BOLLETTINO SEGRETARI COMUNALI E PROVINCIALI
http://utenti.tripod.it/Il_Bollettino
carlo@comune.siena.it
 
n°  143
 
by Carlo Saffioti
 
Poichè tutti i cittadini sono eguali,
 essi debbono poter accedere in modo eguale
a tutti gli impieghi pubblici, secondo le loro capacità
e senza altro criterio che quello delle loro virtù
 e dei loro talenti.
Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino
(26 agosto 1789)
 
 
"4 Chiacchiere tra Colleghi "
 
    Nessuno mi ha detto se la scelta del colore è piaciuta o no: che ne pensate? meglio una testata a colori oppure quella più seria in bianco e nero?
 
    A parte queste frivolezze, avete dato un'occhiata al nostro sito? Grazie all'aiuto di un cortesissimo lettore, è stato inserito:
- un libro degli ospiti dove spero vorrete apporre le vostre riverite firme con qualche parola di commento
- la sezione della modulistica dove potrete trovare già adesso la bozza di regolamento del C.C. e quella degli Uffici e Servizi
- un link per richiedere il Bollettino
    Chi di voi ne ha la possibilità è pregato di fare pubblicità al sito che, se adesso è ancora all'inizio, spero proprio che avrà fantasmagorici sviluppi!
 
Assistenza legale
 
   Molti chiedono suggerimenti utili per trovare un legale al quale affidare la tutela dei nostri problemi. Mi pare che una soluzione può essere quella di chiedere a tutti i Colleghi, che conoscono bravi avvocati già specializzati nei nostri problemi, di comunicare i loro nomi, indirizzi, telefoni e fax. Il Bollettino formarà un elenco a disposizione di tutti coloro che lo richiedano. Aspetto le segnalazioni
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Modulistica
    Alcuni Colleghi che hanno già inviato alcuni testi (relazione previsionale e programmatica etc). Sto preparando l'elenco dei testi disponibili che cercherò di inserire nel prossimo Bollettino. Sollecito ulteriori invii. Grazie
 
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Lettera aperta al Direttore Generale dell'Agenzia, Avv. Morando
 
    Una combattiva Collega ha scritto una lettera aperta all'Avv. Morando in ordine alla dibattuta questione del cumulo di impiego ed incompatibilità dei segretari comunali, già oggetto di diffida all'agenzia nazionale per l'annullamento del parere dato in data 2 novembre 1999 ed ha chiesto all'Agenzia nazionale di assumere un  provvedimento di cancellazione dall'albo dei segretari comunali che contravvenendo al disposto del 3 comma dell'art 16 D.P.R.4 dicembre 1997,n.465,hanno stipulato un contratto a tempo determinato,ai sensi dell'art.6,del comma 4,della legge 127/97.
    La Collega sostiene che l'attività autorizzata non era consulenziale e non era prestata da un libero professionista in modo occasionale e saltuario, si trattava invece di funzione pubblica di natura dirigenziale svolta tramite incardinamento nell'ente e con assunzione di responsabilità gestionale espressa con determinazioni proprie.
    Chiede quindi ne venga data informazione ai colleghi, cosa che doverosamente si assume il Bollettino.
C.S.
 
