FARE POESIA

Il poeta non parla come gli altri: da qui bisogna partire per avvicinarsi criticamente alla poesia.

Cominciamo poi a domandarci perché mai il poeta non parla come gli altri, come tutti, e cerchiamo di impossessarci dei meccanismi del suo linguaggio. Vediamo, per esempio, come cambia lo stesso concetto se espresso in prosa o in poesia. Serviamoci di Leopardi, ma sì, proprio di Giacomo Leopardi, e mettiamo a confronto un passo tratto dal suo "Zibaldone di pensieri", e alcuni versi tratti da una sua poesia, "Le ricordanze".

Nello "Zibaldone" il poeta annota che il suono dell'orologio del campanile del suo paese, ascoltato durante la notte, gli riporta alla memoria le paure notturne, gli incubi provati durante l'infanzia. Ascoltiamolo.

"Sento dal mio letto suonare l'orologio della torre. Rimembranze di quelle notti estive nelle quali essendo fanciullo e lasciato in letto in camera oscura, chiuse le sole persiane, tra la paura e il coraggio sentiva battere un tale orologio".

Ma ecco come la stessa impressione rivive nei versi della poesia citata:

Viene il vento recando il suon dell'ora

dalla torre del borgo. Era conforto

questo suon, mi rimembra. alle mie notti,

quando, fanciullo, nella buia stanza,

per assidui terrori io vigilava,

sospirando il mattin...

Come si è trasformato il ricordo dei poeta, passando dalla prosa alla poesia? Nella poesia, vi è subito da dire, appare un elemento nuovo, il vento: è il vento a portare alle orecchie del poeta i rintocchi dell'orologio; questo elemento naturale è però personificato: esso viene verso il poeta, portando con sé il suono dell'ora, quasi fosse un dono solo per lui; estrema gratuità dell'esperienza che solo la poesia riesce a fissare, a tradurre, mi si passi il termine, in parole.

Nel discorso poetico di Leopardi i rumori diventano una cosa viva, sono evocati dalle parole stesse che li esprimono. Notiamo nella frase iniziale la ripetizione della consonante v in "Viene il vento", e la presenza della consonante s nella parola "suon": nei suoni di queste lettere è riprodotto il suono dell’oggetto nominato, appunto il vento. Notiamo poi la ripetizione della consonante n: viene, vento, recando, suon, e della vocale o sulla quale cade l'accento: suòn, òra, tòrre, bòrgo: questi suoni che formano quasi un'eco, richiamano il battito monotono delle ore.

Rileggiamo ora lo stesso concetto espresso nella prosa dello "Zibaldone" e constatiamo che l'informazione comunicata è la stessa, ma nel discorso poetico è presente e pervasiva l’emozione vissuta dal poeta stesso.

La lingua poetica (pensiamo all’effetto dell’aggettivo possessivo "mie" accanto al sostantivo "notti"), ci parla di un modo diverso rispetto a quello della comunicazione quotidiana, o della prosa: le parole della poesia non sono rivolte a chiarire un concetto, ma a farlo vivere, con tutta la forza e l’intensità dei sentimenti che ad esso possono essere collegati: paura, amore, odio, sdegno.

Maggiore ricchezza di significato e notevole complicazione del linguaggio nel suo complesso, nella sua organizzazione.

In poesia, un dato contenuto non può assumere un senso al di fuori di una specifica struttura; entro la quale e solo entro la quale le parole, nella loro particolare disposizione, diventano, come si usa dire in modo per certi versi improprio, un messaggio.

La lingua della poesia è per sua natura, per intima vocazione, ambigua e polisemica, aperta dunque a più significati; inoltre è proprio del codice poetico permettere il ripetuto uso di trasferimenti del significato delle parole, in relazione alla determinata volontà espressiva del poeta.

Possiamo servirci dei suggerimenti di due grandi poeti per penetrare nei recessi più nascosti del labirinto creativo. Prima, di Giorgio Caproni, che definisce in due modi, tra gli altri, il suo lavoro creativo:

  1. "Raggiungere il massimo di realtà profonda muovendo il minimo di realtà visibile".
  2. "Tutti riceviamo un dono.

Poi non ricordiamo più

né da chi né che sia.

