L'AFFONDAMENTO DELLA CORAZZATA "ROMA"

a cura dell'amico Augusto Zedda

Cronaca di una tragedia annunciata

Mussolini, prigioniero a Villa Webber, se ne andò portando con sé l'alone di tragedia, di cui, in effetti, non pare si rendesse pienamente conto, di una guerra immane perduta su tutti i fronti, tra indicibili sacrifici e lutti.

Ormai l'impossibilità di continuare la lotta nell'assoluta disparità dei mezzi, di fronte alla preponderanza delle forze nemiche, era palese a chiunque. Forse l'unica Arma che, in quel fine agosto, era ancora integra e compatta nella sua struttira gerarchica e soprattutto nello spirito era la Marina, grazie al fatto che, vivendo sul mare e del mare, era la più lontana dai centri di potere, grazie alla sua tradizione ultrasecolare di autonoma disciplina e competenza.

Il 3 settembre 1943 veniva firmato a Cassabile uno schema di armistizio tra Italia e Stati Uniti, il cosiddetto "Armistizio breve"; l'8 settembre Eisenhower annunciava al mondo l'armistizio con l'Italia.

Tutti i dati e i fatti contenuti in questa pagina sono stati desunti dall'Ufficio Storico della Marina in Roma e dal volume V, edito dallo stesso Ufficio, de "La Marina Italiana nella Seconda Guerra Mondiale", dal titolo : La Marina dall'8 settembre 1943 alla fine del conflitto, compilato dall'ammiraglio di squadra Giuseppe Fioravanzo.

All'<Armistizio breve> era allegato un "Documento di Quibec" che iniziava così: "Le condizioni di armistizio non contemplano l'assistenza attiva dell'Italia nel combattere i Tedeschi. La misura nella quale tali condizioni saranno modificate a favore dell'Italia dipenderà dall'entità dell'apporto dato dal Governo e dal popolo italiano alle Nazioni Unite contro la Germania durante il resto della guerra".

Per quanto concerne la Marina e l'Aeronautica era detto: "Il Governo italiano deve, al momento dell'armistizio, dare ordine alla flotta italiana e alla maggior parte possibile del naviglio mercantile di salpare per porti alleati. I maggior numero possibile di velivoli militari dovrà partire in volo verso basi alleate. Qualsiasi bastimento o velivolo in pericolo di cattura da parte dei Tedeschi deve essere distrutto. Nessuna nave da guerra o mercantile deve essere lasciata cadere in mano tedesca. Non si deve permettere ai Tedeschi di impadronirsi delle difese costiere italiane".

Era allora ministro e Capo di Stato Maggiore della Marina l'Ammiraglio de Courten, il quale ricevette dal Comando Supremo le seguenti disposizioni contenute in un più ampio "Promemoria n. 1" consegnato alle tre Armi: "...Unità da guerra italiane: debbono uscire al più presto in mare tutte quelle comunque in condizioni di navigare, per raggiungere i porti della Sardegna, della Corsica, dell'Elba, oppure di Sebenico e Cattaro; tutte le non in condizioni di muovere, oppure che in uno dei porti di rifugio di cui sopra verranno a trovarsi in condizioni di cadere in mano germanica, dovranno essere autoaffondate".

L'Ammiraglio de Courten convocò il 7 settembre tutti i comandanti dei vari dipartimenti della Marina e diede le necessarie istruzioni; tra queste, che le unità dell'Alto Tirreno avrebbero dovuto muovere per la Sardegna, la Corsica e l'Elba. L'8 mattina ricevette l'Ammiraglio Bruno Brivonesi, Comandante Militare Marittimo della Sardegna, con sede alla Maddalena: gli impartì le disposizioni relative all'ormeggio della flotta in quella rada e lo avvertì della possibile presenza del Re, della famiglia reale e di parte del governo su una delle navi; quindi gli ordinò di ripartire immediatamente per la sua sede. Ma la destinazione del Re e dei membri del governo fu poi mutata. Nel tardo pomeriggio la radio italiana diede l'annuncio dell'armistizio.

Il 9 settembre alle 11.50 de Courten diramò a tutti i marinai il seguente proclama: "Marinai d'Italia - Durante quaranta mesi di durissima guerra avete tenuto testa alla più potente Marina del mondo compiendo eroismi che rimarranno scritti a lettere d'oro nella nostra storia e affrontando sacrifici di sangue che vi hanno meritato l'ammirazione della Patria e il rispetto del nemico.

