La prima di queste due strutture è già esistente e si identifica con l’attuale Comune, la seconda invece manca e ciò contribuisce a determinare da un lato una eccessiva polverizzazione delle funzioni, con impossibilità di esercizio organico delle stesse, dall’altro un accentramento eccessivo, specie in sede di Pianificazione.

Senza particolari forzature concettuali questa seconda struttura potrebbe essere individuata riconsiderando il ruolo delle Comunità Montane.

Avendo analizzato il funzionamento di questi organi intermedi possiamo trarre, infatti, alcune conclusioni:

  1. E’ ormai anacronistico il criterio di “protezione della montagna” come ratio fondante di un ulteriore livello istituzionale, stante l’esistenza di un più forte e legittimato organo di gestione e valorizzazione delle risorse specifiche del territorio qual è l’Ente Parco;

  2. Le Comunità Montane insistono su bacini di riferimento pressoché ottimali per un’amministrazione per area vasta;

  3. Dal T.U.E.L. risulta palese la volontà del legislatore di ricondurre le Comunità Montane a Unioni di Comuni, cioè organismi di esercizio associato ma non settoriale delle funzioni comunali.

Da ciò discende la possibilità di affiancare al Comune, ottimale ambito di esercizio delle funzioni di interesse strettamente locale o di area ristretta, Unioni di Comuni, in luogo delle ormai tramontate Comunità Montane, in grado di svolgere tutte le funzioni di interesse intercomunale e sovracomunale ovvero di area vasta.

Si otterrebbe così un binomio Comune-Unione di Comuni che garantirebbe, in un continuo e proficuo do ut des, un’amministrazione ottimale del territorio.

E’ chiaro che la dimensione portante, data la eccessiva polverizzazione delle strutture comunali nel territorio de quo, sarebbe quella intercomunale, attributaria di tutte le funzioni amministrative in via generale e residuale.

Il singolo comune continuerebbe ad essere depositario di tutte quelle funzioni di interesse strettamente ed esclusivamente comunale.

Ciò non cozza affatto con l’affermazione di primazia del Comune nell’assetto amministrativo nazionale, contenuta sia in costituzione che nel T.U.E.L., in quanto l’Unione di Comuni non rappresenta altro che un MacroComune in grado di soddisfare al meglio gli interessi della comunità territoriale.

Vediamo dunque nel Cilento-Diano-Alburni[4] quale panorama istituzionale avremmo.

Dalle attuali 7 Comunità Montane, i cui confini sarebbero parzialmente da rivedere, discenderebbero altrettante Unioni di Comuni (vedi Cartina 1) insistenti su aree omogenee per vocazione commerciale, conformazione territoriale, densità abitativa, linee di sviluppo…….:

 

·        Unione “Buxentum”, comprendente i comuni di Torre Orsaia, Caselle in Pittari, Morigerati, S. Giovanni a Piro, Ispani, Vibonati, Sapri, Torraca, Cataletto Spartano, Tortorella, Santa Marina.

Questa unità amministrativa conterebbe un bacino di 28500 abitanti circa a fronte di un territorio non molto esteso.

L’omogeneità è chiara dato il comune riferimento al golfo di Policastro.

La denominazione Buxentum richiama appunto l’antico nome romano di Policastro Bussentino (importantissimo sito archeologico lasciato significativamente fuori dal perimetro del Parco!).

 

·        Unione “Elea”, comprendente i comuni di Casalvelino, Castelnuovo Cilento, Vallo della Lucania, Ceraso, Ascea, Cuccaro Vetere, Futani, Pisciotta, San Mauro la Bruca, Laurito, Montano Antilia, Alfano, Centola, Camerota, Celle Bulgheria, Roccagloriosa.

La popolazione sarebbe di circa 50000 unità a fronte di un territorio prevalentemente costiero e non molto esteso.

La denominazione ripropone l’antico nome greco di Velia, nei pressi di Marina di Ascea, importante colonia della magna graecia dominante l’omonimo golfo, che oggi costituisce il bacino omogeneo cui si affacciano i suddetti comuni.

 

·        Unione “Cilentum”, comprendente i comuni di Orria, Perito, Pollica, S.Mauro Cilento, Montecorice, Castellabate, Perdifumo, Serramezzana, Stella Cilento, Sessa Cilento, Laureana Cilento, Torchiara, Prignano Cilento, Rutino, Lustra, Omignano, Salento.

Una popolazione di poco più di 30000 unità incentrata alle pendici del monte della Stella il cui antico nome, appunto Cilentum, ha dato la denominazione al Cilento odierno.

Sulla omogeneità non vi sono dubbi di sorta, tuttavia per ogni remora consigliamo di porre occhio ai toponimi, in questa terra quanto mai significativi.

