GIUDICE
DI PACE - COMPETENZA PENALE - PRIME OSSERVAZIONI SUL SISTEMA DELLE SANZIONI
di
Ubaldo NANNUCCI
Delle
molte singolarità e delle cospicue stranezze che le disposizioni processuali
della legge sulla competenza penale del giudice di pace presenta, io non parlerò.
Mi soffermerò invece su un aspetto forse marginale, ma secondo me assai serio,
quello del suo sistema sanzionatorio. Le mie osservazioni in effetti investono
la delega, più che il lavoro della Commissione. La quale però non pare essere
rimasta turbata da questi aspetti.
La
sorpresa in questo campo è data dalla scoperta di quale indifferenza dimostra
il nostro legislatore per un tema altrove oggetto di appassionati e impegnati
studi. Alludo alla commisurazione della pena. I comparatisti sanno benissimo
cosa intendo. L’espressione esprime la ricerca tendenziale a correlare
l’entità della sanzione al grado di riprovevolezza sociale - che poi è
spesso riprovevolezza morale, perché nella gran parte dei casi la legge punisce
fatti che sono anche moralmente censurabili -
dei comportamenti vietati. Qualcuno dirà: ma quale correlazione può
trovarsi un’ingiuria, o gli atti osceni e il carcere?! La correlazione la fa
il senso di ribellione della gente, impersonata dalla figura fantastica, lo
sappiamo, dell’uomo di normale
educazione e sentimenti. Quel fatto genera irritazione e fastidio, e
l’auspicio che chi lo compie se ne stia per un certo tempo a meditare, ad
insegnamento personale per il futuro e ad ammonimento di chi volesse seguirne
l’esempio.
Poiché
le sentenze sono pronunciate in nome del popolo, cui si dice spetti l’ultima
sovranità, un legislatore rispettoso del ruolo dovrebbe non discostarsi troppo
dal comune modo di sentire e di valutare i fatti riprovevoli. Se lo ignora,
viola il mandato ed abusa delle sue funzioni. Trattando il sovrano come suddito.
Ora
vediamo cosa combina la legge sul giudice di pace, in alcune norme sintomatiche.
La legge ha, quasi di soppiatto, ribaltato il trattamento sanzionatorio di
alcune fattispecie di generalissimo e diffusissimo impiego e di rilevantissima
importanza sociale. Vediamole, confrontando la sanzione vecchia con la nuova
Articolo
582 - lesioni personali volontarie lievissime.
Codice
Rocco:
la
pena è della reclusione da
tre mesi a tre anni.
Per
dare un’idea di cosa parliamo ricordo che la frattura delle ossa nasali
rientra tra i casi lievissimi essendo giudicata guaribile generalmente in 20 gg,.
Arresto
facoltativo, in caso di flagranza. (articolo 381/2, f)
Legge
Giudice di Pace
Articolo
4 lett. a) (a. 52/2 lett. B (solo
pena detentiva)
Multa da un milione a cinque milioni
La
svalutazione delle mie ossa nasali supera il crollo dell’Euro; stupefacente
che non ci fossimo accorto che la gente oggi valuta così poco la propria
incolumità. (la commisurazione è tre mesi=1 milione, tre anni=5 milioni)
Oppure:
permanenza domiciliare da 15 giorni a 45 giorni
oppure,
a richiesta dell’interessato (articolo 54/1)
lavoro di pubblica utilità da 20 giorni a sei mesi
Consideriamo
i minimi (dai quali i giudici raramente si discostano):
15
gg. di permanenza domiciliare, comportano l’obbligo di permanenza in casa
preferibilmente, ma non necessariamente, nei giorni di sabato e domenica. Basta
rimanere in casa due giorni la settimana per un mese e mezzo e si salda il conto
con la giustizia;
se l’interessato sceglie il lavoro, poiché due ore di lavoro valgono un giorno (articolo 54/5)[1] se l’interessato viene ammesso dal giudice a fare otto ore in un giorno che per i liberi corrispondono ad una normale giornata di lavoro con due giorni e quattro ore si sconta l’intera pena.[2]
La
possibilità di arresto in flagranza è volatilizzata.
