Romano Ricciotti
INTORNO ALLA BIOETICA GIURISTI, PSICOLOGI, MEDICI, TEOLOGI, FILOSOFI, SI CHIEDONO CHE COSA È GIUSTO FARE E E COME COMPORTARSI NELL’ESERCIZIO DELLA MEDICINA.
SIAMO NEL CAMPO DELLA BIOETICA.
 
gennaio 2004

Nella seconda edizione dell'Encyclopedia of Bioethics: la bioetica è definita "…lo studio sistematico delle dimensioni morali - incluse la visione morale, le decisioni, la condotta e le politiche - delle scienze della vita e della cura della salute, usando le diverse metodologie etiche in un quadro interdisciplinare". La definizione è analizzata e integrata da Michele Aramini, (p. 62), che ha pubblicato con Giuffrè la seconda edizione del suo Introduzione alla Bioetica, un lavoro importante, completo, scritto con una chiarezza d'altri tempi sia nelle parti espositive sia nelle parti dialettiche. L'abbondanza degli argomenti e la precisione dell'indice sommario ne fanno una sorta di enciclopedia, accessibile utilmente tanto allo specialista quanto al profano. Riprendiamo qui qualche argomento, fra i tanti.

Secondo Aramini, che aderisce in proposito alla decisione del Consiglio di Stato francese favorevole a un intervento del legislatore, la bioetica non può sfuggire alle regole del diritto.
"Non bisogna dimenticare - egli scrive (p.85) - che i problemi bioetici pur essendo collocati nell'ambito più intimo della persona umana, hanno anche dei risvolti importantissimi a livello sociale: la tutela della vita umana, il valore della famiglia e della genitorialità, la condizione di debolezza di alcuni soggetti. Le nuove tecniche mediche si qualificano sia per la profondità dell'intervento sulla vita sia per la forza di questo intervento. Al di là dell'interesse diagnostico e terapeutico, il progresso biomedico coinvolge anche rilevanti interessi economici, per loro natura più forti di quelli strettamente medici e tendenti a condizionarne l'impiego secondo la logica del mercato. Questi poteri, per la forza del loro irreversibile concatenamento, rischiano di stravolgere la natura della medicina, facendo prevalere in essa l'attitudine puramente tecnica, in base a cui tutto ciò che si può fare tecnicamente si legittima di per sé. Per questo motivo, senza alcuna intenzione di demonizzare la tecnica, bisogna dire che la prevalenza esclusiva della tecnica, con la libertà di fare ciò che si può, si tradurrebbe nella libertà di alcuni di fare degli altri tutto ciò che loro aggrada. Per questi motivi è necessario stabilire un ordine pubblico minimo, con un arbitrato tra i diversi interessi in causa, che talvolta sono contraddittori.
Alcune domande permettono di comprendere meglio la rilevanza delle questioni in gioco: è lecito fabbricare embrioni umani per la ricerca, senza ricostruire una umanità duale, fatta di soggetti e di non?soggetti di diritto? E' lecito sopprimere feti dal sesso non desiderato o affetti da handicap trattabili, senza ricostruire un potere parentale o sociale sugli esseri umani più forte di quanto sia mai stato? E' lecito condurre sperimentazioni sugli handicappati senza ricostruire forme moderne di sacrificio umano? E' lecito utilizzare a fini industriali o terapeutici, senza il consenso delle persone, il materiale biologico estratto dai loro corpi? E' lecito lasciare che l'economia di mercato governi la produzione e lo scambio di quella materia prima che sono i corpi umani? E' lecito produrre bambini dall' identità genealogica confusa?
Riteniamo che il diritto debba svolgere una funzione essenziale scopo di limitare il potere delle nuove tecnologie, allo scopo di salvare il concetto di persona umana come fine a se stessa".