Avreste meritato di poter compiere il vostro dovere fino all'ultimo combattendo ad armi pari le forze navali nemiche. Il destino ha voluto diversamente: le gravi condizioni materiali nelle quali versa la Patria ci costringono a deporre le armi. E' possibile che altri duri doveri vi saranno riservati, imponendovi sacrifici morali rispetto ai quali quello stesso del sangue appare secondario: occorre che voi dimostriate in questi momenti che la saldezza del vostro animo è pari al vostro eroismo e che nulla vi sembra impossibile quando i futuri destini della Patria sono in giuoco. Sono certo che in ogni circostanza saprete essere all'altezza delle vostre tradizioni nell'assolvimento dei vostri doveri. Potete dunque guardare fieramente negli occhi gli avversari di quaranta mesi di lotta, perché il vostro passato di guerra ve ne dà pieno diritto. de Courten".

Il compilatore del volume sopra citato, l'Ammiraglio Fioravanzo, commenta così il documento: "Il testo di questo proclama è stato spiritualmente appropriato e storicamente giustificato dai risultati dei quaranta precedenti mesi di lotta sul mare. Non poteva infatti sentirsi vinta una Marina che colla cooperazione dell'Aeronautica aveva affondato 412.000 tonnellate di naviglio militare avversario contro 269.000 perdute. Era la nostra una Marina che doveva deporre le armi per "le gravi condizioni materiali nelle quali versa la Patria" ".

La nostra squadra da battaglia era concentrata a La Spezia, agli ordini dell'Ammiraglio Bergamini, sotto le cui insegne era la corazzata "Roma" da 35.000 tonnellate; de Courten si mise in contatto con lui e concordarono l'immediata partenza della squadra per La Maddalena; lo assicurò poi, dietro esplicita domanda di quello, che nessuna clausola dell'armistizio prevedeva che le nostre navi dovessero ammainare la bandiera od essere cedute. Se così non fosse stato i comandanti delle unità avrebbero infatti provveduto subito all'autoaffondamento.

Il giorno 8 e per tutta la notte, le vie dell'etere, stando all'impressionante ricostruzione di Fioravanzo, furono percorse dall'intrecciarsi convulso di una miriade di messaggi radio da e per le basi, le unità e il comando di de Courten a Roma. Tra questi, l'ordine ai cacciatorpediniere "Vivaldi" e "Da Noli", n navigazione per Civitavecchia, di dirigere anch'essi a La Maddalena.

Roma frattanto stava per essere occupata da Tedeschi e de Courten ricevette a sua volta l'ordine di lasciarla; le sue comunicazioni dalla capitale cessarono alle 6.30 del 9 settembre.

A La Spezia, l'Ammiraglio Bergamini aveva convocato d'urgenza tutti i comandanti della squadra da battaglia dando le opportune disposizioni per la partenza, , prima ancora che fosse diffusa la notizia ufficiale dell'armistizio; aveva precisato che: "Qualunque cosa succedesse nessuna nave avrebbe dovuto cadere in navi straniere: inglesi o tedesche che fossero. Piuttosto autoaffondarsi".

Alle 3 del mattino del 9 settembre la squadra di battaglia lasciava la rada di La Spezia diretta a La Maddalena; alle 6.30, al largo di Capo Corso, le si univa un gruppo di unità provenienti da Genova, alle 8.40 altre quattro torpediniere provenienti da La Spezia ingrossarino la formazione.

Erano 22 splendide navi; la Marina italiana tornava alla base-madre di La Maddalena dove oltre un secolo prima Giorgio Des Geneys le aveva dato la vita e lo spirito. Ma quale angoscia ora per l'animo di quelle migliaia di uomini!

Ecco inomi delle navi e dei comandanti:

Comandante in capo: ammiraglio Bergamini (a bordo della "Roma")

9° Divisione: ammiraglio Accoretti - Navi: Roma, Vittorio Veneto, Italia;

7° Divisione: ammiraglio Oliva - Navi: Eugenio di Savoia, Duca d'Aosta, Montecuccoli;

8° Divisione: ammiraglio Biancheri - Navi: Duca degli Abruzzi, Garibaldi, Attilio Regolo;

12° Squadra cacciatorpediniere: capitano di vascello Marini - Navi: Mitragliere. Fuciliere, Carabiniere, Velite;

14° Squadra cacciatorpediniere: Capitano di Vascello Baldo - Navi: Legionario, Oriani, Artigliere, Grecale, Libra;

Torpediniere da scorta: Navi: Pegaso, Orsa, Orione, Impetuoso;

 

Percorrendo la rotta a ponente della Corsica, la flotta si dirigeva verso La Maddalena. Ma qualcosa accadde, quasi si fosse spezzato l'incanto tra l'Arcipelago e la Marina, in questa guerra così brutale, così più lontana di ogni altra da ogni codice d'onore, da ogni misura umana.

