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Il programma

 

C A T A L O G O 1 9 9 8

 

 

Prefazione

di Pietro Puccio (Presidente della Provincia di Palermo)

Il richiamo della terra, dolce e irresistibile, oggi è sempre più un grido muto, soffocato e disperato. Dare voce e spazio alla Natura, ascoltare le sue ragioni, arricchirci della sua pluralità crediamo sia oggi un dovere per ogni istituzione, non una scelta che può mutare a secondo della sensibilità dei singoli amministratori.

Lo scorso anno la Provincia di Palermo ha prodotto "Creola", mostrando la fecondità della contaminazione delle diverse razze e etnie, nella musica nell'arte e nella letteratura. Dimostrando come l'Ambiente diventa cultura, tante culture diverse quant'è vario il mondo, una cultura che cresce quanto più si alimenta delle sue radici.

Quest'anno, con questo festival, proponiamo una serie di documentari che vogliono guidarci alla riscoperta del pianeta, dei suoi mille suoni, colori, dalle molte genti e città. Un pianeta che rischia l'estinzione.

Si parla spesso dell'Uomo e della Natura, quasi si trattasse di due realtà distinte e separate, due realtà con interessi contrapposti e inconciliabili, da una parte il Progresso, l'Economia, dall'altro l'Ambiente.

Crediamo e vogliamo mostrare, invece, come non ci sia soluzione di continuità tra l'uomo e l'ambiente, ciò che si fa nel rispetto dell'uno è reale vantaggio anche per l'altro, ciò che trasforma l'uno muta anche l'altro. Non si può avere cura dell'uomo, cercare di bene amministrare se non c'è contemporaneamente considerazione e rispetto per l'ambiente, attenzione alle implicazioni ecologiche di ogni singola scelta politica e Amministrativa.

Non basta partecipare a conferenze mondiali sul tema. E' imprescindibile, ormai, l'impegno individuale ad ogni singolo livello.

Può sembrare banale, ma si tratta di iniziare a fare, in casa la raccolta differenziata dei rifiuti e di respingere con fermezza, nei più piccoli come nei più grandi dei Comuni, ogni tentativo di sanare gli abusi edilizi. Sono solo due esempi che ci riguardano da vicino, che ormai riguardano da vicino tutti i popoli, gli abitanti di Palermo e della sua Provincia, così come i Nativi d'America a cui dedichiamo, nell'ambito di questa Rassegna, una sezione apposita.

Vogliamo conoscere "l'altro"; in questo caso gli indiani americani, perché la sfida di questo fine millennio è riuscire a capovolgere il nostro punto di vista, quello egocentrico e utilitaristico della cultura europea dominante, senza mezzi termini. Questa amministrazione ha dimostrato come si può coniugare sviluppo e lavoro con la difesa dell'Ambiente, combattendo le speculazioni edilizie, accelerando il recupero del nostro patrimonio monumentale, inaugurando sentieri natura, promuovendo l'elevazione sociale.

Contro il livellamento e l'appiattimento di un inquinamento fisico e culturale soffocante e sterile.

 


 

Il Silenzioso Richiamo della Terra

Rassegna internazionale di documentari su l'uomo, l'ambiente, i popoli

di Giovanni Massa

Nel 1950, in un saggio dedicato all'Origine dell'opera d'arte, il filosofo tedesco Mertin Heidegger analizzava un quadro di Van Gogh intitolato Les Souliers; il quadro riproduce semplicemente le scarpe di una contadina del nord della Francia, scarpe contorte in una sorta di smorfia di dolore che contiene in sè tutta la storia di chi le aveva calzate.

Scriveva Heidegger: "...per le scarpe passa il silenzioso richiamo della terra, il suo tacito dono di messi mature e il suo oscuro rifiuto nell'abbandono invernale".

Era l'espressione dell'oggetto che, nella fissità e semplice materialità, assumeva tutto il suo carico di significati storici e sociali e, al contempo, tutta la sua forza drammatica.

A partire da quell'idea muove i suoi primi passi il Festival "Il Silenzioso Richiamo della Terra": non una semplice esibizione di documentari, per quanto pregevoli, sulla natura o sulle tradizioni dei popoli, ma una selezione che parte da una scelta di campo precisa, che tiene conto dei fattori storici come di quelli geografici, delle dinamiche sociali come dei fattori ambientali.

Il problema della salvaguardia ambientale, come sappiamo, è sempre esistito, anche se solo nell'ultimo secolo ha assunto dimensioni davvero ragguardevoli e preoccupanti; ma come si può distinguerlo da altre tematiche, a partire da quelle politico-diplomatiche, quando si pensi - ad esempio - alle conseguenze che la guerra del Golfo ha avuto sull'ambiente? In quei giorni, in un delirio di follia collettiva, ci si incollava davanti ai televisori a guardare le sibilanti linee verdi che rappresentavano altrettanti missili lanciati su Baghdad, oppure ci si scatenava in discussioni pro o contro la guerra che muovevano solo dal punto di vista della eventuale disponibilità di petrolio, per poi commuoversi, con non poca ipocrisia, alla vista della famosa immagine del cormorano ricoperto di olio nero, in seguito rivelatasi, forse, falsa. Persino il film di Herzog Apocalisse sul deserto è stato frettolosamente archiviato perchè non fosse ricordata la superficialità con cui quel conflitto è stato vissuto.

Il Silenzioso Richiamo della Terra vuole inserirsi in una linea di approccio al tema del tutto diversa: organizzato in due sezioni - la RASSEGNA e la MONOGRAFIA - vedrà, nella sezione RASSEGNA, una serie di documentari la cui scelta potrà sembrare inconsueta o persino "fuori tema", come nel caso della trilogia di Claus Strigel dedicata al rapporto tra l'uomo e le macchine (l'automobile, la televisione, il computer). Eppure è proprio questa la chiave per noi fondamentale: l'ambiente è sempre e comunque trasformato dall'uomo che, a sua volta, da esso viene trasformato.

Non esistono più, per quante illusioni ci si possa fare, ambienti "incontaminati"; già nel 1955 Claude Levi Strauss, in "Tristi Tropici", scriveva: "Oggi che le Isole Polinesiane, soffocate dal cemento armato, sono trasformate in portaerei pesantemente ancorate al fondo dei Mari del Sud, che l'intera Asia prende l'aspetto di una zona malaticcia e le bidonvilles rodono l'Africa, che l'aviazione commerciale e militare viola l'intatta foresta americana o melanesiana, prima ancora di poterne distruggere la verginità, come potrà la pretesa evasione dei viaggi riuscire ad altro che a manifestarci le forme più infelici della nostra esistenza storica?"

Abituati ormai da tempo a vedere i documentari pregevolissimi - e di grande successo - che la classica produzione di tradizione britannica sforna con regolarità e sistematicità certamente ammirevoli, stiamo forse dimenticando che esistono altri modi di raccontare il nostro mondo, altrettanto scientifici e pregevoli, ma puniti dallo schematismo imperante nei palinsesti televisivi. E, in tal senso, si inserisce anche la MONOGRAFIA, quest'anno dedicata al cinema e al video dei Nativi Americani. E' ancora Levi Strauss che ci suggerisce l'aggancio alla manifestazione nel suo complesso: "Ciò che per prima cosa ci mostrate, o viaggi, è la nostra sozzura gettata sul volto dell'umanità". L'"INDIANO", quello che il critico americano Leslie Fiedler ha definito l'altro per eccellenza - rispetto all'europeo - il cannibale, l'infedele perseguitato, sfruttato e persino deriso, rappresenta, insieme al Nero la distruzione dall'europeo sistematicamente perpetrata ai danni di civiltà e ambienti estranei.