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A proposito della terapia del dolore, Aramini sottolinea, nella condizione del malato terminale, "la perdita del proprio ruolo sociale, che spesso accompagna la malattia. Ciò richiede un particolare impegno nell'adattare il tipo di intervento medico alla specificità del singolo paziente, al suo tipo di dolore, alla sua situazione socio?familiare. In quanto evento simbolico, la morte provoca il personale sanitario a prendersi cura della persona malata nella sua totalità, interpretandone i desideri e garantendone i bisogni, sempre nel rispetto della volontà del paziente, delle leggi e dei principi etici. L'obiettivo del medico, soprattutto per i malati terminali, dovrà spostarsi dal “ guarire ” al “ prendersi cura ” contenendo i sintomi e il dolore, superando le due tentazioni di occuparsi solo della malattia, da una parte, e di affrettare il decorso della malattia, dall'altra parte. Nella lotta contro il dolore la medicina si è attrezzata sempre meglio e oggi abbiamo una branca specializzata nella terapia dei dolore.
Gli studi sul dolore hanno fatto passi notevoli e procedono in due direzioni: a) trovare analgesici (periferici) che agiscono sulla formazione e sulla trasmissione del segnale; b) trovare farmaci che agiscono interferendo sulla modulazione del dolore: sono i cosiddetti analgesici centrali. Ciò che è importante è riuscire a far in modo che il segnale arrivi al midollo il più spento possibile, affinché la percentuale residua possa essere neutralizzata o da minime dosi di analgesici centrali o addirittura dall'organismo stesso con le sue risorse. (138)



"Gli aspetti etici concernenti la medicina dei dolore sono principalmente i seguenti: se e in quale misura si deve combattere il dolore; se é possibile sopprimere la coscienza del malato per eliminare il dolore; se si può accettare un certo accorciamento della vita provocato dalla terapia contro il dolore.
Lo scopo di guarire e di alleviare la sofferenza umana propria della medicina è incontestabile. Il dolore fisico è una condizione umana che limita le capacità operative e intellettive della persona e ciò spiega l'istinto umano di liberarsi da ogni forma di dolore. Quindi la lotta contro il dolore fisico è eticamente buona: il male deve essere semplicemente combattuto. […]
Il ricorso massiccio e abituale a sostanze analgesiche, specialmente in casi di malattie croniche e nelle fasi terminali della vita, per alleviare i dolori insopportabili del paziente può comportare un certo accorciamento della vita. Questo effetto dipende dagli squilibri che le sostanze provocano nell'organismo, già fortemente indebolito, capaci di vincere le ultime resistenze e portare il soggetto alla morte. L'uso dei farmaci in questi casi resta lecito, in quanto l'eventuale accorciamento della vita non è lo scopo dell'intervento, ma si tratta di un effetto indiretto e inevitabile del soccorso necessario al paziente, volto a umanizzare la fase terminale della vita". (139-140)

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Circa il consenso alle terapie e l'eventuale rifiuto di esse da parte del paziente, scrive Aramini:
"Il principio etico per cui "la persona ha diritto alla gestione della propria salute e della necessità di consentire alle terapie trova il suo fondamento nella stessa dignità dell'uomo, nel suo essere realtà indisponibile a qualsiasi manipolazione altrui. E' il soggetto che conosce il proprio maggior interesse in base agli ideali che professa. L'uomo ha piena coscienza di essere lui, non altri, il responsabile della propria salute mentale e psico?somatica, della propria integrità e della propria sopravvivenza, ma nel contempo si rende conto che in alcune particolari condizioni ha bisogno dell'aiuto dei professionisti della salute. Le condizioni di bisogno non fanno perdere al soggetto i suoi poteri di amministrazione sia per quanto riguarda il diritto di conoscere il male che lo ha colpito sia per ciò che riguarda il piano di cura che il personale sanitario intende attuare nei suoi confronti.
Tra questi poteri c'è il diritto a essere correttamente informato e il diritto di rifiutare il consenso a determinate proposte di trattamento o di interventi chirurgici: anche contro il parere del medico curante. Le ragioni legittime che potrebbero indurre il malato al rifiuto di un trattamento medico sono: i grandi rischi connessi con la terapia, l'onere psicologico ed economico eccessivo che potrebbe ricadere sui familiari, impegni di assoluta urgenza. Solo il malato è in grado di avere una visione d'insieme di tutti i valori che sono in gioco nella sua situazione. Il rifiuto alla terapie non solo è lecito, ma è doveroso, dove queste si configurassero come accanimento terapeutico.
Naturalmente il personale sanitario deve saper valutare l'espressione della volontà personale dei malato. Ci sono casi eccezionali in cui il medico e l'infermiere possono, o debbono, intervenire addirittura senza il consenso del malato, e, qualche volta, nonostante il rifiuto esplicito di costui: a) quando il rifiuto è più apparente che reale, più nelle parole che nel pensiero; b) quando dopo aver tentato il suicidio, il malato rifiuta le cure mediche, proprio perché persiste nell'idea di suicidio; c) quando il rifiuto lede gli interessi di un terzo, senza ragione proporzionata".
Quest'ultima proposizione, con riguardo alle tre ipotesi formulate, desta perplessità in quei giuristi i quali ritengono che l'unico caso dei intervento lecito sena consenso sia quello sulla persona inanimata.

