- Una possibile risposta
DARE UN'IMMAGINE ALL'EUROPA
La nuova Europa, l'Europa delle Nazioni, ha un'anima o non è innanzitutto
un sogno di mercanti? Da qualche tempo questo interrogativo è al
centro della riflessione cristiana sul futuro dell'Europa. Domanda di
fondo che può apparire strana a quanti hanno una viva coscienza
della ricchezza di cui è portatrice l'eredità culturale,
filosofica e spirituale di questa porzione geografica del mondo che chiamiamo
convenzionalmente Europa. Infatti, dal punto di vista storico non è
propriamente l'anima che mancherebbe ai popoli dell'Europa, le cui nazioni
si sono impegnate nel nuovo e laborioso processo di unificazione economica
e politica. Del resto il Consiglio d'Europa, fin dalla sua fondazione
nel 1949, non ha mancato di attribuire una importanza prioritaria ai valori
culturali, etici e spirituali dell'Europa. Certo, è legittimo asserire
che l ' Europa attuale corre il pericolo di 'perdere la sua anima",
a motivo dello slittamento generalizzato e unilaterale verso la strada
di un benessere fondato sul consumismo e il soddisfacimento materiale.
E' un fattore questo di cui bisogna tenere conto seriamente, ma non è
esattamente quello che provoca l'interrogativo di cui sopra in quanti
vorrebbero ridare all'Europa la sua anima.
LA VERA SFIDA
La vera sfida ha preso consistenza, mi sembra, in seguito all'insuccesso
dei progetti iniziali di unificazione politica e militare che l'Europa
ha avviato nel dopoguerra, allorché è nata l'idea che soltanto
un approccio economico avrebbe potuto garantire il consenso sufficiente
e generalizzato per motivare un processo di unificazione. La preoccupazione
per l'anima dell'Europa non ha origine dunque nella mentalità,
ritenuta esclusivamente tecnologica, della Commissione che ha sede a Bruxelles,
ma nell'insuccesso dei ripetuti tentativi di unificazione politica che
l'hanno preceduta. Nasce dalla constatazione che questa celebre "anima
europea", e cioè la coscienza di una comune appartenenza culturale
e spirituale, si è dimostrata incapace, o comunque non sufficientemente
vitale e determinante, per unire ciò che era stato dolorosamente
lacerato dalle guerre e fornire le basi per una nuova Europa Unita. E'
da allora che il processo di unificazione dell'Europa è stato dominato
dalle modalità successive dell'approccio unilaterale di tipo economico
del mercato comune. L'obiettivo della crescita economica è diventato
la molla più importante dell'unità europea; il dogma "da
cui tutto il resto deriverebbe" come si diceva e come si dice tuttora
in certi ambienti.
Tuttavia non sono mai mancati i critici di questo approccio unilaterale
di tipo economico, non importa se di natura pragmatica o ideologica .
Così il 26 settembre 1995, Miguel Angelo Martinez, allora presidente
del Consiglio parlamentare d'Europa, confermava al Cardinale Sodano, nel
suo indirizzo di saluto, che l'Europa è molto di più di
un mercato e che la dimensione culturale ed etica vi deve avere la priorità.
A quanti obiettano che una cosa è il Consiglio parlamentare e altra
cosa la Commissione di Bruxelles, si può rispondere agevolmente
facendo riferimento ad un passaggio di mano dello stesso Jacques Delors
nell'introduzione al documento collettivo: "Inchiesta sull'Europa.
Gli intrecci tra Scienza e Cultura". Le sue parole meritano di essere
citate: "Poiché le istituzioni europee di per sé non
sono capaci di esprimere nei confronti dei cittadini un dinamismo tangibile
e le mediazioni politiche dei nostri paesi non sono in grado di sostenere
un progetto di ampio respiro, non spetta forse ai filosofi, agli storici,
ai politologi e agli uomini di scienza di dare un senso all'Europa di
oggi?". "E agli educatori", aggiungerei da parte mia; perché
com''è possibile raggiungere le giovani generazioni altrimenti
che sul versante dell'educazione?
