Storia della Ex-Jugoslavia
Parlare della geografia della ex-Iugoslavia può essere facile soltanto se ci limitiamo a guardare una cartina e ad analizzare su quella le varie città, i monti e i fiumi. Ma se è vera quella frase che spesso dicono che la storia è figlia della geografia, ci rendiamo conto che quella che fino a pochi anni fa era la Iugoslavia è geograficamente molto complessa. Cerchiamo innanzitutto di capire cosa vuol dire che la storia è figlia della geografia: se osserviamo bene la posizione geografica della penisola balcanica (cartina n°1) in rapporto ai paesi che la circondano possiamo renderci conto come nel corso degli anni possa aver succitato manie di conquista da parte di molte nazioni confinanti e non: il possesso di quelle terre voleva dire mettere le basi per quello che poteva essere un giorno il dominio del Mediterraneo. Per cui diventa chiaro il concetto che qualche volta la storia è il risultato di mire geografiche ben precise. Nella cartina n°2 si vede bene come nei secoli l'impero turco avesse esteso i propri domini fino in Europa e come tra queste terre dell'impero ottomano ci fossero molte zone oggi appartenenti alla ex-Iugoslavia. Stesso discorso vale per i domini dell'Impero Austro-Ungarico (cartina n°3) che in periodi forse diversi da quelli del dominio turco aveva anche lui molti territori della Ex-Iugoslavia. Questo ha importato in quei luoghi popoli, costumi, religioni dei paesi dominatori.
Nel 1912 (cartina n° 4) Bulgaria, Serbia, Montenegro e
Grecia si allearono per combattere l'impero ottomano e l'anno successivo ebbero
la meglio sui turchi in quella che fu chiamata la prima guerra balcanica. Ma
quella guerra si era da poco conclusa che i paesi vincitori si ritrovarono in
guerra tra loro, nella seconda guerra balcanica, per la spartizione dei
territori appena riconquistati. Le due guerre balcaniche portarono ad un
notevole rafforzamento della Serbia. I movimenti indipendentisti e
nazionalisti crescevano e cresceva anche il fermento dei popoli slavi contro l'impero
austro-ungarico che solo pochi anni prima con un' abile manovra diplomatica si
era annesso la Bosnia Erzegovina. Tutti questi malcontenti e il fatto che la
Bosnia Erzegovina era considerata la culla degli slavi, portarono ad accendere
la miccia della I guerra mondiale: l'uccisione da parte di uno studente
nazionalista serbo dell'erede al trono d'Austria Francesco Ferdinando, a
Sarajevo. Alla fine della guerra, con la dissoluzione dell'impero
austro-ungarico, l'assetto dell'Europa cambia completamente (vedi cartine n° 5
e 6) e sotto la guida di Alessandro I principe di Serbia, fu proclamato il nuovo
stato: il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. Ma da quanto finora analizzato
possiamo capire che i popoli riuniti sotto Alessandro I non erano uguali,
avevano avuto influenze e domini diversi, avevano credi religiosi diversi,
vivevano in zone economicamente molto diverse e questo può far capire come le
reazioni furono violente quando in parlamento, l'egemonia serba sulle altre
etnie bloccò le richieste di autonomia di croati, sloveni e altre minoranze,
fino a sfociare nell'uccisione di tre parlamentari serbi per mano di un
parlamentare montenegrino. Si arrivò quasi alla guerra civile. Allo scopo di
salvaguardare l'unità nazionale, Alessandro I cambiò il nome al Paese che
divenne Regno di Iugoslavia (Terra degli slavi del sud) e ne assunse il potere
dittatoriale. Ma per quanto proibite dalla dittatura, le manifestazioni di
scontento popolare crebbero fino a culminare nell'uccisione per mano di un
nazionalista croato proprio di Alessandro I. Allo scoppio della II guerra
mondiale il Regno di Iugoslavia si dichiarò prima neutrale poi favorevole alle
potenze dell'Asse (Italia, Germania, Giappone), poi dopo una serie di violente
reazioni popolari che culminarono in un colpo di stato, contraria. Ma a questo
punto il Regno di Iugoslavia viene invaso dalle potenze dell'Asse e dall'Ungheria
e viene smembrato. Con l'appoggio di Italia e Germania viene costituito in
Croazia uno stato fascista governato da Ante Pavelic che attuò delle terribili
repressioni razziali nei confronti di ebrei, musulmani, ma principalmente di
serbi. Nei due anni successivi alla spartizione della Iugoslavia ci furono
gravi conflitti che contrapposero gli invasori a gruppi di resistenza di
nazionalisti serbi e di partigiani antifascisti, quest'ultimi guidati dal
maresciallo Josif Broz detto Tito. Con l'appoggio delle forze Alleate il
maresciallo Tito riesce ad avere la meglio sulle forze di occupazione e nel '45
quando viene istituito il nuovo governo lui ne diviene il capo. Il governo Tito
nazionalizza vari settori dell'economia, del terziario, e da il via ad una
riforma politica di tipo filo-sovietico, vengono sciolti i partiti di
opposizione, vengono soppressi i giornali contrari al governo. Ma nonostante
tutto questo riuscì sempre a mantenere una certa indipendenza politica dall'URSS.