Accadde che la 90° divisione tedesca di stanza in Sardegna, appresa la notizia dell'armistizio, chiese al comandante militare italiano generale Basso di transitare dalla Maddalena per evacuare verso la Corsica e di qua per il continente. Fu concordato il transito a condizione che non fosse fatto alcun atto di ostilità.

Nelle varie fortificazioni dell'arcipelago erano dislocati molti militari tedeschi e il loro comandante, Uneus, avvertì l'ammiraglio Brivonesi che avrebbe iniziato subito le operazioni di sgombero. Il generale Basso diede ordine a Brivonesi di non interferire in alcun modo nei movimenti dei Germanici, evidentemente in obbedienza al detto "Ponti d'oro al nemico che fugge".

Ciò avveniva la mattina del 9 settembre e l'ammiraglio Brivonesi sapeva che per le ore 14 circa era previsto l'arrivo della squadra da Battaglia.

Alle 11.25, avvenne il colpo di mano tedesco: il comando di La Maddalena fu circondato; Uneus comunicò all'ammiraglio che in quello stesso momento altri reparti germanici stavano occupando il semaforo di Guardia Vecchia, la stazione ricetrasmittente dell'Isola Chiesa, e tutti i servizi della base.

L'ammiraglio Brivonesi riuscì ad informare subito dell'avvenuto per telescrivente Supermarina (comando generale dell'Arma), raccomandando di avvertire Bergamini; Supermarina radiotelegrafò immediatamente alla "Roma" che forze germaniche avevano occupato La Maddalena e di dirigere per il porto di Bona; il messaggio fu ricevuto dall'ammiraglio Bergamini soltanto alle 14.24, quando ormai la flotta si trovava in vista dell'arcipelago.

I militari italiani di stanza nell'isola non restarono inerti, ma vi furono diversi conflitti a fuoco, mentre a Caprera, sotto il comando del capitano di fregata Sollazzo, si era organizzata una base di minaccia alle spalle dei tedeschi. I due comandanti Brivonesi e Uneus avevano entrambi l'ordine dai rispettivi comandanti di non consentire alcun atto di ostilità: il fuoco dunque doveva cessare e cessò, dopo convulsi parlamentari con i superiori e tra loro; si arrivò a un compromesso e il tedesco dovette recedere dall'occupazione. Si contarono le perdite: morti 24 italiani e 8 tedeschi; feriti 46 italiani e 24 tedeschi. Tra i nostri caduti il comandante della base, comandante di vascello Carlo Avegno che fu a capo della reazione italiana e al quale fu poi conferita la medaglia d'oro alla memoria, e il sottotenente di fanteria Rinaldo Veronesi, decorato alla medaglia di bronzo alla memoria.

Finalmente il 15 settembre i tedeschi evacuarono La Maddalena, ma ormai la tragedia più tremenda, quella della nostra flotta, si era compiuta.

Dobbiamo fare un passo indietro.

Durante la mattina del 9 settembre la squadra da battaglia al comando dell'ammiraglio Bergamini aveva navigato velocemente al largo della costa occidentale della Corsica e, avvistata l'Asinara, aveva accostato di 45° a sinistra per imboccare l'entrata di ponente dell'estuario di La Maddalena.

Quando fu ricevuto il messaggio di Supermarina sull'occupazione tedesca dell'isola, la rotta venne rapidamente invertita verso l'Asinara, per cui le navi ammiraglie si trovarono in coda al convoglio.

Alle 15.10 una formazione di aerei tedeschi Junker attaccò lenavi, le quali aprirono il fuoco contraereo e manovrarono in modo da sfuggire alle bombe: nessuna unità fu colpita, mentre un aereo venne abbattuto. I germanici usarono in quell'occasione un nuovo tipo di bomba a razzo, teleguidata.

Ritiratisi i primi aggressori, alle 15.50 fu avvistato un gruppo di bombardieri contro il quale le unità aprirono immediatamente il fuoco. La "Roma" venne colpita da due grandi bombe.