 

·        Unione “Paestum”, comprendente i comuni di Agropoli, Capaccio, Giungano, Trentinara, Cicerale, Ogliastro Cilento. E’ la zona più popolosa del parco con i suoi 42000 abitanti circa per un territorio che copre un breve tratto costiero col suo entroterra.

La differenziazione profonda con le aree attigue e la densità abitativa ne fanno un unicum vocazionale.

La denominazione dà conto della nota più significativa del territorio, la presenza del sito archeologico di Poseidonia-Paestum.

 

·        Unione “Alburni”, comprendente i comuni di Roccadaspide, Castel San Lorenzo, Aquara, Controne, Castelcivita, Ottati, S. Angelo a Fasanella, Bellosguardo, Sicignano degli Alburni, Postiglione, Auletta, Petina, Corleto Manforte.

Trattasi di un complesso omogeneo incentrato sui monti Alburni e a bassa densità abitativa.

E’ zona di confine suscettibile di integrazioni o esclusioni, stante la impossibilità di tracciare un confine tra Alburni ed alto Sele.

 

·        Unione “Gelbison-Calore-Cervati”, comprendente i comuni di Sanza, Felitto, Roscigno, Monteforte Cilento, Magliano Vetere, Sacco, Laurino, Piaggine, Valle dell’Angelo, Gioi, Stio, Campora, Moio della Civitella, Novi Velia, Cannalonga, Rofrano.

Si tratta dell’unione più fortemente omogenea in virtù di uno squilibrio tra territorio vastissimo e popolazione ridotta a circa 25000 unità.

La denominazione dà conto dei tre elementi portanti del territorio.

 

·        Unione “Vallo di Diano”, comprendente i comuni di Polla, S.Arsenio, Atene Lucana, S.Pietro al Tanagro, S.Rufo, Teggiano, Sala Consilina, Padula, Buonabitacolo, Casalbuono, Montesano sulla Marcellana, Sassano, Monte S.Giacomo, Pertosa, Caggiano.

Un complesso vallivo tanto omogeneo da sollecitare, com’è allo studio, la costituzione di un’unica città.

Circa 60000 abitanti per un territorio molto ampio che segue il corso del fiume Tanagro e il confine regionale.

 

Un binomio quindi tra  94 Comuni coinvolti (oggettivamente troppi per amministrare in modo uniforme ed efficace un territorio di circa 300000 ha)[5] e  7 Unioni di Comuni per una risposta ad istanze complessive e di sviluppo organico.

 

3) La Provincia.

 

Passiamo ora dal livello comunale-intercomunale a quello provinciale.

La premessa d’obbligo riguarda la sempre paventata istituzione della provincia del Cilento-Vallo di Diano, quale terza della Basilicata o sesta della Campania.

E’ un problema atavico dato il susseguirsi, nelle ultime legislature, di numerose e varie proposte in tal senso a tutt’oggi giacenti presso le commissioni competenti.

Nell’immobilismo del legislatore tentiamo di prospettare una soluzione del dilemma.

La nascente Provincia dovrà, a nostro avviso, essere:

 

·        la terza Provincia della Basilicata;

·        una Provincia-Parco;

·        una Provincia Autonoma;

·        una Provincia a rete;

·        una Provincia Verde.

 

La terza provincia della Basilicata.

           

Sosteniamo fermamente che il Cilento-Diano-Alburni dovrebbe divenire Provincia della Basilicata,

insieme con Matera e Potenza, e ci risulta almeno curiosa la necessità di dover motivare un’affermazione in tal senso.

Chi volesse accomunare la bassa densità demografica, le assenti infrastrutture, la bassissima vocazione all’industrializzazione, la scarsità di collegamenti interni, la lingua, la storia, i costumi, il tenore e le modalità di vita del Cilento a quelle della Valle dell’Irno o dell’Agro Nocerino-Sarnese, solo per fare due esempi provinciali, avrebbe in verità l’onere di fornire prova della sensatezza di quel che sostiene.

E’ inconfutabile e pacifica la stretta omogeneità territoriale, geomorfologia, linguistica, di vocazione agricola e turistica, di comune derivazione storica e comune tipicità tradizionale tra Cilento e Basilicata.

L’unica considerazione che può indurre a preferire l’istituzione della sesta provincia della Campania alla terza della Basilicata è di ordine pragmatico e realistico, in relazione alla difficoltà di iter burocratico per il perseguimento della strada maestra.[6]

Volendo essere ugualmente pragmatici, tuttavia, si potrebbe far nascere la sesta provincia della Campania per poi procedere, in secondo momento, al distacco mediante un referendum esclusivamente interno ed una semplice legge ordinaria….

 

La Provincia-Parco.

 

Si è già parlato della crisi dell’istituzione Provincia e delle difficoltà strutturali ab inizio dell’Ente Parco.

Consequenziale è la soluzione di una Provincia-Parco, vale a dire un’unificazione dell’ente provinciale e dell’Ente Parco, al fine di creare un unico livello istituzionale che costituisca la formula ottimale di decentramento-accentramento dei poteri.

