Romano Ricciotti
UN EROE ITALIANO NEL TRAVAGLIO DELL'INDIPENDENZA NAZIONALE
 
gennaio 2004

Giuseppe La Hoz, ufficiale dell'Esercito austriaco, poi delle Forze armate della Repubblica Cisalpina, Un Italiano patriota, Il 2 febbraio 1797 Battaglia del Senio...
Recensione di Romano Ricciotti

Il 2 febbraio 1797, nel corso d'un fatto d'armi passato alla storia come Battaglia del Senio, dove si fronteggiarono forze dell'esercito pontificio e reparti regolari della Repubblica Cispadana, superiori per numero e per preparazione, "un capitano lombardo (narra S. Tomba, in un brano riprodotto da Francesco Mario Agnoli, in Un Italiano patriota, p. 43) mostravasi sul ponte al campo pontificio e i faentini, irritati dalla temerità di costui, gli scagliarono una tempesta di palle senza poterlo ferire; finalmente alla terza prova per due colpi di fucile venne al suolo rovesciato, nè più sorgere fu visto". Ma fu soccorso dai suoi.
Scampato a quel pericolo, non sarebbe vissuto molto a lungo, ma tanto da divenire protagonista del tempo dell'occupazione militare francese e delle Insorgenze.
Era Giuseppe La Hoz, ufficiale dell'Esercito austriaco, poi delle Forze armate della Repubblica Cisalpina, e infine Comandante delle "truppe di massa", ossia delle forze irregolari degli Insorgenti che si opposero tenacemente all'Armée d'Italie.
La Battaglia del Senio fu un episodio della complessa vicenda politco-militare che fece del 1799 l' "anno terribile", così detto per "gli eserciti che ripetutamente percorsero la Penisola da un capo all'altro, la guerra civile all'interno dei singoli Stati che ne formavano il mosaico politico, gli assedi, i sanguinosi e ripetuti saccheggi delle città conquistate ora dall'una ora dall'altra delle parti contendenti, le impiccagioni e le fucilazioni indiscriminate degli avversari politici, le rappresaglie feroci, la carestia ... ; questo 1799 fu "colmo di eventi orribili e dolorosi, di sanguinose vendette, soprattutto da parte delle masse popolari da tre anni risvegliatesi da un secolare torpore per ridiventare protagoniste della storia" (19).

La Hoz fu uno dei protagonisti di questa vicenda, nel breve arco di pochi anni, dal 1996, al 1799, anno della sua morte in battaglia.
Figlio di un ufficiale dell'esercito austriaco di stanza a Milano, La Hoz vi militò a sua volta. Di lui non si sa nulla fino al 1796, anno in cui abbandonò "la guarnigione austriaca e le insegne imperiali per buttarsi nelle braccia della rivoluzione, con una decisione della quale - annota Agnoli - ignoriamo tutto, dalla motivazione agli antefatti" (237)
Fu subito colonnello, e collaborò alla formazione della Legione Lombarda. Combattè valorosamente, come abbiamo visto, e divenne generale. Poi ebbe vicissitudini dovute al suo temperamento impetuoso e irrispettoso delle gerarchie "giacobine". Fece la fronda, cospirando contro i francesi, protesse i cristiani vessati e perseguitati da francesi a giacobini.
Nel maggio 1799 fece il grande passo, allontanandosi da Pesaro, dove era venuto a trovarsi per ragioni relative all'andamento della guerra contro i pontifici, per recarsi, con pochi commilitoni, a Norcia dove fu accolto da Don Francesco Amici, parroco e promotore, con altri, dell'Insorgenza marchigiana.
Questi lo condusse dal generale delle "truppe di massa", Giuseppe Cellini che lo accompagnò presso un prete noto con il nome di Generale dei Colli, nelle mani del quale il generale cisalpino si diede alla causa dell'Insorgenza. Dopo qualche tempo era a capo delle "truppe di massa", con il grado di "Comandante supremo degli insorgenti d'Italia".
Come La Hoz abbia percorso questo itinerario e come sia caduto in battaglia, davanti ad Ancona, nella notte fra il 9 e il 10 ottobre 1799, questa è la materia del libro di Agnoli, denso di avvenimenti e di riflessioni, fondate su ricerche, su riferimenti agli storici più accreditati e sulle memorie di Monaldo Leopardi, che osservò da vicino lo svolgersi dei fatti e ne riferì nell' Autobiografia.
Lo sforzo di Agnoli, che non a caso è un giudice, è la ricerca di quello che i penalisti direbbero l' elemento psicologico della condotta del generale La Hoz, ossia de suo duplice "tradimento", prima dell'Impero austriaco e poi della Repubblica cisalpina.
Agnoli confuta le motivazioni addotte da questo o da quello storico, e ricostruisce le decisioni del generale come ispirate alla costante e coerente sua volontà di adoperarsi, con gli uni o con gli altri, per la creazione dei uno Stato federale italiano indipendente.
La Hoz, in definitiva, fu un patriota italiano, che abbandonò presto l'Austria per passare alla repubblica filofrancese nella convinzione che l'impero austriaco non avrebbe mai consentito l'indipendenza dell'Italia, cosa che, sulla carta, appariva possibile nella Repubblica cisalpina.
Ma dovette disilludersi presto, soprattutto quando si rese conto che il suo adoperarsi per l'indipendenza, anche attraverso l'adesione ai c.d. Raggi, non aveva prospettive.