  " Avv. Morando
Come può essere possibile che lei sostenga che i segretari comunali in servizio a tempo pieno presso i Comuni,fuori orario di servizio,possano svolgere una attività che per le specifiche modalità,impegno e responsabilità non sono assimilabili ai contratti d'opera intellettuali,ex art.222 c.c., e non hanno il carattere della saltuarietà ed occasionalità.Sono prestati in un contesto di organizzazione burocratica con dirigenti ed il segretario è un funzionario.Come è possibile che Lei possa aver creato una opinione favorevole alla concessione di un incarico di questo tipo a presidenti di Comunità Montane,rappresentanti politici in seno alle stesse a Sindaci che seguendo il suo parere richiedono la prestazione di segretari comunali titolari di Comuni anche Convenzionati,che convengono con i presidenti e non fra Enti le modalità esplicative di una attività che non è consulenziale!Che non è autorizzabile da nessuno; che comunque con le dovute eccezioni deve essere prestata anche in orario antimeridiano per chè comporta attività di direzione e sovrintendenza all'apparato burocratico!.
Non Le nascondo che il parere da lei dato alla sezione regionale dell'agenzia del Molise in data 2.6.99,prot.11172,da cui discendono le concessioni per tutte le Comunità montane,ha creato ampio sconcerto nei segretari comunali e ferma convinzione che è un mestiere non più esercitabile in un contesto dove la chiarezza dovrebbe essere continuamente sottoposta agli organi Giudiziari.Non è possibile.
Io spero di andarmene dalla categoria, ma lei acquisisca maggiori informazioni sul contenuto dell'attività autorizzata,si informi meglio sulle modalità di esplicazione e sul tempo occorrente per la prestazione e vedrà che un riesame del parere dato (2.6.99,prot.11172) è necessario.Questo per sua onestà intellettuale!.Sappia che in data 20.1.99,prot.119 della Comunità Montana Molise Centrale di Campobasso,inviata alla stessa sez.regionale del Molise,un avvocato assessore dell'Ente con dissertazione scritta e motivata ha sostenuto la non affidabilità dell'incarico di cui in oggetto,per cambiare subito opinione verso altro nominativo sorretto dal suo parere.E' semplicemente incredibile.Si informi e, se Le è possibile,smentisca sul " Sole 24 ore" l'articolato in materia apparso il 3.10.99,sugli incarichi a pubblici dipendenti." F.to Giulia Intrevado.
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A proposito della lettera di M.T.
 
Caro Saffiotti
mi congratulo preliminarmente per il tuo felice ritorno a casa e vorrei inoltre fare alcune considerazioni a proposito della lettera del collega " MT ".
Condivido moltissimi dei sentimenti da lui espressi e sentiti. Il drammatico isolamento, l'inquietudine per un futuro per certi versi inquietante e oscuro, la necessità di essere direttore generale prima per  sentirsi vivo e partecipe della vita del comune , secondo perchè direttori generali nei comuni lo siamo sempre stati anche quando eravamo solo segretari comunali, ma per piacere non continuiamo  a piangerci addosso. Abbandoniamo questo rimpiangere  de amicisiano della figura del segretario comunale; per quanto bello sia stato ormai è tutto finito. Guardiamo la realtà in faccia e pragmaticamente, se non vogliamo morire, perchè questa penso sarà la fine, cerchiamo di trarne elementi di sopravvivenza.
A. G.
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Lo Stato da salvare

    Un giovane Collega ha scritto una bellissima lettera, particolarmente ricca di pathos, meravigliandosi del pessimismo che traspare dai contributi di alcuni lettori.

    Il Bollettino pensa di avere il suo punto di forza proprio nel fatto di essere una libera tribuna dalla quale tutti possono rivolgersi ai lettori, senza alcuna censura. Se il paragone non è troppo ardito, vorrei pensare a quell'angolo di Hyde Park (se ricordo bene), a Londra dove c'è un piccolo pulpito dal quale ogni persona può arringare chi lo vuole ascoltare; oppure l'abitudine che c'era a Milano, in Piazza Duomo, parecchi anni fa, di incontrasi a discutere pubblicamente dei grandi problemi sociali.

    Certamente le discussioni libere espongono a dei rischi, ma si tratta di rischi sicuramente inferiori a quelli che si corrono quando si vuol evitare troppe cose. Il dirigismo, di questi tempi, non è certo quello che manca.

    Semmai, è importante che chi non è d'accordo possa dire la sua, serenamente e senza timore di aggressioni (verbali, naturalmente!)

    Personalmente, ritengo gli obiettivi che si pone A.R. ampiamente condivisibili; ho parecchie perplessità, però, circa il fatto che i comportamenti concreti posti in essere da molti degli attori sul palcoscenico siano coerenti con tali obiettivi. Può darsi che mi sbagli, certo, ma faccio fatica a riscontrare un'ansia di professionalità in molte delle scelte che ho visto e vedo effettuare, in molte delle vicende che emergono, anche con riferimento ai piccoli Comuni .

    Comunque la professionalità, il rispetto di sè etc. non si comprano al supermercato: occorre guadagnarseli. Ed è in questa direzione che il Bollettino cerca di dare una mano.

Carlo Saffioti

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Caro Carlo,

 sono A. R. Premetto che sono felice di vedere che, nonostante i problemi di salute degli ultimi tempi (spero nulla di serio o duraturo, ovviamente), sei riuscito ad arricchire ulteriormente il Bollettino di contenuti e "possibilità telematiche".

