PERIODO PREISTORICO 

La Grotta di Carburangeli e' situata nell' omonima contrada alla quota di 22 metri sul livello del mare.
Si tratta di una cavita' carsica risalente al quaternario, il suo sviluppo e' prevalentemente orizzontale ed e' caratterizzato dalla presenza di numerosi vani, tra loro collegati da stretti e tortuosi passaggi, vi si accede attraverso tre aperture che immettono nella prima stanza. La Grotta che ha offerto riparo ai nostri progenitori preistorici e prima di loro a numerosi animali ormai estintisi in Sicilia da migliaia di anni.
Durante gli scavi paleontologici effettuati dal Gemellaro nel 1865, la grotta di Carburangeli ha restituito numerosi resti fossili tra i quali: Elephas Mnaidriensis (Elefante Nano), Cervus Elephus Siciliae (Cervo ), Crocuta Spelaea (Iena) etc., nonchè numerose schegge litiche e strumenti del paleolitico superiore.
Tutto questo materiale è oggi conservato presso il museo di Paleontologia G.G. Gemellaro dell’ Universita' degli Studi di Palermo.
Numerosi sono inoltre i resti di vita preistorica ancora presenti nella grotta, quali frammenti fittili dell’eta' del bronzo, lame di selce etc.
Oggi la Grotta di Carburangeli e' una riserva naturalistica gestita dalla Legambiente.

Le Grotte di Puntali o Armetta sono un gruppo di quattro cavita' di origine marina, scavate in un’antica linea di riva .
La prima gia' nota al Fazello, fu esplorata nel 1869 dal Gemellaro che vi recupero' abbondanti resti dell’estinta fauna quaternaria.
Uno scavo nel 1970 ha rivelato tracce dell’eta' del bronzo e del paleolitico superiore.
Al paleolitico superiore vanno assegnate due incisioni zoomorfe della Grotta dei Puntali ed alcune incisioni lineari visibili nelle altre due cavita'.
Entrando nella prima stanza della cavita', a pochi centimetri dal suolo nella parete sinistra, e' possibile osservare alcune incisioni preistoriche, tra le quali un piccolo cervo senza testa ed un cavallo.
Le pareti della grotta e quelle degli attigui ripari di Armetta II e III e del Fico, sono interamente ricoperte da centinaia di incisioni lineari, oltre a incisioni a coppelle (Armetta II) ed incisioni solari (Armetta III).
Nel talus antistante la grotta si rinvengono ancora oggi schegge litiche, risultanti dalla lavorazione della selce per produrre antichi utensili, e resti fossili di pachidermi.
Numerosi sono i frammenti fittili che si trovano all’interno della prima stanza della cavita', resti che si possono datare dall’eneolitico all’eta' del bronzo, e che attestano l’uso della grotta dei Puntali a sito abitativo per un lungo periodo.

La Grotta di Maccagnone e' situata alle pendici di Montagna Longa alla quota di 175 metri sul livello del mare.
La caverna ha uno sviluppo di circa 20 metri, che rappresenta una parte della sua piccola estenzione; un crollo, di cui si èe' persa memoria nei secoli, deve aver sconvolto il sito, infatti osservando attentamente i suoi contorni ci si accorge del suo precedente perimetro.
In questa area, oggi esterna alla grotta, nella metà del 1800 vennero rinvenuti dal Falconer interessanti resti di fauna preistorica.
Numerose le lame di selce, che fanno supporre che la grotta sia stata abitata.

La Grotta della Za’ Minica ed il vicino Riparo della Nipote, sono situate al confine dei territori di Carini e Torretta alla quota di circa 90 metri sul livello del mare.
La caverna,di origine marina ed un tempo formante la linea di riva, è profonda circa 30 metri ed ha restituito numerosi fossili di elefanti bovidi, cavalli, cervi e ippopotami, oltre che ad intererssanti selci.
Nei pressi dell’ingressso sono osservabili due incisioni raffiguranti un bovide ed un cerbiatto.
Il vicino Riparo della Nipote conserva invece diverse incisioni lineari, il graffito di un cervo, una figura antropomorfa a carboncino e la riproduzione grafica di un antico recinto pastorale.

La Grotta di Fra’ Diavolo e' una cavità di origine tettonica, nelle pendici settentrionali dei Pizzi Corvo e Cirina, assunse in un certo periodo della sua storia il ruolo di necropoli rupestre.
Lo testimoniano alcuni reperti fittili ritrovati al suo interno.