Questa
legge è un bellissimo regalo di Natale a un ragazzo attualmente in carcere per
un suo particolare hobby. E’ un tipo un po’ nervoso; per rispetto della
privacy, lo chiamerò Robertino – Robertino se incontra uno antipatico, il che
accade anche più volte al giorno, lo picchia. Ora difatti picchia gli agenti di
custodia.
Quando
uscirà, sarà per lui un’altra vita. Potrà dare libero sfogo alla sua
naturale esuberanza. Sì è vero c’è la permanenza domiciliare. Son curioso
di sapere chi andrà a controllare se è in casa col rischio di trovarcelo.
Andiamo
avanti:
Articolo
590 CP - lesioni colpose
Lesioni
colpose lievi
Codice
Rocco: (pena alternativa)
Reclusione
da 15 gg. a 3 mesi
[la sanzione
pecuniaria è caduta in disuso per mancato aggiornamento]
Giudice
di Pace
multa da
500.000= a £ 5.000.000=[3]
Lesioni
colpose gravi
la
perdita di un occhio, la perdita di un rene, lo stare tra la vita e la morte,
rimanere sciancati, la perdita dell’uso di una mano ecc
Codice
Rocco
Reclusione
da 1 mese a sei mesi =
Giudice
di pace
Multa da
500.000= a £ 5.000.000=
Lesioni
colpose gravissime
la
perdita di un arto, la completa cecità, la perdita della funzione renale, lo
sfregio del volto per ustioni, la
tetraplegia, una malattia insanabile
Codice
Rocco
Reclusione
da 3 mesi a due anni =
Giudice
di pace
Multa da
500.000= a £ 5.000.000=
o Permanenza
in casa da 6 giorni a 30 giorni
Oppure, a
richiesta, lavoro di pubblica utilità da dieci giorni a tre mesi
Se
il giudice è severo e gli dà la permanenza, con tre fine settimana in casa, si
definisce la cosa. Nel massimo sono 30 giorni. Si sta in casa due giorni alla
settimana a scelta per 3 mesi e mezzo. Per valutare la forza dissuasiva di
questa punizione penso si possa ricordare che a molti di noi capita di stare
qualche giorno in casa durante la settimana. Senza saperlo, ci autocondanniamo
alla più severa delle sanzioni che il giudice di pace infligge. Del
lavoro di pubblica utilità ho già parlato.
Però,
attenzione, non per tutti è così
Se
le lesioni colpose sono commesse per colpa professionale o con violazione delle
norme di prevenzione infortuni, la competenza non passa al giudice di pace.
Quindi le sanzioni sono quelle bestiali di Rocco. Ora, siamo tutti d’accordo,
i datori di lavoro non meritano pietà. Ma vedete, la colpa del datore di
lavoro, è spesso una sorta di colpa di posizione, dovevi vigilare perché il
dipendente non facesse l’imprudenza di infilare le mani nella macchina in
movimento, di togliere lo schermo protettivo, di salire sulla scala senza
allacciare la cintura; il che a
rigore vorrebbe dire che devi stare sempre lì a vedere quel che fanno i
lavoranti. Ora dico ma perché costui deve essere punito più severamente del
giovinastro avvinazzato che trita il pedone sulle strisce
all’uscita della discoteca? E quanto alla colpa professionale perché
il chirurgo che sciaguratamente nell’infilare una sonda nell’arteria provoca
per una frazione di millimetro una lacerazione di vasi con conseguenze ahimè
gravi, deve subire un’onta maggiore del cacciatore assatanato che impallina un
inerme passante?