Soltanto, ne conserviamo

- pungente e senza condono –

la spina della nostalgia".

Poi, di Paul Valery, che con espressione bruciante per essenzialità e per ricchezza intuitiva, afferma: "Tutto quaggiù può nascere da un’attesa infinita". Se la poesia è tutto questo, se è la possibilità di dire le cose che, normalmente non si dicono perché non si sanno dire, se è quello strumento della conoscenza che riesce ad oltrepassare il muro d’ombra della razionalità sistemica ed autosufficiente, se è quella lingua che sa dare nome al vuoto e al pieno che ci posseggono e sa interpretare le oscure trame del desiderio e della paura, del dolore e della morte, se la poesia è questo intreccio inestricabile di nostalgia e di attesa, tra il già e il non ancora, se la poesia è tutto questo, fare poesia oggi vuol dire sfidare il tempo e le relazioni umane, non arrendersi al fatto compiuto, per quanto potente esso sia, anche nelle coscienze di molti.

Franco Loi, da questo punto di vista, è stato lapidario: "Oggi la poesia è forse l’unica istanza di resistenza al processo in atto di disgregazione dell’uomo e della società civile".

Tanto più allora è da considerare con attenzione l’esperienza del GRUPPO POESIA 83, che in questa antologia è ampiamente e significativamente rappresentata. Si è trattato e si tratta di un’esperienza che si è mossa e si muove alla luce forte di una sola lanterna: "Valorizzare sempre e comunque la ricerca poetica, perché se non lo facciamo, individualmente e collettivamente, non abbiamo garanzie che altri, in questi tempi, nei nostri luoghi, lo facciano".

In questo raccolta sono presenti dodici percorsi poetici: sei di donne, sei di uomini, in questa sede li presentiamo in rigoroso ordine alfabetico.

ALFONSI FILY si impegna in un'ostinata ricerca sulle potenzialità espressive della parola all’interno di un contesto prevalentemente meditativo e dialogante, un flusso ininterrotto di sprofondamenti di rispecchiamenti.

Un vuoto di pensieri oggi risucchia

per fuggire da dove morde la memoria.

La memoria...

… la memoria, viva si apre e sanguina.

ARLANCH GIANFRANCO infila paziente i grani del suo rosario dialettale e procede di verso in verso, da poesia a poesia verso un punto di massimo concentrazione della tensione sentimentale e della nostalgia. Non manco nelle sue strofe a leggerezza ironica e il passo simpatico dello scherzo gentile, anche se alla fine prevale sempre il fantasma della malinconia.

ASTE FRANCO insegue un sogno metafisico, la possibilità di capire con la poesia il farsi e il disfarsi del mondo. Il tentativo di disserrare le chiavi del dolore e della gioia, dell’umanità che cerca e vive di speranza e fede come dell’umanità che rifiuta la banalità della noia e del consumo.

Adesso

per vestirmi di luce

mi basta attendere l’aurora

e fregiarmi dei suoi colori.

BONASSI ITALO si è affidato da tempo od un tipo di poesia che potremmo chiamare gnomica, sapienziale. Egli scruta la vita al microscopio e ne ricava indicatori etici, senza calcare la mano sul dover essere, ma piuttosto insistendo sulla gratuità dell’esistenza e del suo variegato passo. Il ritmo del verso accompagna lo scavo e porta alla luce con la sua progressione sempre nuovi ritrovamenti.

Come quasi gli spilli di un rammendo

s’impigliano nel polso alla caduta

le spine, geroglifici di sangue.

Non sapevo la ferocia di un rosaio,

solo quella umile di un’orticaria.

BOTTURA VALERIO alterna la poesia in lingua a quella in dialetto (di Aldeno), ma la cifra creativa rimane sempre la stessa, tutta tesa a dare senso e valore alla presenza umana nel contesto della natura e della storia, forse con una inevitabile accentuazione nostalgica nelle poesie in dialetto, conservando in ogni caso una rigorosa ricerca della parola e nella parola continuamente riempita di carne e di sangue, di relazione e di memoria.

Sono radice e ramo

a tornare vivo

e prego il lento ventare

il sole

e l'acqua

nel corso nuovo del mio sangue.

