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STORIA DELL'ARCIPELAGO

DI LA MADDALENA DAL 1850

AD OGGI

Questo documento è stato parzialmente tratto dal libro di Gin Racheli, "La Maddalena e le isole intermedie" Pubblicato dalla casa editrice "Mursia" 

( condensato con la preziosa collaborazione dell'amico AugustoZedda )

1- Isole di granito, isole come fortezze

2- Attesa del nemico

3- La Maddalena oggi

4- La Marina Militare Italiana

5- L'arsenale

6- Il centro velico di Caprera

7- Il turismo

8- Un ruolo per il terzo millennio

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Isole di granito, isole come fortezze

La Maddalena nella seconda metà dell'ottocento:

le cave di granito, la Società di Mutuo Soccorso,

gli umori dei "Grandi"

Da quasi cinquant'anni i Maddalenini vivevano senza la base militare della Marina, in una condizione periferica rispetto alla loro vocazione: la maggior parte degli uomini era imbarcata, per anni lontana da casa, e i residenti si riducevano a donne e bambini, pensionati e pescatori. V'era un distaccamento militare in servizio presso i vari forti costruiti nel 1850, qualche nave da guerra di piccolo tonnellaggio e un modesto traffico mercantile.

Dalla metà del secolo, la popolazione si era stabilizzata sulle 1.800 unità con piccole variazioni in più o in meno. Gravava sull'arcipelago il destino della dipendenza da uno Stato lontano, non più percepibile nella presenza delle sue strutture; e di ciò gli abitanti si lamentavano.

L'elezione a propria residenza che Garibaldi ne fece, portò alle isole il conforto di un frequente movimento di visitatori e quello morale di averlo compaesano, ma non risolveva affatto il problema di dare alla cittadina la linfa vitale di un'attività propria.

Nel 1860, anche a seguito dei grandi lavori di fortificazione militare eseguiti dieci anni prima, il granito fu "scoperto" come importante materia prima e risorsa economica e ne fu avviata l'estrazione con metodi ancora primitivi a Cala Francese. Ma per ricavarne utili interessanti, data la durezza del lavoro, occorrevano mezzi meccanici d'avanguardia e molta manodopera.

Dieci anni più tardi la Banca di Costruzioni di Genova prese in concessione le cave per un trentennio: si trattava di tutta l'area compresa tra Nido d'Aquila e Cala Francese.

L'impresa fu impiantata in grande stile: si costruì nella cala la palazzina della direzione, un grande edificio dormitorio per gli operai, un pontile di imbarco del materiale; si misero in atto moderni mezzi di sollevamento e di trasporto; si reclutarono operai specializzati soprattutto in Toscana, Emilia, Liguria. Le prime grosse commesse di blocchi granitici furono spedite per la costruzione di palazzi e per la pavimentazione stradale di Genova.

Dopo qualche anno la banca genovese, per dissesti finanziari, dovette recedere dalla concessione, che fu assunta dall'inglese ingegner Bertlin: costui non aveva mezzi adeguati per finanziare una simile impresa, ma in compenso era dotato di grande intraprendenza commerciale e di sostanziosi appoggi e conoscenze a Roma.

Perciò lo splendido granito di La Maddalena andò ora ad abbellire la città eterna: il Ponte Palatino, le spallette del Lungotevere, il palazzo della Borsa. A Napoli fu fornito il materiale per grandi edifici; a Taranto per il bacino di Carenaggio.

L'ingegner Bertlin morì nel 1897 e il 1° maggio 1898 la concessione delle cave passò alla Società F.lli Marcenaro e Grondona di Genova che diede nuovo respiro alla tecnica di lavorazione e un impulso anche alla vendita.

Ci si rese conto infatti che il granito maddalenino non aveva confronto per qualità e durezza nel Mediterraneo ed era secondo nel mondo soltanto ai già famosi graniti di Scozia e di Norvegia. Nel 1901 veniva perciò fondata la Società Esportazione Graniti Sardi che promosse la vendita in molti paesi mediterranei e d'oltreatlantico. L'area di lavorazione venne portata a 170.000 mq, con una potenzialità di estrazione di 3 milioni di mc di granito; ogni giorno ne partivano da Cala Francese circa 350 tonnellate.