IMMETTERE UN DINAMISMO SPIRITUALE CHE SMUOVA LE ENERGIE
Di fronte al pericolo ancora incombente di lacerazioni tra le nazioni
dell'Europa, la costruzione europea appare dunque come la soluzione ideale:
infatti non distrugge le nazioni, bensì le trascende in un progetto
pacifico e democratico più vasto . "L'Europa potrebbe proporsi
davvero come la soluzione ideale per un gran numero dei nostri mali. E
tuttavia l'Europa stenta a farsi e ad affermarsi. Essa reca in sé
stati d'animo differenti e perciò reclama un'anima...".
Dare un'anima all'Europa, non significa accettare soluzioni preconfezionate.
Dare un'anima, scrive molto bene Paul Valadier, è immettere "un
dinamismo spirituale che smuova le energie e le intrecci con gli interessi
economici e le costruzioni giuridiche, ma anche al di là"
Non potremo (ri)trovare quest'anima che mediante uno sforzo costante di
memoria per le nostre comuni origini. L'identità europea, dice
Remi Brague, è prima di tutto la coscienza di una appartenenza.
"Ma aggiunge giustamente - non si è europei senza volerlo".
E' quanto affermava il Cardinale Danneels quando parlava di fondamenti
spirituali per l'Europa unita: "L'unità non si può
raggiungere che nella e mediante la maturità morale; in questo
ambito l'apporto spirituale e morale delle Chiese è indispensabile".
Se si desidera un futuro veramente umano per l'Europa, è necessario
che le istanze spirituali, etiche e culturali possano incontrarsi. Di
fronte a questa sfida, l'educazione e l'insegnamento devono assumere un
ruolo formativo di primo piano - ruolo che d'altra parte può inserirsi
molto bene nel desiderio che hanno i giovani di viaggiare, di cambiare
orizzonte e d'incontrarsi reciprocamente
.
NECESSITA' DEI PUNTI DI RIFERIMENTO
Per continuare a vivere insieme e armoniosamente in una Europa unita,
occorrerà trovare una base convincente d'unità e di convivenza
multinazionale nella diversità di lingue, culture e regioni geografiche.
Una società, afferma Paolo Ricoeur, non è vivibile che fino
a quando essa conserva i suoi punti di riferimento, sia come guida (punti
di orientamento), sia come norme che si propone. I1 grande problema attuale
della cultura europea consiste, secondo lui, nella perdita di memoria
della sua identità. Si potrebbe parlare qui, con A.G. Weiler (Nimega),
di una "Geschichtslosigkeit". Per lo storico olandese, la perdita
di prospettiva storica ha origine in una specie di paralisi provocata
dalle angosce totalitarie. Sono queste angosce che c'impediscono di prendere
in mano la nostra epoca e il suo destino spirituale a livello di ideale
e di ispirazione creatrice. In questo stato mentale a-storico, l'uomo
contemporaneo cerca la sua salvezza in una società di benessere
burocraticamente pianificata e industrialmente realizzata. Così
che nel momento stesso in cui crede di sfuggire al pericolo totalitario
che lo ossessiona, cade suo malgrado, in una nuova ideologia totalitaria,
quella della soddisfazione di tutti i bisogni umani in una società
consumistica, pianificata razionalmente e realizzata scientificamente
con i mezzi spettacolari e crescenti della tecnologia moderna. Sono le
conseguenze di ciò che Paul Ricoeur intende per perdita della memoria.
Per lui l'Europa non è tanto da inventare o da costruire, ma da
ritrovare.
Da ritrovare:
- mediante la lingua: imparare la lingua dell'altro per capire meglio:
è il modello della traduzione;
- mediante la memoria della cultura, delle ferite inferte all'altro, del
proprio vissuto:
è il modello dello scambio delle memorie;
- mediante la riconciliazione: e infine mediante la vigilanza (affinché
quanto bisognava esorcizzare nel passato non si ripeta più): è
il modello del perdono.
Occorre aggiungere che l'identità storica è sempre in movimento
ed è sempre rimessa in questione. Perciò una società
non può vivere senza progetti comuni, che possano stimolare l'azione
comune e la speranza condivisa.
LA NECESSITA' DI PROGETTI COMUNI
Come dice bene il sociologo Jan KerkhoLs: "L'Europa perde le sue
radici se ognuno persegue il suo particolare ideale di felicità.