Di lui, del Nativo Americano, sappiamo quello che il cinema - Hollywoodiano, in particolare - ci ha trasmesso, tralasciando di raccontarci che Egli non è un Egli, ma un Loro, dal momento che le

differenze tra Nativi e Nativi possono essere anche profonde e, come ci insegna Victor Masayesva, spesso gli indiani si sono combattuti tra loro, all'interno delle stesse tribù, come veri nemici; non solo, ma nessuno ci ha mai raccontato, a noi europei, che l'Indiano sa spesso essere divertente, spiritoso e raffinatamente ironico come di rado il WASP ha saputo essere.

Se oggi si dice: Il Cinema Indiano, nessuno, come è giusto che sia, immagina che si sta parlando dei Nativi Americani, ma anche se si prova a citare il Cinema dei Nativi non è raro che l'europeo "colto" pensi al cinema sugli Indiani Americani. Chi potrebbe immaginare, ancora oggi, che esiste il cinema - e il video - Nativo Americano, che esso è attivo, fiorente, ricco di inventiva e di forza critica, che al di fuori dei confini degli Stati Uniti è assai poco conosciuto - ad eccezione della Francia, dove da sempre c'è una grande attenzione per le cinematografie minori e che ha dedicato almeno tre retrospettive ai nativi Americani (Amiens, Douarnenez, Clermont Ferrand) - e che viene tuttora tenuto in un cantuccio dalla ostinata determinazione dei mezzi di informazione di massa nel propinarci solo notizie su divi e personaggi celebri, anche totalmente inconsistenti.

La MONOGRAFIA che dedichiamo ai Nativi Americani - in parte costituita da una rassegna intitolata Traveling with the Ancients , organizzata dal Museum Of Modern Art di New York - speriamo possa dirimere una serie di luoghi comuni e di false credenze su quel popolo che è stato definito Vanishing American, ovvero l'americano che scompare. Essi, in realtà, non sembrano affatto voler scomparire, nè danzare dipinti per un gruppo di turisti ottusi: essi intendono preservare la propria Cultura, che noi occidentali abbiamo cercato di cancellare.

Vanamente, come dice Braudel, perchè"le civiltà non sono mortali. Sopravvivono a metamorfosi e catastrofi, e all'occorrenza risorgono dalle proprie ceneri. Distrutte, o almeno danneggiate, risorgono come la gramigna".

 


 

INFORMAZIONI GENERALI

Il Silenzioso Richiamo della Terra è un festival non competitivo dedicato alle produzioni cinematografiche e video di documentari sull'ambiente, l'uomo e i popoli. Il festival vuole caratterizzarsi per un approccio alle tematiche ambientali fortemente problematico: non solo documentari sulla wilderness, ma tutto ciò che documenti senza falsi infingimenti le trasformazioni in atto nel mondo, le complesse relazioni tra l'uomo e l'ambiente, sia esso naturale che "costruito", siano tali relazioni improntate al rispetto che all'aggressione; e ancora: lo stato di salute dei popoli minacciati e uno sguardo attento sulle modalità con cui tali temi vengono affrontati dalle varie cinematografie del mondo, centrando l'interesse sulle produzioni più libere dai rigidi vincoli dei palinsesti televisivi.

Il festival si è svolto a Palermo (Italia) dal 20 al 24 Aprile 1998.

Le proiezioni si sono tenute presso i Magazzini Ferroviari della ex Stazione Lolli.

I documentari proposti sono stati proiettati anche nelle scuole medie di Polizzi Generosa, Bagheria, Capaci e Partinico e presso il Liceo Classico "Meli" di Palermo.

Il Festival è progettato e organizzato dalla C.L.C.T. - Cooperativa Lavoratori del Cinema e del Teatro (Palermo);

l'edizione 1998 ha avuto il patrocinio della Provincia Regionale di Palermo (Presidente: Pietro Puccio) - Assessorato alla Cultura (Assessore: Antonino Sole) e la sponsorizzazione di Renault Italia

 

Il Festival si è articolato in due sezioni: la Rassegna di documentari inediti (mai trasmessi da network pubblici o privati italiani) e la Monografia.

Per la Rassegna sono state selezionate 12 opere provenienti da Australia, Canada, Brasile, Francia, Regno Unito, Germania, Paesi Bassi, Cipro, Svizzera e Italia. A due Autori (Peter Von Puttkamer e Claus Strigel) sono state dedicate due piccole personali, con la proiezione di tre documentari per ognuno.

Gli Autori selezionati:

Sophie Bachelier

Sergio Baldassarini jr.

Claudio Cominelli e Alessandro Milini

Rolando Menardi

Andreas Pichler e Susanna Schoenberg

Claus Strigel

Nick Upton

Peter Von Puttkamer

Le produzioni selezionate per la Rassegna sono state presentate nel formato originale di distribuzione e le copie in lingua straniera sono state appositamente doppiate - o sottotitolate in video - in italiano.

 

La Monografia:

Cinema e video dei Nativi Americani

Le opere di Victor Masayesva

Personale di Sandra Osawa

Mostra fotografica di Victor Masayesva

Dedicata, nel 1998, alle produzioni degli Indiani d'America. I film e i video della Monografia sono stati presentati in lingua originale con sottotitoli elettronici.

 

Ringraziamenti:

Alessandro Aiello

Jane Balfour

Victor Boesen

Jane Jordan Browne

Peter Dawson

James Graybil

Filippo Grillo

Luciano Grillo della Berta

Alessandro Rais e la redazione di "Ad Occhi Aperti"

Stephen Vitiello

Centro Documentazione Aree Protette (Sondrio)

Electronics Art Intermix (New York)

Exil '84

Multimedia Product Development (Chicago)

Mursia editrice (Milano)

Museum of Modern Art (New York)

National Museum of American Indian (New York)

 


 

Le produzioni dei Nativi Americani: un potenziale in crescita

di Elisabeth Weatherford

(Direttrice del Dipartimento Cinema e Video del National Museum of American Indian di New York e organizzatrice del Native American Film and Video Festival, a cadenza biennale)

 

Le produzioni cinematografiche, video e radiofoniche degli Autori Nativi Americani sono in crescita in tutta l'America. Questo fenomeno è iniziato venticinque anni fa, ma gli ultimi cinque anni sono stati particolarmente produttivi. Lo spettro di soggetti è ampio e spazia dalle produzioni documentarie alla fiction, alle produzioni sperimentali, ai video musicali. I produttori si rivolgono in genere a un pubblico locale, ma aspirano a un'audience nazionale o internazionale, sia televisiva che cinematografica.

Molti Autori Nativi Americani sono attivi nella politica e nella cultura e usano i media come strumenti per sottolineare l'autonomia e l'integrità della società Nativa contemporanea. Nelle loro produzioni e negli sforzi che compiono per portare a termine i propri lavori, i Nativi formano alleanze. Leader delle comunità indipendenti come Victor Masayesva, Alberto Muenala, Gary Farmer e molti altri scrivono sull'argomento.

