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Riflessioni per il Tempo di Pasqua
Io, Cleopa
Non dimenticherò mai più quella sera. Stavo
tornando a casa, ad Emmaus, con la mia sposa,
Maria. Non era un viaggio qualsiasi. Stavamo
scappando da Gerusalemme. Scappavamo dai
nostri amici, da quel luogo maledetto, da
quella tomba dei nostri sogni. Forse cercavamo
invano di scappare anche da noi stessi. Quegli
ultimi disperati giorni ci avevano distrutto.
Ci sentivamo sconfitti, traditi, delusi,
arrabbiati con il mondo intero. Eppure, solo
una settimana prima… che festa per il nostro
arrivo nella Città Santa! Quante speranze,
quanto entusiasmo, quanta voglia di vivere!
Noi tutti che seguivamo ormai da tempo quel
Galileo così affascinante e forte che veniva
da Nazareth, ci sentivamo invincibili. Ci
aveva dato parole che erano divenute il nostro
pane ed avevano plasmato i nostri sogni.
Sentivamo che con lui eravamo pronti a cambiare
il mondo.
Eravamo giovani io e Maria, con tanta voglia
di fare, di andare, di vivere la vita in
modo pieno e senza risparmio. Volevamo trovare
qualcosa per cui valesse la pena spendere
l'esistenza. Le mura della piccola Emmaus
non potevano contenere i nostri desideri.
Ci volevamo bene, ma non potevamo pensare
ad un'esistenza che si trascina giorno dopo
giorno senza grandi ideali. Avevamo un fuoco
dentro, ma anche tanta paura perché niente
intorno a noi ci incoraggiava e ci dava speranza
per realizzare i nostri ideali. Finché un
giorno incontrammo Gesù. C'era tanta gente
ad ascoltarlo e le sue parole erano forti,
parlavano di Dio e dell'uomo come nessuno
ce ne aveva mai parlato. Raccontava storie
che facevano bene all'anima, compiva gesti
che risanavano e guarivano, parlava di giustizia,
d'amore, di pace, di fraternità. Ci siamo
sentiti fortemente attratti da lui. Nelle
sue parole, nei suoi occhi profondamente
scuri, nel suo volto, ci si stava aprendo
una strada che dava concretezza ai desideri
più profondi del nostro cuore. Sembrava impossibile
che un uomo così fragile potesse prometterci
tutto quello che da sempre avevamo sperato,
ma un'idea nasceva e faceva cantare il cuore
e ubriacava la testa. Mai più potevamo allontanarci
da quella luce e da quella musica che faceva
allargare all'infinito la tenda del nostro
cuore. Decidemmo di seguirlo. Decidemmo di
scommettere il nostro futuro su di lui. Lasciare
tutto, paese, casa, amici, parenti, un posto
nostro, per seguire lui e con lui i nostri
sogni. Quanto di più abbiamo ricevuto rispetto
a quello che avevamo lasciato! Abbiamo passato
dei mesi bellissimi. Abbiamo visto paesi,
abbiamo fatto incontri, abbiamo conosciuto
un Dio che è Padre e Madre premurosa e compassionevole.
Abbiamo anche condiviso la povertà, a volte
anche la fame, l'ostilità crescente delle
autorità del nostro popolo. Ma tutto con
una gioia che non veniva da noi. Ultimamente
è vero, lo avevamo visto diverso. Un po'
più silenzioso, un po' più preoccupato. Parlava
d'arresti, di condanne, ma noi non capivamo;
non volevamo capire. Ne abbiamo parlato anche
con Pietro e gli altri. Ma poi quell'arrivo
trionfale a Gerusalemme per celebrare la
Pasqua aveva disperso tutti i nostri dubbi.
Gesù era ancora il nostro Rabbì e si, qualcosa
d'importante sarebbe successo durante quella
Pasqua! Come ce l'eravamo immaginata diversa!
Il suo arresto e la sua tragica uccisione
sulla croce ci hanno fatto crollare il mondo
addosso. Maria, insieme alla madre di Gesù
ed altre donne è voluta rimanere accanto
a lui sotto la croce fino all'ultimo respiro,
nella speranza che quel brutto incubo da
un momento all'altro sarebbe finito. Io no,
io non ce l'ho fatta. E mentre i miei sogni
venivano inchiodati su quel legno insieme
a Gesù vagavo per Gerusalemme senza meta
come un pazzo che ha perso la strada e non
sa più dove andare. Avevo sbagliato tutto?
Mi ero illuso? In chi avevo riposto la mia
fiducia e le mie speranze per il futuro?
