L'ordine
metodologico adottato per l'analisi del trattamento
delle lesioni da decubito trova il suo presupposto
nel concetto di stadiazione e muove dai principi
della cicatrizzazione. E' stato quindi individuato
il tipo di medicazione più idoneo per ogni
lesione in funzione del suo stadio particolare. E'
importante sottolineare che la guarigione di una
lesione da decubito non avviene per regressione da
uno stadio più avanzato a uno meno avanzato,
bensì per processo di granulazione.
Nel trattamento
delle lesioni da decubito è stato
individuato sia un obiettivo generale che uno per
ogni stadio. Il vantaggio di tale metodologia
consiste essenzialmente nel permettere una
valutazione della validità del trattamento
effettuato poichè il mancato raggiungimento
dell'obiettivo deve indurre a ricercare le cause in
una delle fasi del trattamento.
Obiettivo
generale: facilitare il processo di guarigione a
qualsiasi stadio della lesione impedendone il
peggioramento.
Vi sono due
aspetti fondamentali nel trattamento delle lesioni
da decubito di qualsiasi stadio:
- la gestione
del dolore del paziente portatore di lesione;
- la
decompressione della zona lesionata.
I pazienti
portatori di lesioni da decubito possono
manifestare dolore nella sede della lesione
così come durante la medicazione. Il dolore
è causato dai recettori presenti nelle
strutture sottostanti l'epidermide. Risulta quindi
fondamentale controllare ed alleviare il dolore
usando protezioni adeguate della lesione, cambiando
la postura o attraverso l'eventuale
somministrazione di analgesici.
La
decompressione della zona lesionata è il
presupposto fondamentale per la cura di qualsiasi
tipo di lesione. La riduzione della pressione nelle
zone di appoggio si attua mediante un piano di
mobilizzazione personalizzato che tenga in
considerazione le problematiche assistenziali del
paziente. Se la situazione patologica del paziente
lo consente è da evitare una postura che
poggi sulla lesione. Per attuare la decompressione
nelle zone corporee in appoggio può rendersi
utile l'adozione di ausili. Esistono in commercio
ausili che riducono la compressione aumentando la
superficie d'appoggio: materiali conformabili,
statici (espansi, fibre cave, acqua, superfici ad
aria non a cessione statiche). Altri ausili
scaricano le pressioni in continuo (sovramaterassi
ad aria a pressione alternata) o i più
sofisticati scaricano le pressioni in continuo
(sovramaterassi o materassi a reale perdita d'aria
o i letti fluidizzati).Gli ausili vanno scelti in
relazione al fabbisogno legato al rischio del
paziente e soprattutto, per quanto riguarda quelli
che riducono la pressione, non sostituiscono mai la
mobilizzazione, bensì permettono di
allungare i tempi di mobilizzazione.
I°Stadio
Obiettivo: ripristinare la
vascolarizzazione e prevenire l'ulcerazione
cutanea.
Il primo
approccio terapeutico a una lesione da decubito
consiste essenzialmente nella eliminazione della
compressione locale, premessa indispensabile per
ristabilire una buona perfusione ed ossigenazione
tissutale, attraverso cambi di postura
personalizzati. E' da ricordare che il massaggio,
utilizzato frequentemente a questo stadio con
l'obiettivo di favorire la rivascolarizzazione,
è controindicato in quanto può
ulteriormente aggravare il danno tissutale. Il
massaggio profondo provoca infatti scollamento dei
piani cutanei, ostacola la rigenerazione dei
tessuti ed i processi di angiogenesi. Eseguito
nelle zone perilesionali inibisce la
riepitelizzazione poichè la manovra provoca
scollamento delle bande di tessuto epiteliale che
cercano di sostituire il tessuto leso. La
vasodilatazione della zona, obiettivo che si vuole
raggiungere mediante il massaggio, dura solo pochi
minuti.
E' inoltre
importante un'accurata, ma non aggressiva igiene
della cute utilizzando detergenti che non alterino
il pH fisiologicamente acido e che non rimuovano il
film idrolipidico della superficie cutanea
rendendola in tal modo meno idratata e quindi
più fragile. Utile a questo scopo l'utilizzo
di creme emollienti che promuovono il mantenimento
dello strato idrolipidico e rendono in tal modo la
cute più resistente ed elastica. Le sostanze
barriera (creme a base di ossido di zinco, spray al
silicone) proteggono la cute dalle sostanze
irritanti e dalla macerazione. E' assolutamente
controindicato l'utilizzo di soluzioni alcooliche
che provocherebbero solo la disidratazione delle
cute.
