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                                    L'opinione del Biologo,Prof.Carlo Da Pozzo

(ordinario di Biologia marina dell'Università di Pisa)
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Condivido in parte  alcune  tesi del Prof.Da Pozzo, ma per quanto riguarda i metodi con i quali qualsiasi parco dovrebbe essere istituito sono assolutamente daccordo con lui.

Gli stessi metodi e gli stessi macroscopici errori sono stati commessi e si continuano a commettere anche  nel caso del parco dell'arcipelago di La Maddalena o in quello in via di istituzione dell'isola di Tavolara-Capo Coda Cavallo.

Questo articolo è tratto dalla rivista "Nautica".

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L'OPINIONE DEL BIOLOGO di Carlo Da Pozzo.

Carlo Da Pozzo, ordinario di Biologia marina all'Università di Pisa, è uno degli studiosi che elaborarono lo studio di base, durato 3 anni, per l'istituzione del parco nazionale dell'arcipelago toscano che classifica come «realtà unica per dimensioni e composizione riunendo in un tutto armonico, ecosistema terrestre e marino, aree deserte ed aree antropizzate».

Da Pozzo è critico circa il quadro di inserimento e le metodologie che si usano per i nostri Parchi, a cominciare da quella che lui definisce la contraddizione della proprietà: in pratica - spiega - creiamo un'entità che non avendo la proprietà diretta delle zone da tutelare è soggetto alle decisioni di altre entità. Insomma il Parco è il gestore di un qualcosa per conto di altri: ciò limita moltissimo la sua azione creando inconvenienti formali. Diviene una sorta di appaltatore di visite guidate a qualche cooperativa locale o appaltatore di gestioni di oasi faunistiche, tipo WWF o Legambiente, addirittura una sorta di promotore turistico. Viceversa il Parco salvaguardia biologica e del patrimonio faunistico e, nel caso di parco marino, interagendo con le locali cooperative di pescatori.

Ma non solo: il Parco deve poter regolamentare anche le attività indirizzate allo sviluppo economico, perché se si lascia tutto alla legge di mercato, si avrà in breve un sovraccarico di strutture che peserà negativamente sull'ambiente e sul paesaggio e, in conseguenza, sulla domanda turistica.

Quest'ultima tenderà a scendere e per tentare di sostenerla si cercherà di abbassare ulteriormente il livello dell'offerta innestando un fit-back perverso che in breve porterà al degrado totale dei luoghi interessati.

Il Parco deve, dunque, essere visto come uno strumento capace di promuovere lo sviluppo economico nella salvaguardia della natura attraverso interventi razionali contenenti le giuste soglie dimensionali per tenere elevata la qualità dell'ambiente e in esso dei servizi. Penso, ad esempio, ai porticcioli che, presi in se, possono essere un intervento inquinante e, quindi addirittura contraddittorio con il Parco. Ma il divieto puro e semplice di costruirli, non serve a nulla, anzi. È come quando in una città si vietano al traffico alcune zone senza organizzare ai limiti delle stesse un sistema di parcheggi: è una sistemazione priva di giusta soglia dimensionale e, dunque, destinata a non essere accolta dal cittadino che la contesterà aggirandola o violandola. In mare è ancor peggio: imporre divieti totali in determinate aree da risanare o da proteggere senza aver predisposto ai margini di queste o in esse i punti d'approdo o di raccolta delle imbarcazioni con tutti i servizi ecologicamente compatibili a cominciare dagli impianti di depurazione, significa non voler tutelare l'ambiente anche perché è praticamente impossibile controllare chilometri di costa e, quindi, i furbi ci saranno sempre.

Ma c'è di più. Un Parco o è utile o meglio non farlo; e se si fa dev'essere fatto seriamente. Una «perla» in tal senso è il decreto istitutivo del Parco dell'arcipelago toscano, che contiene delle ingenuità folli e addirittura degli sbagli di latitudini e longitudini dei punti di delimitazione. Sbagli che a due anni dall'istituzione, non mi risulta siano stati ancora corretti. Attenzione, amici diportisti! perché fra la cartina del Parco che trovate sulla Gazzetta Ufficiale e le coordinate pubblicate dalla stessa non c'è corrispondenza; non si sa se fa fede la cartina o le coordinate, per cui si rischia di trovarsi in zona proibita senza volerlo e saperlo.

Infine vorrei dire che per far funzionare bene un Parco così esteso come quello dell'arcipelago Toscano, ma anche altri, devono essere dotati di molto personale, specie per i controlli a mare che, con tutta la buona volontà e collaborazione delle forze di polizia, mi pare utopistico riuscire a garantire. E poi controlli di che cosa? di quelle famose linee più o meno ideali di demarcazione tra le varie zone? Come indicarle efficacemente e con chiarezza? e, poi, da che distanza una boa è visibile? C'è quasi da auspicare che tutto resti ancora provvisorio perché finché il Parco non funziona a pieno regime c'è la possibilità, se gli organismi politici competenti lo vogliono, di correggere le storture. Inizialmente noi dell'Università di Pisa compimmo uno studio «con i fiocchi» sui vari aspetti della realtà dell'ecosistema terrestre e marino dell'arcipelago, da quelli fisici a quelli dell'analisi antropica, producendo in tre anni di lavoro intenso, 4 grossi volumi alti una spanna. C'erano anche delle proposte operative che riteniamo potevano trovare anche l'accordo delle popolazioni locali specie quelle del Giglio e Capraia. Un lavoro costato allo Stato 500 milioni che è rimasto nel cassetto, a disposizione, mai utilizzato. Ogni tanto qualcuno ne chiede notizia perché, magari, oggi, gli servirebbe davvero; ma niente di più. Pare, infatti, che si stia ricommissionando lo studio ad altri.

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Il parere dell'Associazione Culturale "Il Mare"

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