Sempre verso la fine dell'Ottocento si aprì la cava di Villamarina a S. Stefano, anch'essa fornitrice di una pietra di ottima qualità. Tra gli altri impieghi, il granito dell'Arcipelago si prestava ottimamente alla statuaria e servì per i monumenti a De Lesseps sul Canale di Suez e a De Gusmau, pioniere dell'aviazione a Santos.

La storia delle cave si arresta alla seconda guerra mondiale quando, per l'eccessiva incidenza dei costi di trasporto, esse vennero abbandonate improvvisamente; ed oggi è impressionante aggirarsi tra gli scheletri rugginosi delle gru, dei carrelli, dei binari, lasciati in sito com'erano nell'ora esatta in cui l'ultimo operaio cessò quel durissimo lavoro. A Villamarina è rimasta incompiuta la colossale statua alla memoria di Costanzo Ciano, già tutta ben lavorata dagli scalpellini, quale il fascismo la voleva erigere a Livorno. Il busto del gigante e sistemato a terra, candido, il capo ricoperto dalla berretta cerata tipica dei marinai, qua e là lo circondano i pezzi rovesciati del corpo che non verrà mai completato.

Gli scalpellini delle cave non erano nativi del luogo e mai i maddalenini ne assorbirono il mestiere, votati com'erano e come sono all'arte marinaresca. Anche la manovalanza veniva nella stragrande maggioranza dal continente e, tra questa, molti erano gli uomini che a La Maddalena trovarono il luogo lontano ove eclissarsi dagli occhi delle autorità per i loro trascorsi politici, specie anarchici e comunque rivoluzionari. Fu questo un fattore di turbolenza nell'assetto sociale dell'isola: gli abitanti non incorporarono i nuovi venuti, ma il malumore per l'assenza di prospettive marinare crebbe e infine si espresse in dispute interne.

Lo scrittore Florio Sartori in un suo libro sull'isola di Caprera e l'Eroe dei Due Mondi pubblicato nel 1888, annota che "I maddalenesi si abbandonarono alle questioni interne e spesso, divisi in partiti, si fecero delle guerricciole per interessi di amministrazione comunale od ingerenze consimili; non rinunziando pero mai alla speranza che qualche cosa si sarebbe pur fatto per migliorare la sorte del loro piccolo comune che in verità non si trovava in floride condizioni".

A fronte di questa litigiosità era andata però formandosi, certamente anche per l'influsso positivo della presenza di Garibaldi, la tendenza all'aggregazione sociale cosciente: nel 1881 fu fondata a La Maddalena la Società di Mutuo Soccorso, aperta a uomini e donne di qualsiasi condizione e ceto sociale. Ho rilevato tra i soci fondatori le seguenti qualifiche: ufficiale in ritiro, fabbro ferraio, marittimo, donna di casa, muratore, agricoltore, pensionaria, proprietaria, fanalista, pensionato, negoziante.

Nella prefazione all'atto costitutivo è dichiarato lo scopo di : "Tracciare all'uomo la via di poter porgere aiuto al suo simile senza degradarne la dignità". Perciò la parte intelligente di questo scoglio, stabilì di fondare una Società allo scopo di poter soccorrere il Socio che l'avversaria fortuna dei tristissimi tempi in cui si correva lo avesse posto in condizione di abbisognare.

Attesa del nemico

Il XX secolo si aprì dunque per La Maddalena in un generale vigoroso fervore di opere; la cittadina - che tale ormai era - mutava aspetto, si inciviliva, si allineava sul mare con l'ordine orizzontale delle banchine e dei moli imposti alla primitiva spiaggia, e con la scanditura verticale tra il centro civile, al comando in piazza Umberto I, e verso oriente fino alla Moneta.

Nel 1907, in occasione del centenario della nascita di Garibaldi i maddalenini vollero erigergli una colonna granitica commemorativa proprio all'imbocco del loro amato porticciolo.

Sulla scia della loro coscienza storica gli isolani posero anche una targa marmorea sulla casa in cui abitò Domenico Millelire.

La comunità isolana, insomma, esprimeva in tutti i modi della più civile coesistenza la consapevolezza del proprio ruolo di avamposto confinario della nazione nel punto strategicamente più importante del Mediterraneo e in un'epoca in cui le imponenti tensioni politiche internazionali potevano esplodere da un momento all'altro in un conflitto di grandi dimensioni.