Abbiamo bisogno di sfide comuni e di progetti che mobilitino tutti per
un avvenire più umano". Ecco alcuni esempi di progetti e di
forme d'impegno che potrebbero unirci di più. Sono esempi ai quali
ci si potrebbe anche ispirare per conferire un contenuto appropriato alla
dimensione Europea del progetto educativo della scuola cattolica:
- sviluppare l'apertura all'altro, l'accoglienza dello straniero, l'attenzione
si più deboli:
- estendere la preoccupazione ecologica per la natura a quella per la
società; l'impegno a favore della giustizia sociale contro le forme
di discriminazione, di cui la povertà è la principale; l'impegno
per favorire un clima di vita sociale di più alta qualità
morale, nel rispetto della dignità spirituale di ogni uomo come
persona;
- cercare la via del dialogo e della riconciliazione là dove incombono
conflitti. E' l'impegno per la riconciliazione tra i popoli e tra le religioni
e per la soluzione dialogata e pacifica dei conflitti. In altri tempi
ogni cultura tendeva a restringere, scacciare o annientare l'altro. Ancora
oggi questa è la legge non scritta del commercio internazionale,
anche nell'Europa Unita. Perciò è già un grande risultato
arrivare alla coabitazione più o meno pacifica di più culture
dentro uno stesso spazio politico.
Parlare di riconciliazione tra le culture vuol dire abbandonare lo schema
del dominio per entrare in quello del dialogo, dello scambio vicendevole
. E questo presuppone un clima di ascolto e la rinuncia all'autogiustificazione.
Così, in materia di religione, il continente della divisione dei
cristiani - divisione che si è poi diffusa in tutto il mondo -
dovrebbe diventare il continente della riconciliazione. Come affermava
il Cardinale Poupard: "Ingombrata e offuscata da ciò che divide,
la coscienza degli Europei spesso finisce per dimenticare ciò che
unisce".
Mi sembra che proprio attraverso queste forme d'impegno concreto, o di
altre simili che si possono inventare, abbiamo la possibilità di
far sì che la religione e l'eredità spirituale europea non
vadano perdute in Europa e non prenda spazio il vuoto spirituale. Queste
forme, o altre simili, rappresentano il tentativo di tracciare le vie
attraverso cui il pensiero cristiano possa esprimersi nella nostra società
moderna, secolarizzata e pluralista.
L'UNIONE DEVE NASCERE DA UN PROGETTO
Ci lamentiamo talvolta, non senza motivo, che un'Europa costruita sulla
base di interessi puramente commerciali e monetari non riuscirà
mai a convincere e ad coinvolgere effettivamente i singoli cittadini per
la nuova Europa. Infatti, cifre alla mano, si può constatare facilmente
come l'interesse per le elezioni parlamentari europee vada diminuendo
sempre più; come gli euroscettici siano in procinto di vincere
la loro battaglia; come il legame affettivo tra l'Unione Europea e la
sua popolazione sia quasi inesistente - ad eccezione evidentemente di
coloro che sanno ben approfittare meglio dei vantaggi che procura. Forse
nei momenti di delusione ci si nasconde troppo facilmente dietro le belle
frasi, peraltro tutte ben motivate, come ad es.: "Non si potrà
mai costruire l'Europa senza il sostegno della gente che la popola".
E' detto bene ed è profondamente vero: l'unione deve nascere da
un ideale comune che possa essere condiviso da tutti. Ma dove siamo, noi
cristiani, quando si tratta veramente di testimoniare contro l'ingiustizia,
di lottare contro la povertà, contro l'esclusione sociale e contro
le diverse forme di umiliazione della dignità umana? Non intendo
proporre l'interrogativo come grido d'accusa, ma come oggetto per una
riflessione comune. Quale può essere il nostro apporto reale, ideale
e impegnato per il "bonum commune europaeum"? Abbiamo appreso
come gli organismi governativi siano incapaci di dare una specifica ispirazione
culturale e morale alla loro creazione, per cui (cito Jacques Delors)
"l'Europa, malgrado tutto, resta in misura preponderante elitaria
e tecnocratica". I1 fossato tra responsabili delle decisioni e popolazione
effettiva è diventato apparentemente quasi insormontabile. Ma noi,
cittadini di questa Europa, siamo sufficientemente coscienti che certe
trasformazioni possono partire solo dalla base? Forse è sbagliato
attendersi tutto dalla politica, dimenticando l'appello rivolto, già
nel 1949, da P.H. Spaak: "Tallonate i governi". E' a livello
di base che la "rete" d'istituzioni scolastiche, di centri di
formazione, di movimenti, di Chiese, di associazioni religiose e filosofiche
può dare un contributo insostituibile al lavoro di costruzione
di un'Europa ancora in fase di gestazione.