    Mi è piaciuta l'espressione di quel collega che ha paragonato la lettura mattutina del Bollettino al caffè, perché il caffè lo si beve per tirasi su, per avere la forza di affrontare la giornata: è un ritrovarsi con se stessi, un breve momento in cui si raccoglie ciò che si è stati fino al giorno prima, per diventare qualcosa di nuovo. E' il passato che ci consente di avventurarci ogni mattina nel futuro, ed il cucchiaino che gira nella tazza del caffè, o gli occhi che leggono il Bollettino, segnano il momento in cui ritroviamo noi stessi nel nuovo giorno. Stamattina sono un po' sul filosofico…

    Eppure, c'è qualcosa che mi rattrista. Negli ultimi tempi gli interventi sul Bollettino mi sembrano indicare una stanchezza in molti di noi, una sfiducia che sempre più somiglia alla rassegnazione, ed il pessimismo traspare, contagioso per via telematica come un virus da computer. Qualche volta le notizie di seconda mano che i colleghi riportano, comprensibilmente allarmati, mi sconfortano, mi sembrano dimostrare che l'ottimismo che con impegno quotidiano cerco di infondere in me ed in qualche amico collega è il frutto della impossibilità di accettare l'ineluttabile fine alla quale siamo destinati. Mi viene in mente una poesia in cui l'Autore si diceva "vecchio a vent'anni", e così io mi chiedo: il mio lavoro, che ho cominciato neanche da tre anni, è già vecchio, finito, moribondo? Ed io con lui? A ventotto anni ho già perso il mio futuro? Mah…

    L'Italia è un paese strano, l'unico forse dove nello stesso giorno in cui si tiene l'inaugurazione ufficiale della nuova Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, creata apposta prima di tutto per i segretari, i segretari stessi durante i discorsi ufficiali degli invitati invece di festeggiare entusiasti mormorano a bassa voce tra loro frasi di paura e dubbio. L'unico dove, mentre il Vice - Presidente del Consiglio (!) Bassanini nel suo intervento riconosce i meriti ed il valore di questa categoria, e proclama ad alta voce che più di tutte le altre ha diritto ad essere riconosciuta come categoria dirigenziale, un collega può dire ad un altro: non ci daranno mai la dirigenza, ci sta prendendo in giro! L'unico dove un personaggio dello spessore politico di Bassanini può dire quello che ha detto, in una occasione ufficiale, e può non ripeterlo mai nelle sedi appropriate (leggi: al suo collega Ministro Piazza).

    Poi mi guardo un po' intorno, e mi dico: ma dov'è questo mondo perfetto e rassicurante che a noi segretari è stato sottratto, davvero esistono ancora per gli altri le certezze che noi non abbiamo più? Forse la Magistratura, se riuscirà a preservare intatte le sue garanzie, è ancora soggetta solo alle leggi, ma non credo sia corretto confrontarci con chi ha compiti così diversi dai nostri, che per loro natura richiedono un ordine indipendente dal potere politico. Per il resto, dirigenti dello Stato, degli Enti Locali, perfino della Sanità, hanno una sorte che si fa sempre più incerta e problematica. Diciamo pure che, in questo caso, mal comune è davvero mezzo gaudio, perché forse possiamo comprendere che non c'è un progetto politico perverso che si concentra tutto su di noi segretari (ma saremmo poi così importanti, così ineliminabili? Se avessero voluto, non vedo chi avrebbe potuto impedirlo.), bensì un progetto complesso, sicuramente pieno di contraddizioni, sicuramente fonte di disagio e addirittura di concreta ingiustizia per alcuni di noi, che però ha un suo senso, un suo scopo, un suo fine forse condivisibile.

    Salvare lo Stato, questo io credo che si stia tentando di fare. E per salvarlo bisogna modificarlo, e per modificarlo bisogna intervenire su chi lo dirige, cioè, tra i tanti, anche su di noi. Salvare lo Stato dalla bancarotta, alla quale eravamo pericolosamente vicini (almeno così dicono, poi se tutto è falso, allora aveva ragione l'Orwell di 1984), salvarlo dalla impossibilità di essere al passo del mondo delle imprese private, salvarlo dall'essere ostaggio inerme di un sistema che si è evoluto prima di lui, e che quindi diventa più forte di lui. In un mondo efficiente uno Stato inefficiente è destinato a soccombere. Lo Stato, una macchina enorme che non molto tempo fa ha corso seriamente il rischio (non ancora tramontato) di essere identificata semplicemente come un insieme di lacci e laccioli per le imprese, come qualcosa di inutile, di vecchio, anzi di preistorico. Chi come noi dedica la propria vita alla Pubblica Amministrazione non può non comprendere che quello che sta accadendo è il frutto di una sfida che il mondo che si è evoluto ha lanciato alla Pubblica Amministrazione: io mi sono evoluto, io creo ricchezza e la ricchezza è ciò che porta avanti il paese, tu Stato sei arretrato, non crei ricchezza, non servi ormai che per poche cose.