Il danno cutaneo
a questo livello può essere minimizzato sia
evitando gli sfregamenti tra la cute e il piano di
appoggio durante le manovre di mobilizzazione, sia
applicando particolari medicazioni idrocolloidali
di tipo sottile o film membrana. Si tratta in
questo caso di particolari pellicole trasparenti e
permeabili all'ossigeno che, ricreando l'effetto
barriera dell'epidermide, svolgono funzioni di
protezione dell'integrità cutanea.
Se trattata
correttamente, una lesione al primo stadio ha un
rapido miglioramento e si eviterà un
peggioramento in senso
ulcerativo.
II° Stadio
Obiettivo: favorire la
ricostruzione cutanea.
In una lesione
da decubito al II° stadio, (naturalmente dopo
aver eliminato la pressione locale), si procede con
la detersione. Così facendo si ottiene una
riduzione dell' inevitabile carica batterica
presente sulla zona lesionata grazie all'azione
meccanica del getto della soluzione impiegata. Sono
adatte a questo scopo soluzioni di Fisiologica e
Ringer lattato; quest'ultimo è preferibile
per la maggior concentrazione di ioni potassio
utili alla rigenerazione cellulare e alla
sopravvivenza dei fibroblasti.
Dai concetti
precedentemente esposti sul meccanismo di
cicatrizzazione emerge la necessità di
rivedere buona parte delle nostre tecniche riguardo
alla medicazione di una lesione. Condizioni
indispensabili per il fenomeno biologico della
cicatrizzazione sono un ambiente umido, con il
giusto gradiente di ossigeno e temperatura che si
aggiri attorno ai 37 gradi.
Alla luce di
tali considerazioni si comprende come sia da
considerare concettualmente superata l'adozione di
una medicazione asciutta. "...è fondamentale
trattare la ferita con metodi moderni e rispettare
determinati concetti di riparazione
tissutale".(8) per promuovere infatti la
migrazione cellulare è necessaria la
presenza di tessuto vivente mentre in caso di
crosta si verifica la migrazione delle cellule
epiteliali al di sotto di questa, con conseguente
ritardo del processo riparativo. "Al di sotto di un
bendaggio occlusivo l'epidermide si muove su un
tessuto umido ad una velocità di circa tre
volte superiore rispetto a quanto si muova al di
sotto di una crosta"(9). Nella fase di granulazione i
macofagi in ambiente umido e relativamente caldo,
si moltiplicano più facilmente e producono
fattori che stimolano la formazione di nuovi
capillari; inoltre durante la fase di
epitelizzazione le cellule epiteliali migrano
più velocemente in ambiente umido.
Risultano
pertanto da abolire tutte quelle pratiche che
conducano a tale situazione:
- pennellature
con fucsina, mercurocromo...;
- esposizione ad
una situazione di essiccamento delle
lesione.
- utilizzo di
garze iodoformiche (tra l'altro
citotossiche).
Alla luce di
quanto detto segue che per promuovere la
ricostituzione cellulare, si devono utilizzare
prodotti in grado di ricostruire l'ambiente idoneo.
Particolarmente indicati sono i bendaggi
idrocolloidali e le schiume in poliuretano.
Le medicazioni
con idrocolloidi a matrice adesiva di
contenimento, disponibili in diversi formati,
esercitano la loro azione assorbendo gli essudati
ed esercitando attività di controllo degli
stessi. L'effetto di assorbenza lento e controllato
fa in modo che a livello della lesione vi sia
sempre il giusto grado di umidità e ne
impedisce la macerazione dovuta all'eliminazione di
vapore acqueo.