La Necropoli di Ciachea e' situata nell’omonima contrada a confine dei territori di Carini e di Capaci a circa 30 metri dal livello del mare.
E’ una vasta necropoli di tombe a forno risalenti all’Eneolitico, in parte distrutta da una cava di tufo operante nel secolo scorso.
Nel 1877 Antonio Salinas , Direttore del Museo Archeologico di Palermo, ne esploro' una integra e alcune già violate, che restituirono ceramica bruna dipinte a linee bianche. Una tomba venne espiantata ed oggi la possiamo osservare in uno dei cortili del Museo Archeologico di Palermo. 

Bibliografia
-De Gregorio,Iconografia...,Palermo 1901
-Vaufrey ,Le Palèolithique italien, Parigi 1928
-Di Stefano-Mannino, La carta archeologica siciliana, Palermo 1983
-Mannino,Le grotte di Armetta, Trapani 1978

 


  PERIODO GRECO

 

HYKKARA
L'ORIGINE DEL SUO NOME E LA SUA PRESUNTA UBICAZIONE

Per spiegare l'origine del nome gli scrittori locali, seguendo altri, hanno dato vita ad una leggenda secondo la quale il re Cocalo per arginare il potere dei Segestani ordino' a Dedalo di costruire in territorio Sicano tra Segesta e Panormo, un citta' fortificata che Dedalo chiamo' Hykkara in onore del figlio Icaro.
Altri, come lo storico greco Timeo, vogliono che il nome sia stato dato per il suo mare pescoso di un tipo di pesci pregni chiamati Hykas o Ikkaron da cui il nome Hykkara.
Per quanto riguarda la sua posizione, Tucidide la dice vicina al mare e distante ventiquattro mila passi al di là di Segesta, viene segnata nell'itinerario di Antonino Pio fra Palermo e Partinico e, secondo una antica tradizione, seguita ancora dal Fazello, Hykkara sarebbe da ricercare ad occidente da Palermo,sulla spiaggia compresa tra Isola delle Femmine e la località chiamata Carbolangeli.

  


 

 


LA POLITICA DELLE COLONIE, LA DISTRUZIONE DI HYKKARA.

Come la Grecia, anche le colonie greche in Sicilia non furono mai del tutto unite politicamente; ogni singola città conduceva una sua politica autonoma nei confronti delle altre città, al massimo riuscendo a confederarsi per brevi periodi, con quelle vicine e anche in Sicilia, si esportarono i conflitti che opponevano in patria la gente di stirpe ionica e dorica.
Questi conflitti avranno il loro sviluppo nella guerra del Peloponneso (431-404 a.C.) che diede origine all'intervento di Atene in Sicilia ,di cui sarà vittima anche la nostra Hykkara.
Infatti, Segesta, cittadina elima nemica di Hykkara, facendo leva sul timore degli ateniesi che le citta' doriche di Sicilia capeggiate dalla potente Siracusa si coalizzassero contro Atene, chiese l'intervento degli ateniesi finanziando una spedizione.
Nel 415 a.C. dopo aver occupato Catania e tentato l'approdo ad Imera una spedizione comandata dal generale ateniese Nicia, formata da 54 triremi, 2 navi da 50 remi, 60 navi veloci a vela, 40 da trasporto, giunse verso la spiaggia di Hykkara. e forte anche di un corpo di cavalleria inviato dai segestani la distrusse.


LAIDE (Tra Mito e Realta')

Tra le schiave condotte in Grecia dopo la distruzione di Hikkara rimase famosa nella storia, tra le antiche etere greche, Laide per la sua bellezza e sagacia.
Ancora fanciulla, cadde nella mani del soldato di Nicia, Poliknio dal quale fu condotta a Corinto, dove il pittore Apelle, affascinato dalla sua bellezza, ne volle fare un’etera.
Da Laide andarono i più famosi pittori della Grecia per ritrarne le fattezze. Apelle da lei trasse quell’idea del bello che traspariva dalle sue opere.
Ella amò la cultura e si crede che abbia composto alcuni scritti dei quali Plinio fa cenno.
Aulo Gellio, in " notti Attiche " la dice discepola del sommo Aristippo di Cirene, che per lei scrisse uno dei suoi dialoghi.
Si racconta che il noto oratore Demostene, si reco' a Corinto per Laide e avendo quest’ultima chiesto la somma di 10 Filippi, abbandono' l’etera dando quella proverbiale risposta " Io non compro cosi' caro un pentimento ".
Persino il noto scrittore di tragedie Euripide, venne in familiarita' con lei, tanto che si narra, non pubblicasse le tragedie senza prima la sua approvazione.
Essendosi innamorata di un giovane Tessalo, di nome Ippolico, lo volle seguire nella sua patria.
Ma qui le donne gelose della sua bellezza, le ordirono una trappola, attirandola al tempio di Venere, dove la uccisero.
Laide venne sepolta sulle rive del fiume Peneo, dove venne eretta la sua tomba.
Corinto non potendo avere le sue ceneri le fece ergere nel monte Kranion, vicino al tempio di Venere, un monumento superbo, opera dello scultore Turno in cui era effigiata una leonessa che teneva con le zampe
un’ariete.