Cleopa che stupido sei stato a lasciare tutto
per perdere tempo dietro un venditore di
belle parole!
Due giorni dopo io e mia moglie siamo partiti.
Di nascosto, senza salutare. Volevamo correre
in fretta verso Emmaus per mettere fine al
più presto a questa brutta storia, lasciarcela
alle spalle, dimenticarla, riprendere una
vita fatta di giorni uguali uno all'altro,
ma troppo era il peso che gravava su di noi
e i nostri passi erano lenti. Abbiamo lasciato
Gerusalemme in silenzio, ognuno immerso nel
vortice dei suoi pensieri. Dopo un po' i
nostri sguardi tristi e assenti si sono incrociati
ed abbiamo iniziato a riversare l'uno nell'altra
le nostre delusioni, la nostra frustrazione,
il nostro smarrimento. Quante domande senza
risposta nascevano nei nostri cuori! Ci eravamo
ingannati? Che cosa è andato storto? Di chi
è la colpa? Com'è potuto succedere? Le parole
all'inizio uscivano con fatica dalla nostra
bocca, ma poi sono diventate un fiume in
piena. Eravamo agitati, angosciati, sfiniti.
Non riuscivamo a darci pace.
Eravamo così presi dai nostri discorsi da
non accorgerci che un uomo si era accostato
a noi forse incuriosito dalla concitazione
del nostro dialogo. È stato lui ad interromperci
per chiederci di cosa stavamo parlando. Aveva
l'aspetto di un pellegrino, ma come non poteva
conoscere ciò che era accaduto a Gesù durante
quella Pasqua! Gli abbiamo raccontato noi
di quell'uomo che ci aveva stregati, che
le folle cercavano per la potenza della sua
parola e dei suoi gesti. Gli abbiamo raccontato
delle speranze che aveva fatto crescere in
noi, speranze di una vita diversa, speranze
di libertà, e come però esse siano crollate
in un istante con la sua morte in croce.
Ucciso come il peggiore dei malfattori dall'ottusità
e dall'invidia dei nostri capi. Abbiamo riversato
su questo sconosciuto tutta la nostra solitudine
e la nostra amarezza, abbiamo lasciato che
vedesse le nostre ferite. Gli abbiamo anche
raccontato di alcune donne del nostro gruppo
che, andate di mattina presto al sepolcro,
non hanno trovato il suo corpo e affermano
di aver visto angeli che lo dicevano ancora
vivo. Ma noi abbiamo visto il suo corpo pendere
dalla croce, abbiamo visto la lancia squarciare
il suo cuore, abbiamo visto la pesante pietra
chiudere il sepolcro e scrivere la parola
fine. Come possiamo credere a queste donne?
Come possiamo credere a sua madre o a Maddalena
che con il loro amore vorrebbero non arrendersi
mai all'evidenza della sua morte? La cruda
verità è che lui è morto e noi adesso non
abbiamo più nemmeno la consolazione del suo
corpo profanato e trafugato dopo appena un
giorno che giaceva nel sepolcro.
"Sciocchi e duri di cuore!". Queste
parole dure e inattese del nostro compagno
di cammino ci scossero e ci zittirono. "Non
bisognava che il Cristo sopportasse queste
sofferenze per entrare nella sua gloria?".
Bisognava? Che bisogno c'è della sofferenza,
della sconfitta, del fallimento, della morte?
Fissai quell'uomo negli occhi con la ferma
intenzione di fargli rimangiare quelle parole.
Il suo volto però esprimeva una serenità
ed una forte dolcezza che disarmava. Iniziò
a parlare con calma raccontandoci narrazioni
delle Scritture. Ci raccontò di Mosè e dell'agnello
immolato per la liberazione del popolo, di
Dio che si rivela nell'aridità di un roveto
e che fa sgorgare l'acqua dalla dura roccia
del deserto. Della prova che dovette affrontare
Abramo quando gli fu chiesto di sacrificare
il figlio Isacco e di Giuseppe, venduto,
quasi ucciso, dai suoi fratelli che diventa
però per loro possibilità di salvezza. Ci
raccontò poi dei profeti, di Osea, di Geremia,
di Ezechiele, di Isaia e dei suoi canti messianici
del servo pronto a prendere su di se le iniquità
di tutti noi.
Camminare e parlare, camminare ed ascoltare
ci stava facendo bene. I nostri volti iniziarono
a distendersi; sentivamo le nostre spalle
meno pesanti; le ansie, le angosce, le paure
che come il masso del sepolcro gravavano
sul nostro cuore cominciavano a sciogliersi.