Il processo
riparativo si avvia dopo l'applicazione della
medicazione idrocolloidale mediante un'azione di
detersione con asportazione del tessuto necrotico
dato dall'accumulo di fibrina. Gli idrocolloidi
entrano in simbiosi con gli essudati della lesione
e con i prodotti di degradazione cellulare formando
una gelatina che viene asportata ad ogni cambio di
medicazione utilizzando soluzioni di fisiologica a
getto. L'insorgenza di cattivo odore, che scompare
del resto dopo il lavaggio, è da considerare
normale poiché dipende dalla reazione tra
essudato ed idrocolloide. Dopo l'asportazione del
tessuto necrotico, successivamente alla prima
medicazione, si può comunque riscontrare un
aumento del diametro e profondità della
lesione proprio a causa dell'azione di detersione
indice di un corretto inizio del processo
riparativo. Non si può vedere quanto
realmente sia estesa un'ulcera prima che venga
asportato il tessuto necrotico. Questa azione di
fagocitosi dei detriti della lesione è
assicurata dai macrofagi che trovano l'ambiente
idoneo per temperatura, umidità ed ossigeno.
Altra
caratteristica è l'effetto barriera a cui
assolve la membrana esterna impermeabile sia ai
germi che ai liquidi. Gli idrocolloidi garantiscono
inoltre l'isolamento termico prevenendo
l'evaporazione dell'essudato proteggono la ferita
dal raffreddamento. Ci vogliono infatti 40 minuti
affinché una ferita detersa torni alla
temperatura normale e circa 3 ore affinché
ricompaia la mitosi cellulare.
Le medicazioni
con tali bendaggi diminuiscono la
dolorabilità proteggendo le terminazioni
nervose; l'asportazione infatti non causa traumi ai
tessuti in via di rinnovamento.Il meccanismo della
riduzione del dolore in ambiente umido non è
ancora ben chiaro; una spiegazione potrebbe essere
che gli idrocolloidi prevengono la disidratazione e
il raffreddamento delle terminazioni
nervose.
Grazie alla sua
consistenza flessibile ed elastica questa
medicazione si adatta bene a qualsiasi sede della
lesione aderendovi perfettamente.
Da non
sottovalutare è anche l'aspetto dei costi
dato che la medicazione idrocolloidale va
sostituita (cambio che deve avvenire quando la
medicazione appare "diversa") con minore frequenza
con conseguente diminuzione dei carichi di
lavoro.
Alcuni
idrocolloidi (medicazoni semiocclusive) hanno
membrana semipermeabile che permette quindi il
passaggio di ossigeno, di anidride carbonica e
vapore acqueo come nell'epidermide; l'interfaccia
della lesione viene quindi a mantenersi umida e nel
contempo se ne impedisce la macerazione attraverso
l'evaporazione del vapore acqueo ma nel contempo
sono impermeabili alle sostanze liquide esterne e
ai microrganismi.
Altri tipi di
idrocolloidi (medicazioni occlusive) sono
impermeabili all'ossigeno ambientale: segue da
ciò che l'ossigeno necessario
all'angiogenesi deriva dall'apporto ematico. Per
effetto dell'occlusione consegue una caduta della
pressione parziale di ossigeno a livello della
lesione per cui viene richiamato nella zona
l'afflusso di sangue necessario. Anche in questo
caso viene impedita la macerazione della lesione,
ma solo attraverso l'assorbimento dell'essudato da
parte dell'idrocolloide.
Altro prodotto indicato per creare
un ambiente umido sono le schiume
poliuretaniche: sono dei sostituti dell'epidermide, permeabili
sia all'ossigeno che all'anidride carbonica. Fungono da barriera
per i microrganismi e permettono l'isolamento termico, hanno inoltre
la proprietà di assorbire l'eccesso di essudato ed i componenti
tossici favorendo la liquefazione dei detriti delle ferite. Le
schiume sono indicate sia per lesioni di I e II stadio (non aderiscono
al tessuto sano e grazie al loro effetto ammortizzante offrono
una notevole protezione preservando il tessuto dai traumatismi),
sia per lesioni di III e IV stadio in quanto possono assorbire
anche noevoli quantità di essudato.
III° Stadio
Obiettivo: rimuovere il tessuto
necrotico.
La presenza di
tessuto necrotico impedisce la guarigione: se non
viene rimosso, il tessuto sano sottostante non ha
la possibilità di iniziare il processo di
granulazione.
La rimozione dell'escara deve
essere necessariamente di tipo chirurgico cui farà seguito
un abbondante lavaggio con soluzione fisiologica o Ringer Lattato.
La medicazione seguente all'asportazione chirurgica verrà
effettuata utilizzando garze sterili al fine di controllare eventuali
emorragie.
