La ritrattazione
del giudizio sulla figura di Mussolini si inquadra nelle scelte politiche
del capo di Alleanza nazionale, il cui obbiettivo è quello
di omologarsi sempre più al partito egemone (Forza Italia),
con la prospettiva di un futuro ingresso nel Partito popolare europeo
e, chi sa? della successione al Cavaliere
Interpellato da un giornalista satirico della Rai, sedicente Iena, il
vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Gianfranco Fini, ha dichiarato
di aver mutato idea circa quanto disse alla "Stampa" nel 1994,
e cioè che Mussolini era stato "il più grande statista
del secolo" (dai quotidiani del 23 gennaio 2002).
Precisamente, Fini ha detto: "Oggi non ripeterei ciò che dissi
allora", aggiungendo, a domanda della Iena, che i più grandi
statisti del secolo, in Italia, sono stati "Einaudi e De Gasperi,
visto quello che hanno fatto nel dopoguerra. Nel corso del secolo, il
ruolo di Giolitti è stato molto importante...".
Quanto a Berlusconi: "Non facciamo paragoni impropri. Mussolini determinò
un regime autoritario, Berlusconi ha vinto le elezioni".
Stampa e uomini politici si sono rumorosamente divisi fra favorevoli e
contrari, trasformando la trovata della Iena in un caso politico nazionale.
La Repubblica in prima pagina, il 24 gennaio 2002 ha ironizzato: "contrordine
camerati. In un giorno solo la maggioranza riscrive la storia. Berlusconi
rivaluta Craxi, Fini svaluta Mussolini, non più fra 'i maggiori
statisti del 900', Bossi riscopre la patria e il tricolore".
[L'ultimo accenno si riferisce all'invito, fatto da Bossi in un comizio,
a pulirsi il ... con il tricolore. Per questo fu condannato da un tribunale
per vilipendio alla bandiera (articolo 292 del codice penale). Successivamente
la Camera dei deputati, con il voto favorevole di Alleanza Nazionale,
ha deliberato che l'affermazione di Bossi rientra fra le opinioni espresse
nell'esercizio delle sue funzioni di parlamentare e pertanto non è
punibile in virtù dell'art. 68 della Costituzione].
***
La vicenda, apparentemente banale, merita invece qualche riflessione.
Il vicepresidente del Consiglio aveva detto, nell'aprile 1994, ad Alberto
Statera che lo intervistava per La Stampa: "Mussolini è stato
il più grande statista del secolo".
Le sue parole avevano fatto il giro del mondo, finendo sulle pagine dell'
International Herald Tribune, del Times di Londra, del New York Times,
del Jerusalem Post, di Der Spiegel e di altri importanti giornali (Locatelli
e Martini, Duce addio, biografia di Gianfranco Fini, Longanesi, 1994,
pag. 143).
Oggi Marcello Veneziani scrive (Il Giornale, 24 gennaio 2002) che Fini
ha fatto bene a "rimangiarsi quella battuta (del 1994), facendo "una
precisazione politicamente opportuna e storicamente infondata".
Lasciamo da parte il giudizio storico, rinviando all'opinione che ciascuno
può farsi leggendo De Felice e altri autori seri.
Sotto il profilo strettamente politico si può consentire con Veneziani
circa l'opportunità della palinodia.
Parigi val bene una messa? "Gianfranco Fini taglia un altro filo
con il passato e si allontana da una tradizione inservibile per le ambizioni
europee di An" (Folli, Corriere della Sera, 23 gennaio 2002, il quale
si riferisce alla candidatura a rappresentante del governo italiano alla
Convenzione europea per la redazione della costituzione).
Occorreva togliersi una catena del piede.
Ma tutto ciò che è politicamente opportuno è sempre
deontologicamente corretto?
AncoraVeneziani annota che, in Italia ,
"condannare il proprio passato è quello che si chiede a tangentisti,
estremisti, fascisti e comunisti, di svergognare il proprio passato. Chi
è più ipocrita, chi lo chiede o chi lo fa? Non saprei, mi
accontenterei di uno sconfortante pareggio".
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Si sa che l'uomo, Fini, è un freddo. In realtà egli non
è mai stato fascista. Non lo fu per ragioni anagrafiche, ma non
solo per questo.