La descrizione che ne fa l'ammiraglio Fioravanzo è impressionante nel suo scarno e competente stile militare: " La prima bomba era caduta a un metro dalla murata di dritta poco a poppavia del centro della nave, scoppiando sotto lo scafo e agendo quindi come una mina magnetica. Le motrici corrispondenti alle due eliche poppiere si erano arrestate e la velocità era caduta a 16 nodi. La seconda bomba cadde sul lato sinistro tra torrione di comando e la torre sopraelevata, provocando l'allagamento del locale delle motrici prodiere (corrispondenti alle due eliche esterne) e l'arresto della nave, la deflagrazione in rapida successione di tutti i depositi di munizioni prodieri, l'incendio in numerosi locali con cessazione dell'erogazione di energia elettrica, lo sbandamento de torrione di comando verso il lato dritto.

Dopo la prima bomba, i provvedimenti immediatamente presi dal personale contennero lo sbandamento dello scafo entro il limite di 2°; ma dopo la seconda, l'imponenza delle devastazioni provocate dalla deflagrazione nelle santabarbare mise rapidamente la nave in condizioni disperate. Essa cominciò a sbandare sulla dritta e si arrestò per alcuni istanti col trincarino di dritta a 50 centimetri dall'acqua: fu allora che il tenente di vascello Incisa, il più anziano dei pochi ufficiali superstiti (e che nonostante le gravi ustioni riportate al momento della deflagrazione, perché si trovava vicino al torrione nella torretta della direzione del tiro c.a. di sinistra, era riuscito a correre verso poppa), ordinò al personale di abbandonare la nave.

Subito dopo la nave, accelerando il movimento di rotazione, si capovolse spezzandosi in due tronconi e scomparve".

L'ammiraglio Oliva, imbarcato sull'Eugenio di Savoia, come comandante più anziano, assunse immediatamente il comando della forza navale, dopo aver ordinato al "Regolo", alla 12° squadra cacciatorpediniere e al gruppo "Pegaso" di andare in soccorso della "Roma", che affondò alle 16.12.

La colonna granitica decorata con gruppo bronzeo eretta in memoria dei marinai della "Roma  sull'isolotto della Paura presso l'isola di Santo Stefano.

Gli attacchi aerei si susseguirono alle 16.29 - 18 - 18.34 - 19.10 sempre rintuzzati dall'intenso fuoco delle navi. Fu colpita di prua l' "Italia" che poté continuare la navigazione a velocità ridotta. L'ammiraglio Oliva ordinò di puntare su Bona: lo seguano la 7° divisione, l'8° divisione tranne il "Regolo", la 9° divisione meno la "Roma", la squadriglia "legionario" e il "Velite". Le altre unità assistevano i naufraghi dell'ammiraglia.

Furono raccolti 520 naufraghi, in gran parte feriti, su un totale di 1.948 uomini imbarcati sulla "Roma": i morti furono 1.352; tra questi, oltre all'ammiraglio Bergamini, quasi tutti gli ufficiali e la maggior parte dei sottufficiali. Le unità di soccorso, perduto il contatto con la squadra e per lo più a loro volta con feriti a bordo e avarie di vario tipo, ebbero gravi peripezie. Le navi "Mitragliere", "Regolo", "Fuciliere" e "Carabiniere" agli ordini del comandante Marini, puntarono sulle Baleari dove furono internate fino alla fine del conflitto.

Del gruppo "Pegaso", due "Libra" e "Orione" riuscirono a raggiungere Bona. Le altre tre "Pegaso", "Impetuoso" e "Orsa" agli ordini del comandante Imperiali, furono ripetutamente attaccate da aerei tedeschi con bombe razzo, di cui il comandante diede più tardi la seguente descrizione: "Molte bombe cadute vicinissimo alle navi ed in specie alcuni alianti-razzo che venivano distaccati dagli aerei ad una quota appezzata di 3000 metri e che picchiavano quindi sulle navi... queste bombe-razzo erano di una precisione straordinaria e cadevano a pochi metri dalle navi nonostante le manovre eseguite alla massima velocità e con tutto il timone..."

"Gli alianti-razzo, che per la prima volta vedevamo impiegati, erano di dimensioni leggermente inferiori ad un aereo da caccia... essi manovravano per seguire il bersaglio... contemporaneamente a questa nuova forma di bombardamento eravamo attaccati dai caccia e dai bombardieri...".