Un obiettivo è quello di dimostrare che la produzione di audiovisivi, nelle mani di Indiani e Inuit creerà un'estetica unica, contribuendo al superamento degli stereotipi.

Il documentario è stato certamente il genere preferito dagli Autori Nativi, interessati a dimostrare come faccia difetto, nella società americana, un autentico punto di vista sulla storia dei Nativi Americani.

Come produttori indipendenti essi possono raccontare storie Indiane in modo intelligente e accurato. I documentari degli Autori indipendenti Nativi sono stati sostenuti da fondazioni, enti pubblici e da televisioni locali e nazionali (sebbene persino un lavoro finanziato dalla televisione potrebbe essere non programmato, come nel caso di Imagining Indians di Victor Masayesva, prodotto con il contributo del prestigioso e altamente competitivo Independent Television Service).

Molti autori Nativi di documentari fanno attenzione a produrre i loro video con la collaborazione della comunità di appartenenza, cercando il consenso e il controllo degli anziani della comunità, portando avanti intese per i progetti. I gruppi di produttori Nativi del Nord America - l'Aboriginal Film and Video Artists Alliance canadese (sia le organizzazioni nazionali che locali) e la Native American Producers Alliance negli Stati Uniti - hanno lavorato con comunità in cui diversi film sono riusciti ad avere una distribuzione e hanno aiutato le decisioni delle comunità relativamente alle location in cui "Hollywood" voleva ambientare i suoi film.

L'Aboriginal Film and Video Artists Alliance dell'Ontario segue un progetto a lungo termine per identificare una metodologia adatta per gli anziani della tribù, così come per rendere disponibili, in queste comunità video makers professionisti.

I documentari dei produttori Nativi Americani hanno affrontato numerose problematiche. Victor Masayesva ha prodotto i suoi lavori con sensibilità da sperimentatore, esplorando complesse questioni della storia della comunità Hopi a cui appartiene e ponendo il pubblico a confronto di una visione forte della natura intrusiva della cultura bianca su quella dei Nativi Americani.

Sandra Sunrising Osawa ha usato il documentario per raccontare storie di violazioni di trattati e di dirittti territoriali compiute ai danni di varie comunità in questa seconda metà del XX° secolo. Ha anche seguito le vicende di artisti Nativi. In tutti i suoi lavori ha posto l'accento su individui le cui vite dimostrano la grande diversità - e qualità inconsueta - degli attivisti e artisti Nativi.

Le lotte dei Mohawk per la terra, a Oka, sono il soggetto di Kanchsatake, 210 Years of Resistance di Alanis Obomsawin vincitore del premio per la regia del National Film Board of Canada. Dalle ore di riprese prodotte, Alanis Obomsawin in anni recenti ha cominciato a realizzare profili di singoli Mohawk. Il suo più recente film, Spudwrence-Kahnesatake Man racconta la vita di un Mohawk che lavorò alla costruzione di grattacieli, la vita della sua famiglia e il suo attivismo a Oka.

Il documentario ha anche affrontato questioni legate alla ricerca della identità personale, come nel caso di Beverly Singer, che ha intervistato Nativi Americani in fase di disintossicazione dall'alcolismo. Donne Native che dimostrano la propria indipendenza e il proprio lavoro di video artiste, queste registe mostrano i problemi non solo in termini di lotta per il potere ma anche nelle sofferenze causate in singoli Nativi da un'atmosfera di razzismo e di confronto violento.

Presentare la storia da un punto di vista Nativo non ha significato semplicemente riscrivere gli stessi eventi che gli storici non-Nativi hanno raccontato. Significa focalizzare l'interesse su eventi o su persone importanti per le comunità e su quali siano stati gli effetti di tali eventi o di tali uomini sulle comunità.

In Warrior Chief in a New Age il videomaker Dean Curtis Bear Claw racconta le decisioni prese dai due capi dei Crow nel periodo di transizione del proprio popolo verso il modo di vita tipico della Riserva. In questa riflessione Bear Claw centra il suo interesse anche sulle diverse qualità dei due leader di quel tempo, che si rifugiavano nelle visioni ed erano profondamente spirituali nel prendere difficili decisioni nell'interesse dei Crow. Transitions, di Darrel Kipp e Joe Fisher, che vivono nella Riserva Blackfeet del Montana, documenta l'importanza , per la comunità, di preservare la lingua madre. Il video è stato prodotto sotto gli auspici del Native Voices Public Television Workshop del Montana. Questo innovativo workshop, diretto da Dan Hart, sollecita proposte di autori Indiani dell'Oregon, Idaho, Montana e Dakota e, per quelli selezionati, fornisce un sostegno alla produzione. Un buon numero di produzioni in lingua Blackfeet, sulla storia della diga costruita nella Riserva Flathead, ha mostrato al pubblico il punto di vista della comunità rappresentata. Il Native Voices Public Television Workshop mette insieme produttori di talento e autori Nativi con importanti storie da raccontare, alcuni dei quali, fino a quel momento, non avevano avuto nulla a che fare con la produzione di film.

Recentemente il noto regista Blackfeet George Burdeau ha raccontato il suo ritorno alla vita nella Riserva nel suo autoriflessivo documentario sulla comunità Blackfeet e sul fare film Backbone of the World (il suo produttore esecutivo Darrel Kipp sta diventando un regista di successo). Burdeau ha prodotto importanti documentari per la televisione pubblica, negli Stati Uniti, incluso Surviving Columbus , un lungometraggio di 2 ore realizzato nel 1992, l'anno che doveva celebrare la scoperta di Colombo del nuovo mondo e che divenne l'anno in cui decollò l'interesse degli Americani per la storia delle popolazioni indigene.

In un limitato numero di casi una stazione televisiva regionale è divenuta produttrice ed emittente di lavori di comunità Native, in particolar modo per lavori in lingua madre. A Bethel, Alaska, che è una piccola città in una regione prevalentemente Yup'ik - Eschimese, il produttore Yup'ik Alexie Isaac, che lavora per la radio e televisione KYUK, ha realizzato numerosi documentari sulla vita nei villaggi, focalizzando l'interesse sulle straordinarie danze tramandate nella comunità. Ha documentato il recupero della tradizione di scolpire maschere, un tempo compito esclusivo degli sciamani, e il loro uso nei riti tradizionali Yup'ik. Il suo lavoro più recente affronta il tema dei guaritori e il loro uso di medicina tradizionale e non tradizionale. Isaac produce anche il programma giornaliero di notizie in Yup'ik per l'area essenzialmente rurale servita dalla stazione radio ed è stato a New York per trasmettere in Yup'ik l'inaugurazione di una mostra presso il National Museum of American Indian.

In tutte le comunità americane il coinvolgimento nella produzione di film e video è stato il principale obiettivo raggiunto da molti autori Nativi. Tra le Nazioni Native latino-americane l'accesso alla produzione video è relativamente recente. Per molti che vivono in comunità remote il proprio pubblico d'elezione è la comunità stessa e, tutt'al più, pochi altri vicini indigeni, utilizzando i media per aiutare la sopravvivenza della comunità.

Quando il filmaker Quichua Alberto Muenala fu Direttore Artistico del primo Film and Video Festival di Abya Yala, nel 1994, il festival si aprì, per la prima volta, alle comunità indiane, avendo portato il team di presentatori e l'equipaggiamento di proiezione nei cuore delle comunità.