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In ordine alla clonazione, il pensiero di Aramini è lineare:
La clonazione umana è respinta dal Comitato nazionale di bioetica per tre ordini di ragioni:
"la riduzione dell'uomo a mezzo; la violazione del diritto all'unicità genetica; la violazione del diritto a non sapere" (200)
"Circa la prima ragione, è facile comprendere come siano le motivazioni stesse che spingono alla clonazione ad operare nel senso di una grave strumentalizzazione dell'essere umano. Basti richiamare la funzione di scorta assegnata al clone, per eventuali sostituzioni di cellule o di organi malati nel soggetto 'originale'.
La seconda motivazione riguarda la violazione del diritto alla originalità del patrimonio genetico. Se è vero che la dimensione biologica non è la sola che fa della persona umana un essere originale e irripetibile, è altrettanto vero che esiste una stretta relazione tra la dimensione biologica e spirituale. Quindi il patrimonio genetico esercita una reale incidenza nell'evoluzione e nell'espressione della persona.
A ciò si aggiunge un'altra non meno importante osservazione di carattere genetico. La riproduzione di soggetti biologicamente identici, come avviene con la clonazione, è destinata a mortificare la possibilità di un'infinita varietà di patrimoni genetici, che costituisce una vera ricchezza dell'uomo, come degli altri esseri viventi. Quest'osservazione era già stata fatta dalla Commissione americana per i rischi genetici nel 1994. Secondo il suo rapporto sono preoccupanti le conseguenze per l'evoluzione della specie e della diversità genetica tra gli esseri umani. La vita si diffonde e si evolve proprio grazie alla diversità che con la clonazione verrebbe turbata Si manifesta qui la preoccupazione per gli “ effetti imprevedibili ” nel quadro biologico dei geni, e non sono da trascurare possibili errori di laboratorio che potrebbero portare a danni irreversibili alla natura umana.
Il terzo rilievo critico concerne la violazione del diritto all'ignoranza circa il proprio destino biologico e culturale. Ignoranza che è condizione preliminare della libertà, cioè la condizione per cui si diventa se stessi nell'incontro con la propria vita per la prima ed unica volta. La libertà di colui che sa di esser copia di un altro, del quale ripercorrerà almeno alcune vicende biologiche, è fortemente incrinata.
Accanto alle ragioni teleologiche esistono anche ragioni deontologiche. Sono quelle che argomentano a partire dalla natura dell'uomo. Se la trasmissione della vita umana avviene normalmente grazie a un atto sessuale nell'intimità di un rapporto di amore, la clonazione, ancor più delle tecniche di fecondazíone artificiale, viola la dignità e la verità del nascere umano". (201)

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A proposito delle cellule staminali, sono numerose le malattie che potrebbero essere curate mediante il loro impiego (213).
"Tutte le diverse posizioni morali concordano nel riconoscere il carattere positivo dell'uso di cellule staminali tratte dal cordone ombelicale o da individui adulti, e nel sottolineare che l'obiettivo ottimale è quello di poter riprogrammare cellule mature del paziente di cui si intende rigenerare il tessuto, ciò che rappresenterebbe un vero e proprio trapianto cellulare o tessutale autogeno senza rischi di rigetto. Lo stesso accordo esiste nel ritenere eticamente lecita la derivazione di cellule staminali da feti risultanti da aborto spontaneo o volontario, purché sia assicurato il consenso libero e informato della donna, purché siano esclusi rapporti di causalità e forme di collaborazione fra gli operatori corrispondenti alle due fasi, l'aborto e la ricerca, prelievo, e purché non siano consentite la commerciabilità e la brevettabilità. Esistono invece posizioni diverse in merito al prelievo e all'uso di cellule staminali embrionali. Esse riguardano in parte la valutazione delle possibilità e delle priorità, sul piano scientifico, delle varie fonti di cellule staminali, ma hanno sopratttutto alla base la divergenza sulla definizione ontologica dell'embrione e soprattutto sul suo essere o meno persona, e riguardano perciò la liceità morale dell'uso per fini di ricerca e, in prospettiva, terapeuticí degli embrioni, un uso che comporterebbe oggi la loro soppressione.
Pertanto gli interrogativi etici posti dall'uso delle cellule staminali embrionali sono i seguenti. Il primo problema etico, fondamentale, può essere formulato così: E' moralmente lecito produrre o utilizzare embrioni umani viventi per la preparazione di cellule staminali? Il secondo problema etico può essere formulato così: E' moralmente lecito utilizzare le cellule staminali e le cellule differenziate da quelle ottenute, eventualmente fornite da altri ricercatori o reperibili in commercio? Il terzo problema etico può essere formulato così: E' moralmente lecito eseguire la cosiddetta 'clonazione terapeutica' attraverso la produzione di embrioni umani e la successiva distruzione per la produzione di cellule staminali? La posizione dei bioeticisti cattolici, e di tutti coloro che ritengono che occorra trattare l'embrione umano come persona, risponde negativamente a tutti e tre i quesiti". (215-216)