UBICAZIONE VILLAGGI 

Monte Colubrina C.da Rosa, resti di strutture murarie e frammenti di ceramica di varia epoca (dal IV sec.a.C.alIII sec.a.C.), sono individuabili su vasto raggio, lungo le pendici occidentale del monte.
E' stata avanzata recentemente l'ipotesi che, in questo sito, possano riconoscersi i resti dell'antica Hykkara.

La necropoli di "Manico di Quarara" occupa l'erto cocuzzolo di cozzo grotta bianca ai margini meridionali di montagna longa, che fronteggia le pendici settentrionali di Monte d'Oro.
Al primo e fruttuoso intervento della Soprintendenza nel 1968, e' seguita nel 1989 una breve campagna di scavi finalizzata all'esecuzione di alcuni sondaggi e ad una accurata campagna di rilievo delle tombe gia' messe in luce negli anni precedenti.
Disseminati per tutta la necropoli, che si distribuisce sia a sud che a nord della strada forestale, si rinvengono resti di pithoi e frammenti di solenes, originariamente pertinenti sia a enchytrismoi che a tombe alla cappuccina.
A valle della stradella, invece sul pendio del costone roccioso si aprono sedici tombe ipogeiche con camera a grotticella preceduta da un corto dromos scavate nel tenero banco di calcarenite proprio della struttura geologica della collina.
Si tratta di grandi tombe collettive ad inumazione, usate per un'ampio arco cronologico e dotate di una ricchissima suppellettile fittile, costituito in gran parte di materiale attioc di importazione tra la seconda metà del VI e il V secolo, e una notevole varieta' di vasellame indigeno, con decorazione geometrica dipinta.
Notevole anche la presenza di suppellettile bronzea come fibule, strigili e grattuge.
E' probabile che la necropoli in localita' "manico di quarara"sia rimasta in uso fino ad epoca ellenistica, in eta' in cui il centro sito sul monte d'oro sembra subire una rovinosa distruzione cui fece seguito l'abbandono.

Bibliografia :
-Terranova, Notizie di Iccari...,Palermo 1859
-V.Giustolisi Hykkara, Palermo 1973
-G.Abbate,Carini nella Storia, Palermo 1982
-C.Di Stefano, G.Mannino, La carta archeologica Siciliana, Palermo 1983
-V.Badalamenti, Carini nella Storia di Sicilia, Palermo 1990
-C.Greco in Di Terra inTerra,Palermo 1992

  

 


PERIODO ROMANO BIZANTINO

 

Dopo la distruzione della prima Iccara, gli storici locali , ci tramandano che gli scampati a quell’eccidio fondarono la nuova citta', più a monte nella contrada S.Nicola.
L’Iccara in contrada S.Nicola, ebbe il suo massimo splendore in epoca romano-bizantina, lo confermano l’esistenza di ruderi e il rinvenimento in un sito, di numerosi reperti ceramici e numismatici.
Essa e' citata nell’Itinerarium Antonini sul percorso della strada romana che collegava Palermo con Lilibeo.
Un’antica tradizione, confermata da numerose testimonianze, vuole che l’Iccara Romano-Bizantina, fosse stata sede Vescovile.
L’esistenza di quel vescovato e' desunta da due lettere di S.Gregorio Magno ( 590-604), la prima delle quali diretta al vescovo di Reggio, Bonifacio, dispone che la diocesi di Carini fosse unita alla sua sede, e l’altra a Barbaro vescovo carinese, al quale il Pontefice assegna l’amministrazione della diocesi di Palermo rimasta vacante per la morte del vescovo Vittore, suo titolare. Come vescovi di Carini intervennero nei concili niceno (451), calcedonico (649) , e lateranense (787) un Giovanni, un Costantino, un Basilio, un Indimo.
Sembrerebbero apportare nuovi elementi all’ipotesi dell’esistenza a Carini di una sede vescovile un Sigillo di piombo, rinvenuto fortuitamente nelle campagne di contrada S.Nicola e consegnato alla Soprintendenza ai Beni Culturali di Palermo.
Si tratta di un tipo di sigillo comunemente usato in epoca tardoromana e bizantina con iscritta su entrambe le facce Felix episcopus .
La Soprintendenza ai Beni Culturali di Palermo, effettuera' da giorno 15 settembre 1997 una campagna di scavi per portare alla luce i resti dell'antica citta'.