Per la detersione della lesione
da residui necrotici è utile associare all'asportazione
chirurgica la pulizia enzimatica con l'applicazione di sostanze
proteolitiche in grado di sciogliere o ammorbidire quegli
strati di fibrina e tessuto necrotico non asportabili chirurgicamente.
L'utilizzo di questi prodotti deve essere effettuato con molta
attenzione, evitandone il contatto con il tessuto sano, che verrebbe
distrutto dalle proprietà enzimatiche degli stessi. L'esclusivo
utilizzo dei prodotti enzimatici risulta inefficace a rimuovere
escare secche ma è utile l'associazione della sostanza
proteolitica con film membrana al fine di ammorbidire l'escara
in preparazione alla toilette chirurgica: la presenza di umidità
aumenta infatti l'attività enzimatica di tali sostanze.
Una sostanza ideale alla rimozione
della necrosi è l'Idrogel, un nuovo prodotto indicato
nella detersione di necrosi ed escare in quanto provoca un'idratazione
massiva del tessuto necrotico, favorendo una rapida autolisi con
contemporanea attivazione dei processi di riparazione senza intaccare
il tessuto sano; il suo utilizzo nei tramiti fistolosi ne permette
un drenaggio efficace; nel caso di ulcere deterse stimola il processo
di granulazione.
Esiste anche l'associazione tra
Idrogel e Alginato di calcio utile in caso di lesioni iperessudanti:
il potere assorbente dell'alginato contiene i fenomeni di macerazione
mentre l'idrogel ha un'efficace azione di debridement della fibrina.
Per quanto
concerne l'impiego di disinfettanti le linee guida
dell'AHCPR ne sconsigliano l'utilizzo vista la loro
azione citotossica nei confronti del tessuto di
granulazione (fibroblasti in particolare) che
determina un ritardo nella produzione di collageno.
I disinfettanti esercitano inoltre un'azione
irritante nei confronti della rete capillare
neoformatisi.
Viene ancora
utilizzata frequentemente l'acqua ossigenata: va
ricordato che tale sostanza distrugge il 50% delle
cellule in via di riepitelizzazione e non sembra
nemmeno comprovata la sua efficacia anche nei
confronti delle infezioni sostenute da germi
anaerobi a causa delle scarsità dei tempi di
contatto.
Con tali premesse occorrerebbe
bandire l'utilizzo dei disinfettanti ma, per esperienza diretta,
nel trattamento di lesioni da decubito al III°- IV°
stadio che presentavano zone di necrosi siamo giunte ad utilizzare
determinati disinfettanti quali lo Iodopovidone (visto la sua
efficacia sia come antibatterico che antimicotico) o la Clorexidina.
Il motivo che ci ha condotto a rivedere tale comportamento nasce
dall'esigenza primaria che occorra eliminare sì la necrosi
ma anche contenere l'inevitabile aumento della carica batterica
che ne consegue, senza dimenticare che un trattamento antibiotico
sistemico in questa fase avrebbe, a livello locale, una scarsa
azione determinata dalla limitata diffusione nel tessuto necrotico
avascolarizzato.
Lo Iodopovidone è stato
utilizzato anche con il preparato di Knutson (20 parti di zucchero,
5 parti di Betadine pomata, 2 parti di iodopovidone soluzione
chirurgica). Tale preparato favorisce la detersione della lesione
e stimola la granulazione grazie alla presenza dello zucchero
che possiede qualità eutrofizzanti, deve essere utilizzato
con particolare attenzione nei soggetti diabetici o con insufficienza
renale; il suo utilizzo è bandito nei soggetti che presentino
allergia allo iodio.
L'utilizzo del disinfettante
dovrà cessare qualora si vedrà l'inizio del processo
di riparazione che, ricordiamo, inizia dal fondo e dai bordi della
lesione.
La reale
efficacia degli antibiotici ad uso locale non
è stata comprovata, poiché non
penetrando in profondità non sono in grado
di produrre il loro meccanismo di azione
farmacologico; possono invece creare resistenze
batteriche e ipersensibilità.
Una volta
ottenuta la detersione della piaga si procede con
la scelta del bendaggio occlusivo o semiocclusivo
con l'utilizzo di idrocolloidi o schiume
poliuretaniche.