CIELO ANNAMARIA fa una dichiarata poesia ai femminile, perché sa riscoprire il fondo umorale della differenza del genere, lasciando in disparte ogni retorica e ogni verso che sappia di "presa di posizione". La donna di Annamaria Cielo è portatrice di dubbi e di incertezze, ma calma ad ogni voce di dignità, di consapevolezza di una parte protagonista, vuoi nella gioia che nel dolore. La sua poesia obbedisce a questa prospettiva anche nel ritmo, sussurrato eppure fermissimo.

A che serve il rancore

se non a farti morire

e farli rivivere?

Rideranno comunque di te

che troppo hai amato?

Non credo, bambina.

CRISTOFORETTI NIVES tende a dare forma semplice al pensiero complesso, recuperando sentimenti primitivi spesso cancellati o censurati nella società del consumo rapido e onnivoro. La sua poesia arriva a questo invidiabile risultato dopo un accorto lavoro, una sorta di corpo a corpo con le parole e il loro suono.

Anche quello che può sembrare sentenza diventa qui acqua che scorre fresca e benefica.

Sfumato nel tempo disteso

lo spazio finito

di dolce memoria.

COSSO LORENZO è poeta dialettale da molti anni, ma di recente ha scritto anche poesie in lingua. Nel dialetto riesce abilmente a superare le trappole del sentimentalismo e del quadretto domestico. Il suo è un dialetto (di Trento) in fuga che esprime tensioni contemporanee, mentre l'italiano è più concentrato sull'intimità.

Cossì, da sempre,

'sta to vola de nar

al de là dela val, su ròste che le te par

pù bele dela tua,

e ‘l còr che sbrusa

per no podèrghe rivar.

DARRA PIERINO ha cantato nel corso dei suoi anni i passi e i tempi della vita con disponibile partecipazione, cercando con insistente leggerezza e delicato sentire.

FRANCESCONI ALBERTA ha sfogliato con passione il libro del dialetto roveretano e ha trovato nelle sue particolari accentuazioni gli echi di pensieri e di sentimenti ricorrenti.

Sentaa su en scalin

de na vècia bicoca,

co le spàl pozàe al mur

piem de crepe e

na pergola de fraga me feva da cuèrt.

GOTTARDI FERRARI SILVANA ha preso per la coda li dialetto (di Rovereto e di Brentonico) e si è fatta portare lontano, quasi in luogo appartato e sicuro, per inanellare storie dimenticate e ritrovare consolazioni perdute, invitando il lettore ad una corsa serena.

Ho scrit 'na poesia cossì lizera

che ‘l par la piuma de 'na tortorela

ma, per paura che la sgola via,

la tegno chi ligaa co’ ‘na cordèla …

PRANTNER GIULIANA non è più fra noi con il suo corpo, ma la sua voce è ancora viva nelle sue poesie. Dai suoi versi traspare una ripetuta, incessante vibrazione cosmica; ogni poesia per lei è il tentativo di entrare in sintonia con l’umanità, con l’universo, e di pari passo è anche un'inquieta domanda, una sequela di domande sulla nostra vita e sui nostro destino.

E vagano, e cercano, e vedono

gli occhi, senza più

la nebbia del pensieri, fluisce

l'esistere, camminano spediti

i giovani, ridono

il vecchio e il bambino, ed io

sto.

Possiamo chiudere questa introduzione con qualche frase illuminante di Fernando Pessoa, proprio sulla poesia, per ritornare sul tema in modo apparentemente diverso.

"La poesia è una forma di prosa con un ritmo artificiale... Si chiederà: che bisogno c'è di un ritmo artificiale? Si può rispondere: perché per esprimere un'emozione intensa la semplice prosa non è sufficiente: essa deve abbassarsi al grido o alzarsi al canto. E, poiché dire è parlare, e non si può gridare parlando, è necessario cantare parlando, e cantare parlando significa mettere musica nella parola...".

Per questo i grandi poeti lirici, nel senso migliore dell'aggettivo "lirico", non sono musicabili. Come potrebbero esserlo. se sono musicali?

Mario Cossali

(Antologia "Gruppo Poesia 83", Damolgraf, Verona, 1995)


<<< indietro