Io giocavo con le bambole

Capitolo I


Ogni anno passavo le vacanze estive a Marina, dai miei nonni materni, con mio padre, mia madre e i miei due fratelli Rita e Leonardo.
Rita era la più grande e a Marina frequentava amiche della sua età; io e Leonardo avevamo lo stesso giro di amicizie, ma ciononostante i nostri amici erano più legati a me che a lui, forse perché avevo qualche anno in più, o forse perché mi hanno sempre trovato più interessante di Leonardo che, sia fisicamente che caratterialmente, era un ragazzo troppo comune.
Quell’estate avevo promesso ai miei amici una sorpresa e loro, siccome si rodevano per sapere di che cosa si trattasse, da Marina mi avevano telefonato frequentemente a Milano, implorandomi di svelare il segreto.
Dissi loro che si trattava di un cambiamento fisico e chissà perché pensarono tutti che fossi cresciuto in altezza.
In effetti un po’ più alto ero diventato, ma la differenza non si notava nemmeno.
Avrebbero comunque scoperto tutto nel giro di qualche ora, poiché io assieme a tutta la mia famiglia, proprio in quel preciso momento, ero sul treno diretto per Marina.
Non appena arrivammo a destinazione, dopo aver salutato di fretta i miei nonni, mi precipitai nel bagno di casa loro per lavarmi, per pettinarmi accuratamente e per poi indossare degli indumenti stravaganti che avevo acquistato a Milano e che a Marina non erano ancora usciti di moda.
Non appena finii, mi recai nella bottega di mio nonno che da sempre è stata il punto di ritrovo dei miei amici; entrai con aria altezzosa, quasi fossi stato un divo, ma all’interno c’erano due ragazzi che non conoscevo.
Li guardai dall’alto in basso snobbandoli e mi precipitai al telefono per chiamare mio cugino e avvertirlo che ero arrivato. Mentre parlavo con Fabrizio quei due ragazzi mi guardavano con gli occhi spalancati, come se mi stessero studiando.
Sbuffai apertamente scocciato.
Ebbene sì, non mi venne in mente la prevedibile frase: «Ma che hanno da guardare ’sti due…» per il semplice fatto che ero talmente abituato alla gente che mi fissava, che ormai la cosa più che stupirmi mi annoiava.
Comunque si accorsero che il loro fissarmi insistente mi stava dando fastidio e uno di loro girò lo sguardo, mentre l’altro continuò imperterrito.
Salutai mio cugino e mi recai verso la porta per uscire dalla bottega, quando ad un tratto mi sentii chiamare e stupito mi voltai. Era quel ragazzo che non aveva smesso di guardarmi neanche per un momento, che inaspettatamente mi domandò: «Tu sei Emanuel, vero?».
Risposi di sì, per poi chiedergli: «Ma come fai a conoscermi?»
Lui, forse per rendersi simpatico, o per far colpo su di me disse: «Oh, qua a Marina conosciamo tutti» e mi sorrise.
Lo guardai all’inizio perplesso, ma poi per non offenderlo sorrisi assieme a lui e fu in quell’istante che lo squadrai dalla testa ai piedi e pensai: «Però niente male…».
Era un ragazzo di media altezza, snello e con i capelli nerissimi tirati all’indietro, ma indubbiamente il suo fascino stava tutto nel suo sguardo e nell’espressività dei suoi occhi.
Non era la prima volta che giudicavo esteticamente un ragazzo e non sarebbe stata neanche l’ultima.
Poi chiesi: «E voi come vi chiamate?» rompendo il silenzio che si era venuto a creare.
In realtà non mi interessava assolutamente niente di come si chiamava l’altro tipo, probabilmente perché lo trovavo insignificante, ma rivolsi la domanda in generale, per non far capire che ci tenevo a sapere il nome del «niente male».
Mi rispose per primo il ragazzo che fino ad allora non aveva aperto bocca, dicendomi quasi seccato: «Io, Alberto».
Poi mi voltai verso di lui che mi disse stringendomi forte la mano: «Lorenzo».
«Vi ha parlato Gabri di me, non è vero?» chiesi, ed entrambi annuirono con la testa.
Ad un tratto Lorenzo mi chiese se ero di Milano ed io risposi di sì, così mi disse: «Lo sai che ho un cugino che abita a Milano?».
Falsamente stupito gli risposi: «Ah sì, davvero?»
Chissà quante volte mi hanno detto quella frase a Marina e chissà quante volte avrò risposto con quell’«Ah sì, davvero?», ma era la prima volta che mi capitava di conoscere qualcuno che mi si nominasse.
Quando Lorenzo disse il nome di suo cugino gli risposi, meravigliandolo, che lo conoscevo e che lo vedevo frequentemente in giro, in quanto abitava vicino a casa mia. Suo cugino divenne così l’oggetto della nostra discussione.
Fummo interrotti da Gabriele, che entrò all’improvviso nella bottega e vedendomi, spalancò gli occhi incredulo. Mi avvicinai a lui per salutarlo; gli strinsi la mano e lo baciai sulle guance come due buoni vecchi amici, ma all’usuale «Come stai?» non mi rispose nemmeno: era rimasto incantato a fissarmi.
Gabri capì, osservando la mia corporatura, che avevo praticato body-building e che era questa la sorpresa che avevo preannunciato, così mi disse: «Hai fatto culturismo, eh?!» ed io fiero di me stesso risposi: «Sì, sì vede».




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