Quale
ragionevolezza c’è nel tranciare, all’interno del medesimo delitto, la pena
in questo modo, annullando quella che era la logica dell’aggravante nel 590,
che aumentava bensì la pena solamente peraltro nel minimo, ma in connessione
con una violazione di norme antinfortunistiche che giustificavano
concettualmente un trattamento più severo, perché commesse per specifiche
inosservanze di cautele prestabilite?
Ma
gli effetti di questa disciplina sono ancora più punitivi per l’offeso dal
punto di vista civilistico. E’ giurisprudenza risalente all’antico che il
giudice penale è competente a conoscere della domanda di risarcimento dei danni
qualunque ne sia il valore. Principio non consacrato in alcuna norma, ma sempre
affermato[4].
Principio comprensibile, quando lo Stato considerava un valore la non
contradditorietà dei giudicati. Per garantirsi dal rischio di pronunce
contradditorie, il vecchio codice disponeva I) la prevalenza della giurisdizione
penale sulla civile, II) l’obbligatorietà della sospensione del giudizio
civile finchè non si fosse concluso quello penale. Siccome non ammetto che due
giudici dello stesso Stato dicano uno bianco e uno nero, e siccome suppongo che
la giustizia penale sia più capace di conoscere il vero di quella civile, in
caso di concorrenza il giudice civile si deve fermare, e aspettare l’esito del
penale. Che farà stato davanti a lui. In questo quadro l’offeso era costretto
a difendere le sue ragioni nel processo penale, perché l’assoluzione avrebbe
irrimediabilmente distrutto ogni
sua pretesa civile.
Il
nuovo codice ha ribaltato questa situazione, svincolando l’esito del civile
dalle sorti di quello penale, e lasciando all’offeso per così dire libertà
di scelta. A condizione che tu promuova l’azione civile prima che ti
costituisca parte civile. Se ti costituisci parte civile, o se sei posto in
condizione di costituirti parte civile, l’assoluzione dell’imputato fa stato
nei tuoi confronti. Perdi il processo penale, e perdi quello civile insieme. Se
invece hai promosso precedentemente azione civile, l’assoluzione penale non ti
danneggia (articoli 75 e 652 CPP). Il giudice civile è libero di condannare al
risarcimento, malgrado l’assoluzione penale.
Nonostante
il venir meno del vincolo pregiudiziale tra processo penale e civile, fin quando
il pretore è vissuto non era sorta questione sulla possibilità del pretore
penale di risarcire danni per somme superiori alla sua competenza civile. Un
po’ per tradizione, un po’ per le garanzie della preparazione professionale,
analoga a quella del giudice monocratico civile, non fu mai posta la questione
della disarmonia tra competenze penali e competenza civile dello stesso
magistrato.
Oggi
la situazione si ribalta col giudice di pace. Questo magistrato, che in sede
civile può condannare al risarcimento del danno fino a 5 milioni, o fino a 30
se connesso a circolazione di veicoli, ha invece facoltà di condannare senza
limiti quando giudica come giudice penale. Quel che cambia rispetto alla
situazione del pretore è che quello era un giudice professionale, questo è
giudice non tecnico. E la sua sentenza, in ipotesi di assoluzione, fa stato nel
caso che vi sia stata costituzione di parte civile o che l'offeso “sia stato
posto in condizione di costituirsi”. Il che avviene col fatto stesso di
proporre querela, nel caso almeno di ricorso immediato (art. 21e 23)
Ma
chi affronterà il rischio del giudizio di un
non tecnico, col pericolo di una sentenza preclusiva dei propri diritti,
rinunciando tra l’altro ad avvalersi della presunzione che in tema di
circolazione di veicoli, e in tutti i giudizi di danno da fatto illecito, la
legge civile assicura? Di fatto, questa legge costringerà l’offeso a
promuovere comunque giudizio civile, per non affrontare l’alea di un penale
che non offre sufficienti garanzie di professionalità. Ma se è obbligata la