    E lo Stato deve rispondere, deve recuperare lo svantaggio accumulato per poter essere ancora guida valida per quei campi in cui ancora gli compete di essere guida del Paese. E nel mondo di oggi non si può essere Stato efficiente se non si è Stato economicamente efficiente. Ma l'economicità è un'invenzione dei privati, sono loro che, da un paio di secoli, l'hanno sviluppata, approfondita, nella teoria e nella pratica, con uomini che pensavano ed altri che agivano, dirigevano economicamente, creando profitto oppure morendo (in senso metaforico, ovviamente) insieme alle loro imprese. Sono cent'anni che nel privato esistono i manager, ed essi consapevolmente o meno concorrevano non solo fra loro, ma anche con lo Stato, e vincevano, vincevano, vincevano. Ma lo Stato non se ne curava, perché si riteneva immortale, imprescindibile, perennemente in crescita, finché è arrivato, come dicevo sull'orlo del baratro, finché non si è sentito dire, forse per la prima volta da secoli, una frase che non avrebbe mai immaginato di sentirsi dire: scusa, ma tu a che servi, e tra l'altro ti sei accorto che sei pure in bolletta? E, finalmente, lo Stato ha avuto paura.

    Metaforicamente, siamo in guerra, e del nemico un proverbio dice: se non puoi batterlo, fattelo amico. E così oggi lo Stato non muove un passo senza aver chiesto lumi al mondo evoluto, e chiama i manager a dirigere se stesso. Ma siccome, per continuare la metafora, gli eserciti non possono andare avanti a lungo facendosi prestare i generali da altri eserciti, lo Stato sta anche cercando il modo di crearsi i suoi generali, cioè i manager pubblici. E siccome ormai si è capito che nulla spinge di più gli uomini al successo della paura di subire sulla propria pelle le conseguenze del proprio insuccesso, ecco che ha importato le regole del privato: concorrenza, fiducia privata e professionale, nessuna garanzia del posto fisso etc. etc.

    La metafora della guerra è fuorviante, perché non c'è ovviamente nessun nemico da battere: l'unica vittoria è stare al passo con i tempi, esistere ancora con compiti e uomini nuovi (non fisicamente, nel pensiero), essere utili, saper perseguire il pubblico interesse anche nei prossimi cent'anni, e non sentir dire mai più: scusa, ma tu Stato a che servi, e poi non lo vedi che sei in bolletta?

Io personalmente non sono così presuntuoso da essere certo che saprò essere utile in questo processo di trasformazione, e non sono immune dalla paura di esserne travolto, ma una cosa la so: il ruolo c'è, non lo si può eliminare, possiamo cambiare il nome, chiamarlo segretario o direttore o dirigente, ma la funzione rimane la stessa, dirigere i cambiamenti della Pubblica Amministrazione. Chi sa fare questo, non verrà mai cancellato, è troppo utile.

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"Specchio dei tempi"

    Caro Carlo,
gli unici due segretari revocati in Italia (M.P. e V.C., che stanno trascorrendo insieme questo week-end con le rispettive famiglie ) ti scrivono queste poche righe per ricordare a tutti i cari Colleghi quanto  Edmondo De Amicis narrava già nel dimenticato Libro Cuore e cioè com'era difficile e grama la vita del Segretaro nei  Comuni, rappresentandolo come :
"Quell'impiegato sempre solo e sempre tutto affaccendato e carico di oneri e responsabilità, costretto sempre a dire sì, nel bene e nel male, costretto a subire i soprusi e le angherie dei potenti locali".
Come vedi il De Amicis aveva già allora fotografato  la funzione del segretario comunale che oggi l'esimio Sig.Bassanini   ha a posteriori, sapientemente e in maniera ineccepibile, realizzato con la Riforma e considerando in definitiva "junk people" la categoria.
A questo punto ci chiediamo - e per favore qualcuno ci risponda - con quale coraggio oggi i giovani si affacceranno a questa professione ? Fraterni Saluti
Rev. 1 + Rev. 2
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"Notizie dal ed al Sindacato"

    Maria De Zio comunica che, come era stato previsto e comunicato anche sul Bollettino, sabato scorso si è tenuto l'incontro con i Colleghi della zona di Avellino.

