ANNA JARRE, nata nel 1920 a Torino (città nella quale vive e lavora), è laureata in Lettere, materia che ha insegnato al Conservatorio di Torino. Dopo la partecipazione a mostre collettive negli anni ’50 e ’60, ha presentato la sua prima personale nel 1978 alla Galleria Arte Club. Dal matrimonio con il pittore Fernando Eandi ha avuto due figlie, Paola e Giovanna.

 

Mostre personali e di gruppo:

1980 Asti, Galleria La Fornace

1981 Torino, Galleria Arte Club

1982 Torino, Galleria Tuttagrafica

1983 Avigliana, Galleria Arte in Mostra e Torino, Galleria Pirra Ceramiche

1984 Alessandria, Galleria La Maggiolina e Torino, Galleria Pirra Ceramiche

1988 Vigone, Biblioteca Comunale Luisia

1996 Carmagnola, Palazzo Lomellini “Ritratto e Autoritratto” 2

1997 Mondovì, Isola di S.Rocco, al Ponte delle Ripe

 

Uomo che guarda la luna - Terracotta colorata – 1990

 

SI PUÒ MODELLARE UN UOMO CHE GUARDA LA LUNA?

(di Pino Mantovani)

Se la scultura è presentazione positiva di corpi finiti, dobbiamo dire che no: si potrebbe evocare la luna, dico la distanza della luna e la luce? Un uomo, per esempio sdraiato, con didascalia, che guarda la luna? A parte che il guardare stesso, salvo tradursi in gesto “eloquente”, è problematico per lo scultore: anzi, già l’occhio è plasticamente quasi irresolubile, infatti, sia convesso o cavo, dichiara piuttosto cecità che capacità visiva.

Eppure Anna Jarre modella indiscutibilmente “un uomo che guarda la luna”. Il tema, del resto, la perseguita da sempre: in un notes, che porta come prima data il 25 ottobre 1951 e come ultima il 22 luglio suppongo dell’anno successivo, trovo alcune idee tracciate a matita con rapida sicurezza; una è titolata in blu “uomo che guarda la luna”; qualche pagina più avanti, una nota accompagna alcuni disegni di teste: “come risolvere plasticamente questo uomo che guarda la luna?”.

Insomma, l’uomo che guarda, l’uomo che guarda la luna diventano (diventa) tema-chiave per Anna Jarre. Intanto, perché un uomo modellato (meglio dire scolpito: Anna è stata allieva di Mario Giansone scultore alla Libera Accademia) possa guardare la luna, deve stare proprio aderente alla terra, come certe figure distese di Moore, per esempio, che la Jarre ammirò alla prima Biennale del dopo-guerra. Così, descritto o stilizzato, l’uomo scarica il proprio corpo di qualsiasi impegno che non sia quello di rivolgersi a qualcosa che sta in alto.

Affidandosi alla più rilassata orizzontalità, concentra il desiderio di verticalità in un punto che è il volto, segnato dai fori pungenti delle pupille.

Dove sta la luna, allora? A picco sul volto, essa si specchia nella faccia che la specula. Sul corpo terragno s’innesta un volto di luna: comunque lo si prenda, di profilo, di fronte è la luna, mezza e piena (come nel disegno del notes).

Ma è anche il volto di Nando: che ho appena visto, di gesso, inondato di luce lunare. Pierrot lunare non guarda la luna, è la luna, pallida malinconica, assorta attonita, tonda di meraviglia, forse di taglio un poco ironica. E di luna ha l’abito, di luce fredda d’argento.

Basta un poco di tempera diluita per vestire di luna l’omino terragno, specialmente il volto in maschera di luna.

 

Ritratto di Nando - Gesso - 1981

 

PERCHÉ LA TERRACOTTA

(di Anna Jarre)

I tetti di coppi, i mattoni, le formelle e i profili dei porti nel casalingo Gotico dei duomi piemontesi, le statue da giardino un po’ goffe che, ormai rarissime, si affacciano in qualche villa ottocentesca della collina: ecco la mia terracotta.

È una materia cordiale, senza grosse ambizioni, ma capace di sfidare le intemperie e i secoli e perfino di trarne qualche bellezza con la patina delle muffe, della polvere, del fumo.

“Considerando che la terra si lavora agevolmente e con poca fatica…” dice il Vasari nella Vita di Luca della Robbia: di agevole lavorazione, certo, la creta, ma come ogni materia naturale dotata di una sua autonomia, specie se la si lavora un po’ asciutta, non modellandola, ma “levando il superfluo dalla materia suggetta” (Vasari).

Quando al taglio della stecca presenta le sue sorprese a volta a volta irritanti o suggestive - una pietruzza che viene a solcare una superficie levigata, un grumo di ossido, una scaglia di mica luccicante - senti che la creta non devi snaturarla, che devi accertarne la collaborazione. Poi, stabilito con la materia questo rapporto di simpatia, con due stecche, una lama, le mani ti metti a lavorare come da tanti secoli, tu e la terra. Più tardi verrà il forno e un po’ di colore a tempera.

 

Figure - Terracotta

 

PERCHÉ I GRUPPI

(di Anna Jarre)

Il gruppo è ritmo, è piani che s’incontrano e che si scontrano, è infinite possibilità di forma e disegno, è spazio che si frantuma e si ricompone.

Ma è anche racconto, tanti racconti, gioco e spettacolo, è anche ostacolo e muro: il gruppo bianco me lo suggerì il ricordo delle mura di Monteriggioni, un altro i Sassi di Matera.

Questi suggerimenti architettonici, il piacere della composizione, del ritmo, dell’uso dello spazio non sono però diventati tentazioni all’astratto: anzi, studiando e provando composizioni astratte mi riconfermo ogni volta nell’amore di sempre per la figura umana. Lo dicono, in mostra, vecchi e recenti disegni.

E tra le forme umane trovo ogni tanto qualche bella testa ben disegnata da ritrarre.

 

Testi e immagini da:

“PORTI DI MAGNIN” - Periodico di Arti Figurative e di Cultura - Ottobre 1997

 

Presepe per Laura

 

Gianni e Anna

 

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10/01/01