Il nostro cuore riprendeva a battere e si
apriva timidamente a nuove speranze. Il paziente
narrare di questo strano pellegrino che ci
si era fatto accanto sulla strada della nostra
fuga ci faceva tornare alla mente tante parole
di Gesù che sul momento non avevamo compreso
e che avevamo dimenticato: "se il chicco
di grano caduto in terra non muore rimane
solo"; "sono venuto per servire
e dare la vita"; "non c'è amore
più grande di questo, dare la vita per gli
amici". Si faceva piano piano strada
in noi la possibilità di guardare ai giorni
che avevano sconvolto la nostra vita in modo
diverso.
Arrivammo ad Emmaus che il sole stava per
tramontare. Le nostre strade stavano per
dividersi. Ma non volevamo separarci così
in fretta da quest'uomo che ci si era fatto
accanto, aveva condiviso con noi il cammino
di quel giorno, aveva accolto la tempesta
dei nostri cuori ed era riuscito a placarla.
O almeno a farla tacere per un po'. Ma adesso,
come avremmo affrontato da soli l'oscurità
della notte? Il buio della sera non avrebbe
portato con sé tutti i nostri fantasmi, le
nostre paure, le nostre domande irrisolte?
Non potevamo lasciarlo andare: "Rimani
con noi". Lo strano pellegrino accettò
il nostro invito. Con il cuore sollevato
entrammo in casa e preparammo per la cena:
un po' di pane, del formaggio, delle olive,
l'acqua, il vino. Ci sedemmo e recitammo
la preghiera di benedizione. Che sensazione
strana. Che confusione di emozioni in quel
fermarci a rendere grazie a Dio per il cibo
di quella giornata. Gridargli in faccia ancora
un volta tutta la nostra delusione, il nostro
smarrimento, il nostro non capire o lodarlo
per quella presenza amica alla nostra tavola?
Il nostro ospite prese il pane, disse la
benedizione e lo spezzò. E con il pane spezzò
anche la corazza nella quale la croce aveva
chiuso il nostro cuore e il velo che copriva
i nostri occhi e ci impediva di vedere. Le
nostre vite spezzate e ferite ritrovavano
unità e senso in quel semplice gesto dello
spezzarsi del pane. Lo stesso gesto di Gesù
la sera prima dell'arresto! E il rimbombare
nelle orecchie quelle parole: "Questo
è il mio corpo che è per voi. È tutta la
mia vita data per voi". Era Gesù, si,
proprio lui! Avevano ragione le donne che
di mattina erano andate al sepolcro, aveva
ragione Maddalena e il suo amore che non
si dava per vinto! Tutto si colorava di mille
colori, tutto acquistava un senso nuovo.
Quando tutto sembrava perduto, quando avevamo
deciso di dire basta, di tirare i remi in
barca, di lasciar perdere le utopie e i desideri
di una vita e di un mondo diversi, quando
avevamo toccato il fondo della nostra delusione,
Gesù non ci ha lasciati soli. Con la sua
attenzione di sempre si è preso cura di noi,
delle nostre speranza ridotte in frantumi,
delle nostre vite a terra e ci ha fatto sperimentare
sulla pelle che la vita e l'amore vincono
la morte e che la luce della pasqua squarcia
anche le tenebre più fitte e buie.
Gesù era sparito dalla nostra vista, ma ormai
era presente in noi e bruciava ardentemente
nei nostri cuori che aveva accesi in quel
suo mettersi al nostro fianco per camminare
con noi nei sentieri del nostro smarrimento.
La gioia che invadeva il nostro cuore è indescrivibile.
Ci sentivamo leggeri come l'aria, liberati
di nuovo dai nostri pesi e dalle nostre paure,
restituiti ai nostri sogni. Sentivamo una
voglia matta di gridare a tutti la nostra
felicità, non potevamo restare chiusi in
quelle quattro mura segno della nostra resa.
E uscimmo fuori per correre a perdifiato
verso Gerusalemme. E quella notte che poco
prima ci faceva tanta paura, adesso era illuminata
dalla luna e da miriadi di stelle.
Arrivati di nuovo nella Città Santa andammo
a cercare gli Undici e gli altri e li trovammo
increduli a parlare di Gesù che si era fatto
vedere vivo a Simone e raccontammo loro la
nostra storia, di come il Signore ci aveva
fatti passare in quella sera dalla morte
alla vita, dalla disperazione alla speranza,
dalla tristezza alla gioia.
don Andrea Ruberti
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