    Ricordo che esiste un sito internet specifico gestito da Colleghi di quella provincia, che invito caldamente a contattare anche il Bollettino.

"Contributi professionali"

Il Collega Luigi Oliveri, che ringrazio, ha inviato un nuovo articolo su un tema di estrema attualità ed interesse.

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SPETTA AI DIRIGENTI L'ADOZIONE DEL PROVVEDIMENTO CHE AUTORIZZA LA COSTITUZIONE IN GIUDIZIO PER GLI ENTI LOCALI.

Resta ancora controversa in dottrina e giurisprudenza l'individuazione del soggetto competente, negli enti locali, ad approvare il provvedimento di costituzione in giudizio, per avviare una vertenza o resistere alle iniziative giudiziali di terzi.

Nonostante la legge 127/97 ed il decreto legislativo 80/98 abbiano specificato e rafforzato il principio di separazione tra funzione di indirizzo e controllo, spettante agli organi politici, e funzione gestionale, appannaggio dei dirigenti, lo specifico tema della costituzione in giudizio non ha trovato concordi interpretazioni.

Tuttavia, proprio l'attuazione corretta del principio di separazione di cui si è detto, guidando l'attività dell'interprete, dovrebbe servire da guida per concludere in favore della competenza dell'organo gestionale (dirigenti e responsabili di servizio) in luogo degli organi di governo.

Occorre chiedersi, per approfondire le ragioni a sostegno della conclusione tratta, se in diritto positivo esista qualche disposizione che stabilisca, sia pure indirettamente, la competenza della giunta (esclusa quella consiliare ai sensi dell'articolo 32 della legge 142/90) in materia.

Come è noto, la legge 142/90 sull'ordinamento degli enti locali, ha stabilito in capo alla giunta una competenza cosiddetta residuale. Nel senso che spettano alla giunta <<gli atti di amministrazione che non siano riservati dalla legge al consiglio e che non rientrino nelle competenze, previste dalle leggi e dallo statuto, del sindaco o del presidente della provincia, degli organo di decentramento, del segretario o dei funzionari dirigenti>>, come specifica l'articolo 35, comma 2, della medesima legge 142/90.

Dunque, non vi sono disposizioni, né nella legge generale sull'ordinamento degli enti locali, né in altre disposizioni, che attribuiscano alla giunta la competenza di deliberare la costituzione in giudizio.

Tale competenza, seguendo la lettera del citato articolo 35, potrebbe, semmai, sussistere, solo in quanto non fosse espressamente conferita dalle leggi o dallo statuto all'apparato burocratico.

Questa osservazione può contribuire a fornire un primo supporto alla testi prospettata, secondo la quale tocca ai dirigenti adottare i provvedimenti relativi alla costituzione in giudizio. Ove, infatti, un ente locale prevedesse espressamente tale competenza in capo agli <<organi tecnici>> per via statutaria, la competenza della giunta, proprio in quanto residuale, resterebbe inevitabilmente esclusa.

Questo significa che il giudice, nel verificare la corretta costituzione in giudizio dell'ente, non può esimersi dall'esaminare la carta statutaria dell'ente, per ricavare la legittimità di un provvedimento dirigenziale che autorizzi l'ente, nella persona del legale rappresentante, a stare in giudizio.

Occorre, allora, chiedersi adesso se l'eventuale adozione di una soluzione diversa ed opposta, proprio alla luce dell'articolo 35 della legge 142/90, non possa essere considerata altrettanto valida e fondata.

L'indagine deve spostarsi alla verifica dell'esistenza, nell'ordinamento giuridico, di disposizioni che impediscano l'attribuzione in via residuale alla giunta di tali competenze, in quanto spettanti all'apparato burocratico.

Tali disposizioni sono appunto rinvenibili nei dettati della legge 127/97 e del D.lgs 80/98, oltre che dalla medesima legge 142/90. A mente dell'articolo 51, comma 3, primo periodo di questa, <<spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l'adozione di atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, che la legge e lo statuto espressamente non riservino agli organi di governo dell'ente>>.