A partire da questa esperienza Alberto Muenala ha potuto concepire una forma di "televisione comunitaria" resa possibile dal trasferimento delle videocassette nelle varie stazioni locali.

In alcune zone degli Stati Uniti alcune tribù sostengono dipartimenti per la comunicazione, sia per creare una documentazione da usare in occasione di eventi culturali regionali, sia per realizzare documentari ad uso didattico, sia per i ragazzi Nativi che non-Nativi. Con l'economia tribale profondamente in crisi questi progetti sono stati ridimensionati, ma alcuni gruppi, come la tribù degli Indiani Ute, la Nazione Creek e il distretto scolastico Alaskan Northwest Arctic, che serve una popolazione principalmente esquimese, hanno prodotto molti video per uso locale e per una distribuzione a scopo educativo.

Isolate comunità utilizzano il video per un pubblico essenzialmente locale, con una programmazione didattica e di news. Il video è anche visto come uno strumento per comunicare all'esterno le proprie strategie di sopravvivenza. Le produzioni Native sono spesso portate avanti da lavoratori non-Nativi, attraverso alleanze con la comunità.

In Brasile il progetto "Video nas Aldeias" ("Video nei Villaggi"), ha avvicinato il mezzo video a molte tribù del nord Amazzonia, inclusi i Waiapi, nel momento in cui era necessario affilare le armi in ogni modo contro l'espropriazione delle loro terre e della loro cultura.

Data la sua importanza, la produzione video è saldamente nelle mani dei leader riconosciuti delle comunità.

In un recente lavoro il lader Waiapi Kasiripina ha mostrato la sua gente, vestita con perizoma di cotone rosso e ornamenti tradizionali, mentre danza la rinascita del serpente sacro nella notte dei tempi. Kasiripina inizia il suo film spiegando che ciò che sarà mostrato sono aspetti della vita che la sua gente desidera che gli stranieri conoscano. Kasiripina sa che un film indipendente sul capo Waiapi Wai-Wai può aiutare il successo della sua tribù nel prevenire l'invasione delle proprie terre. Con l'assistenza dei lavoratori di "Video nas Aldeias", Vincent Carelli e Dominique Gallois, entrambi registi Waiapi e Xavante, così come il Caimi Waiasse, producono lavori che mostrano alla propria gente le possibilità della televisione.

In Messico la produzione video della comunità Indiana è cominciata sotto l'egida dell'organizzazione antropologica nazionale, l'"Instituto Nacional Indigenista", ma si è sviluppata in modo da coinvolgere le comunità indigene. Un centro di training e di post-produzione opera a Oaxaca sotto la direzione di Guillermo Monteforte e tutti quelli che hanno seguito i corsi al centro sono tornati presso le loro comunità per produrre lavori di specifico interesse, con attrezzature video fornite a ogni comunità. Per fornire un servizio a dimensione più regionale, un secondo centro sta per essere aperto a Michoacan. Dal 1994 è offerto un corso di quattro anni e i videomakers che seguono questo programma - nonchè videomakers di altre comunità che hanno cominciato a lavorare indipendentemente - hanno formato la prima associazione di Produttori Indipendenti Messicani.

Nel 1995 alcuni di questi produttori hanno mostrato i propri lavori in festival fuori dal Messico e hanno cominciato a estendere i contatti con il movimento di produttori indigeni dell'intero continente. La premiata filmaker Teofila Palatox e Juhan Caballero, guida dell'Associazione di Produttori, sono leader di questo movimento.

I fimakers indipendenti Nativi stanno anche cominciando ad accostarsi alle possibilità espressive della fiction. Questo non solo mostra la loro capacità immaginativa nel raccontare storie in modi nuovi, ma riflette anche la loro ambizione ad allargare il più possibile il proprio pubblico e raggiungere i massimi livelli del cinema.

Il particolare vantaggio dei registi nativi è che i soggetti Indiani sono stati spesso stereotipati, a Hollywood. Solo raramente Hollywood ha saputo guardare al complesso carattere dei Nativi Americani e alle loro storie moderne. I registi Randy Redroad, Chris Eyre, Zacharias Kunuk e Alberto Muenala hanno prodotto cortometraggi che hanno fruito di un'audience internazionale, sono stati proiettati in festival e in rassegne. Eyre e Redroad hanno anche avuto prestigiosi riconoscimenti, come quello del Sundance Institute Director's Workshop e del Rockefeller Foundation's Intercultural Media. In High Horse (1991) Redroad fa il ritratto di una giornata nella vita di un garzone Nativo Americano a New York con le complicazioni che l'ambientazione urbana comporta nel narrare storie di nativi. Eyre è coinvolto in racconti di episodi della propria storia, di cui il cortometraggio Tenacity è una parte e il cui seguito è un lungometraggio attualmente in produzione.

Il regista Inuit Kunuk, lavorando in partecipazione con il videoartista canadese Norman Cohn, ha fondato una società indipendente di produzione a Igloolik (Territori del Nord-Ovest). Le sceneggiature di Kunuk sono ambientate nella sua comunità, negli anni '40. La gente vive in modo tradizionale e il video riflette un forte senso di humor e di senso del ritmo. Ma il dialogo si sposta dalla discussione sulla ricerca del successo a una riflessione sul racconto di una guerra distante resa familiare dalla radio. Ambientato in spazi tradizionali e luoghi stagionali, i lavori sembrano quasi una documentazione o sottolineatura di pratiche tradizionali. Ma le storie riflettono gli eventi imprevedibili che possono capitare nella vita di una persona e il modo - tutto Inuit - in cui le azioni sono vissute dalle persone coinvolte. Kunuk ha ricevuto una borsa dal Canadian Arts Council per produrre una serie in molte puntate da trasmettere in televisione via satellite attraverso tutto l'Artico.

Alberto Muenala affronta le differenti possibilità del suo paese, l'Ecuador.

Sebbene la popolazione Nativa è di ragguardevoli dimensioni, gli indigeni hanno poco potere e molti di loro conducono una lotta politica e credono nelle organizzazioni politiche indigene.

Muenala è un filmaker indipendente, ma anche un componente del CONAIL, che cerca di portare la comunicazione audiovisiva controllata dai Nativi a quella larga fetta di popolazione rurale che vive nelle Ande e nell'Amazzonia. Nel suo video Mashkuna (che significa Compañeros, in Spagnolo) racconta la storia di un'amicizia tra ragazzi, ribelli fin da piccoli, a un sistema di pregiudizi contro gli Indiani e della tragica repressione del loro attivismo politico giovanile. Muenala ha una grande fiducia nelle possibilità del cinema di trasformare la società. Come ha scritto lui stesso: "E' tempo di cambiare l'ideologia nei confronti dei nostri popoli. Ci sono quelli che pensano che noi siamo "gente naturale" e loro sono apertamente critici nei nostri confronti se noi abbandoniamo le nostre capanne e cambiamo i nostri abiti tradizionali... Noi subiamo le conseguenze di una colonizzazione che non ha permesso lo sviluppo di un linguaggio cinematografico. Solo attraverso la rottura del linguaggio coloniale, assumendo una propria identità, potremo trasformarci e sviluppare un immaginario nuovo..."

