( Deputato del Polo per le Libertà - Alleanza Nazionale -)
Sostiene Massimiliano Lussana sul "Giornale" di domenica 23 gennaio 2000, riferendo dell'intervento del leader di Forza Italia al congresso del Ccd: «Il discorso di Berlusconi, che sembra la migliore traduzione del corretto tatarelliano di "andare oltre il Polo", insomma non prescinde dal Polo di oggi, ma lo integra e lo rafforza. Tatarella fu il primo e il più tenace nell'indicare, si può dire già mentre nasceva il governo Berlusconi di cui era il numero due come vice-presidente del consiglio, la necessità di allargare e consolidare l'alleanza. Ne parlò a lungo e agì con preveggenza, non sempre assistito dalla attenzione degli interlocutori vecchi e nuovi. Poco prima di lasciarci riunì in albergo di Roma molti esponenti del mondo politico, culturale e giornalistico, per dare vita al comitato per la cultura dell'alternativa. Lo ricorderà Arturo Diaconale, che con l'"Opinione" fu co-promotore dell'iniziativa tatarelliana sostenuta dal "Roma" e lo ricorderanno Massimo Pini e Fabrizio Cicchitto, Giuseppe Valditara e Margherita Boniver, Emmanuele Emanuele e Giorgio Fanfani e con loro molti altri esponenti del mondo laico e cattolico convinti della convergenza per sbarrare la strada alla sinistra. L'iniziativa si interruppe con la scomparsa del geniale esponente della destra ma l'esigenza dell'allargamento della coalizione è rimasta. La sostenne anche Gianfranco Fini e il tentativo successivo di alleanza con esponenti di centro e liberali da un lato rispondeva a questo schema, dall'altro assunse, nonostante la buona volontà di An, un significato polemico nel Polo che anziché allargamenti produsse equivoci nell'alleanza e danni per la quantità dei consensi per la destra. Dunque non dobbiamo guardare con diffidenza al tentativo innovato di "andare oltre il Polo" secondo una forma inventata da Tatarella e quindi coniata da An. Del resto questa indicazione di marcia non poteva che guardare al centro. Senza nulla togliere all'utilità di un chiarimento con le scarse forze che al di fuori di An si muovono nell'area più propriamente di destra, è al centro che bisogna guardare per ulteriori aggregazioni. Non ci sono dubbi. È lì che si deve riuscire ad andare "oltre", considerando geometricamente al centro anche le forze federaliste o laico-socialiste. Lo sapevano allora, lo sappiamo ora. Una destra aperta e generosa nelle strategie, con buona pace di chi va a guardare gli organigrammi del nostro partito per vedere quanti ex-missini ci sono, senza accorgersi che esponenti qualificatissimi di diversa provenienza presiedono assemblea nazionale, gruppi parlamentari, dipartimenti e consulte di primo piano (ci riferiamo alla rinnovata critica di Galli Della Loggia sul "Corriere" del 23 gennaio 2000). Oltre quindi. Senza remore. Per aggregare e vincere. Certo, sulla base di programmi e non solo per avere quantità senza omogeneità. Ma prendendo atto che il bipolarismo e An più di altri cerca questo schema anche con leggi elettorali che lo rendano irreversibile e maturo porta alla nascita di grandi e ariosi contenitori che non possono essere caserme abitate da uguali, ma vaste aree che unite su punti comuni, restano tuttavia portatrici di culture e sensibilità diverse. Guardando avanti però, verso nuove sintesi. Il che riduce la portata degli argomenti di Cossiga, il quale innestato profondamente nella storia italiana del dopoguerra, non riesce ad uscire dallo schema delle vecchie "chiese", che lo portano a riproporre, sia pure ora con linguaggi dotti e meno astiosi di altri momenti, "centri" in ogni caso distinti e forse ancora distanti dalla destra. Guardare avanti anche per non rinunciare alla percezione del Polo come forma di cambiamento. Non insomma gli ultimi di ieri, ma i primi di domani. Non il ritorno di ciò che fu, ma l'avanguardia di ciò che sarà. Questo sottolinea An. Nell'interesse di tutti i cittadini in primo luogo sfiduciati e bisognosi di modernizzazione della Nazione e delle istituzioni il nostro schieramento non deve farsi carico di un passato che con il correre degli anni si consegna, come sempre avviene, alla storia e ai suoi giudizi. Non possiamo pensare di vincere puntandoci l'indice a vicenda nell'area moderata, all'insegna di «tu non c'eri, cosa vuoi da noi?» o di rimando «c'eri anche prima torna a casa!». Il clima nel Paese è cambiato. Ne siamo consapevoli. La sfiducia e la crisi di un sistema politico che non esce da una interminabile transizione ci hanno fatto uscire da quella breve e intensa stagione di speranza di novità. I fremiti di fronte agli scandali, il crollo di partiti ricchi e potenti, aprirono spazi impensabili a forze nuove qual è stata An nei primi anni Novanta. Ci sono state fasi in