CORRISPONDENZA
SEGRETARI COMUNALI E PROVINCIALI - STATO DI ATTUAZIONE DEL NUOVO ORDINAMENTO: L. 127/97 E D.P.R. 465/97
(GIORNATA DI STUDIO A JESI (AN) DEL 27 SETTEMBRE 1999)<O:P</O:P <O:P</O:P
COMUNICATO STAMPA
Il giorno 27 settembre 1999 si è tenuta a Jesi (AN) una affollata assemblea sul tema del nuovo ordinamento dei Segretari Comunali e del suo stato di attuazione. Presenti 1/3 (60) dei Segretari, membri della Agenzia delle Marche, rappresentante del Consiglio Nazionale della Agenzia, esponenti dell’ANCI, Upi, Lega Autonomie Locali, Organizzazioni Sindacali.
La Relazione e gli interventi che sono seguiti del Presidente della Agenzia e degli invitati costituiscono una possibile base per un utile e indispensabile aggiornamento delle norme e dei criteri di gestione dei Segretari Comunali.
Riflettendo sul lavoro svolto nella sua ancora breve e oggettivamente precaria esperienza, il Presidente ha tenuto a sottolineare come la forte intesa dei componenti l’Agenzia: Sindaci, Segretari e Presidente di Provincia, ha rappresentato l’avvio di un nuovo rapporto tra Segretari e Amministrazioni Locali. Esattamente come volevano parti sociali e legislatore. Nuovo rapporto comunque frutto di lavoro coniugato, stante farraginosità e contraddizioni delle norme, con molto buon senso.
E’ seguita la relazione predisposta dal Consiglio di Amministrazione su: funzioni del Segretario, sua nomina, contingente di disponibilità, copertura sedi vacanti, convenzioni di segreteria, rapporti tra Agenzia Nazionale e Sezioni Regionali – autonomia gestionale e finanziaria, segretari in disponibilità, formazione perfezionamento e aggiornamento professionale – scuola regionale o interregionale.
Sia la Relazione che pressoché tutti gli interventi hanno fatto riferimento al documento di indirizzo dell’ANCI Marche del maggio 1999. Documento che chiudeva, nei fatti, una settantennale sottile separatezza tra Segretari e Sindaci ponendo le basi per la ricerca comune di un rapporto funzionale in linea con le nuove Autonomie. Documento ripreso non a caso dai due maggiori giornali economici.
Partendo da questo documento è stato ribadito che, per i Comuni fino a 65.000 abitanti e fino alle città metropolitane, non può non essere superato il dualismo Segretario-Direttore.
Sul punto della nomina alla introduzione di motivazioni degne di questo nome o di "criteri", non può non seguire la sottoposizione a valutazione anche del Segretario (in questo senso Naldoni). Né è accettabile che il Segretario "scelto" possa abbandonare dalla sera alla mattina il Comune per altro a sua scelta; salva l’ipotesi del passaggio a una sede di classe superiore. Ma anche questa ipotesi sarebbe contenuta (Naldoni) se passerà, come appare inevitabile ora che per legge la dirigenza è possibile in ogni Comune, il principio della unicità della funzione o la dirigenza a tutti i Segretari.
In tema delle convenzioni di segreteria si è detto che l’ultima legge (265/99) di modifica della legge 142/90 potrebbe rivoluzionare le attuali convenzioni. Infatti, l’art. 6 comma 5 della legge 265/99, avendo stimolato le unioni di Comuni "allo scopo di esercitare più funzioni", porta, ragionevolmente, a unire anche la funzione di Segreteria. Da qui la sorpresa per la forte immissione di nuovi iscritti (918 negli ultimi nove mesi).
Univoci Relazioni e interventi (non poco energico nella richiesta il rappresentante UPI) nel chiedere si interrompa il centralismo della Agenzia Nazionale. Centralismo che, mentre sovraccarica l’Agenzia Nazionale di atti minuti sminuendone il ruolo di "intelligence" o di "indirizzo e coordinamento", svilisce e annulla i compiti delle Agenzie Regionali. A danno dei Comuni e degli stessi interessi dei Segretari Comunali.