(Cartina n°7) Tito riuscì a tenere unite, sotto il suo dominio forte, le varie
regioni, dando in qualche caso l'autonomia. Ma nella seconda metà degli anni 60
la situazione interna del paese cominciò a diventare difficile: inflazione,
disoccupazione, scioperi e debito pubblico, maggior richiesta di autonomia da
parte delle regioni della Iugoslavia, scontri ed uccisioni tra serbi e croati,
portarono il governo ad una massiccia repressione. Quando nel maggio del 1980
muore il maresciallo Tito, le difficoltà incontrate dal governo a gestire un
paese in così grave crisi economica, portarono molte regioni a chiedere l'indipendenza.
Nel Kossovo, una tra le province più povere, che già nel lontano 68
aveva ottenuto l'autonomia, scoppiarono rivolte per ottenere l'indipendenza e
quindi la possibilità di formare una repubblica autonoma. Si ebbero violenti
scontri tra la maggioranza della popolazione di origine albanese e la
popolazione serbo-montenegrina. La repressione del governo fu estremamente dura,
oltre ad effettuare arresti di massa isolò la regione per lungo tempo e alla
fine degli anni 80 riaffermò il suo totale controllo sul Kosovo e sulla
Vojvodina ponendo fine alla loro autonomia. Tutte quelle influenze e quei domini
di cui abbiamo parlato in apertura di relazione fanno capire com!
e e perché un popolo riunito sotto una stessa bandiera, ma che di fatto non ha
niente in comune si ritrovi a combattere per ottenere la propria libertà. Ma la
libertà non è una conquista facile, non è libertà poter fare il comodo
nostro in casa o per strada. È libertà poter esercitare i nostri diritti,
professare la nostra religione, vivere i nostri costumi e le nostre tradizioni.
Tutti quelli che sono i preamboli per arrivare alla disgregazione degli anni '90
sono racchiusi in una storica frase del maresciallo Tito «Io sono il capo
di un paese che ha due alfabeti, tre lingue, quattro religioni,e cinque
nazionalità che convivono in sei repubbliche circondate da sette stati
confinanti e nelle quali repubbliche si trovano otto minoranze nazionali». L'atteggiamento
sempre più aggressivo e arrogante che andava via via assumendo la Serbia, la
possibilità di svolgere elezioni multipartitiche libere, portarono nel giugno
1991, in seguito ad un referendum, Slovenia e Croazia a dichiarare la propria
indipendenza. I serbi di Croazia per paura di ritrovarsi in minoranza nello
stato indipendente e ricordando gli atti efferati compiuti sui serbi da quell'Ante
Pavelic guidato dai fascisti tedeschi mezzo secolo prima, proclamarono l'autonomia
della Krajina (regione a maggioranza serba) e la sua adesione alla Serbia. La
Serbia a questo punto dichiarò che era diritto di tutti i Serbi, ovunque
risiedessero, di poter vivere in uno stesso Stato, perciò dichiarò
incostituzionale la secessione delle due repubbliche e inviò l'esercito
federale in Slovenia e in Croazia. Dopo le minacce dell'Unione Europea di
riconoscere immediatamente i due nuovi stati, la Serbia ritirò le truppe dalla
Slovenia dopo solo due settimane di combattimenti, ma rifiutò di ritirarsi
dalla Croazia. Anzi i combattimenti si moltiplicarono con numerosissimi morti.