Fino a tutto il 1913, il nemico che giustificava la piazzaforte di La Maddalena era la Francia, il più dei tre potenti partner della Triplice Intesa costituitasi nel 1907. Per poter valutare esattamente in quale considerazione fosse tenuto il nostro arcipelago dalle supreme gerarchie militari, mi è sembrato opportuno riportare alcuni stralci del "Promemoria sulla piazza di Maddalena" scritto dal Capo di Stato Maggiore della Marina e datato da Golfo Aranci, 3 settembre 1913; il documento, come tutte le altre notizie di questo tipo, si trova presso l'Ufficio Storico della Marina Militare di Roma: "Deve essere tenuto presente che la possibilità, per la flotta di giovarsi di Maddalena, e di importanza vitale per la difesa marittima dello Stato, perché è questa la sola posizione che consente, per la doppia uscita e per la sua ubicazione, di contrastare il dominio del Tirreno e del Mediterraneo occidentale contro una flotta superiore. La sua funzione strategica e dunque assai diversa da quella delle altre nostre basi; non è un centro di rifugio, ma è una posizione di manovra senza possibili sostituzioni; con inferiorità di forze mobili e senza l'appoggio di Maddalena le nostre sorti sul mare dovrebbero considerarsi grandemente precarie".

Il Promemoria illustra quindi tutta una serie di provvedimenti che avrebbero allargato il perimetro difensivo della base, potenziando le isole di Spargi e Razzoli, cioè i punti più vicini alla Corsica e più idonei al controllo delle Bocche di Bonifacio, mettendo in evidenza che: "numerose informazioni concordano nel far ritenere che sia nelle mire della Francia di fare un'azione rapida e vigorosa contro Maddalena: si ha notizia che si accrescono i contingenti di truppe nel sud della Corsica e che ivi si lavora a preparare punti di appoggio per le forze navali".

Ma l'imprevedibilità delle vie della politica e tale che, dopo neppure un anno dal "Promemoria" citato, le alleanze in Europa si capovolsero, si sciolsero le Triplici, l'Italia si trovò alleata di Francia, Inghilterra e Russia, contro Austria e Germania, e il mondo precipitò nel baratro della prima guerra mondiale.

Durante il conflitto, La Maddalena svolse il ruolo di centro operativo di vigilanza contro la potente flotta germanica, dotata di sommergibili, la quale perseguiva un sistematico intento di annientamento di tutte le navi che, specie dalle colonie rifornivano le potenze avversarie.

Appariva molto evidente che la vita dell'arcipelago era completamente dipendente dalla situazione militare e politica internazionale.

La Maddalena tornò alla ribalta. Mussolini la visitò una prima volta il 10 giugno 1923, per rendere omaggio alla tomba di Garibaldi, ma vi tornò il 10 giugno 1935, accompagnato da Ciano e Starace, per ispezionare le attrezzature militari.

Infatti, all'inizio degli anni '30 la situazione del mondo era già più che matura per una nuova e più tragica era di violenza; e il nostro amato arcipelago, termometro di ogni inquietudine del mediterraneo, registra tale febbre con un rinnovato fervore di opere di difesa. Dal 1932 al 1940 furono costruita le seguenti fortificazioni:

Spargi Batteria Rubin de Cervin

Spargi Batteria Pietragliaccio

Caprera Batteria di Poggio Baccà

Caprera Batteria di Messa del Cervo

Caprera Batteria di Isola del Porco

Caprera Bateria Candeo

Costa Sarda Batteria di Tre Monti

Costa Sarda Batteria Cappellini

S. Stefano Batteria di Punta dello Zucchero

Tali opere furono corredate da stazioni di vedetta, centri di fotoelettriche e radiotelegrafici, depositi in caverna e via dicendo. L'Ammiragliato però fu trasferito a Cagliari, nel 1933, il che lasciava intendere che La Maddalena era ora destinata ad essere avamposto di prima linea, tanto da consigliare che l'alto comando fosse dislocato in una zona più sicura. E' ciò la declassava, in pratica, a un ruolo ben diverso da quello che l'aveva posta nel Gotha della marineria nazionale.

E si precipitò nella seconda guerra mondiale.