Si iscrisse al MSI perchè gli estremisti di sinistra gli impedirono
di andare a vedere il film Berretti Verdi, con John Wayne.
Non esitò a presentarsi al congresso del 1987 come fautore del
"fascismo del 2000" (Tarchi, Dal MSI ad AN, Il Mulino, 1997,
p. 105).
Non appena potè, liquidò, a Fiuggi, il Movimento sociale
e ne conservò il simbolo nel logo di Alleanza Nazionale solo per
sottrarlo alla concorrenza di Rauti.
Si dice ora che il congresso di Alleanza Nazionale, fissato per il mese
di Aprile, deciderà "l'eliminazione del richiamo nel simbolo
al vecchio Movimento sociale, la fiamma che arde sulla tomba del duce"
(Il Corriere della Sera, 27 gennaio 2002). Politique d'abord, pare amasse
dire il vecchio Pietro Nenni. La politica innanzi tutto.
***
La ritrattazione del giudizio sulla figura di Mussolini si inquadra nelle
scelte politiche del capo di Alleanza nazionale, il cui obbiettivo è
quello di omologarsi sempre più al partito egemone (Forza Italia),
con la prospettiva di un futuro ingresso nel Partito popolare europeo
e, chi sa? della successione al Cavaliere
Lo scopo viene perseguito scolorando progressivamente i tratti dell'identità
di Alleanza Nazionale, già oggi pesantemente sbiaditi. La rimozione
del peccato originale filomussoliniano va in questa direzione.
Vi è, nel partito, chi vuole dare "battaglia sui temi cari
alla destra, legalità e ordine su tutti, 'perchè le polemiche
sulla giustizia -sussurrò un esponente di An nei giorni dello scontro
fra il premier e Borrelli- giovano a Berlusconi e mettono in crisi noi'.
E poi c'è la questione della visibilità nell'esecutivo,
dove il partito del vicepremier sa di non avere ministeri importanti,
'mentre tutti i dicasteri strategici sono in mano a Forza Italia"
(Verderami, Il Corriere della Sera, 27 gennaio 2002"). Lo stesso
giornalista osserva però che "un'offensiva contro Berlusconi
non solo destabilizzerebbe il governo, ma potrebbe causare un crollo di
consensi, come avvenne con l'Elefantino alle Europee".
Allora "bisogna saper dosare il documento congressuale", come
disse Fini a Capena.
***
Le rimostranze provenienti dall'interno di Alleanza Nazionale rappresentano
un prezzo calcolato.
Una parte del partito, quella che conta (quasi tutti i "colonnelli")
ha condiviso fervidamente la ritrattazione. Altri seguiranno (come l'Intendenza
napoleonica). Restano quelli che fanno della coerenza e del culto delle
radici un elemento costitutivo del loro onore politico. Quelli che restano
fedeli al motto "Non restaurare, non rinnegare".
"Siamo in un partito e rispettiamo le scelte del presidente -spiega
Ercole Pizzuti che guida il circolo di via della Palme a Centocelle- abbiamo
condiviso Fiuggi e non siamo nostalgici, ma c'è un limite a tutto.
Con tutto il rispetto per gli ex dc e gli ex socialisti di An,
nel nostro partito ci sono anche gli ex missini, che hanno diritto di
essere rispettati" (Il Giornale, 24 gennaio 2002).
Costoro potrebbero anche perdersi per strada. Già alla vigilia
delle elezioni uno scrittore molto popolare nell'ambiente della destra
che legge, Gianfranco de Turris, si è sfogato (su Area, aprile
2001) stigmatizzando "i fatti clamorosi e grotteschi avvenuti nei
sei mesi del governo Berlusconi nel 94, quando furono preferiti personaggi
di sinistra o ambigui ad altri considerati 'troppo di destra' ",
comportamenti che "non sono cessati ma al contrario si sono ripetuti
nelle amministrazioni locali governate dal centrodestra". E concludeva
chiedendo -a pochi giorni dalle elezioni del 13 maggio- che gli fossero
date "alcune buone ragioni per votare la Casa delle libertà,
per votare Alleanza nazionale".
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Ma pochi degli scontenti abbandoneranno il partito, perchè non
hanno un luogo politico dove rifugiarsi. A meno che non intendano, come
Alessandra Mussolini, chiedere asilo a Forza Italia. E andare proprio
là dove li porta Fini.
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