Superfluo sottolineare che l’ambito territoriale di incidenza risulterebbe dalla sommatoria delle Unioni di Comuni analizzate in precedenza (vedi cartina 1).

Si porrebbe rimedio così, in uno col problema funzionale, all’assurda definizione strutturale del Parco e dei suoi confini.

 

La Provincia Autonoma.

 

L’istituzione provinciale dovrebbe costituire, sulla scorta di esempi positivi già esistenti nel nostro ordinamento (Trento e Bolzano ndr), un’entità autonoma, dotata di potestà legislativa e collocantesi nello schema dualistico di cui all’art. 117 cost. in luogo della Regione.

Il massimo livello di gestione locale.

Una tale opzione, per quanto possa sembrare azzardata, costituirebbe l’unico vero esempio di reale attenzione alle forti peculiarità del territorio in esame.

La Provincia a rete.

 

Si tratterebbe di una provincia “a rete” ovvero caratterizzata dalla presenza di due capoluoghi (Vallo della Lucania e Sala Consilina), nonché cinque circoscrizioni di decentramento funzionale (Roccadaspide, Agropoli, Sapri, Vallo della Lucania, Sala Consilina).

 

La Provincia Verde.

 

L’attributo di Provincia-Verde sta ad indicare la ragion d’essere della richiesta di una Provincia-Parco a statuto speciale, vale a dire la compresenza, indicata attraverso questa reductio ad unum, di valori di particolare spessore e interesse sociale.

 

 

 

 

4) La dimensione Statale e Regionale delle competenze.

 

Una Provincia come sopra delineata sarebbe sostitutiva dell’apparato regionale più che ad essa complementare.

Motivo per cui troverebbe un unico interlocutore sovraordinato nello Stato centrale (vedi schema 1) depositario, de residuo, di compiti di alta programmazione, di controllo, di consulenza tecnica, di vigilanza[7] e di legiferazione ex art. 117.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lo stato attuale del panorama istituzionale nel territorio del PNCVD:

 

 

STATO

 

 

REGIONE

 

 

PROVINCIA

 

 

COMUNI

 

 

 

Organi esterni e settoriali: ENTE PARCO; COMUNITA’ MONTANE.

 

 

 

 

 

 

Il riassetto prospettato del quadro amministrativo-strutturale nel territorio del PNCVD:

 

 

 

STATO

 

 

 

PROVINCIA-PARCO

 

 

 

COMUNI --- UNIONI DI COMUNI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Schema 1


[1] Un passo in avanti significativo è stato fatto con la legge 426/98, tuttavia permane diffusa la percezione del parco come oasi verde intoccabile anziché strumento di tutela e valorizzazione generalizzata.

[2] L’ordinamento giuridico italiano si conforma al diritto internazionale (art.10). L’Italia consente, a condizione di reciprocità, a limitazioni di sovranità per costituire un ordinamento di pace e giustizia tra le nazioni (art.11).

[3] E’ questa la Ratio alla base della legge di protezione in analisi, che sarebbe priva di senso ove la tutela e preservazione, come dovrebbe essere fisiologico, non avessero bisogno di provvedimenti ad hoc.

[4] Giacciono inascoltate in Parlamento due proposte di modifica della denominazione del Parco al fine di menzionare anche il complesso dei monti Alburni. Noi le facciamo già nostre ritenendole indefettibili.

[5] Per un raffronto tra le dimensioni comunali nel territorio del parco e nel resto della Provincia si veda la cartina 1.

[6] Si dà conto delle due norme costituzionali che fissano i criteri per le modificazioni territoriali-amministrative, unica non essendo la strada per il raggiungimento del nostro obiettivo.

Art. 132.
Si può con legge costituzionale, sentiti i Consigli regionali, disporre la fusione di Regioni esistenti o la creazione di nuove Regioni con un minimo di un milione d’abitanti, quando ne facciano richiesta tanti Consigli comunali che rappresentino almeno un terzo delle popolazioni interessate, e la proposta sia approvata con referendum dalla maggioranza delle popolazioni stesse.
Si può, con
l’approvazione della maggioranza delle popolazioni della Provincia o delle Province interessate e del Comune o dei Comuni interessati espressa mediante referendum e con legge della Repubblica, sentiti i Consigli regionali, consentire che Province e Comuni, che ne facciano richiesta, siano staccati da una Regione ed aggregati ad un’altra.

Art. 133.
Il mutamento delle circoscrizioni provinciali e la istituzione di nuove Province nell’ambito d’una Regione sono stabiliti con leggi della Repubblica, su iniziative dei Comuni, sentita la stessa Regione.
La Regione, sentite le popolazioni interessate, può con sue leggi istituire nel proprio territorio nuovi Comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni.

 

 

[7] Segnatamente attraverso il ministero dell’Ambiente.