La Maddalena oggi

L'isola di La Maddalena e in condizione di perenne sovrapopolamento,anche tenendo conto delle limitate strutture di servizio e ancor più della mancanza di risorse primarie locali; se poi si considera il dato della stagione turistica, l'isola soffre di una vera e propria asfissia da sovrappopolamento, superando di gran lunga l'indice di densità della disastrata provincia di Napoli.

Impressionante il raffronto con la densità di popolazione delle due province sarde di Cagliari e Sassari e si spiega in parte prece, sia il capoluogo di provincia sia la capitale regionale, non si siano neppure rese conto, forse per mancanza di esperienza, di questo fenomeno aberrante. Fenomeno che come si può constatare dalla tabella "storica", ha inizio nel 1891 con la seconda destinazione di La Maddalena a base militare marittima, e diventa clamoroso dopo la concessione fatta agli Americani per la base dei sommergibili nucleari.

I guasti più gravi di tale situazione sono due: il soffocamento e la conseguente morte della cultura e della tradizione locale oppressa da culture e nonculture esterne, provvisorie in continua rotazione; l’inevitabile e inarrestabile degrado del territorio e dell'ambiente naturale.

La componente demografica più dannosa è certamente quella americana, sia perché è stanziale sia perché non è stata assorbita completamente dalla popolazione.

La componente militare italiana non solo non è dannosa, ma fu la ragion d'essere stessa della comunità maddalenina. Tuttavia il contributo economico che essa da all'isola, un tempo esclusivo e determinante, è oggi secondario rispetto all'enorme apporto del turismo; pertanto i vincoli e i rapporti fiduciari tra popolazione e Marina sono andati allentandosi dopo gli anni '70, fino a scadere a semplici questioni sindacali e assistenziali. La Maddalena non riesce più a far cultura del suo matrimonio con le belle navi.

Quanto alla componente turistica, deve essere considerata per l'enormità del suo numero nei mesi estivi e per il conseguente impatto economico e logistico che esercita sui residenti. Va detto che l'invasione di luglio-agosto-settembre è uno degli elementi destabilizzanti primari, soprattutto perché assolutamente incontrollata, lasciata all'arbitrio dei singoli operatori o dei singoli turisti. durante quei tre mesi e durante il mese prima e due mesi dopo, i maddalenini sono concentrati su tre soli obbiettivi: prepararsi a servire quanti più turisti possibile, sfruttare la "vacca grassa" quanto più possibile, riposarsi e recuperarsi dopo l'assalto. Dunque, per sei mesi all'anno il ritmo di un ordinato e coordinato vivere civile e sospeso per la superiore esigenza della speculazione.

Tutte le attività tradizionali sulle quali questa comunità è nata e quelle che di tempo in tempo emersero prima dell'ultima guerra sono state posposte e condizionate al turismo: così abbiamo visto per la Marina; così è per la pesca, che negli ultimi vent'anni si è ridotta a un terzo per la conversione dei natanti in barche da diporto; così è per il commercio, che qui è sovradimensionato e comunque sproporzionato al numero dei residenti; ma i negozianti guadagnano tanto nei tre mesi della bagarre estiva da potersi permettere di tenere i negozi semivuoti o chiusi per il resto dell'anno.

Una delle caratteristiche di base del decadimento culturale e strutturale di La Maddalena è che sempre più qui tutti fanno tutto: ogni individuo in età lavorativa svolge da due a quattro attività e nei bilanci delle famiglie vi sono sempre, come minimo, due voci di entrata, la pubblica amministrazione e il turismo nelle sue numerose implicazioni. Ciò ha determinato il progressivo scadimento della professionalità e di conseguenza delle rappresentanze civili e culturali. Ne è risultata la grave instabilità e l’inconcludente delle amministrazioni comunali, l'alternarsi caleidoscopio di sindaci e raggruppamenti incapaci di governare l'Arcipelago, nella confusione di interessi contrastanti. Il concetto di "cosa pubblica" è stato smarrito.

L'arcipelago maddalenino non è l'unico in queste condizioni: un analogo malessere sociale accompagnato da grande ricchezza economica si riscontra nelle Eolie, nelle Egadi, nell'isola di Capri, a Ponza. Ma qui c'è di anomalo la compresenza di due grandi basi militari che si mischiano e interagiscono in forme talvolta grottesche con il business del turismo; basi che, come si é detto, concorrono a portare i livelli demografici a soglie da collasso, senza contribuire all'assetto culturale della comunità.