La pillola del giorno dopo (pillola RU 486) può venire in considerazione come farmaco utilizzato per cagionare un aborto senza osservare le procedure previste dalla legge 22 maggio 1978 n. 194, e allora costituisce un illecito morale e giuridico penale. Oppure può essere presentata come uno strumento per praticare l'abporto nell'ambito delle procedure legali, come strumdento alternativo a quello chirurgicio.
"Se si trattasse - osserva Aramini - di una semplice sostituzione di nell'esecuzione dell'aborto, non ci sarebbe nulla da obiettare. Perché si tratti di una pèurta sostituzione di metodo si devono verificare diverse condizioni: a) non avere conseguenze dannose per la salute della donna; b) rispettare i limiti posti dalla legge 194; non favorire l'aborto clandestino.
Sulla di queste condizioni ci sono forti dubbi. Le sperimentazioni finora effettuate non hanno fugato completamente rischi per la salute della donna, consistenti principalmente nella possibilità di ernorragie in concomitanza con l'espulsione del feto. In secondo luogo l'uso della pillola del giorno dopo renderebbe più facile la violazione delle norme della legge 194, che vietano il ricorso all'aborto come mezzo contraccettivo. Infine, non va sottovalutato il rischio di contribuire alla diffusione dell'aborto clandestino, in quanto la pillola potrebbe essere facilmente commercializzata attraverso un circuito illegale. Alla luce delle finalità della legge 194, tra cui principale c'è quella di contrastare l'aborto clandestino, bisogna dire che con l'uso della pillola del giorno dopo si rischia di aumentare l'aborto clandestino, soprattutto nelle giovanissime donne, con il conseguente pericolo per la loro salute.

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Posto che l'eutanasia, nel pensiero di Aramini, rappresenta un illecito morale e giuridico-penale, l'Autore esprime la propria adesione all'opinione dominante in merito all'accanimento terapeutico. "…l'art. 36 del Codice italiano di deontotologia medica, recita che 'il medico può limitare la sua opera, se tale è la specifica volontà del paziente, all'assistenza morale e alla terapia atti a rísparmiare inutile sofferenza, fornendogli i trattamenti appropriati e conservando per quanto possibile la qualità di vita'. Il testo sembra salvaguardare chiaramente l'obbligo morale della prestazione delle cure normali.
Il Comitato Nazionale di Bioetica in un suo intervento del 1995 si è cosí espresso: 'L'assoluta diversità d'ordine che intercorre tra evento morboso e morte rende ragione del perché l'accanimento, volendo prolungare indebitamente il processo irreversibile del morire, sia riprovevole. Il CNB auspica che si diffonda sempre più nella coscienza civile in particolare in quella dei medici, la consapevolezza che l'astensione dall'accanimento terapeutico assume un carattere doveroso'. La Dichiarazione sull'Eutanasia emanata il 5 maggio 1980 dalla S. Congregazione per la Dottrina della Fede si esprime anche sull' accanimento terapeutico in modo molto articolato, fornendo quattro criteri: 'a) in mancanza di altri rimedi, è lecito ricorrere, con il consenso dell'ammalato, ai mezzi messi a disposizione dalla medicina più avanzata, anche se ancora allo stadio sperimentale e non esenti da qualche rischio; b) è anche lecito interrompere l'applicazione di tali mezzi, quando i risultati deludono le speranze riposte in essi. Ma nel prendere una decisione del genere, si dovrà tenere conto del giusto desiderio dell'ammalato e dei suoi familiari, nonché del parere di medici veramente competenti; c) è sempre lecito accontentarsi dei mezzi normali che la medicina può offrire. Non si può quindi imporre a nessuno l'obbligo di ricorrere ad un tipo di cura che, per quanto sia già in uso, tuttavia non è ancora esente da pericoli o è troppo oneroso; d) nell'imminenza di una morte inevitabile nonostante i mezzi usati, è lecito in coscienza prendere la decisione di rinunciare a trattamenti che procurerebbero un prolungamento precario e penoso della vita, senza tuttavia interrompere le cure normali dovute all'ammalato in simili casi ”. (407) Per cure "normali" o "ordinarie l'Autore intende "l'alimentazione e l'idratazione anche artificialmente amministrate. (406)