Il disposto analizzato fornisce già una prima risposta. Contiene una previsione che specifica il significato dell'articolo 35 della legge 142/90. Se ai sensi di questo, infatti, la giunta ha competenza residuale, in applicazione del paragrafo citato dell'articolo 51 tale competenza residuale, perché sia operante, deve espressamente essere riservata dalla legge o dallo statuto alla giunta in quanto organo di governo.

Fermo rimanendo che non si rinvengono nell'ordinamento giuridico leggi che attribuiscono espressamente alla giunta il potere di disporre la costituzione in giudizio degli enti locali, allora non basterebbe neanche che lo statuto non attribuisca ai dirigenti tale competenza, perché operi quella della giunta. Infatti, se lo statuto tace su tale aspetto, ciò vuol dire che la competenza è dirigenziale. Perché vi sia una trasferimento di competenza dai dirigenti alla giunta, occorre che lo statuto espressamente preveda che la giunta disponga la costituzione in giudizio, con propria deliberazione.

Bisogna, quindi, verificare se una tale norma statutaria sia legittima o meno. In realtà, il primo periodo dell'articolo 51, comma 2, della legge 142/90 non chiede nemmeno che l'atto di competenza dirigenziale sia propriamente un atto gestionale, almeno inteso come provvedimento privo di discrezionalità, adottato soltanto in esecuzione di programmi politici stabiliti dagli organi di governo.

Infatti, la disposizione in argomento non distingue tra provvedimenti di natura gestionale o meno, prevedendo che ai dirigenti spettino <<tutti i compiti>> che leggi e statuti non assegnino alla giunta, senza distinguere se gestionali o meno, Nella visione del legislatore del '90, gli statuti avrebbero dovuto assumersi il compito di provvedere a disegnare da soli ed interamente l'assetto istituzionale ed organizzativo degli enti. Per questa ragione la disposizione dell'articolo 51, comma 2, fu volutamente generica, per permettere agli enti di individuare in assoluta autonomia le competenze degli organi. In ogni caso, anche in quella disposizione si vede un favor del legislatore per la competenza dirigenziale: infatti, l'eventuale assegnazione di competenze amministrative alla giunta deve passare per una disposizione positiva legislativa o statutaria.

La non completa attuazione dell'autonomia statutaria ha lasciato in grande parte inapplicata la norma di cui all'articolo 51, comma 2, primo periodo della legge 142/90. E sono dovuti intervenire altri provvedimenti legislativi per delineare l'assetto delle competenze tra organi che gli enti locali non avevano voluto o saputo disegnare utilizzando l'autonomia statutaria.

Soffermandosi sugli ultimi in ordine di tempo, la legge 127/97 ha contribuito a chiarire che il principio di separazione delle funzioni politiche da quelle gestionali era immediatamente operativo e da attuare anche per gli enti locali.

L'articolo 6, comma 2, della legge 127/97 ha a questo scopo sostituito il secondo periodo dell'articolo 51, comma 3, indicando espressamente i compiti di attuazione degli obiettivi politici, spettanti ai dirigenti, conseguibili ovviamente mediante l'adozione di propri provvedimenti.

L'elencazione contenuta nella novella all'articolo 51, comma 2, non è certamente esaustiva, né tanto meno tassativa, visto che la legge prevede che detti compiti spettino ai dirigenti <<in particolare>>, lasciando quindi intendere che i compiti ivi delineati sono solo il minimo obbligatoriamente disposto per legge, ampliabile mediante il ricorso all'autonomia statutaria ed organizzativa.

Comunque, i compiti attuativi si aggiungono e non cancellano gli altri ed onnicomprensivi compiti, previsti dal primo periodo del comma 3, lasciato evidentemente non a caso in vigore dal legislatore del '97. La riforma del '97, pertanto, rafforza la ragionevolezza della tesi che privilegia la competenza dirigenziale.

Spostando momentaneamente l'attenzione su un altro aspetto dell'indagine, la costituzione in giudizio è definibile come atto di gestione o come atto di natura politico-discrezionale?

La legge 142/90 non aiuta a dare questa risposta, perché non dispone, come già visto, in merito. Né la legge 127/97 si è soffermata sulla questione.