Qual è allora il nostro specifico apporto reale, ideale ed effettivo
per il "bonum commune europaeum"? Che vogliamo intendere in
concreto, quando diciamo che l'unità dell'Europa non si farà
che attraverso la maturazione morale e che l'apporto spirituale e morale
delle Chiese è indispensabile? Non è certo cavando fuori
dall'armadio un cristianesimo vecchio che noi potremo contribuire efficacemente
all'ideale europeo che giustamente reclamiamo. Come indica bene il titolo
di una pubblicazione della Commissione Pontificia per la Cultura, "Cristianesimo
e Cultura in Europa. Memoria. coscienza. progetto", abbiamo bisogno
di una riflessione a tre tempi consecutivi: memoria, coscienza, progetto.
Magnifico trittico per un programma di educazione europea nelle nostre
scuole:
a. - avere memoria dell'eredità culturale che i popoli d 'Europa
hanno in comune. Questa eredità non è monolitica, ma storicamente
complessa. E' frutto di una tradizione a più strati - che sono
portatori purtroppo anche delle molteplici tracce di lacerazioni che l'Europa
ha conosciuto nella sua storia. Quali sono dunque gli elementi più
importanti di questa eredità, che possiede ancora oggi una grande
forza di coesione tra i popoli d'Europa? Potremmo citare, con il prof.
Weiler, le idee, i valori e le convinzioni seguenti:
- il senso profondo del valore intrinseco dell'uomo;
- il senso del valore della famiglia e dei rapporti di giustizia che devono
instaurarsi all'interno di questo primario gruppo sociale;
- il desiderio di libertà e di autodeterminazione dell'esistenza,
compresa quella della famiglia;
- una profonda diffidenza verso ogni forma di autorità che non
rispetti questa libertà fondamentale;
- il senso di responsabilità nei confronti del proprio destino;
- la fiducia inalterabile nella forza della ragione, che aiuterà
a superare i problemi materiali dell'esistenza;
- l'etica interiorizzata del lavoro;
- il senso della trascendenza, cioè di una forza dinamica che spinge
l'uomo a volere sempre travalicare le condizioni limitative della sua
esistenza.
Questo atto di memoria in ciò che concerne l'eredità culturale
che i popoli d'Europa hanno in comune dov'è meglio possibile che
nella scuola? Perciò bisogna discernere bene e ben conoscere gli
elementi che costituiscono questa appartenenza comune, per poi assumerli
e continuare questa eredità. In tale ambio la scuola deve assumersi
le sue responsabilità specifiche, che non possono essere delegate
ad altre istituzioni.
b. - alla luce di questa eredità, prendere coscienza successivamente
delle sfide sociali, etiche e spirituali del tempo presente.
Un rapporto recente, pubblicato dalla Commissione Europea, ci può
aiutare a identificarli a livello di scuola e di responsabilità
educativa. Le prenderemo in considerazione successivamente.
c. - mettere in atto progetti entusiasmanti. Abbiamo bisogno di progetti
che possano suscitare nuovo entusiasmo tra i cittadini europei, soprattutto
tra i giovani; progetti che possano contribuire concretamente alla salvaguardia
dei valori etici e spirituali della nostra eredità comune, e di
cui alcuni esempi sono stati dati.
Queste considerazioni sulla ricerca di una "anima per l'Europa"
e sul ruolo che può e deve svolgere il progetto educativo della
Scuola cattolica, hanno cosi preparato il cammino che ci consente di esaminare
ora più da vicino il rapporto della Commissione Europea sulla formazione
scolastica per l'Europa di domani.