cui siamo cresciuti di consenso e quindi di peso, più per i demeriti altrui che per le nostre stesse capacità, che pure pensiamo ci fossero e ci siano. Milioni di elettori privati dei loro abituali riferimenti si sono messi alla ricerca e in molti hanno premiato la nostra diversità, la nostra onestà, la chiarezza di Fini. Quella posizione di rendita si è esaurita e oggi si deve faticare molto di più per conquistare consensi. Per noi è finito l'effetto novità e veniamo giudicati per ciò che facciamo: premiati quando ci mostriamo capaci, puniti quando ci capiti di sbagliare o di non farci capire. Nulla di drammatico. Cambia il clima e bisogna averne consapevolezza. Alcuni eventi simbolici hanno disegnato la fine di questa stagione: le due assoluzioni di Andreotti, l'epilogo drammatico di Craxi e il dibattito che lo ha preceduto. Lentamente alcune fasce di opinione si sono riavvicinate ad antiche collocazioni e a precedenti modi di ragionare. Le delusioni causate dal "nuovo" hanno delineato dei ritorni. Fine dell'"anomalia" di una frenetica stagione italiana? Quella di tangentopoli e della possibilità di cambiare politica e istituzioni? Forse. Certo un cambio di clima e di sensibilità. Anche noi, orgogliosi della nostra diversità e della nostra integrità, dobbiamo fare uno sforzo. Chiedemmo ad altri di porre fine alla astrusa teoria marxista in base alla quale certi periodi della storia italiana potevano essere cancellati, come se non fossero esistiti. Dobbiamo fare altrettanto verso la storia del dopoguerra. Craxi diede quasi subito la sensazione di non far parte di quanti avevano una visione assurda e monca della storia d'Italia. Non c'erano per lui "parentesi nere" da cancellare, ma una continuità, fatta di cose giuste e di cose sbagliate. Tradusse in comportamenti politici quella rilettura (che nel campo storiografico aveva trovato l'emblema in Renzo De Felice e non a caso Giuliano Ferrara, allora ancora vicino a Craxi salutò con una stimolante intervista a De Felice sul "Corriere" l'elezione di Fini al vertice della destra alla fine del 1987) e pose fine nella sostanza alla discriminazione dell'"arco costituzionale", normalizzando i rapporti con la destra e iniziando uno sdoganamento che purtroppo alcuni soloni ancora non reputano completato neppure ai giorni nostri. Molte altre cose importanti Craxi fece, o tentò di fare in politica estera, per il recupero della dignità e della storia nazionale, per riformare le istituzioni. Poi ci fu il resto. Come dimenticarlo. Anche se la mancata punizione del sistema illecito in cui era immerso in Italia e all'estero il Pci, poi Pds, rende poco credibile una giustizia che ha colpito alcuni e protetto, volutamente e per un preciso disegno ideologico, altri. Se insomma abbiamo chiesto, e in qualche modo ottenuto, la rilettura di un passato più lontano (che fa parte della storia e che non è la ragione del nostro impegno politico nell'Italia del 2000), non possiamo evitarci analogo sforzo verso la storia del dopoguerra, compreso il capitolo craxiano. Luci ed ombre, corruzione ma anche cose che restano. Una storia, come tutte le storie, controversa. Ma non riducibile solamente ad un saccheggio attuato da bande di ladri ed assassini. È una bestemmia dirlo? L'Italia del dopoguerra è stata quella della sinistra Dc foraggiata dall'Eni di Mattei, ma anche quella dei progetti di indipendenza energetica di un "corruttore incorruttibile" quale fu appunto il fondatore dell'ente petrolifero. L'Italia di tanti scandali, ma anche quella della ricostruzione e del boom economico. Quella delle troppe deviazioni ma anche della ulteriore diffusione della cultura popolare. Noi per ragioni politiche e in taluni casi generazionali, siamo per lo più rimasti estranei a questa storia e ne abbiamo avversato molti protagonisti che inevitabilmente non abbiamo condiviso. Ma non possiamo considerare tutto da buttare o da dimenticare. Tempi di grandi contraddizioni, che hanno travolto perfino un gigante come Kohl, che sarà comunque ricordato come il riunificatore della Germania. I due temi, l'"andare oltre il Polo" e la rilettura del passato recente non sono slegati. Il centro si ritrova in una fase in cui molti vedono l'uscita da un tunnel. Ma taluni devono capire ciò, spettatori di questa sfida, perché non sempre si riesce ad essere buoni per tutte le stagioni. E il centro trova più spazio nel centrodestra dove non si imbatte in una egemonia post-comunista così priva di numeri che la legittimino, quanto arrogante nel volere imporre il proprio potere e i propri criteri di ammissione nel circolo dei "buoni" e dei "corretti". Noi dobbiamo fare la destra, non per rinchiuderci, ma con modernità. La destra che offre agli elettori una capacità di coerenza che