In caso di
ferite infette è consigliabile utilizzare
medicazioni semiocclusive o schiume in poliuretano
al fine di evitare sviluppo di batteri anaerobi.In
questo caso è bene che la lesione venga
monitorata con sostituzioni giornaliere e con
tamponi colturali e biopsie cadenzate al fine di
intervenire con terapia antibiotica sistemica
mirata e con modificazioni nel tipo di trattamento
locale.
Qualora la
ferita fosse libera da residui necrotici e non
presentasse segni di infezione si può
applicare una medicazione di tipo occlusivo.
Con una
medicazione avanzata si ottiene anche il controllo
sulla sintomatologia dolorosa, spesso presente
nelle ulcere a questo stadio, in quanto pare
prevengano la disidratazione ed il raffreddamento
delle terminazioni nervose. Qualora il paziente
lamentasse dolore sarà opportuno informare
il medico affnchè prescriva un farmaco
antalgico appropiato. La riduzione del dolore
è un altro fattore favorente il processo di
guarigione delle ferite poichè in presenza
di un dolore elevato si manifesta il fenomeno
dellla vasocostrizione che provoca una diminuzione
delll'apporto di ossigeno e delle sostanze
necessarie al processo riparativo nella zona
interessata dalla lesione.
Nel caso in cui la lesione presentasse
delle cavità è opportuno zaffarla; qualora fosse
anche secernete è bene ricorrere a falde di Alginato di
calcio o di sodio senza comprimere.In caso di ferite in fase di
granulazione si possono usare schiume poliuretaniche di tipo cavitario
che, grazie alla loro particolare struttura, sono in grado di
assorbire anche notevoli quantità di essudato favorendo
il giusto grado di umidità ed impedendo che si formino
raccolte ascessuali. Questo tipo di medicazioni possiedono una
struttura morbida che si conforma facilmente alla cavità
senza comprimere e senza aderire al tessuto neoformato.
E' importante
sottolineare che non esiste un trattamento
identico, valido per ogni lesione ma spesso occorre
modificarlo anche nell'ambito della cura della
medesima lesione per poter ottimizzare i
risultati.
IV° Stadio
Obiettivo: controllo delle
infezioni
La cura delle
lesioni al IV° stadio è praticamente
sovrapponibile a quella del III°: la
differenza sostanziale consiste nel rischio
maggiore di infezioni legato sia alla penetrazione
della lesione verso le strutture profonde, sia alle
condizioni maggiormente critiche del paziente. A
questo stadio si rende maggiormente necessario un
intervento di tipo multidisciplinare che coinvolga
diverse figure professionali (l'internista, il
dietologo..) a seconda delle diverse problematiche
cliniche che il paziente presenta. E' altrettanto
rilevante che venga attuato un piano di assistenza
infermieristico, sia esso ospedaliero che, molto
più spesso in ambito domiciliare volto a
migliorare i deficit organici nel rispetto dei
bisogni del paziente.
Il trattamento
locale dopo la necessaria rimozione dell'escara
(rimozione che deve essere effettuata in modo
graduale, associando prodotti proteolitici o
idrogel) prevede un'abbondante detersione con
ringer lattato o fisiologica.
Per quanto
concerne l'utilizzo del disinfettante riteniamo la
sua applicazione necessaria in questa fase visto la
presenza di infezione che potrebbe divenire
sistemica.
In presenza di
abbondante essudato è utile l'uso di
alginato di calcio, materiale biodegradabile in
grado di assorbire grandi quantità di
essudato (assorbe 20 volte il proprio peso)
mediante la trasformazione in gel; ciò
favorisce il grado di umidità ottimale per
avviare il processo di riparativo.Visto il maggior
rischio di proliferazione batterica si consiglia di
ricorrere a schiume di poliuretano o idrocolloidi
semipermeabili.
Un parametro
fondamentale per il paziente è il controllo
del dolore (sicuramente ingravescente vista
l'estensione della lesione ai piani più
profondi) da effettuare con antidolorifici da
somministrare in accordo con il medico curante.
E' in ogni caso
auspicabile che la lesione non raggiunga questo
stadio in quanto è indice del fallimento sia
della prevenzione che del trattamento terapeutico
degli stadi precedenti.
---
(8) E.Ricci, R.
Cassino, M.Nano, "Trattamento locale delle piaghe
da decubito"
9) M.Y.
Sieggreen "Guarigione delle ferite" p; 1017,in
L'Assistenza infermieristica del Nord America
Edizione italiana, Piccin Editore, Padova,
1988.
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