"Costruire l'Europa con l'educazione e la formazione"
Questa frase è il titolo del rapporto europeo che ora vorrei prendere
in considerazione. Non sì tratta di sottoporre il documento ad
una analisi esaustiva, ma di andare alla ricerca delle possibilità
per l' insegnamento cattolico di contribuire alla costruzione e all'integrazione
europea. Il documento può servirci come punto di partenza, perché
offre una serie di raccomandazioni importanti sul tema dell'educazione
e dell'insegnamento in Europa. Parla dell'uomo, della società e
della costruzione della Cittadinanza europea. Lancia anche alcune sfide
che mettono il dito sulle tensioni in atto nell'ambito del ruolo educativo
e che possono suscitare problemi. L'insegnamento cattolico non dispone,
come del resto il Rapporto stesso, di soluzioni preconfezionate per far
fronte a tali problemi. Tuttavia ciò non impedisce che le considerazioni
siano importanti e che perciò meritano la nostra attenzione.
TRE ESIGENZE PRIORITARIE
Secondo il Rapporto, la strategia dell'insegnamento europeo deve tenere
conto di tre esigenze importanti:
1. La necessità di rafforzare la competitività europea a
livello economico, tecnologico e organizzativo.
2. La necessità di contribuire a trovare la soluzione ad alcuni
problemi sociali: quali la multicultura, la scomparsa dei punti sociali
di orientamento, l'individualismo crescente, il risorgere del fondamentalismo
etnico e religioso, la povertà (quella antica non ancora vinta
e quella nuova che ci minaccia in modo crescente sul versante dell'emarginazione
sociale) e l'esclusione (economica, sociale e culturale).
3. La necessità di rispettare i principi fondamentali dell'educazione,
di cui il Rapporto afferma espressamente che vanno ben oltre l'utilitario.
Noi non possiamo che salutare con gioia quest'ultima osservazione, in
un'Europa che talvolta minaccia di naufragare in un economicismo puro
e semplice . Il Rapporto insiste su questa terza raccomandazione formulando
i tre obiettivi seguenti: innanzi tutto lo sviluppo integrale della persona,
poi la socializzazione, compreso l'accesso generalizzato all'insegnamento
per il maggior numero possibile di persone, e infine la preparazione personale
e professionale necessaria ad entrare in un mondo complesso, esigente
e in rapida evoluzione.
PRIORITA' PER L'UMANIZZAZIONE
Da questa enumerazione appare chiaro che, benché il Rapporto sviluppi
nell'insieme un approccio fortemente economico e tecnologico dell'insegnamento,
nella dichiarazione d'intenti mette al centro l'importanza dell'insegnamento
per l'umanizzazione dell'uomo. Sempre stando al rapporto, gli aspetti
umani, quali l'etica, la cultura, la relazione con gli altri e la sollecitudine
per gli altri, devono (ri)trovare il loro posto nell'insegnamento. Troviamo
qui di nuovo quanto abbiamo detto precedentemente a proposito della ricerca
di una "anima" per l'Europa. I1 Rapporto constata che il modo
di vivere attuale va di pari passo con "l'arretramento della comprensione
e realizzazione dell'uomo nella sua totalità", quantunque
non rimpianga affatto l'arretramento di quelle "visioni unitarie
dell'uomo che sono state all'origine dei più sanguinosi conflitti
che la storia abbia conosciuto". La priorità deve andare dunque
all'umanità dell'uomo e all'educazione integrale. Questa senza
dubbio è anche per noi una delle raccomandazioni più importanti,
con la quale possiamo convenire senza riserva. Priorità dunque
dell'umano; gli altri obiettivi dell'insegnamento, in particolare il rafforzamento
della competitività europea, il posto di lavoro e la spinta all'utilizzazione
dei nuovi mezzi informatici, dice il Rapporto, devono essergli subordinati.