Sul punto la Relazione ha sottolineato come il centralismo della Agenzia Nazionale violi il DPR 467/97 e i principi ordinamentali là dove i "criteri generali" che la stessa dovrebbe predisporre per la gestione delle Agenzie, si è trasformata in anomale "disposizioni specifiche" e "direttive specifiche".
Nota dell’estensore del presente comunicato:
<<<Sul punto la legge 127/97 appare totalmente in sintonia con la relazione del Vice Presidente della Agenzia Marche dr. Rondina. Al punto che, per quanto si dirà, sembra sia stata sorprendentemente violata. Se leggiamo infatti i suoi commi 76 e 78 dell’art. 17 sembra del tutto evidente che il legislatore volesse che tra Agenzia Nazionale e la sua "articolazione" in "sezioni regionali", ci fosse la pari dignità.
Si ritiene infatti che questo punto della legge 127/97 non possa essere interpretato sia in difformità dai principi generali dell’ordinamento pubblico che prescindendo dalla Raccomandazione del Consiglio d’Europa n. R (95) 19 sulla "sussidiarietà".
Ed allora, il comma 76 dell’art. 17, là dove recita, all’ultimo periodo: "Con la stessa composizione e con le stesse modalità sono costituiti i consigli di amministrazione delle sezioni regionali", non può essere interpretato, come fatto, come norma che si limita a fissare composizione e modalità di nomina dei Consigli Regionali, ma, dalla doppia ripetizione di "stesso" e, più ancora, dal termine usato "costituiti" (parola che nel diritto amministrativo normalmente indica non solo la composizione formale o esterna di un organo, ma altresì precisi e specifici poteri di cui è portatore), come norma che stabilisce la pari dignità funzionale tra Agenzia Nazionale e la sua articolazione in Agenzie Regionali. Né contrasta con quanto detto, che anzi, costituendone il presupposto dovrebbe esserne il più logico e coerente sviluppo (anche per la gerarchia delle fonti), quanto si legge al successivo comma 78: "Con regolamento … sono disciplinati l’organizzazione, il funzionamento e l’ordinamento contabile dell’Agenzia, l’amministrazione dell’albo e la sua articolazione in sezioni …". Articolazione che, si ripete, a ben vedere, è stata totalmente elusa>>>>.
Su Scuola e formazione univoca è stata la richiesta di una stretta sua aderenza alle realtà locali. Con sinergie, in primo luogo, con le scuole che le Regioni hanno costituito e vanno perfezionando per la dirigenza del comparto Regioni, Province e Comuni. Sulla Scuola si è ribadito che deve comunque procedersi, entro l’anno, ad avvio in sede locale di un master sul punto specifico della direzione generale.
Intuitivo che anche per quanto concerne la Scuola, ove si confermasse il principio di pari dignità tra Agenzia Nazionale e Agenzie Regionali, dovrà ripensarsi il rapporto tra centro e periferie. Con vantaggio, come sopra, per tutti.
Nel convegno è stato comunque stabilito l’avvio immediato, a livello regionale, di un modulo sul tema dei sistemi di gestione del Comune che cambia.
Sett. ’99 - Luigi dr. Meconi (a disposizione Agenzia S.C.P. Ancona)
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Abuso di potere
(a proposito del principio di separazione tra
politica ed amministrazione).
Nel nostro paese, molto spesso, non c'è potere senza abuso. Il vezzo di utilizzare il potere per finalità diverse da quelle per le quali è stato attribuito ha origini molto antiche e uno sviluppo ancora oggi inarrestabile.
Gli esempi quotidiani non mancano e riguardano tutti i settori della vita pubblica del nostro paese. La gamma degli abusi va dal semplice impiegato che, dietro lo sportello, tratta male il cittadino o dal poliziotto che, senza alcuna necessità di servizio, non si cura dei semafori e dei limiti di velocità imposti a tutti i cittadini, fino al pubblico amministratore che tramuta i diritti dei cittadini in semplici aspettative, le quali hanno possibilità di soddisfazione solo se trovano adeguata raccomandazione o si fondano su rapporti di amicizia o di comune militanza politica.