 

Nel suo lavoro Harriet Skye esplora il proprio difficile passato e la propria volontà di sopravvivere e migliorare. Per Catherine Ann Martin e Christine Welsh tornare alle comunità delle proprie famiglie crea un film che riflette il personale rinnovamento e la forza della vita della comunità.

Entrambe queste registe Il regista Hawaiiano Puhipau si è concentrao sull'invasione delle Hawaii da parte degli Stati Uniti, quando la sua terra natia era una nazione sovrana, in Act of Wai and The Tribunal.

Recenti lavori affrontano il tema della ricognizione e dell'aiuto alle tradizioni religiose dei nativi. In Everything has a Spirit Ava Hamilton e Gabriel Dech spiegano le ragioni dell'American Indian Religious Freedom Act.

 


 

Finire e Ricominciare

L'Opera di Victor Masayesva, Jr.

di Elisabeth Weatherford

(Direttrice del Dipartimento Cinema e Video del National Museum of American Indian di New York e organizzatrice del Native American Film and Video Festival, a cadenza

 

Fin dalle sue prime produzioni video, negli anni '80, il cineasta Hopi Victor Masayesva, Jr. ha mostrato una complessa sensibilità e un forte senso della comunità di appartenenza.

Vivendo nella comunità Hopi di Hotevilla, Arizona, e partecipando a una serie di attività legate all'audiovisivo, Masayesva integra esperimenti fortemente legati alla tradizione degli Indiani Americani con le diverse riflessioni sulle espressioni Native Americane riscontrabili nelle produzioni artistiche, accademiche e audiovisive.

Inoltre, per la crescente cerchia dei produttori Nativi, Masayesva è una figura di primo piano per un altro motivo: è personalmente impegnato a sviluppare nuovi modi per contribuire a far emergere negli stati Uniti e nel mondo il movimento dei cineasti e videomaker indigeni. Masayesva è infaticabile nella creazione di progetti che incoraggino questa crescita e in recenti dichiarazioni ha anche ipotizzato con quali mezzi i produttori Nativi Americani possano metter a punto una specifica estetica del proprio punto di vista culturale e artistico.

Masayesva è indipendente nella prospettiva e nella pratica e nel suo lavoro evita il didascalismo tipico dei documentari. Spesso il pubblico guarda questi lavori con le idee preconcette di come debbano essere rappresentati gli Indiani, le loro storie e la loro cultura. Masayesva non crede che le culture Indiane possano essere ridotte a semplici metafore subordinate ai fini della discussione, strategia frequentemente usata dall'antropologia. Sostiene, ad esempio, che le ricerche dei documentaristi-etnologi tendono a presentare gli Hopi come un "popolo pacifico". Ma in almeno una delle sue produzioni, Itam Hakim Hopiit ("Noi, qualcuno, gli Hopi") del 1991, Masayesva inizia la sua narrazione evocando la storia di una accanita e sanguinosa lotta tra Hopi. Inoltre Masayesva svela le notizie in modo graduale, come per rispecchiare i modelli Hopi di insegnamento in cui l'iniziazione alle implicazioni della conoscenza è una condizione essenziale per poter recepire ulteriori informazioni. L'informazione è svelata in modo da essere recepita a differenti livelli di comprensione, in funzione della familiarità del pubblico con la cultura degli Hopi e, in generale, dei Nativi Americani.

Sostanzialmente basato su interviste, Imagining Indians presenta le esperienze di numerosi indiani, il cui peso è tale da far divenire un "caso" l'intrusione del cinema nelle comunità indiane. Con attitudine sperimentale verso il mondo dell'espressione audiovisiva, Masayesva cerca ricche associazioni di immagini in tutta la sua opera. In Pot Starr (1990) sperimenta l'animazione nella sequenza di apertura di un video realizzato per l'allestimento di una grande mostra di ceramica Pueblo in un museo. Nella sequenza, una donna nativa in costume tradizionale che trasporta un vaso per l'acqua è vista mentre cammina sinuosamente verso l'acqua, arguto riferimento all'immagine erotica di donna con vaso spesso osservata nelle cartoline del sud-ovest. Masayesva usa l'animazione, in Pot Starr, per esprimere la complessità del sacro, riorientando lo spettatore su ciò che la ceramica Pueblo significa e mostrando come la pittura dei vasi e i motivi simbolici usati ruotino attorno al paesaggio Indiano, in cui abissi, picchi e corsi d'acqua sono spesso luoghi sacri. In Ritual Clowns anima i simboli della grafica Hopi e le figure che rappresentano vari sacri clown Hopi, per dare un ritratto del protagonista chiave della storia tradizionale Hopi, con la sua enfasi sugli aspetti dirompenti e creativi dell'esistenza.

L'arte di Masayesva si estende ad altre tecniche video. Coinvolgendo i vari livelli dell'essere che sono rappresentati nella storia Hopi delle origini, Masayesva inventa, in Ritual Clowns, un elaborato quadro grafico attraverso cui sono proiettate immagini di armonia e distruzione. I suoi esperimenti con il colore portano alle estreme conseguenze alcuni dei suoi lavori. Itam Hakim, Hopiit è caratterizzato da un lungo intermezzo di immagini ripetitive di conquistatori, in sfumature di colore distorte dalla manipolazione digitale.

Masayesva partecipa attivamente alla comunità Hopi fortemente tradizionale di Hotevilla, ed è tuttora coinvolto con i molteplici aspetti del mondo delle mesas Hopi.

Ancora adolescente ebbe l'occasione di frequentare una esclusiva scuola preparatoria di New York, per continuare poi gli studi alla Princeton University. Lì iniziò a esplorare, per il suo corso di studi, la storia culturale degli Hopi. Masayesva si rese conto di non essere disposto a scrivere i suoi lavori in alcuna altra lingua che l'Hopi. Da quel momento decise che la sua capacità espressiva non sarebbe stata al servizio della lingua inglese: il linguaggio visuale e la lingua Hopi sarebbero stati i suoi strumenti di comunicazione.

Quando tornò alla sua comunità, Masayesva fu coinvolto in una serie di progetti riguardanti la fotografia. Nel 1980, nell'ambito di un programma federale di Ethnic Heritage , un'iniziativa di breve vita per lo sviluppo di specifici "curricola" culturali, Masayesva creò un progetto con la scuola della comunità Hopi in cui le tradizioni orali degli anziani sarebbero state usate per insegnare agli Hopi lingua e valori, così come per diffondere la conoscenza delle loro capacità professionali tradizionali. Per il progetto iniziò a usare una videocamera e insegnò a un gruppo di studenti Hopi di istituti superiori la produzione di video. Ironia della sorte, Masayesva ha recentemente scoperto che questi primi nastri sono stati distrutti dalla scuola. Nel raccontare questa storia Masayesva non esita a ricordare come questo, per un videomaker, dimostri la fragilità del suo lavoro. Forse tale azione dimostra la difficoltà di stimolare l'interesse per l'eredità tribale tra la gioventù indiana. Ma forse rivela anche un altra questione fondamentale: la preservazione di oggetti non è importante, purchè venga assicurata la continuità delle pratiche tradizionali. Per esempio, le maschere dei danzatori cerimoniali devono essere sepolte con l'utilizzatore dopo la sua morte, piuttosto che preservate in sua assenza. Per gli Hopi il videotape ha una ambigua relazione con la vita vissuta e può sembrare un inappropriato mezzo per prolungare oltre i limiti naturali della vita l'immagine degli anziani.