Ne consegue che l'insegnamento dovrebbe prima di tutto rafforzare e trasmettere
ai giovani quei valori comuni che sono d'importanza essenziale per la
loro umanizzazione. Tra questi valori il testo elenca: i diritti dell'uomo
e la dignità umana, le libertà fondamentali, la legittimità
democratica, la pace e il rifiuto della violenza, il rispetto dell'altro,
lo spirito di solidarietà, lo sviluppo equilibrato, le identiche
possibilità per tutti, il pensiero razionale, la conservazione
del sistema ecologico e la responsabilità personale. Anche in questa
enumerazione avremo riconosciuto senza dubbio alcuni elementi e valori
che abbiamo già messo in evidenza nella prima parte della nostra
esposizione . Fin qui non si ha che conferma e incoraggiamento da parte
della Commissione per quanto riguarda alcune convinzioni che sono le stesse
dell'Insegnamento Cattolico in Europa. Effettivamente non possiamo che
essere tutti d'accordo circa i tre pilastri fondamentali sui quali dovrebbe
poggiare ogni opera di formazione nella scuola:
1. - la preparazione alla vita professionale e al posto di lavoro;
2. - la socializzazione dell'individuo, mediante l'educazione alle regole
di buona condotta umana e ai valori e alle virtù di una cittadinanza
democratica, leale e giusta;
3. - la formazione della persona in tutte le sue dimensioni, compresa
la dimensione spirituale e religiosa, e l'impegno sociale di servizio
agli altri.
PROMUOVERE UNA COMUNE IDENTITA "MORALE " I
LIMITI DEL "SOCIAL ENGINEERING"
Deploriamo che il documento della Commissione passi sotto silenzio quella
che noi chiamiamo la dimensione spirituale e religiosa dell'uomo, cioè
il rapporto della persona con la Trascendenza divina. Superiamo tuttavia
questo elemento di disaccordo potenziale per considerare le intenzioni
del Rapporto sotto un profilo positivo. La prima preoccupazione della
Commissione europea è quella d'identificare e promuovere quegli
elementi che nel contesto di atteggiamenti, valori, fini e convinzioni
possono essere condivisi da tutti gli Europei per la loro appartenenza
ad una identità storica comune. Essa propone questi valori agli
educatori e ai formatori, con la richiesta esplicita di difenderli e di
promuoverli attraverso i mezzi propri dell'insegnamento. Rispondendo positivamente
a questo appello, la scuola potrà contribuire a suo modo alla promozione
dell'identità europea e all'avvenire dell'integrazione dell'Europa,
ben al di là dei limiti di uno stretto economicismo, che la maggior
parte di noi non può che deplorare. Certo, sappiamo per esperienza
che la società contemporanea e il mondo politico in genere utilizzano
troppo facilmente un approccio tecnocratico all'insegnamento, adottando
le tecniche e i criteri di qualità del social engineering. Ci si
culla ancora nell'illusione che a livello di qualità umane tutto
si possa fabbricare come in un'officina e che tutto si può costruire
se si dispone di una didattica nuova adeguata e di mezzi tecnologici e
informatici appropriati. Non occorre spiegare a degli educatori come tutto
ciò appartenga piuttosto al mondo del sogno e alla mancanza di
realismo psicologico. Ancora, non è indice forse di un approccio
troppo strettamente funzionalista, si domanda il prof. Jonkers, quello
di voler tradurre ogni problema della società in un nuovo impegno
per la scuola - impegno tradotto a sua volta in una serie di corsi specifici
e funzionali? Ci si potrebbe anche domandare se la volontà di costruire
l'Europa mediante l'insegnamento non sia indice piuttosto del ritorno
di una concezione statalista dell'insegnamento, mettendo il sogno europeo
e le virtù democratiche al posto dell'amore sacro della patria
e delle virtù patriottiche del passato.
3 Invito ad un dialogo aperto, ma fermo
UN PROBLEMA PRIORITARIO NON RISOLTO - LA SOLUZIONE PROPOSTA
DAL RAPPORTO
Tuttavia non è propriamente alla mentalità del "social
engineergin", né al funzionalismo un po' superficiale di cui
è intriso la maggior parte del Rapporto della Commissione, che
l'Insegnamento Cattolico deve far fronte in nome delle sue convinzioni
proprie. Come formatori, non possiamo permetterci in alcun modo di trascurare
le esigenze odierne per la formazione professionale e per la competitività
economica e tecnologica. Il problema vero sembra derivare piuttosto dal
modo in cui il Gruppo di riflessione propone di trovare la soluzione ad
uno dei problemi prioritari per l'Europa d'oggi e per il suo sforzo di
unificazione, quando questo sforzo supera il puro livello economico. E'
il problema della mancanza reale di una comune convinzione filosofica
o confessionale condivisa unanimemente da tutti. Su questo punto s'impone
un dialogo aperto ma fermo con il Rapporto. Potrebbe risultare costruttivo
e stimolante per tutte e due le parti.