via dell’azione civile, chi si prenderà la briga di far querela, per
aggiungere al danno la beffa? Come esempio di sfoltimento del carico
giudiziario, mi pare una bella pensata. [5]
Allora,
consentitemi tre riflessioni e una conclusione
Prima
riflessione
Nonostante che il teppismo di strada sia
dilagante, e la prepotenza stradale ogni giorno aumenti, il legislatore
annulla la già modestissima efficacia intimidatoria della pena. Immiserendo
la sanzione, la Repubblica non garantisce più il diritto inviolabile
dell’uomo, tra cui, primario, quello alla sua integrità fisica
Seconda
riflessione
Se la pena è derisoria, come dicono gli
inglesi, che senso ha fare querela? affrontare fastidi, spese, angosce,
maltrattamenti d’udienza per poi in caso di condanna vedere il colpevole
soggiacere a un’elemosina di fronte alla altrui menomazione? E’ giusto
ridurre la pena a puro simbolismo, nella disperata ricerca di una via
d’uscita dal fallimento dell’attuale formula processuale, che
testardamente ci si rifiuta da 10 anni di accettare, con funambolismi da
apprendista stregone? Mortificando come di consueto le vittime, in modo da
indurle a tenersi il danno e non disturbare lo Stato, che non ha tempo per
loro?
La terza
riflessione è un po’ più lunga
Una volta di più abbiamo copiato,
deformandoli, istituti stranieri. Perché è vero che c’è qualcosa di
simile nel sistema punitivo inglese nel quale troviamo (accanto all’absolute
discharge, che può corrispondere alla particolare tenuità del fatto) un
ampio ventaglio di possibilità sanzionatorie per il giudice, istituito dal
Criminal Justice Act del 1991 nell’intento di ridurre al massimo possibile
l’impiego della custodia in carcere. Al primo gradino della scala il c.d.
1)
Compensation order, ordine di restituzione o risarcimento nei confronti
della vittima che può stare da solo o accompagnarsi ad altri provvedimenti,
2)
la multa (con cinque livelli di gravità) [6];
seguono
le “community sentences”, che sono costituite da un gruppo di
misure non custodiali:
3)
il community service order, da 40 a 240 ore di lavoro non pagato; (a
proposito: l’assicurazione antinfortuni chi la paga?)
4)
il probation order, che si estende da sei mesi a tre anni ed impone al
condannato una serie di obblighi sotto controllo di un probation officer
5)
il curfew order, obbligo di stare in casa dopo una certa ora o in certe
ore, eventualmente col monitoraggio elettronico
6)
il servizio in comunità
7)
il combination order, che può fare un cocktail dei provvedimenti sopra indicati.
Ma quel che separa nettamente il sistema che
si sta introducendo da noi dal modello, è dato dal fatto primo: che là,
è il giudice stesso che sceglie la misura da applicare, non essendogli
sottratta la possibilità di infliggere, se la gravità del caso lo richiede,
la pena custodiale; mentre da noi il giudice di pace è in realtà un giudice
dimezzato, un simulacro di giudice che infligge sanzioni che chiamerei
premiali;
secondo: che il mancato consenso all’applicazione
della misura alternativa comporta automaticamente la prigione;
terzo: che la violazione della sanzione alternativa
inflitta determina l’applicazione della pena detentiva. (Per cui anche
l’inosservanza della pena della multa o dell’ordine di risarcimento si
risolve in pena detentiva. Il che spiega che si tratta di misure non prive di
un certo grado di afflittività).
Il
legislatore italiano ha scelto come sempre la strada più soft, quella
dell’indulgenza. Ma forse siamo andati oltre il limite del ragionevole. E’
vero che la violazione degli obblighi, se non v’è un giusto motivo (e chi non
trova un giusto motivo?) è punita con la reclusione fino a un anno (articolo
56). Ma il fatto è che per infliggere questa sanzione si deve fare un nuovo
processo. Se si faranno controlli ne risulteranno processi in numero maggiore di quelli che si voleva evitare, perché
non s’è mai visto una osservanza rispettosa di un foglio di via.