E torniamo quindi alla riflessione iniziale sulla capienza demografica delle Isole Minori: è un'aspetto che non è mai stato considerato in passato perché ol problema non si poneva; c'era una sorta di autolimitazione ecologica delle popolazioni, grazie al fatto che si viveva soltanto delle risorse primarie; quando pesca e agricoltura non potevano più sfamare gli abitanti, si apriva automaticamente la valvola dell'emigrazione. Oggi il mondo è cambiato. Si vive del terziario e di certe servitù economiche, politiche o militari.

Ma sarebbe, anzi è un errore madornale credere che non sia più necessaria l'autolimitazione ecologica, specialmente negli ambienti limitati per definizione quali sono le Isole. I risultati di tale errore sono già sotto gli occhi di qualsiasi persona ragionante, per quanto concerne il degrado ambientale; maggior acume e senso di responsabilità richiede invece la valutazione delle conseguenze socio-culturali, benché decine di libri dei massimi ricercatori mondiali ne segnalino la gravità da almeno un quarantennio.

MARINA E MARINERIA

La Marina Militare Italiana

Il destino, la vocazione vera e il seme culturale di queste meravigliose Isole intermedie è la navigazione, è la virtù marinara. Ogni volta che l'espressione massima di tale virtù, cioè la Marina Militare si è allontanata dalla rada di la Maddalena, l'isola e i suoi abitanti sono piombati nella crisi più nera. Non si dimentichi che la natura granitica non consente alcuna forma economica valida di agricoltura.

Una simile crisi, forse la più grave della sua storia, colpì l'Arcipelago dopo l'ultima guerra, quando il trattato di pace impose all'Italia, su richiesta della Francia, lo smantellamento della base navale di La Maddalena; a seguito di ciò, l'Ammiragliato venne trasferito a Cagliari, l'arsenale fu chiuso e la popolazione restò abbandonata a se stessa, obbligata a una massiccia e amara emigrazione.

Tuttavia la Marina intraprese, non appena le severe imposizioni internazionali lo consentirono, una serie di iniziative di recupero della sua presenza nell'importante scacchiere operativo del Nord Sardegna: nel 1949 trasferì da Venezia a La Maddalena la Scuola Meccanici e poco dopo da Portoferraio la Scuola Nocchieri; nel 1951 riprese a funzionare, sia pure con mansioni molto limitate l'Arsenale.

Tra il '64 e il '66, come conseguenza dell'entrata dell'Italia nel sistema difensivo NATO, la zona marina tra Olbia e la Maddalena venne inclusa nella sfera di interessi delle forze navali americane.

L'Isola di Tavolara fu in gran parte espropriata per costruirvi una potente antenna radio, mentre una vasta area dell'Isola di S. Stefano, sulla costa di levante, di fronte a Caprera, venne destinata a base di appoggio per i sommergibili nucleari statunitensi e se ne i iniziarono i lavori di allestimento.

Era il primo passo della pesante presenza nucleare americana nell'Arcipelago che scatenò una lunga serie di reazioni, probabile causa della decisione presa dallo Stato italiano nel 1978 di riportare a La Maddalena la sede del Comando Militare Marittimo Autonomo della Sardegna, cioè l'Ammiragliato.

Ciò determinò anche un ristabilimento dell'assetto socioeconomico della comunità maddalenina: furono potenziate le Scuole Allievi Sottufficiali della Marina Militare;

si provvide a disporre una rete di rilevatori automatici fissi per il controllo continuo del livello di radioattività in aria, sia presso il Comando, sia a Guardia Vecchia, all'arsenale e nelle Isole di Santo Stefano e Caprera. Periodicamente

-tramite il CAMEN- furono eseguiti controlli sull'acqua, sulla flora e sulla fauna marina; si formalizzò infine la collaborazione al lavoro del laboratorio fisso della provincia di Sassari, coordinando e garantendo così il complesso dei controlli.

L'ARSENALE

Nel 1982 si pose mano alla ristrutturazione e all'adeguamento tecnologico dell'arsenale, fondamentalmente pilastro dell'economia maddalenina, grazie all’emissione da parte del Ministero competente de "Nuovo Regolamento Arsenali".