MANCANZA DI UN MODELLO SOCIALE E UMANO INCONTESTATO
E CHIARO
Dopo aver richiamato il fatto che, per la prima volta nella storia, l'integrazione
europea non sarà il risultato dell'egemonia politica o militare
di una potenza dominante, ma di passi successivi realizzati grazie ad
un processo di decisioni democratiche, il Rapporto prosegue affermando
che questa integrazione: "Si consoliderà quando saremo capaci
di accettare tutti un insieme di regole e di principi di comportamento,
pur senza condividere necessariamente gli stessi valori. All'interno di
questo quadro gli individui si sentiranno liberi di perseguire i propri
scopi". Cosa sono queste regole di condotta, che non avrebbero fondamento
nei valori comuni e all'interno delle quali ogni individuo potrà
perseguire i propri scopi individuali, che comunque potrebbero non essere
riconosciuti come valori dagli altri? Mi sembra che il rapporto alluda
qui alle regole d'ordine procedurale di quella che definisce "una
cultura politica democratica condivisa". Sono dunque le regole politiche
della vita democratica che il rapporto vuole promuovere, per far fronte
ai problemi inerenti al pluralismo filosofico presente nelle nostre società.
Questa proposizione è anche la confessione che l'Europa pluralista
attuale non dispone di un modello sociale e umano incontestato e chiaro
per tutti, che possa servire come base o come obiettivo di riferimento
per un progetto di educazione in dimensione europea.
EMARGINAZIONE DEI VALORI DI CONTENUTO
Quel che più conta, è che all'interno di siffatta tensione
tra i valori d'ordine procedurale (le regole di condotta sociale e democratica)
e i valori di contenuto , questi ultimi rischiano di essere messi sempre
in secondo piano, dove finiscono con l'essere considerati convinzioni
e stili di vita privati. Rappresentano certamente convinzioni che vanno
rispettate per quello che valgono, ma che non dovrebbero più pesare
sulla società in quanto tale, né sul progetto educativo
della scuola. Da qui innanzi la scuola dovrebbe essere basata solo su
ciò che unisce e non su ciò che divide. E su questo versante
che le tesi politiche della democrazia liberale vanno imponendosi sempre
più nel mondo della scuola e nel suo progetto educativo.
Non abbiamo ancora finito di prendere le misure alla vastità di
questa problematica; non si tratta di respingerla o di negarla. In realtà
questo nucleo di problemi e di tensioni costituisce una sfida alla stessa
sopravvivenza della scuola cattolica all'interno di un contesto plaralistico
e democratico, dal momento che la scuola vi è percepita come appartenente
di diritto alla sfera pubblica (che significa anche laica) e non al settore
privato (cioè filosofico o confessionale).
RITORNO DELL'IDEOLOGIA ILLUMINISTICA
Dobbiamo anche constatare che il Rapporto della Commissione Europea
tende ad aggravare ulteriormente la difficoltà stabilendo per suo
conto l'ideologia di base che, secondo esso, sarebbe la sola capace di
unire gli spiriti in una cultura e in una società diventate irreversibilmente
pluraliste. In realtà il Rapporto testimonia una propensione molto
netta per la filosofia razionalista dei Lumi. Quando analizziamo bene
come vi è concepita l'umanizzazione dell'uomo, subito appare chiaro
che essa è identificata con l'autonomia dell'uomo ed è opposta
a ciò che viene chiamata l'autorità della dottrina metafisica
e della Chiesa. Secondo il rapporto, quest'ultima imporrebbe in modo autoritario
i propri interessi particolari, come era caratteristico dell'insegnamento
organizzato dalla Chiesa nel Medioevo e durante la Riforma. E' sempre
istruttivo vedere come si è percepiti dagli altri. Il documento
non nega che durante questo periodo storico siano stati promossi valori
e virtù importanti che sono entrati a far parte dell'eredità
europea. Ma è merito dei Lumi aver liberato queste idee dal loro
quadro tradizionalmente autoritario e metafisico e aver messo in primo
piano lo spirito scientifico senza pregiudizi e la conoscenza razionale.
UNA POSSIBILE RISPOSTA
Mi sia permesso di rispondere con due osservazioni.
a. - L 'arroganza eclettica dei Lumi
Non si tratta di coltivare una nostalgia per la cristianità medioevale,
di cui si è detto con troppa facilità che era caratterizzata
dalla onnipresenza della Chiesa e della scolastica, a detrimento dell'esperienza.