L'inizio del lavoro di Masayesva è stato caratterizzato da un contesto in cui la comunità aveva grande interesse per l'inizio di un processo di documentazione. Fin dai primi giorni della fotografia, nel diciannovesimo secolo, fotografi e turisti videro gli Hopi e le loro danze come un interessante soggetto. La qualità distintiva degli Hopi, che include la più antica comunità conosciuta negli Stati Uniti, Oraibi, portò gli antropologi e gli scrittori popolari a cercar di penetrare il sistema filosofico Hopi, mentre missionari e insegnanti tentarono costantemente di alterare questa filosofia. Filmare gli Hopi è stato uno strenuo tentativo da parte di documentaristi bianchi, musei di collezioni artistiche Hopi e antropologi.

 


 

Intervista a Victor Masayesva jr.

a cura di Giovanni Massa

 

Giovanni Massa: Ti ho visto fare delle fotografie, qui a Palermo, proprio come avrei fatto anch'io se fossi venuto a Hotevilla. C'era però, mi pare, una differenza di atteggiamento tra il tuo modo di fotografare e quello di noi turisti occidentali (noi siamo sempre turisti, anche quando fingiamo di non esserlo e, soprattutto, quando fingiamo di essere dei "viaggiatori"): la differenza tra chi (come gli europei) vuole appropriarsi di un'altra "cultura" sperando di modificare il proprio status culturale (ovvero di esserne trasformato) e chi, invece, utilizza la propria sfera culturale per avvicinarsi ad altre realtà, con la coscienza che esse non potranno che rafforzare la propria identità specifica.

 

Victor Masayesva: Viaggiare, per me, è spesso un opportunità per apprendere. Ho radici molto profonde nel luogo in cui vivo, non come i miei amici non-Indiani, che sono molto mobili; penso che questo radicamento mi differenzi dagli altri turisti. In più raramente (se pure mai) io viaggio per divertimento, vacanza o piacere.

Se la destinazione del viaggio è una piccola comunità sono particolarmente sensibile alla situazione, dal momento che io so cosa significhi ricevere stranieri nella propria comunità e cosa essi potrebbero cercare.

Così quando viaggio cerco sempre di pensare a casa, per capire come potrei comportarmi in questi nuovi posti e penso sempre alle circostanze in cui, a casa, potrei utilizzare ciò che ho imparato. Potrebbe essere un'immagine di pratica agricola o come utilizzare un vostro modo di costruire le case per trarre vantaggio dal clima etc.

E poi c'è un approccio di altro genere. E' un approccio secondo cui bisogna comprendere che il pieno rispetto del tuo ospite significa saperlo lasciare solo. Quando affronto così un viaggio spero sempre di aver lasciato qualcosa di valore dalla mia esperienza con l'"ospite".

 

G.M.: Uno scrittore israeliano - Abraham Yehoshua - in occasione di un'intervista rilasciata a un giornalista italiano, gli ha chiesto: Cosa significa essere italiani? Come si percepisce? A che punto della vita?

Vorrei chiederti: Cosa significa essere Hopi e come si percepisce?

 

V.M.: Domanda imbarazzante, ma semplice: rispettare la terra che provvede a te e alla tua anima. Ogni semina, ogni stagione di crescita e di raccolto riafferma la tua identità.

 

G.M.: A proposito di un tema sollevato da Fatimah Tobing Rony nell'articolo a te dedicato su Film Quarterly, ovvero ciò che lei chiama il refraining from photographing (letteralmente il "rifiutarsi di fotografare o filmare" qualcosa): Derek Jarman, un regista inglese morto nel 1994 di AIDS a soli 52 anni, ha realizzato un film - intitolato "Blu" - in cui non c'erano immagini (salvo un colore blu che scorreva ininterrotto per poco più di un'ora) ma soltanto suoni, con delle voci fuori campo che parlavano soprattutto della malattia. Credo sia l'unico caso europeo di "refraining from shooting" (basato sulla sacralità della "propria" malattia) e forse, l'unico vero modo di astenersi dal guardare e costringere il pubblico a fare altrettanto. Come pensi che si concili l'idea del "refraining from photographing" con l'atto stesso del far cinema?

E' forse per questo motivo che il tuo ultimo film risale al 1994?

 

V.M.: Un amico mi ha fatto la stessa domanda e io gli ho risposto che sono troppo occupato a vivere per far credere di vivere. Anche fare fiction è uno spreco di tempo e risorse; risorse tanto limitate precludono il costoso hobby del cinema/video e sinceramente mi stupisce che uomini e donne adulti possano giocare tanto seriamente a fare film.

Filmare o non filmare. E' una contraddizione che non potrà essere risolta finchè la gente sarà curiosa e ambiziosa. Finchè la curiosità non diviene fede e fin quando una persona non può allontanarsi da un evento senza averlo fatto proprio e quando ci si potrà accostare a un evento senza pensare a come utilizzarlo per il tuo personale accrescimento (psichico, monetario, spirituale) la contraddizione non potrà essere risolta. La curiosità ambiziosa è il principale alimento delle tasche della gente.

Dal canto mio io non posso stare allo stesso tempo davanti la camera e dietro la camera. O partecipo o filmo.

 

G.M.: Che progetti hai per il futuro?

 

V.M.: Pianificare il futuro? Sto ancora cercando la ideale forma narrativa in cui possa esprimere tutto il mio cuore e la mia anima. Niente di ciò che ho visto negli ultimi anni (ma non ho visto molto) mi ha ispirato l'idea di continuare con la produzione di film e video convenzionali. Ciononostante sento di essere in cammino.

In pratica sto preparando il terreno per la prossima semina.

 


 

Per un catalogo di opere di Nativi Americani

 

La seguente filmografia non è nè intende essere esaustiva, data anche la difficoltà di reperimento di dati sugli Autori Nativi Americani.

Essa comprende sia gli Autori del nord America e del Canada sia quelli latino-americani, pur se, all'interno della rassegna Il Silenzioso Richiamo della Terra (1998) questi ultimi erano rappresentati solo con alcuni video musicali tratti dalla mostra Travelling with the Ancients , distribuita dalla Electronic Arts Intermix di New York.

Se da un punto di vista "filologico" è senz'altro corretto accostare gli Autori "statunitensi" a quelli "latini" (data la loro comune origine in quanto discendenti delle antiche popolazioni giunte nel nord America circa 27.000 anni fa e poi sparpagliatesi sull'intero continente), da un punto di vista del reprimento le opere dei registi del nord America (Inuit compresi) seguono canali distributivi distinti da quelle dei latino-americani, per le quali esiste uno specifico organismo cui far riferimento (il L.A.V.A., Latin American Video Archive).

I dati riportati nella seguente filmografia sono desunti da:

- un primo elenco stilato da Elisabeth Weatherford, fine conoscitrice della

cinematografia nativa;

- un gruppo di opere proiettate nelle edizioni 1995 e 1997 del Native

American Film and Video Festival di New York, organizzato

biennalmente dal National Museum of American Indian e diretto da

Elisabeth Weatherford

- un elenco (parziale) di titoli disponibili presso il L.A.V.A.

- il programma della rassegna Travelling with the Ancients;

- una bibliografia selezionata;

- le specifiche filmografie di Autori che hanno partecipato al nostro

Festival e che ci hanno direttamente aggiornato sul loro lavoro: è il

caso, in particolare, di Victor Masayesva, Sandra Sunrising Osawa,

Alejandro Ronceria.