Non un'operazione facile né indolore e tantomeno conclusiva, poiché lo stabilimento versava in uno stato di generale sfascio; tra lentezze burocratiche e difficoltà economiche, si cominciarono ad avviare i necessari processi organizzativi, affrontando problemi di assetto normativo, di ricostruzione delle infrastrutture, di adeguamento del personale.

Nel 1985 l'arsenale contava 500 operai, in gran parte maddalenini, 10 dirigenti e 80 quadri intermedi. e funzioni che il complesso svolge sono le seguenti:

-- manutenzione e riparazioni alle navi dipartimentali: mezzi della Capitaneria di Porto, della Finanza, dei Carabinieri, traghetti della linea con Palau;

--manutenzione di motori marini provenienti da altre sedi (lo stabilimento è in grado di soddisfare le esigenze di riparazioni navali fino alle fregate);

--lavori di grande manutenzione di mototrasporti costieri e navi-officina non dislocate in Sardegna;

--gestione delle linee elettriche di alimentazione dei fari del nord Sardegna (Capo Testa e Capo Ferro);

--dispone dell'unica camera di decompressione sempre efficiente in Sardegna;

--comanda il Parco Pompieri dell'Arcipelago;

--assicura il rifornimento idrico delle isole (funzione in via di superamento dopo l'entrata in servizio di un acquedotto sottomarino con la Sardegna;

--gestisce il deposito munizioni e missili della Marina Militare in Sardegna;

--effettua uno dei controlli di radioattività sulla base USA di Santo Stefano;

--svolge azioni di supporto sia per la cittadinanza che per la base USA di Santo Stefano.

Su una superficie totale del comprensorio di mq 134,611, l'area effettivamente coperta dagli stabili operativi e di mq 18,462.

Oggi l'arsenale eroga al personale di La Maddalena ben 15 miliardi di lire all'anno come stipendi e salari, interessando circa i due terzi delle famiglie locali.

IL CENTRO VELICO DI CAPRERA

Il CVC, come si usa scrivere tra gli appassionati del mare, va citato in questo capitolo "Marina e marineria" come l'iniziativa più nobile nata nell'Arcipelago dopo la guerra e la più degna di rappresentare una linea di continuità ideale con la grande tradizione marinara dei secoli scorsi.

Il centro nacque nel 1967, ad opera di un gruppo di appassionati del mare facenti parte della Lega Navale Italiana di Milano e del Touring Club Italiano; le due associazioni trovarono nulla Marina, nella persona dell'allora Capo di Stato Maggiore Ammiraglio Michelagnoli, il patronato, la comprensione e i contributi più ampi e immediati: nessun luogo in Italia si presta ad una scuola di vela come il ventoso arcipelago di La Madddalena e nessuna tra le sue isole offre condizioni di protezione e logistiche migliori di Caprera.

Perciò la Marina concesse al nascente centro la parte sud-occidentale dell'isola tra Punta Coda e il meraviglioso golfo di Porto Palma. Qui, sul lato di Punta Coda, sorgevano vecchi edifici militari con camerate, mensa, servizi, aule di lezione per il primo corso, quello di iniziazione.

Successivamente si costruirono due piccoli villaggi di tucul immersi nella macchia, l'uno ai piedi di Monte Fico su una piccola cala, l'altro sulla sponda Ovest di Porto Palma, per ospitare gli altri due corsi fondamentali, il Perfezionamento (che iniziò nel 74) e il Precrociera. Un quarto corso, il Crociera che ebbe inizio nel 70, essendo itinerante, non dispone di base propria, o per meglio dire, ha la sua base naturale in mare.

Nacque una carpenteria per la costruzione e la manutenzione delle barche, una veleria, un'officina meccanica; fu realizzata una rete idrica, furono installati generatori di corrente e un servizio antincendio mediante idranti ed estintori distribuiti nelle tre basi e lungo la stradina che collega correndo nell'inestricabile folto della macchia.

L'insieme del CVC non blandisce i potenziali allievi, anzi, nell'opuscolo di programma è esplicitamente scritto: "Qualora le prospettive che ti offriamo suscitassero in te delle perplessità, il nostro consiglio e di rinunciare ad iscriverti."