In queste condizioni e nell'assoluta precarietà e frammentarietà delle comunicazioni radio, anche il comandante Imperiali decise di puntare con la formazione sulle Baleari.

Qua, sbarcati i naufraghi e i feriti, le due torpediniere "Pegaso" e "Impetuoso" furono affondate fuori delle acque territoriali di Maiorca; l' "Orsa", che era priva di carburante, fu internata e passata alle dipendenze del gruppo "Mitragliere" col quale più tardi raggiunse Algeri.

La vicenda della nostra squadra da battaglia ha un'appendice di eroismo nella storia dei due cacciatorpediniere "Vivaldi" e "Da Noli", che non erano presenti alla partenza da La Spezia perché inviati a civitavecchia ove si pensava che si sarebbe imbarcata la famiglia reale.

Nelle prime ore del 9 settembre le due unità ricevettero l'ordine di dirigere per La Maddalena e di riunirsi alla squadra. Ma alle 14.33 Supermarina ordinò di "Uscire dall'estuario di La Maddalena verso ponente, affondando durante il passaggio tutti i mezzi tedeschi che stavano trafficando tra Sardegna e Corsica".

Le due navi obbediscono e iniziano la battaglia al largo di Razzoli, avendo contro unità navali tedesche, le batterie costiere di Corsica, gli aerei.

Colpiti in più punti, con molti morti a bordo, il "Da Noli" e il "Vivaldi" si battono con eroismo strenuo, affondano navi, mettono fuori combattimento aerei e batterie.

Il comandante del "Vivaldi", capitano di vascello Camicia, descrive nella sua relazione la fine del "Da Noli": "Ha preso parte al tiro contro le unità e le batterie dal lato della Corsica, sembra anch'esso colpito; si allarga dalla costa, mi sopravanza, in velocità verso sud-ovest e fa molto fumo. alle 17.50 una grande colonna di acqua biancastra, come di esplosione di mina, avvolge il "Da Noli" che spezzato in due al centro affonda. Si vede molta gente in mare e poco dopo anche una motolancia in moto vicino alle zattere di salvataggio".

Il comandante del cacciatorpediniere, Valdambrini, morì con tutti gli uomini che stavano con lui sul ponte di comando.

Il "Vivaldi" a sua volta non era più in grado di navigare né di prestare soccorso ai naufraghi del "Da Noli". Si mise in contatto col "Regolo", ma questi non riuscì a intercettare con chiarezza i messaggi. Il "Pegaso", che doveva andare in soccorso del "Da Noli", non potè farlo a causa degli attacchi aerei. Anche il "Vivaldi" fu attaccato fra le 19 e le 20 e rispose con tutte le armi che aveva ancora in efficienza. Con una sola caldaia parzialmente utilizzabile la nave si trascinò oltre l'Asinara, ma alle 5.30 del 10 settembre si fermò e il comandante Camicia diede l'ordine di autoaffondarla.

I 240 uomini superstiti (40 erano morti) si imbarcarono su tutti i mezzi disponibili a bordo; per ultimo, a nuoto, si mise in salvo il comandante. Ma due uomini, il capitano di corvetta Alessandro Cavriani e il capo meccanico Virginio Fasan, si avvidero che qualcosa non procedeva esattamente nell'affondamento e quindi nonostante i richiami del comandante Camicia, si buttarono in acqua e tornarono nuotando sul "Vivaldi" per affrettarne la fine. Morirono con la nave, davanti ai compagni che li videro sparire mentre, dopo aver compiuto l'opera loro, ritti sul castello, salutavano la bandiera. La Marina li annovera tra le medaglie d'oro alla memoria.

Ai naufraghi toccò una dolorosissima odissea durata più giorni col mare grosso e scarsità d'acqua, che costò altri 18 morti all'unità. Dell'equipaggio del "Da Noli", morirono 218 uomini e ne scamparono 39, che poterono raggiungere la Corsica con grande fatica, ostacolati da violento vento di levante che spazzava le Bocche di Bonifacio.

Questo l'olocausto  si consumò nelle acque di La Maddalena.

Alla memoria dei marinai della "Roma" fu innalzata una colonna granitica decorata da un gruppo bronzeo dello scultore Fontana rappresentante la procellaria sull'isolotto della paura presso Santo Stefano. Migliaia di barche di turisti festosi e chiassosi le passano davanti. Pochi domandano cosa significhi quella colonna e viene loro risposto: "E' per una nave affondata...".