In ogni caso è davvero complesso, per qualunque europeo voglia accostarsi alla realtà cinematografica e video "Nativa", districarsi tra le poche possibilità offerte dal cosidetto mercato. E' arduo, ad esempio, trovare notizie sugli Autori Nativi tramite i canali Internet dedicati al cinema (come l'IMDB) ma un bravo navigatore può far meglio inoltrandosi nei siti specifici.

A seguire indichiamo alcuni tra i siti più significativi:

E.A.I.: http://www.eai.org

L.A.V.A.: http://www.lavavideo.org

Museum of American Indian: www.conexus.si.edu.

National Film Board of Canada: www.nfb.ca

 


A B C D E F G H I K L M N O P Q R S T U V W

 

Robert Agopian (USA):

Images of Indians (1980) (in co-regia con Phil Lucas), serie in 5 parti:

1) The Great Movie Massacre - 25'

2) Heathen Injuns and the Hollywood Gospel - 25'

3) How Hollywood Wins the West - 25'

4) The Movie Real Indian - 25'

5) Warpaint and Wigs - 25'

 

Susan Avingaq, Marie H. Cousineau , Madeleine Ivalu, Matilde Hanniliaq, Martha Maktar e (Inuit, Canada):

Quilliq (1992) - 12'

 

Catherine Benamou (Brasile):

Crisis in Brasil-Andrea Tonacci (in coregia con Don Lynn) (1992) - 29'

Crisis in Brasil-Terence Turner (in coregia con Don Lynn) (1992) - 29'

 

Arlene Bowman (Navajo,USA):

Navajo Talking Pictures (1986) - 50'

Woman and Man are Good Dancers (1994) - 5,36 min.;

Song Journey: Traditional Native Women Singers (in collaborazione con Jeanine Moret) (1994) - 56'

 

Jose Buil (Messico):

La Linea Paterna (in coregia con Maria Sistach) (1995) - 87'

 

George Burdeau (Blackfeet, USA):

Surviving Columbus (1992) - due parti di 58' ciascuna.

The Native Americans (1994) - due parti di 58' ciascuna

Storytellers of the Pacific (regista di un segmento della serie) (1996) - 60'

Backbone of the World (1997) - 57'

 

Emigdio Juan Cabellero (Mixtec, Messico):

Danza de los Listones (1992) - 5'

ViKo Ndute/Water Festival (1995) - 22'

 

Gil Cardinal (Metis, Canada):

Foster Child (1987) - 43'

Borders (1995) - 25'

 

Vincent Carelli (Brasile):

The Girl's Party (1987) - 18'

Pemp (1988) - 27'

Video in the Villages (1989) - 10'

Free for All in a Sarare (1992) - 27'

Meting Ancestors: The Zo'e (1993) - 22'

Eu Ja Fui Seu Irma (1993) - 32'

Video Cannibalism (1994) - 16'30"

 

Shirley Cheechoo (Cree, Canada):

Silent Tears (1997) - 28'

 

Dana Claxton (Unkpapa, Canada):

I Want to Know Why (1994) - 11',30"

Buffalo Bone China (1997) - 12'

 

Allan and Mary Code (Dene, USA):

Nu Ho Ni Yeh (1992) - 54'

 

Marie H. Cousineau : vedi Susan Avingaq...

 

Barb Cranmer ('Namgis, Canada):

Laxwesa Wa: Strenght of the River (1995) - 54'

Qatuwas: People Gathering Together (1996) - 59'

 

Ximena Cuevas (Messico):

Corazòn Sangrante (1993) - 4'

Medias Mentiras (1995) - 37'

Cuerpos de Papel (1997) - 2'

Las 3 Muertes de Lupe (1997) - 5'

 

Dean Curtis Bear Claw (Crow, USA):

Warriors Chief in a New Age (1991) - 27'

 

Jeanette DeBouzek (Pueblo, USA):

Gathering up Again: Fiesta in Santa Fe (in coregia con Diane Reyna)

(1992) - 47'

 

Andrea Di Castro (Messico):

Rosa Pantopòn (1995) - 7'

 

Luis Rodolfo Dionicio (Apatama, Argentina):

La Corpachada (1985) - 17'

 

Chris Eyre (Cheyenne, USA):

Tenacity (1994) - 10'

Smoke Signals (1997) - 104'

Bringing it All Back Home (1998) - 30'

 

Gary Farmer (Cayuga, Canada):

The Hero (1995) - 25'

 

Joe Fisher e Darrell Kipp (Blackfeet, USA) :

Transitions: Destructions of a Mother Tongue (1991) - 30'

 

Annie Frazer-Henry (Sioux/Blackfoot, Canada francese):

Totem Talk (1997) - 22'

 

Monica Frota (Brasile):

Taking Aim (1993) - 41'

 

Cesar Galindo (Perù):

Cholo Soy (1992) - 5'

 

Carol Geddes (Tlingit, Canada):

Picturing a People: George Johnston, Tlingit Photographer (1997) - 52'

 

Hanai Geiogamah (Kiowa, USA):

American Indian Dance Theater: Dances for the New Generation (1994) - 58'

 

Maureen Gosling (Messico):

A Skirt Full of Butterflies (in coregia con Ellen Osborne) (1993) - 15'

 

Miranda Guadalupe (Messico):

Mujeres Zapatistas (in coregia con Maria Ines Roquè) (1994) - 28'

 

Matilde Hanniliaq: vedi Susan Avingaq...

 

William Hansen (Inuit, Canada):

As Long the Rivers Flow: Starting Fire with Gunpowder (in coregia con David Posey (1991) - 60'

 

Bob Hicks (Creek-Seminole, USA):

The Return of the Country (1982)

Keys to Tomorrow (1985)

Play It Safe (1985)

Keep'em Smiling (1986)

The First Step (1986)

 

Kat High (Hupa, USA):

Reaffirmation and Discovery: the First Powwow on Hawaii (1993) - 28'

 

Gonzalo Infante (Messico):

Chichen-Itza (1991) - 30'

 

Alexie Isaac (Yup'ik, USA):

Yupiit Yurariarait / A Dancing People (1984) - 28'

Eyes of the Spirit (1984) - 28'

 

Madeleine Ivalu: vedi Susan Avingaq...

 

Darrell Kipp: vedi Joe Fisher...

 

Zacharias Kunuk (Inuit, Canada):

Angiraq (1994) - 29'

 

Breno Kupermann (Brasile):

To Struggle (in coregia con Otilia Quadros) (1992) - 60'

 

Don Lynn (Brasile):

Crisis in Brasil - Andrea Tonacci (in coregia con Catherine Benamou) (1992) - 29'

Crisis in Brasil - George Stoney (1992) - 29'

Crisis in Brasil-Terence Turner (1992) - 29'

 

Phil Lucas (Choctaw, USA):

Images of Indians (1980) (in co-regia con Robert Agopian),

serie in 5 parti:

1) The Great Movie Massacre - 25'

2) Heathen Injuns and the Hollywood Gospel - 25'

3) How Hollywood Wins the West - 25'

4) The Movie Real Indian - 25'

5) Warpaint and Wigs - 25'

Walking with Grandfather (serie in 6 parti)

The Honour of All

Lookin' Good

The Native Americans (1994) - in due parti di 58' ciascuna

Storytellers of the Pacific (1996) - 60' (regista di un segmento della serie)

 

Martha Maktar: vedi Susan Avingaq...

