I LAVORI ATIPICI

LA COLLABORAZIONE COORDINATA E CONTINUATIVA

Uno dei fenomeni più rilevanti che hanno caratterizzato il mondo del lavoro negli ultimi anni è sicuramente costituito dai cosiddetti lavori atipici, dove con tale espressione si intende l’universo delle nuove forme di occupazione che non si possono configurare né come lavoro subordinato, né come lavoro autonomo.

Mentre la realtà industriale prevedeva ferrei modelli organizzativi, la realtà post-industriale, che ormai si è largamente affermata, tende a rifiutare gli schemi rigidi per lasciare uno spazio maggiore alla flessibilità e a norme di lavoro sempre meno soggette a vincoli formali. Oggi, il "posto fisso" o il "lavoro garantito a vita", sono opportunità sempre più difficili da trovare. La realtà che ci sta dinanzi è caratterizzata dal movimento continuo di persone, aziende e capitali. Ciò naturalmente può creare anche dei problemi notevoli per i lavoratori, soprattutto in assenza di un quadro normativo certo, che regoli queste nuove forme di collaborazione.

Inoltre, l’assenza della flessibilità (sia in entrata che in uscita), nel mondo del lavoro, ha spinto le aziende private ad utilizzare a piene mani le opportunità offerte dai nuovi lavori, battezzati nei modi più strani ed originali (popolo delle partite IVA; forzati della previdenza; lavoratori para-subordinati; autonomi di terza generazione).

La collaborazione coordinata e continuativa è, tra i nuovi lavori, la forma di impiego che ha avuto più successo, in quanto permette forti risparmi per l’imprenditore ed una gestione assai agile della relazione instaurata. Il collaboratore, inoltre, non deve aprire la partita IVA, né tenere libri contabili. Naturalmente non è il caso di fare i furbi, facendo passare per collaborazione coordinata e continuativa un rapporto chiaramente subordinato.

Vediamo allora quali sono le regole fondamentali della collaborazione. Il T.U.I.R. fissa alcuni principi da osservare con attenzione:

  1. Il collaboratore non deve essere sottoposto al vincolo della subordinazione;
  2. La prestazione deve avvenire nel quadro di un rapporto continuativo;
  3. I mezzi organizzati devono appartenere al committente;
  4. La retribuzione deve essere periodica, (anche non mensile) e prestabilita.

In sostanza il collaboratore non è un autonomo vero e proprio (come un artigiano o un professionista, i quali usano i propri mezzi organizzati), ma non è neppure un dipendente obbligato ad eseguire ogni disposizione del datore di lavoro. Quest’ultimo, (il cosiddetto committente), potrà impartire direttive, ma nel rispetto della autonomia professionale propria del collaboratore.

A partire dal 1° gennaio 2001, per effetto della nuova finanziaria, ai soli fini fiscali, i redditi da collaborazione coordinata e continuativa, sono divenuti redditi assimilati a quelli del lavoro dipendente. Anche per gli effetti fiscali che riguardano trasferte, benefits ecc., la situazione del collaboratore e quella del dipendente, d’ora in poi, risulteranno parificate.

A seguito di ciò il committente dovrà effettuare le ritenute fiscali con le stesse aliquote dei dipendenti; tenere conto delle detrazioni spettanti; rilasciare il modello CUD come per i lavoratori dipendenti.

In definitiva il collaboratore risulterà un "autonomo" per quanto riguarda l’aspetto organizzativo del lavoro, ma risulterà un "dipendente" per quanto riguarda l’aspetto fiscale vero e proprio.

In attesa di un intervento legislativo che definisca in maniera più chiara la collaborazione coordinata e continuativa, occorre una certa prudenza prima di instaurare rapporti dubbi e contestabili. Ricordare sempre che travestire un dipendente da collaboratore, lasciando invariate le caratteristiche della prestazione lavorativa subordinata, significa soltanto porre le premesse per un contenzioso che facilmente, prima o poi, creerà problemi a non finire per l’incauto datore di lavoro.