Concludo.
Assegnare
al giudice di pace la competenza per ogni tipo di lesione, è un errore
imperdonabile. Più in generale, un legislatore che svilisce le sue sanzioni non
fa buon governo dei suoi poteri. Sbaglia chi confonde l’ostentazione della
mitezza con la bontà dell’animo. L’indulgenzialismo può sconfinare in
indifferenza per il dolore altrui, in
cinismo per la mortificazione di chi ha patito ingiustizia. Non spetta al
legislatore perdonare in anticipo il ribaldo. E non spetta neanche al papa
stabilire chi si deve perdonare. Il perdono è scelta interiore della vittima.
Lo Stato deve essere giusto, non ostensorio di clemenza sul dolore di coloro che
deve proteggere.
E
deve, soprattutto, porsi in una posizione di lealtà verso coloro che nomina
come giudici delle sue leggi. Non si possono ad un giudice affidare compiti
superiori alle sue forze. Ma una volta fatta la scelta, il giudice di pace non
può essere un giudice cui si nega fiducia. O si crede nella giustizia popolare,
e allora è giusto affidarne la cura ad una persona normale, armata solo di buon
senso. O non ci se ne fida, e allora non gli si fa fare
il giudice. Ma non si può creare un giudice negandogli il potere di
infliggere la giusta pena, facendo poi pagare le conseguenze anche morali, di
questa giustizia negata, come sempre, all’offeso.
Che
cosa dobbiamo aspettarci nel prossimo futuro? Temo forte che se lo Stato non
offre alcuna seria tutela ai suoi cittadini, verrà inevitabilmente a qualcuno
l’idea di rivolgersi, che so io, a Robertino.
Ubaldo Nannucci
[1] La disciplina del lavoro di pubblica utilità (a. 49 - o 54) è questa:
a) ci vuole la richiesta; =
b) può estendersi solo da dieci giorni a sei mesi =
c) due ore di lavoro al giorno (non più di sei ore settimanali ma non oltre le otto ore giornaliere)
d) due ore di lavoro valgono un giorno. Così stabilisce l’articolo 54 comma 5 versione originaria; ora il comma 3 dell’articolo 49 non lo dice ma lo fa intendere (non è ancora chiara quale sia la stesura definitiva della legge)
[2] Calcolando i massimi (ignorati da tutti i giudici della Repubblica, per cui penso che lo saranno anche dal GDP)
45 gg. di permanenza domiciliare si scontano in 5 mesi e mezzo
6 mesi di lavoro a due ore al giorno sarebbero due ore di lavoro quotidiano per 180 giorni; se il giudice mi autorizza a fare le otto ore, ogni giorno vale quattro. Con un mese e mezzo di lavoro sono a posto.
[3] La multa nel minimo è stata aggiornata moltiplicando la somma originaria di 50 volte; nel massimo di 8, 33 volte; se si fosse moltiplicato per 50 anche il massimo la multa massima sarebbe risultata di 30 milioni
[4] v. Manzini, Trattato di diritto processuale penale, I, 389 e nota
[5] in particolare: se l’offeso intende proporre ricorso immediato ex art. 21, dovrà prima promuovere giudizio civile se non vuol correre il rischio di una assoluzione penale che comprometta le sue ragioni civilistiche; se fa querela, dovrà promuovere giudizio civile prima del compimento delle formalità di apertura del dibattimento, termine ultimo per la sua costituzione; dopo questo istante, si sia o non si sia costituito, la sentenza penale farà stato nei suoi confronti, essendo comunque stato messo in grado di costituirsi parte civile
[6] Andrew Ashworth, Sentencing and Criminal Justice, Butterworth, London, 1995, 119, 266