altri, ai confini del Polo non sono riusciti ad esprimere. La destra che pone temi quali la sicurezza e la famiglia al centro del suo impegno. La destra che non si ammala di referendite ma vuole accelerare un cammino troppo lento verso il presidenzialismo (fu fermato anche il decisionista Craxi che invocava la "grande riforma", che non ci fu allora e non si vede neanche oggi) e il bipolarismo. La destra che difende una moderna solidarietà contro una falsa socialità che propone protezione ai garantiti e droga di Stato agli emarginati. La destra che vuole modernizzare l'economia, il mercato del lavoro e il sistema delle imprese, aprendo ad idee liberali perché pensa che per distribuire con equità la ricchezza prima bisogna produrla, secondo la lezione di Einaudi. La destra che non cede alla xenofobia ma pensa con convinzione che qualcuno debba occuparsi prima dell'Italia e degli italiani, pur nella consapevolezza dei doveri, anche di solidarietà, della nostra Nazione sul piano internazionale. La destra che apre alle realtà locali, senza rinunciare, nemmeno di fronte all'integrazione europea, all'idea di Nazione,ma consapevole che le comunità amministrate rivendicano poteri e risorse nel quadro di un federalismo moderno, delle responsabilità prima che delle rivendicazioni. La destra della cultura e del sapere, per vivere da protagonisti e non da colonizzati la stagione della grande sfida della comunicazione globale. D'Alema snocciola cifre sulla diffusione, certo non frutto della sua azione, di Internet in Italia, ma mentre negli Usa nasce il gigante dell'informazione totale con la funzione Aol-Time Warner, da noi la sinistra impone leggi per impedire persino la propaganda elettorale in tv, tranne quella degli imbonitori della sinistra fattasi regime. La destra del futuro e dell'intelligenza, che vuole cambiare una Italia che così non ci piace e che non può ripiegarsi su se stessa, cedere alla restaurazione. Certo tra i mille problemi e gli inevitabili limiti di un sistema politico, ma anche di una realtà nazionale, in profonda crisi. È difficile ragionare solo in termini di valori e di scelte assolute con uno schieramento avverso che mette insieme il liberista Dini e la terrorista Baraldini, i fianchi della Ferilli e gli appelli pomposi di Bobbio. Congressi che sembrano il festival di Sanremo e festival che sembrano occasioni di propaganda di regime (altro che spot a pagamento). Dobbiamo trovare il punto di equilibrio tra i grandi obiettivi ideali e di programma e la costruzione di uno schieramento, con il Polo e oltre il Polo, che ci consenta di vincere e governare. Nessuna paura quindi se quel che proponemmo prende corpo. Starà poi a noi, nel grande e aperto contenitore, ritagliarci il nostro spazio, con la forza della chiarezza, della coerenza e della qualità, prima ancora che con la "protezione" che in politica vale sempre poco. Riuscendo in questa fase ad offrire alla pubblica opinione come riferimento saldo per quella scelta di cambiamento che fu all'origine del successo del Polo e nello stesso tempo come persone coerenti, che restano là dove il consenso della gente li colloca, senza badare il tornaconto personale. Il che non è poco nell'Italia dei ribaltoni e delle idee cambiate come le camicie ogni mattina. Vivere insomma come una destra protagonista questa stagione nuova ed impegnativa della nostra azione politica, "oltre il Polo" con il Polo, come abbiamo detto da armi. Senza cedimenti ma senza presunzione. Con la capacità di capire il tempo che viviamo, di rileggere la storia, di aprirci noi prima ancora di altri al dialogo con tutti coloro che potranno condividere questo cammino, siano i nostri alleati di ieri e di domani, siano quegli esponenti di un mondo socialista che ruppe con la sinistra comunista stroncandone le ambizioni di potere, siano perfino quei federalisti leghisti o post-leghisti che hanno raccolto una parte di quelle istanze di cambiamento, gestendole con molte velleità e molta confusione, ma oggi interessati a formare uno schieramento di rinnovamento e cambiamento (e in questo animati da volontà analoga alla nostra) non certo una riedizione del centrosinistra. Ovviamente per essere protagonisti occorre il consenso, da conservare o riconquistare con la forza delle idee e dei comportamenti, facendo scelte chiare e comprese, evitando errori e non avendo troppe paure o troppa fretta. Il coraggio delle generazioni e non dei giorni, anche per noi, per costruire una destra di governo che superi i tanti esami a cui siamo sottoposti e che sappia con passo agevole continuare quel cammino forse troppo in salita, ma necessario per la nostra crescita e per dare all'Italia energie e volontà utili al suo futuro.
Maurizio Gasparri - gasparri@destra.it