L'abuso di potere non riguarda solo la pubblica amministrazione, ma anche altri poteri dello Stato e, segnatamente, il potere giudiziario, il quale talvolta travalica i limiti che sono imposti all'esercizio della funzione ed accorda una giustizia rapida solo a chi è amico (in penale, solo a chi è nemico) e, in maniera ancor più grave, il potere legislativo, che ha il potere di far tutto tranne - come diceva un famoso statista - quello di tramutare gli uomini in donne e viceversa.
Tanto maggiori sono i poteri, tanto più gravi sono gli effetti dell'abuso. Se la protervia di un impiegato dietro lo sportello può ledere i diritti dei pochi interessati, l'abuso del potere giudiziario ed ancor più di quello legislativo hanno effetti molto più gravi e perniciosi.
Nelle democrazie più antiche, per limitare i casi di abuso, sono previsti dei sistemi di controlli e di contrappesi, che sono tanto maggiori, quanto minore è il senso civico dei cittadini chiamati ad esercitare pubbliche funzioni.
Nel nostro paese, tuttavia, nonostante il limitato senso civico di coloro che esercitano pubbliche funzioni e nonostante recenti esempi molto indicativi, si è preferito ridurre i già scarsi controlli che esistevano in precedenza.
In particolare, i controlli di legittimità sugli atti degli enti locali, a seguito delle tanto decantate leggi Bassanini, sono stati drasticamente ridotti; altrettanto è avvenuto per ciò che concerne i poteri di controllo della Corte dei Conti.
Anche se tali controlli funzionavano male e non hanno impedito il nascere ed il diffondersi di tangentopoli, questo non era un buon motivo per eliminarli quasi completamente, ma semmai per perfezionarli.
Se infatti è vero, ad esempio, che i CO.RE.CO. erano per buona parte politicizzati, piuttosto che limitare drasticamente le loro funzioni, occorreva dettare delle norme per garantire la imparzialità dei loro componenti. Invece si è preferito lasciare praticamente immutati i criteri di nomina dei componenti (che garantiscono una adeguata "rappresentanza" politica in un organo che di politico non dovrebbe proprio avere nulla), e ridurre i loro poteri di controllo (lasciando di fatto senza adeguata verifica di legittimità un numero elevatissimo di atti amministrativi).
Vero è che sussiste il potere dei consiglieri comunali di chiedere eventualmente il controllo su alcuni atti, ma l'esercizio di tale potere viene sempre subordinato all'iniziativa di un gruppo politico al quale il cittadino deve collegarsi provocare il controllo. Insomma, si assiste ormai nel campo dei controlli (e non solo in questo) al trionfo della politica sull'amministrazione e, più in generale, alla "morte e trasfigurazione del diritto amministrativo" (v. in proposito l'omonimo articolo del Pres. Salvatore Giacchetti, in Il Cons. Stato 1998, fasc. 1, II, p. 117-124).
L'unico tipo di controllo che ormai permane è quello giurisdizionale. Ma è un controllo del tutto inefficace, oltre che eventuale e sporadico.
Tale controllo, infatti, presuppone che vi sia stata una lesione diretta e personale di un interesse legittimo. Qualcuno potrebbe obiettare che fin dalla legge n. 142/90 sono state previste azioni popolari a tutela degli interessi della collettività. Ma chi ha mai visto un cittadino od una associazione esercitare tali azioni popolari, sobbarcandosi del non lieve costo del giudizio?
Il controllo giurisdizionale, inoltre, non è particolarmente efficiente, dato che - tranne gli ormai rari casi in cui viene accordata in via preliminare la sospensione - il giudizio viene definito in media dopo 5 o più anni, quando il provvedimento ha avuto modo di dispiegare interamente i propri effetti.
Anche nel campo giudiziario si è assistito negli ultimi anni ad una drastica riduzione degli strumenti di tutela.