Nel frattempo anche la Macedonia con un referendum aveva dichiarato la sua
indipendenza. La comunità internazionale a questo punto aveva riconosciuto
tutti questi come stati indipendenti. E dopo la firma di un primo cessate il
fuoco, nel gennaio del 1992, il Consiglio di Sicurezza dell'ONU invia 14.000
caschi blu in Croazia. La Bosnia Erzegovina nella paura di ritrovarsi da
sola in una Federazione iugoslava dominata dai serbi, con un referendum sancì
nella primavera del 92 la proclamazione della sua indipendenza e ottenne
immediatamente il riconoscimento della comunità internazionale. Ma fu subito in
mezzo ad una guerra civile. In un paese multietnico e multiconfessionale, le
milizie serbe sostenute dall'esercito di Belgrado iniziarono la conquista dei
territori spesso ricorrendo al terrore della pulizia etnica per scacciare croati
e musulmani. La distruzione di Sarajevo, la rivelazione degli stupri e delle
atrocità commesse in nome della pulizia etnica, la scoperta dei campi in cui
erano tenuti prigionieri in condizioni disumane i musulmani e i croati scossero
l'opinione mondiale, ma un intervento diretto della comunità internazionale
presentava molte difficoltà principalmente a causa delle simpatie che ciascuna
parte in causa godeva all'estero: i serbi da parte russa e dei paesi slavi a
maggioranza cristiano-ortodossa, i croati da parte della Germania e di gran
parte dei paesi dell'Unione Europea, i musulmani da parte della Turchia, del
Pakistan dell'Iran dei paesi arabi. Iniziarono così numerose azioni
filantropiche e umanitarie non governative. Le Nazioni Unite inviarono un numero
sempre crescente di contingenti di una forza d'intervento dei caschi blu
appositamente costituita per il conflitto iugoslavo l'UN PRO FOR (United Nations
Protection Force), in più venne sanzionato uno stretto embargo alla Repubblica
Federale Iugoslava. Ma gli scontri continuavano e dopo i ripetuti attacchi dei
serbi contro i caschi blu dell'ONU la Nato interviene. Interventi non facili
perché per quanto mirati erano pur sempre bombardamenti e addirittura i serbi
arrivarono ad usare i caschi blu e i civili come scudi umani nei pressi dei siti
strategici. Nel luglio del 1995 Srebrenica cadde nelle mani dei Serbi che
espulsero tutta la popolazione eccettuate varie migliaia di uomini,
probabilmente massacrati sul posto. Verso la fine del 1995 con gli accordi di
Dayton, nell'Ohio, la Serbia ritirava le sue truppe dalla Bosnia Erzegovina. La
comunità internazionale era riuscita a ottenere la pace con il riconoscimento
delle repubbliche indipendenti. A questo punto i Kosovari si resero conto che
sarebbe stato difficile ottenere l'appoggio esterno per reclamare l'indipendenza.
Tra il 1996 e il 97 avvennero i primi attentati di alcuni gruppi di uomini che
si firmavano UCK (esercito di liberazione del Kosovo) che col passare dei mesi
andarono intensificandosi, solo alla fine del 1997 ci si rese conto che le zone
rurali del Kosovo abitate dalla maggioranza deglialbanesi erano passate sotto il
controllo dell'UCK. In questo stesso mese due anni fa, la polizia serba lanciò
una offensiva con mezzi pesanti contro parecchi villaggi nel cuore del Kosovo,
che provocò la morte di migliaia di persone. La Nato volendo evitare un nuovo
intervento armato organizzò gruppi di contatto, trattative, negoziati, ma tutti
i tentativi di trovare una soluzione di pace caddero nel vuoto e nella primavera
dello scorso anno l'intervento armato, che non era altro che la voglia da parte
della comunità internazionale di fermare quello che adesso era divenuto un
massacro di vite umane, ma che già da tempo era una vergognosa repressione
culturale e sociale: a partire dal 1990, lo Stato serbo si impossessò delle
proprietà immobiliari albanesi, promulgando una serie di leggi, come
quella che proibiva la vendita di questi beni a persone albanesi;
centocinquantamila albanesi vennero licenziati dalle cariche pubbliche o da
posti di prestigio che occupavano. Nel 1991 vennero chiuse con la forza tutte le
scuola superiori, parte delle elementari e le Università: agli albanesi era
concesso di studiare solamente in lingua serba. Furono chiuse l' Accademia delle
Scienze e delle Arti, tutte le biblioteche e gli istituti culturali in
lingua albanese, l'Istituto di Albanologia e l'Istituto di Storia. Dal Medioevo,
alla seconda guerra mondiale, ad oggi la storia si ripete, ancora c'è qualcuno
che crede che ci siano popoli o gruppi di uomini superiori ad altri, e che i
popoli superiori hanno maggiori diritti degli altri. Ripensando ad un
brano di Orwell nel libro «La fattoria degli animali», che fa riferimento alla
dittatura Russa dove si dice che «..la legge è uguale per tutti ma per
qualcuno è più uguale..»viene una profonda tristezza. Comunque ritornando
alla situazione in Kossovo, la Nato nel marzo 1999 è intervenuta, i
combattimenti sono stati cruenti, la Serbia non è stata a guardare ha risposto
con morti, mutilati, violenza inimmaginabile: gli albanesi sono stati costretti
ad esodi di massa. Poi una sorta di cessate il fuoco, il rientro estremamente
lento verso i territori occupati dai serbi, ma soprattutto il disinteresse dei
mass-media che non parlano più di quella guerra che purtroppo continua ad
esserci ad un passo da casa nostra.
Questo tema è stato inviato da Manuele - GRAZIE PER LA COLLABORAZIONE!