Il Convivio
Trimestrale di Poesia Arte e Cultura del circolo culturale “Il Convivio”
Via Pietramarina – Verzella   66
95012  Castiglione di Sicilia(CT)  Italia
Anno I  numero 3
Ottobre - Dicembre 2000
Distribuzione gratuita

 

 
La storia della poetessa Isabella di Morra e la sua tragica fine hanno ricevuto fama grazie agli scritti di due uomini di cultura. Il primo, il regio consigliere Marcantonio Morra, fu nipote della poetessa, figlio del di lei fratello Camillo, e pubblicò in Napoli, nel 1629, un’opera dal titolo “Famigliae nobilissimae de Morra Historia”; successivamente il filosofo benedetto Croce si interessò in due scritti, uno del 1927 l’altro del 1947, dei casi e delle liriche della sfortunata giovane. I sonetti e le canzoni di Isabella, all’epoca della storia scritta da Marcantonio, erano già stati pubblicati in diverse edizioni.
I versi, pubblicati nelle raccolte di rime di poetesse del Cinquecento, non erano stati accompagnati, in nessuna delle edizioni, da notizie sulla vita e sui casi dell’autrice; essi ebbero fama ed attirarono l’attenzione dei lettori per il modo personale di sentire le vicende della vita e per la loro spontanea naturalezza, espressione evidente di un animo colto, delicato e sensibile. Dalle composizioni traspare la ricca vita interiore della fanciulla, relegata in un luogo chiuso di provincia, ansiosa di vivere, di respirare nuovi orizzonti e, nello stesso tempo, legata alla sua terra, al fiume Siri, ai boschi selvaggi, ai luoghi dell’infanzia che canta con ardente passione. La terra di Isabella, situata tra il basso Sinni e la riva del mare Ionio, si chiamava Favale ed ivi era nata, nel castello omonimo, centro del feudo paterno,  nel 1520, ora Valsinni; si tratta di un paesino di meno di tremila abitanti, in provincia di Potenza. Vicino a Valsinni sorge l’abitato di Nova Siri, detto un tempo “La Bollita”, feudo di Sandoval De Castro e della moglie di lui Anna Caracciolo. Qui si recò il critico Benedetto Croce a verificare di persona “per un suo intimo gusto, con un raccoglimento dell’animo e della mente, con un volo dell’immaginazione” le indagini che egli giudica “modeste” sulla vita della sfortunata Isabella. Lo studio del filosofo di Pescasseroli, intitolato “Isabella di Morra e Diego Sandoval De Castro”, edito da Sellerio nel 1983, è una ricostruzione fedele, puntuale e ricca di precisazioni archivistiche, storico-geografiche e critiche sulla tragica vicende della morte di Isabella, del suo presunto amante Diego e del pedagogo che fece da messaggero tra i due. Ancora oggi uno stretto sentiero congiunge i due castelli di Favale e di Bollita, un sentiero non carrozzabile. I due poeti, Diego e Isabella, scambiavano versi e missive e pare che Diego li inviasse all’amata sotto il nome della moglie di lui, Anna Caracciolo, che aveva stabile residenza nel feudo di Bollita. I tre fratelli di Isabella, «feroci» di natura loro e per il luogo selvaggio in cui erano cresciuti, avute in mano le lettere, vollero vendicare l’offesa presunta all’onore familiare, comportandosi alla stregua dei fratelli di Lisabetta da Messina, della omonima novella boccaccesca; anzi fecero di più perché coinvolsero nell’atroce eccidio la sorella, pugnalata in casa, ed il pedagogo, testimone del fatto. Il Sandoval De Castro, pur avendo preso numerose precauzioni, non riuscì a sfuggire alla morte, che giunse dopo diversi tentativi di appostamenti da parte dei tre fratelli proprio sulla strada che congiunge Favale a Bollita. Leggendo i versi di Isabella non sembra quasi possibile credere al fatto che ella abbia avuto l’opportunità e le occasioni di intrattenere una relazione amorosa con il De Castro. Potrebbe essere stata completamente innocente di questa colpa ed aver accettato i versi galanti del poeta, vicino di casa, come nell’uso di un gioco “cortese” che rendeva la vita diversa dalla monotona e squallida routine di provincia: un soffio di intellettualità vitale che non venne assolutamente percepito dai rozzi fratelli. A meno che essi non abbiano preso il pretesto della vicenda per eliminare con la persona della sorella una diminuzione del patrimonio feudale, dovendole assegnare la dote matrimoniale. Il padre di Isabella si trovava in quel momento in Francia, costretto all’esilio per questioni di interessi territoriali con il principe di S. Severino. Per questo motivo non poté tornare e fu processato in contumacia; la questione fu risolta con il pagamento di una grossa ammenda da parte del principe Marcantonio Morra. Quando Giovanmichele di Morra poteva essere libero di tornare in patria, avvennero altre complicazioni politiche che glielo impedirono e, successivamente, anche la morte. Purtroppo nessun documento allo stato attuale ci permette di aggiungere qualche nuova notizia a quelle esposte con stile vivace, interessante e con strutturazione semplice e chiara dai vari capitoli del nostro scrittore filosofo.
         Non ci resta altro che sperare che la figura della dolce Isabella, vissuta così brevemente (Favale 1520-1546), quasi simbolo emblematico di una categoria umana, quella femminile, spesso sottoposta a violenze, soprusi e abrasioni dalla memoria storica, possa essere oggetto di una nuova ricerca che possa riportare alla luce più ricche documentazioni, tali da completare a tutto tondo il ricordo della poetessa del Cinquecento.
 

Gli amici del “Convivio”, che vogliono inviare un articolo su una grande figura femminile del passato o del presente, saranno presi in considerazione per una eventuale pubblicazione.