Della società segreta dei "Raggi" -scrive Agnoli- "ancora oggi si conosce solo il poco riferito dal Botta", che ne attribuisce l'iniziativa ai generali La Hoz, Pino, Teulié e Birago, "i quali, avendo compreso che la Francia voleva tutt'altra cosa dell'indipendenza degli italiani, sicché questi 'erano destinati a servitù o d'Austria o di Francia', ... si riunirono a Milano per dar vita a 'una setta, la quale, contraria del pari ai Francesi ed ai Tedeschi, dagli uni e dagli altri voleva liberare l'Italia, col fine di darle un esser proprio e indipendente', trovando a questo fine intese con i romani e i napoletani ... il centro direttivo era a Bologna e poiché da questa s'irraggiavano le direttive per gli associati delle altre città la società fu detta dei Raggi" (96).
Agnoli nutre dubbi su questa tesi del Botta, e li motiva. Tuttavia, vere o false che siano le notizie dell'esistenza di questa misteriosa società dei Raggi, o di analoghe società segrete antifrancesi come la "Mano nera" e i "Centri"
- conclude Agnoli - resta verosimile l'esistenza dei Raggi e della "cospirazione del generale La Hoz, veramente ordita, ma senza giuramenti, senza iniziazioni, senza simboli, senza quelle grottesche cerimonie che costituivano i misteri della setta massonica, conservando cioè un carattere informale, quasi di conventicola nata da semplici discorsi fra amici, tutti o quasi militari cisalpini e quindi uniti da comunione di vita e di sentimenti, carattere che senza dubbio contribuì a tenere il segreto" (99).
Inviato a presidiare il Dipartimento del Rubicone, La Hoz si diede ad azioni che Agnoli definisce il "tentativo di effettuare quasi in maniera indolore un pronunciamento militare antifrancese" (124)
Nel campo cisalpino "furono numerosissimi - annota Agnoli - ... i casi di repentine conversioni e di altrettanto inattesi pentimenti, com'era del resto inevitabile in presenza di avvenimenti che, forse per la prima volta, univano il tentativo di mutare l'ordinamento del mondo e di realizzare la trasformazione dell'uomo alla tradizionale guerra di conquista e di espansione territoriale."
Nessuno come Giuseppe La Hoz "può forse vantare una primogenitura e certamente nessuno come lui portò fino alle estreme conseguenze il suo 'ravvedimento operoso', come lo definirebbero i giuristi, ma il suo caso fu tutt'altro che isolato. Tuttavia non tutte le resipiscenze dei sostenitori delle idee nuove, divenuti, sulle ali dell'entusiasmo del primo momento, solerti collaboratori dei francesi tanto sul campo di battaglia quanto nella realizzazione delle nuove amministrazioni civili (nonché, non per ultimo, nello spoglio del loro paese), ebbero uguale estensione e determinarono uguali risultati. Alcuni giacobini italiani, pur senza rinunciare ai principi della Rivoluzione, che ritennero traditi dai nuovi governanti di Parigi, presero le distanze dai francesi, accusati di comportarsi come un esercito straniero in terra di conquista e, se in alcuni casi si limitarono alle polemiche verbali e rimasero a fianco della 'Repubblica Madre' quando si trattò di scegliere fra l'Armée e gli eserciti della "Coalizione" scesi in campo per la restaurazione degli antichi Sovrani, altri auspicarono che gli italiani si unissero per cacciare con la forza delle armi sia gli austro?russi sia i francesi. Altri ancora, non vedendo differenza alcuna fra i saccheggi dei Bonaparte e quelli dei Direttorio e comunque definitivamente delusi dalla Rivoluzione, passarono (spesso si trattò di un ritorno) dall'altra parte, ripudiando le idee e le motivazioni che li avevano spinti ad una scelta rivelatasi ben diversa dalle attese. Inutile aggiungere che in una situazione caratterizzata da continui mutamenti le distinzioni non furono sempre così nette e spesso, cedendo alle esigenze della realtà, molti di quei giacobini rimasti tali anche se non più al servizio della Francia e quindi desiderosi di combattere contemporaneamente francesi e coalizzati ? è secondo il Botta e altri il caso dei Raggi ? si piegarono, senza per questo rinunciare definitivamente all'allontanamento di tutti gli stranieri, al maggior realismo di chi riteneva che si dovesse intanto mettere mano al Compito più urgente: la cacciata dei francesi" (239).