La durezza di queste discipline fu tanto salutare che già nel 1969 si formò spontaneamente una Associazione Allievi del CVC, che sei anni dopo entrò a far parte dell'Assemblea del centro come terzo socio, insieme con la Lega Navale Italiana e il Touring Club. Egli allievi che nel 67 furono 390, salirono a 824 nel 70, 1369 nel 75, e superarono i 1500 nel 1980.

A partire dal 74 il CVC fu riconosciuto affiliato alla Federazione Italiana Vela e il Ministero della Marina Mercantile lo abilitò a condurre corsi e a rilasciare patenti veliche a norma di legge,

Il CVC è collegato fin dall'origine al grande sodalizio velico francese, il Centre Nautique des Glénans, col quale avviene un continuo scambio di esperienze tecniche; fa parte infine dell'Associazione Internazionale delle Scuole di Vela.

Mi sono soffermata su tale iniziativa, perché essa rappresenta senza ombra di dubbio, una delle più importanti direttrici del futuro per La Maddalena e comunque quella che più di ogni altra corrisponde alla valorizzazione del luogo e delle sue tradizioni. Anche su scala nazionale, il CVC è una scuola di vita e non soltanto di vela; l'allievo vi riceve una formazione alla responsabilità civile ed ecologica sulla base di una continua sperimentazione pratica. oltre alla plasmazione del proprio carattere.

UN RUOLO PER IL TERZO MILLENNIO

Il Mediterraneo, cellula germinale delle grandi civiltà occidentali, deve essere salvato e preservato per più avanzati contatti, scambi e relazioni tra i popoli rivieraschi. Il compito della tutela ecologico-naturalistica del mare richiede basi operative "sul campo", attrezzate per le ricerche, gli studi, gli interventi di bonifica, la formazione e l'informazione delle leve giovani della marineria e delle discipline scientifiche, storiche e archeologiche.

E' questo il nuovo ruolo delle isole minori e, in particolare dell'Arcipelago maddalenino. La tutela dell'ambiente non ha nulla di passivamente conservativo nella prospettiva ecologica, ma è la condizione "culturale" di base per l'attività vitale delle comunità isolane nel futuro.

Qualsiasi attività economica - e tra esse l'alberghiera, la ristorazione, la navigazione - sarà dipendente e relativa, al servizio della gestione ecologica del mare e delle isole. Queste dovranno essere amministrate da esperti di ecologia, di pesca biologica, di botanica e forestazione; dovranno essere vere e proprie scuole del mare, vissute come centrali di formazione per i giovani operatori dell'ambiente. Dovranno ospitare scuole di vela come il valoroso Centro Velico di Caprera, scuole di biologia marina, botanica e forestazione, strumentista subacquea, pesca e maricoltura.

Ad una pseudo-economia turistica dovrà sostituirsi una solida, valutabile e programmabile economia ecologica, capace di gestire la selezione dei visitatori sulla base dell'obbiettiva capienza ambientale. Si determinerà così il passaggio dall'attuale innaturale dittatura delle generazioni assistite e ricche di speculazione, ai giovani professionalmente preparati, ricchi di capacità progettuale e di coscienza patrimoniale dell'habitat.

L'Arcipelago di La Maddalena ritroverà in tal modo il proprio ruolo intermedio tra Sardegna e Corsica, nel senso di centrale avanzata di tutela e coltivazione del Mediterraneo per il delicatissimo scacchiere delle Bocche di Bonifacio, nell'ambito di auspicabili accordi di collaborazione tra Italia e Francia e in concreta integrazione con le direttive ambientali comunitarie.

Si tratta insomma di sollevare il capo dall'ammorbante e riduttiva atmosfera che si respira oggi a La Maddalena condannata ad un turismo eccessivo e disordinato, ed immergerlo nell'aria fresca delle grandi correnti di pensiero e di realizzazioni ecologiche aperte al futuro. Certamente i maddalenini non possono essere lasciati soli in questo ardito giro di boa del Millennio: la Regione innanzitutto, lo Stato e la Comunità Europea sono implicati in primo piano nell'operazione, e i tempi sono maturi.

I Millelire, i Des Geneys, i Nelson, i Garibaldi restano al di là della penosa bagarre estiva dei tempi nostri, in attesa che le isole intermedie riassumano un ruolo di dignità umana in linea con quello che ebbero ai tempi loro.

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