La norma cui fare riferimento è, pertanto, il D.lgs 29/93, come novellato dal D.lgs 80/98. E' questa la norma che ha fissato in maniera più chiara (anche se ancora non in modo del tutto limpido) i confini tra la funzione di indirizzo e quella gestionale. A delineare le rispettive sfere di competenza tra gli organi di governo e quelli gestionali provvedono gli articoli 3 e 14, 16 e 17 dall'altra. Gli articoli 3 e 14 indicano le principali funzioni e responsabilità dell'organo politico, confermando che ad esso spetta la competenza in merito ad atti normativi (o amministrativi di carattere generale), la definizione degli obiettivi, l'assegnazione delle risorse per il loro conseguimento, la definizione dei criteri generali per le erogazioni economiche a terzi. In questo elenco (anch'esso non tassativo) non si rinviene alcun tipo di funzione, né di competenza, in merito alla gestione delle controversie.

L'articolo 3, comma 2, del medesimo D.lgs 29/93, novellato, con una formulazione molto simile a quella dell'articolo 51, comma 3, primo periodo, dispone che <<ai dirigenti spetta l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. […]>>.

La disposizione si divide in due parti. La prima attribuisce alla competenza dirigenziale l'adozione di tutti gli atti amministrativi (evidentemente con l'eccezione di quelli indicati dal comma 1 del medesimo articolo 3), compresi quelli che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, conferendo così ai dirigenti la funzione di vero e proprio organo, capace di rappresentare la volontà dell'ente all'esterno.

La seconda parte attribuisce ai dirigenti la gestione, nei suoi aspetti finanziari, tecnici ed organizzativi.

La prima parte dell'articolo 3, comma 2, potrebbe da sola bastare per chiarire che la competenza in merito alle liti è certamente dirigenziale. Ma il legislatore ha voluto, in questo caso, essere più chiaro. Sicchè all'articolo 16, comma 1, lettera f) ha previsto che i dirigenti generali hanno il potere di promuovere e resistere alle liti, nonché di conciliare e transigere, fermo restando il potere di decisione ministeriale in caso di contrasto tra le valutazioni del dirigente e l'avvocatura dello Stato, in merito alla condotta da assumere in merito ad una vertenza.

Ai sensi del D.lgs 29/93, quindi, senza dubbio il provvedimento di costituzione in giudizio è di competenza dirigenziale. Ed in realtà non si può non concordare con quanto dispone il legislatore. La promozione o la resistenza in una lite, infatti, sono decisioni che attengono certamente all'aspetto gestionale tecnico.

Ciò non tanto perché si tratti di provvedimenti esecutivi di programmi e progetti politici. Al contrario, nessun programma prevede, evidentemente, la possibilità di problemi attuativi tali da sfociare in conflittualità con terzi. Per altro la costituzione in giudizio ha dei risvolti di discrezionalità certamente non irrilevanti.

Tuttavia non pare, in questo caso, trattarsi della classica discrezionalità amministrativa, intesa come possibilità per l'amministrazione di scegliere tra due atti o comportamenti legittimi quale adottare. Bensì del concetto di discrezionalità gestionale, intesa come potere dei dirigenti di stabilire forme e modalità idonee al perseguimento degli obiettivi fissati dagli organi di governo, secondo calendari e percorsi conformi al proprio disegno gestionale.

Il verificarsi di una conflittualità (potenziale o concreta, determinatasi in seguito ad un atto introduttivo del giudizio ad opera di un terzo) fa sì che il percorso gestionale della procedura trovi inevitabilmente una deviazione, o quanto meno un'interruzione, sia pure temporanea.

Infatti, la fase patologica può portare a due diversi comportamenti. Il primo consiste nel riesame, sulla base della lagnanza del terzo, dei propri provvedimenti, che può sfociare anche nell'adozione di provvedimenti di annullamento o revoca, nell'esercizio del potere di autotutela. Il dirigente, valutata meglio la situazione di fatto e diritto anche giovandosi della lagnanza

In secondo luogo, il dirigente può determinarsi nel valutare la correttezza e legittimità dei propri provvedimenti e determinarsi, quindi, di resistere giudizialmente o di promuovere la vertenza.

In ogni caso, il dirigente deve comunque valutare con attenzione gli aspetti di merito, così da assumere le sue decisioni in modo da non dare luogo a lite temeraria.

Le valutazioni di cui si è fin qui parlato, non possono essere altro che istruttorie. In altre parole, l'opportunità, la probabilità di successo, i presupposti, infine, per la costituzione in giudizio sembrano necessariamente attenere alla funzione tecnico gestionale. E' il gestore che conosce approfonditamente gli sviluppi della procedura, ivi comprese le potenziali conflittualità, magari conosciute (e quindi meglio approfondite già nella fase genetica) attraverso le forme di partecipazione al procedimento amministrativo previste dalla legge 241/90.