IL MOSAICO DI C.DA S. NICOLA  

"Sul finire del 1873, fu scoperto nella contrada S.Nicolo' in quel di Carini, e precisamente nel podere della signora Ferranti, un gran pavimento vermiculato di stile romano, composto da piccoli pezzi cubici di marmo, terra cotta e di smalto... essendomi riuscito di impedire, che il monumento iccarense fosse distrutto dal piccone dei giardinieri che lo rinvennero, ne ho fatto acquisto, e, salvo l'abside e pochi altri accessori, ridotti quasi in rovina, l'ho collocato in una stanza della mia abitazione".
Così il principe Giuseppe De Spuches ne descriveva il ritrovamento nella relazione letta nel 1878 all'Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Palermo.
Si trattava di un pavimento dalle dimensioni ragguardevoli , misurava mt.13x11, e di ottima fattura diviso in piu' parti di cui se ne poteva distinguere una inferiore a forma di rettangolo ed una superiore a forma di abside, nella parte centrale si notavano le figure di uccelli variopinti sopra eleganti vasi ricolmi di piante.
Da allora i numerosi studiosi che si sono occupati della storia e dell'arte del nostro territorio hanno fatto riferimento a questo mosaico per poter immaginare la grandezza e la ricchezza dell'Iccara romano-bizantina di S.Nicola, riconducendolo ad una basilica cristiana (A. SALINAS in NSA Palermo 1899) o come vogliono gli ultimi studi della professoressa Rosalia Camerata Scovazzo (Archeologia Classica XXXIX, 1977) ad una villa romana del tutto simile a quelle di Piazza Armerina.
Dopo un secolo dalla scoperta e precisamente nel 1975 il palazzo Galati venne messo in vendita dai De Spuches ad acquirenti diversi .
L'ala dello storico edificio che conteneva il mosaico fu comprata dal pittore Renato Guttuso che, per contratto lo escluse dall’acquisto.
Dopo alterne vicende, fu smontato e collocato in un deposito, dove rimase per circa venti anni, fin quando nell’estate del 1996 grazie anche all’inetressamento di un comitato cittadino e della disponibilita' degli organi preposti si ricominciò a parlare di questo insigne monumento.
Attualmente e' in corso il restauro da parte del Centro Regionale di Restauro e della Soprintendenza di Palermo, che sta inoltre curando l’acquisizione al patrimonio regionale.

 


CATACOMBE

Il 13 agosto del 1899, il barone Giuseppe Starrabba, pubblicava sul Giornale di Sicilia un articolo in cui egli annunciava la scoperta, in localita' Villagrazia di Carini, di una serie di cunicoli sotterranei, scavati nel tufo e comunicanti fra loro appartenenti ad una grande catacomba cristiana .
L’allora Direttore del Museo Regionale di Palermo, il Professore Salinas, invitato dallo stesso Starrabba, ne esplorò circa 600 metri, tracciando anche una dettagliata pianta e raccomandandone il recupero agli organi competenti dell’epoca.
La parte conosciuta si estende per circa 1000 metri quadri, anche se la maggior parte degli ambulacri resta ostruita perchè colma di terra, ostruito è anche l’ingresso.L’altezza media degli ambulacri è di circa 2 metri, mentre la larghezza varia dai 3 ai 4 metri, sono presenti loculi, arcosoli e diversi cubicoli con sepolture multiple.
Da qualche anno la Regione ha iniziato l’iter per l’esproprio del terreno soprastante le catacombe.

Bibliografia :
-
L.Terranova, Notizie di Iccari...,Palermo 1859
-G.De Spuches ,Scritti Vari , Firenze 1892
-V.Giustolisi Hykkara, Palermo 1973
-G.Abbate,Carini nella Storia, Palermo 1982
-C.Di Stefano, G.Mannino, La carta archeologica Siciliana, Palermo 1983
-V.Badalamenti, Carini nella Storia di Sicilia, Palermo 1990