Considerazioni preziose sono queste, di Agnoli, autore di numerose opere che lo hanno collocato fra i più autorevoli cultori delle Insorgenze. Son preziose perché, in una riflessione più matura, contribuiscono a collocare i moti antifrancesi e antigiacobini al posto che loro spetta, come manifestazioni della volontà di indipendenza del popolo italiano.
Si chiede, Agnoli, "se La Hoz mirasse semplicemente al ristabilimento dello status quo, cioè alla restaurazione dei Sovrani legittimi, come era certamente nei voti degli insorgenti, che appunto in vista di questo risultato lo avevano eletto a loro comandante militare e gli prestavano devota obbedienza, o se invece mirasse a un risultato almeno parzialmente diverso, come la sopravvivenza della Cisalpina", oppure se lottasse per l'indipendenza italiana, "un'indipendenza, si badi, da non confondere con l'unificazione politica della Penisola ... e quindi perfettamente conseguibile anche con la pura e semplice restaurazione degli Stati prerivoluzionari, tutti 'nazionali' con la possibile eccezione della Lombardia (da questa va comunque esclusa la cosiddetta 'Lombardia Veneta', che all'epoca si poteva pensare destinata a tornare alla rinata Repubblica di San Marco, che in effetti molti ancora pensavano dovesse essere ristabilita) l'unica ad avere un Sovrano straniero. (240,241)
Nella mente, e nel cuore, di La Hoz era viva l'idea "che l'indipendenza non poteva essere conquistata e conservata finché fosse solo il sogno elitario di una piccola minoranza intellettuale, ma unicamente se fosse divenuta aspirazione popolare" ... nella convinzione che "le antiche regole e tradizioni, le autonome organizzazioni, le pratiche religiose cariche anche di valenze civili e comunitarie, le corporazioni, le stesse comunità" ... "non avrebbero potuto sopravvivere nel mondo nato dalla Rivoluzione al di fuori del quadro protettivo dell'indipendenza nazionale" 243). Romano Ricciotti

 

FRANCESCO MARIO AGNOLI, Un patriota italiano. Giuseppe La Hoz, da generale giacobino a comandante degli insorgenti, Il Minotauro,Roma, 2002, pagg. 243, Euro 13





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