 

Crisanto Manzano Avella (Zapotec, Messico):

Kujey (1995) - 35'

Boda Traditional (1993) - 35'

 

Carlos Martinez M. (Zapotec, Messico):

Espiritualidad Mixe (1996) - 6'

 

Victor Masayesva Jr. (Hopi, USA):

Hopiit (1982) - 15'

Itam Hakim Hopiit (1984) - 58'

Ritual Clowns (1988) 15'

Siskyavi - The Place of Chasms (1989) - 28'

Pot Starr (1990) - 6'

Two Faces of Two Rooms (1992) - 60 sec.

Imagining Indians (1992) - 90'

 

Catherine Ann Martin (Mi'kmaq, Canada):

Migmaoei Otijosog (1994) - 33'

 

Carlos Martines Suarez (Messico):

Rechazan a los Militares en la Comunidad de San Cayetano (1997) - 15'

Sueños y Palabras Sablas de las Comunidades Tzotzilles y Tzeltales (19905) - 60'

Desplacados (1997) - 62'

 

Malinda M. Maynor (Lumbee, USA):

Real Indian (1996) - 8'

 

Sarah Minter (Messico):

Dear Diary (1992) - 12'

Alma Punk (1992) - 56'

 

Jose Miranda (Aymara Mestizo, Bolivia):

Qamasan Warmi (1993) - 42'

 

Kent Monkman (Metis Cree, Canada):

A Nation is Coming (1996) - 24'

 

Guillermo Monteforte (Messico):

Pidiendo Vida (1993) - 48'

 

Jeanine Moret: vedi Arlene Bowman

 

Alberto Muenala (Quichua, Ecuador):

Por la Tierra (1992) - 47'

Mashikuna (1995) - 40'

 

Nora Naranjo-Morse (Tewa, Pueblo, USA):

I've Been Bingo'ed By My Baby (1996) - 3'

 

Shelley Niro (Mohawk, Canada):

It Starts with a Whisper (in coregia con Anna Gronau) (1993) - 28'

Honey Mocassins (1998) - 28'

 

Tito Antunez Nunez (Mixe, Messico):

Moojk (1991) - 21'

 

Alanis Obomsawin (Abenaki, Canada):

Mere de Tant d'Enfants (1977) - 58'

Les Evenements de Restigouche (1984) - 46'

Richard Cardinal-Le Cri d'un Enfants Metis (1986) - 29'

Sans Adresse (1988) - 56'

Kanehsatake, 270 Years of Resistance (1993) - 119'

Spudwrence - Kahnawake Man (1997) - 60'

 

Sandra Sunrising Osawa (Makah, USA):

Per la serie "Native American 2", 10 programmi di 28'30" ciscuno (1975)

I Know Who I Am (1979)

Hamatsa Dance (1983)

The Black Hills Are Not for Sale (1981)

A Navajo family: Under Siege (1987)

In The Heart of Big Mountain (1988) - 27'30"

The Eighth Fire (1992) - 57'

Lighting the 7th Fire (1995) - 47'30"

Going Back (1995) - 3'

Pepper's Pow Wow (1996) - 57'

Usual & Accustomed Places (1998) - 80'

 

Ellen Osborne: vedi Maureen Gosling

 

Teofila Palafox (Ikoods, Messico):

Las Ollas de San Marcos (1992) - 12'

 

Jose Manuel Pintado (Messico):

El Efeto Tequila (in coregia con Gloria Ribè) (1995) - 40'

 

Melanie Printup Hope (Tuscarora, USA):

I Turn my Head (1993) - 10'

The Prayer of Thanksgiving (1997) - installazione multimediale

 

Jeannette Paillan (Mapuche, Cile):

Punalka: El Alto Biobio (1995) - 26'

 

David Posey (Inuit, Canada): vedi William Hansen)

 

Daniel Prouti (USA):

For Angela (in coregia con Nancy Trites Botkin) (1994) - 22'

First Nation Blue (1996) - 48'

 

Otilia Quadros (Brasile):

vedi Breno Kupermann

 

Valerie Red Horse (Cherokee-Sioux, USA):

Naturally Native (in coregia con Jennifer Winne Farmer)(1998) - 108'

 

Randy Redroad (Cherokee, USA):

Haircuts Hurt (1992) - 10'

Cowtipping: the Militant Indian Waiter (1992) - 10'

High Horse (1994) - 40'

 

Diane Reyna (Pueblo, USA): vedi Jeanette DeBouzek

 

Gloria Ribè: vedi Josè Manuel Pintado

 

Gregorio Rocha (Messico):

A Railroad to Utopia (1995) - 30'

La Flecha (1996) - 35'

 

Alejandro Ronceria (Colombia/Canada):

A Hunter Called Memory (1996) - 17'

 

Maria Ines Roquè (Messico): vedi Miranda Guadalupe..

 

Beverly Singer (Tewa-Navajo, USA):

A Video Book (1994) - 10'

Hozho of Native Women (1997) - 28'

 

Maria Sistach: vedi José Buil

 

Ian Skorodin (Choctaw, USA):

Tushka (1997) - 90'

 

Chris Spotted Eagle (Houma, USA):

Celebration (1981)

Do Indians Shave? (1982)

Our Sacred Land (1983)

The Great Spirit Within the Hole (1985)

 

Loretta Todd (Metis Cree, Canada):

Hands of History (1995) - 60'

Forgotten Warriors (1996) 48'

 

Nancy Trites Botkin (USA):

vedi: Daniel Prouti ...

 

Ruby Truly (USA):

And the Word Was God (1987) - 9'30"

 

Juan Francisco Urrusti (Messico):

Señor de Otatitlan (1991) - 27'

El Pueblo Mexicano Que Camina (1987-1996) - 97'

 

Virginia Valadao (Brasile):

Yakwa: Banquet of the Spirits (1995) - 75'

 

Kasiripina Waiapi (Waiapi, Brasile):

Jane Moraita (1995) - 32'

 

Caime Waisse (Xavante, Brasile):

Tem Que Ser Curioso (1996) - 16'

 

Christin Welsh (Metis, Canada):

Keepers of the Fire (1994) - 55'

 

Jennifer Winne Farmer (Shinnecock, USA): vedi Valerie Red Horse

 

A B C D E F G H I K L M N O P Q R S T U V W

 


via Sampolo, 162

90143 Palermo

tel.: +39 - 091 306968;

fax : +39 - 091 349044

E-mail: sclct@mbox.infcom.it

Internet: www.infcom.it/clctfestival

 

Il gruppo organizzatore è costituito da:

Giovanni Massa , ideatore e direttore artistico del festival;

Elios Mineo, responsabile organizzativo;

Mario Oneto, responsabile dei servizi tecnici;

Roberto Giambrone e Tiziana Lo Porto, ufficio stampa.

 

Hanno collaborato anche:

Antonia Aiala , interprete;

Ferdinando D'Angeri, organizzazione;

Werner Eckl, traduzioni e sottotitoli;

Patrizia La Vecchia e Mariella D'Amato, traduzioni;

Eveline Dewald per Underlight (Trieste), sottotitoli elettronici.


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