Ma non è neppure il caso di esagerare nell'elogio dei meriti dell'epoca
dei Lumi. Come diceva ancora recentemente il Prof W. Schmidt-Bggemann,
i Lumi si arrogavano una competenza di definizione della verità,
in un senso tale che non poteva non scadere nell'impoverimento. Era una
politica delle idee" basata su un eclettismo razionalista, caratterizzato
da una specie di esibizione di se stesso. I Lumi formulavano un bisogno
di revisione ("Revisionsbedurftigkeit") al cui criterio ogni
tradizione metafisica e religiosa doveva essere legittimata. Nel fondo
c'è ancora questa patente di legittimità di tipo razionalista
che il Gruppo di riflessione sembra voler imporre all'Europa Unita, da
un tribunale della ragione che si ritiene inattaccabile. Si tratta di
sapere se davvero questa esigenza di legittimazione razionale è
all'altezza dell'anima profonda delle tradizioni culturali, spirituali
e religiose dell'Europa e dunque se questo postulato di razionalità
è capace veramente di creare una piattaforma di unità e
di coerenza, nell'ambito della pluralità di tradizioni e di culture
che caratterizzano l'Europa d'oggi. L'esempio seguente, che è anche
la mia ultima considerazione, tende piuttosto a provare il contrario.
b. - il problema dell'identificazione affettiva con il progetto europeo
Le regole d'ordine procedurale sono atte forse a gestire situazioni di
conflitto potenziale, ma non sono in sé portatrici di senso, di
motivazioni e d'entusiasmo quando si tratta di promuovere una causa comune.
Un ragionamento dello stesso tipo si potrebbe applicare al progetto attuale
d'integrazione dell'Europa. Questo progetto non si appoggia (non ancora,
almeno) su un'affettività spontanea generale, ma piuttosto su regole
d'ordine politico e su una volontà e una coscienza presenti soprattutto
in una élite intellettuale, che non ha ancora trovato un contatto
reale con la base. Ciò significa, tra l'altro, che ovunque in Europa
bisogna fare appello all'insegnamento per aiutare a formare una coscienza
europea. Ma come fare appello ai giovani e ai loro educatori se non si
sentono cointeressati da e per un progetto sensato, che superi il puro
interesse economico?
Perché nasca l'entusiasmo per il progetto europeo bisognerà
fare appello alle
Sorgenti emotive di identificazione personale e comunitaria con il senso
di questa Europa da costruire. Che altro sono queste sorgenti, se non
le rispettive appartenenze all'una o all'altra tradizione culturale, nazionale
o religiosa, a partire dalla quale le persone e le culture potranno riconoscersi
in modo più vitale nel progetto europeo? E' proprio dall'intreccio
di queste diverse tradizioni storiche che è nata la comune identità
europea. Solo rispettando le diverse appartenenze e il loro significato
o valore specifico sarà possibile attingere alle sorgenti di una
motivazione affettiva degli individui cointeressati, sul piano della loro
sensibilità culturale, affettiva e spirituale. E' proprio quello
che il pensiero razionalista dei Lumi non è mai arrivato a comprendere.
Di fronte a questo bisogno fondamentale di senso per la società
democratica contemporanea (e al tempo stesso per il progetto europeo),
minacciata dal nichilismo, si potrebbe dire con Marcel Gauchet che l'affettività
anticlericale, che caratterizza ancora tanto spesso le coscienze repubblicane,
è veramente sorpassata dai fatti e dai bisogni del tempo presente.
La democrazia non può più permettersi di prendere le distanze
dai portatori di senso ai quali essa dovrà fare appello sempre
più, non soltanto in vista della sanità spirituale della
società, ma anche per garantire la sopravvivenza di quelle virtù
civiche sulle quali essa deve fare assegnamento per poter funzionare.
Come dicevo, occorrerà partire da queste considerazioni per impegnarci
in un dialogo aperto ma fermo con le tendenze illuministiche ed eclettiche
di cui fa fede il Rapporto della Commissione europea - conservando al
tempo stesso una serena fiducia in noi stessi e nella nostra tradizione
spirituale.
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