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Nel volume si triovano anche utili informazioni sopra concetti correnti nel linguaggio medico.
A proposito del concetto di coma, "è utile precisare: il coma depassé è lo stato irreversíbile di cessazione delle funzioni cerebrali. Il termine è stato introdotto dai ricercatori francesi nel 1959 ma non si è mai imposto nella comunità scientifica internazionale ed oggi, stato abbandonato anche dalla comunità scientifica francese. Il motivo di questo abbandono è dovuto alla ambiguità del termine coma depassé. Esso vuol dire coma superato, condizione oltre il coma. Ma oltre il coma c'è solo la morte, quindi nello stesso termine ci sono due concetti: coma e morte.
Lo stato vegetativo persistente o coma apallico è lo stato in cui soggetto respira autonomamente e sono rari i casi in cui si registra un parziale recupero. Il soggetto apre e chiude gli occhi, mantiene i cicli dei sonno e della veglía. In qualche caso è possibile la deglutizione. Le principali funzioni vitali sono conservate, ma il soggetto non parla e non risponde, non dà segni d'attività intrapsichica.
La morte cerebrale indica la necrosi asettica degli emisferi cerebrali e del tronco encefalico, cioè la distruzione di tutto il contenuto della cavità cranica fino al primo segmento cervicale.
Morte senza nessun aggettivo, è la fine totale ed irreversíbile dell'unitarietà funzíonale dell'organismo. La morte si ha quindi quando l'organismo cessa d'essere un tutto, mentre la necrosí di tutto l'organismo è la conclusione del processo di morte". (386)

Quanto alla terapia del dolore: "Una prima forma di intervento contro il dolore è l'analgesia. Si tratta della soppressione totale o parziale o locale del dolore, senza che vengano alterate le altre forme di sensibilità. Una delle sostanze analgesiche più usate è la morfina e i suoi derivati: essi agiscono sui centri della corteccia cerebrale interessati riducendo o eliminando l'elaborazione dei segnali dolorosi periferici. L'inconveniente di questi farmaci è quello di produrre assuefazione.
La seconda forma di eliminazione del dolore è l'anestesia, che abolisce però ogni forma si sensibilità. Si usa di regola negli interventi chirurgici, nelle sue diverse forme: locale, regionale, generale.
Esistono altre tecniche antidolorifiche quali la perfrigerazione (basata sull'abbassamento della temperatura della parte interessata) e l'ipnosi (che permette di operare in certi casi in cui la narcosi è del tutto controindicata)".

Quelli che precedono sono brevi saggi tratti dall'opera dell'Aramini, degna di far parte della biblioteca non solo del giurista, ma anche del medico, dello psicologo e, perché no, dell'uomo politico al quale è affidata la partecipazione alla funzione legislativa.

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Il lavoro di Aramini non è una fredda esposizione ed elaborazione di concetti. E', invece, animato da una costante ispirazione etica raramente presente in opere del genere.
Ne è espressione un giudizio dell'Autore sulla società contemporanea, "segnata dal pluralismo etico e dalla privatizzazione delle convinzioni morali", nella quale "lo stesso diritto tende a perdere il suo legame con l'etica e ad assumere una sorta del neutralità etica. Ci si domanda, dunque se il diritto sia in grado di assolvere la sua funzione di protezione. A nostro parere, senza pretendere che il diritto faccia rivivere uno scenario culturale morto dove tra etica e diritto c'era continuità indiscussa, la possibilità esiste ancor oggi facendo riferimento non al rapporto tra diritto ed etica, e qui si porrebbe la questione di quale etica, ma all'etica intrinseca al diritto. Seguiamo qui la proposta di F. D'Agostino, che afferma la necessità di un contenuto assiologico come base per la legislazione civile, e che individua questo contenuto assiologico nell'etica propria del diritto. In questa prospettiva, vocazione specifica del diritto è garantire agli uomini una coesistenza priva di violenza e sopraffazione, fondata sul riconoscimento della 'parità ontologica'. Quello che il diritto deve recepire non è un'etica, ma la sua etica". (85-86). Flavio Lopez de Onate, nel suo celebre La certezza del diritto, definì questo concetto come la specifica eticità del diritto [Romano Ricciotti]




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