Ad esempio, la riforma recentemente attuata che ha finito per attribuire al giudice ordinario (il pretore, ora giudice unico) la competenza giurisdizionale in ordine alle controversie in materia di pubblico impiego - contrariamente alle attese di alcuni assertori della riforma - si è tradotta in una sensibile riduzione del sistema delle garanzie. E ciò innanzitutto per la previsione di un tentativo obbligatorio di conciliazione che finisce per costituire una (consapevole) perdita di tempo per il pubblico dipendente. Chi mai ha visto e chi mai vedrà un pubblico amministratore che si assume la responsabilità di transigere, in sede di conciliazione, una controversia ?
La P.A. è cosa ben diversa da un datore di lavoro privato, il quale, per evitare i pericoli di una controversia, offre in sede di conciliazione delle somme a titolo transattivo al dipendente. Il pubblico amministratore, in considerazione dei pericoli che (soprattutto sotto il profilo della possibile responsabilità amministrativa) potrebbe comportare una conciliazione della controversia, accetterà di transigere solo di fronte ad una sentenza e non già a seguito di un semplice "tentativo".
Inoltre, il conferimento delle controversie in materia di pubblico impiego all'A.G.O. ha comportato e continua a comportare l' allungamento dei tempi di decisione delle controversie, dato che la riforma è stata attuata senza un adeguato potenziamento delle strutture e del personale e senza considerare che, come diversi addetti ai lavori hanno segnalato da tempo, l'ormai non più nuovo rito del lavoro è già da diversi anni affondato sotto il peso delle controversie.
E che dire poi della confusione di lingue creata con il conferimento di nuove materie non molto ben definite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo? Se c'è un settore nel quale il legislatore deve stare attento è proprio quello del riparto di giurisdizione, anche perché il primo e sacrosanto diritto del cittadino è quello di sapere qual'è il suo giudice naturale precostituito per legge. Non ha senso, infatti, iniziare una causa che sarà definita tra moltissimi anni con il grave rischio di sentirsi dire alla fine, dopo una lunga attesa, che ci si è sbagliati nell'individuare il giudice competente. E l'errore, in atto, non deriva dalla scarsa preparazione del difensore al quale si è affidato il cittadino, ma dalla stessa vaghezza delle disposizioni previste dagli artt. 33 e 34 del D.L.vo n. 80/1998.
Tutto ciò si è tradotto in un lento ma inesorabile processo di diminuzione della tutela giurisdizionale, al quale, con processo singolare ed inverso, ha fatto riscontro il dilatarsi della invadenza politica nell'amministrazione.
La precarizzazione di alcune categorie di dipendenti pubblici, ad esempio, non ha costituito lo strumento attraverso il quale incentivare il merito dei soggetti, ma per asservirli alla politica ed alle sue proliferazioni maligne.
Esemplare e, direi anche, perfetto esempio di questo processo è costituito dal caso dei segretari comunali e provinciali, i quali, secondo il sistema recentemente novellato con norme pseudo-interpretative, cessano automaticamente di esercitare le loro funzioni con la fine dell'esercizio del mandato elettivo del Sindaco o del Presidente della Provincia. E così i pubblici dipendenti, i quali, come ancora prevede la nostra Costituzione, dovrebbero essere al servizio "esclusivo" della Nazione, sono definitivamente legati al carro della politica. Altrettanto è da dirsi per i nuovi sistemi di conferimento degli incarichi dirigenziali negli enti locali, secondo i nuovi metodi che si vanno facendo strada.
La cosa più grave è che tale processo è stato attuato nel silenzio generale, con l'accordo di tutte le forze politiche (in altri tempi si sarebbe detto "dell'arco costituzionale"), ben liete evidentemente di avere dei dipendenti pubblici fedeli e di avere eliminato ogni possibile controllo.
In questo quadro generale, l'abuso di potere finisce per farla da padrone e la pubblica amministrazione diventa sempre più schiava della politica. Al semplice cittadino rimangono ormai solo i giudici di Berlino, i quali, tuttavia, sono sempre più lontani ed invisibili.
(Giovanni Virga, 19.06.1999)