La costituzione in giudizio, quindi, è una fase, sia pure patologica e <<deviante>> della gestione, essendone, anche, una conseguenza.

Il legislatore ha previsto che i dirigenti generali dello Stato promuovono e resistono alle liti in quanto ha riconosciuto questo aspetto precipuamente di discrezionalità gestionale insito nel provvedimento di costituzione in giudizio. Se a decidere in merito fosse l'organo di governo, le valutazioni di carattere tecnico (e di opportunità) dovrebbero essere svolte dal medesimo organo di governo. Il quale, quindi, opererebbe sia un'inammissibile sconfinamento nella sfera gestionale, sia una sorta di controllo non sull'andamento complessivo della gestione (cioè quello ammesso e previsto dall'articolo 20 del D.lgs 29/93), bensì sul singolo atto, decidendo al posto del dirigente se affrontare o meno la causa ed anche, di conseguenza, la strategia in giudizio.

Ecco da qui l'espresso conferimento del potere al dirigente generale. Sicchè in diritto positivo, come visto, mentre non esiste una competenza dell'organo politico a stabilire se costituirsi in giudizio, vì è una chiara norma che assegna tale competenza ai dirigenti generali dello Stato.

A ben vedere, per le ragioni svolte poco innanzi, la disposizione del D.lgs 29/93 pare null'altro che la specificazione di un principio generale. La separazione, infatti, tra sfera politica e gestionale, non potrebbe in ogni caso consentire alla giunta di ingerirsi così pesantemente in un'attività appunto gestionale.

Basterebbe, quindi, interpretare gli articoli 35 e 51 della legge 142/90 ai sensi di tale principio generale, ricavabile sia dalla medesima legge 142/90, sia dal D.lgs 29/93, per concludere che la promozione e resistenza alle liti è dei dirigenti.

Tuttavia, l'articolo 27-bis del D.lgs 29/93 novellato prevede che gli enti locali, nell'esercizio della propria potestà statutaria adeguino i propri ordinamenti ai principi previsti dall'articolo 3 del medesimo decreto legislativo e nel capo dedicato alla dirigenza.

Quindi, comuni e province non solo possono assegnare ai dirigenti la competenza relativa alla costituzione in giudizio, ma sono anche tenuti a farlo. Sicchè una disposizione statutaria o regolamentare che assegni alla giunta tali competenze non appare conforme ai principi generali dell'ordinamento delle pubbliche amministrazioni e degli enti locali.

In tal senso, quindi, anche le non infrequenti pronunce giudiziali che ancora oggi individuano nella giunta l'organo competente a disporre la costituzione in giudizio sembrano non tenere nel dovuto conto l'assetto organizzativo generale delle pubbliche amministrazioni.

E' vero che a sostegno della tesi contraria a quella fin qui prospettata sta l'osservazione che poiché il legale rappresentante dell'ente è il sindaco, ad autorizzarlo a stare in giudizio non può essere il dirigente, ma solo l'organo di governo esecutivo dell'ente, cioè la giunta comunale.

Questa osservazione è certo importante e pertinente. Ma non sufficientemente appagante. L'autorizzazione dirigenziale al sindaco (o al presidente della provincia) a stare in giudizio non pare una violazione delle prerogative e dei poteri del capo dell'amministrazione. Il quale, anzi, essendo colui che attribuisce ai dirigenti gli incarichi dirigenziali ha l'opportunità di valutare in anticipo rispetto ai riscontri del servizio di controllo interno, gli aspetti e le problematiche legate alle conflittualità nelle quali è coinvolto l'ente.

Non essendovi, poi, un rapporto gerarchico ma direzionale tra sindaco e dirigenti, non appare incongruo che il soggetto tecnico, che dispone della competenza e si assume la responsabilità relativa, di decidere se costituirsi in giudizio autorizzi il sindaco a costituirsi per sostenere le ragioni che non sono quelle del dirigente, ma quelle dell'ente.

Certo, il problema si risolverebbe se la magistratura considerasse rientrante nei poteri che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, spettanti ai dirigenti, anche la possibilità di rappresentare l'ente in giudizio, come un vero e proprio organo.

Comunque, la razionale attuazione delle disposizioni vigenti non pare autorizzare altri organi, se non quelli dirigenziali, a provvedere in merito alla costituzione in giudizio.

LUIGI OLIVERI

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