L'ENIGMA DELLA SINDONE

Su una superficie piatta le mani non possono arrivare così in basso come risulta nell'impronta sindonica

L'impronta della Sindone presenta alcune peculiarità che una eventuale teoria della sua creazione deve poter spiegare.

La figura decalcata sul lino è quella di un uomo nudo, con la barba ed i capelli lunghi alle spalle, apparentemente morto o che comunque doveva essere in uno stato di incoscienza e di assoluta immobilità nel momento della formazione dell'immagine. Le ferite che presenta sembrano essere inflitte da un torturatore di professione. Noi, (cit. autori), decidemmo che l'unico modo per comprendere a fondo la Sindone fosse di provare a riprodurne una copia.

..."Innanzi tutto stendemmo un bianco lenzuolo di lino sul pavimento, dopodiché cospargemmo il corpo nudo di un uomo di vernice nera e dopo averlo fatto stendere sul telo lo avvolgemmo da capo a piedi nel tessuto."...

  1. Sulla parte riproducente il dorso della figura e risultata praticamente assente l'impronta delle gambe tra le natiche ed i polpacci
  2. La zona della schiena subito sotto le spalle non ha lasciato traccia.
  3. La mano destra dell'uomo risulta posizionata circa 15 cm. più in alto rispetto alla Sindone.
  4. Salvo che per la punta del tallone l'impronta del piede è completamente assente.
  5. A differenza della Sindone, le spalle risultano alla stessa altezza.

La traccia dorsale dimostra che il corpo tocca il telo in soli cinque punti: il capo, le spalle, le natiche, i polpacci e i talloni. Nelle zone intermedie, nonostante la grande quantità di vernice utilizzata, non si rileva niente. Se un metodo di formazione dell'immagine a convenzione potrebbe spiegare l'impronta frontale, nessun processo simile potrebbe spiegare quella posteriore, che si ottiene solamente per contatto.

L'unica possibile conclusione è che l'uomo della Sindone non è stato adagiato su una superficie dura e piatta, ma probabilmente su un materasso morbido che ne sorreggeva il corpo. La teoria del "letto soffice" può spiegare anche la lunghezza all'apparenza spropositata delle braccia, che arrivano troppo in basso lungo il corpo. Ripetendo l'esperimento utilizzando un materasso si sono potute dedurre importanti conclusioni:

  1. E' possibile ottenere una impronta dorsale di tutto il corpo soltanto se questo poggia su una superficie morbida.
  2. Le piante dei piedi lasciano una traccia solamente se poggiano su un cuscino.
  3. Sollevando le spalle di circa 15 cm. rispetto alle anche le mani scivolano nella stessa posizione impressa sulla Sindone, purchè anche la parte superiore del braccio sia sorretta da cuscini.
  4. L'angolo formato dalla posizione della testa rispetto al torace è immateriale; poichè la Sindone segue i contorni del corpo, il viso apparirà sempre quadrato all'osservatore. Più il capo è rovesciato all'indietro più il collo appare lungo.
  5. Se il corpo poggiasse su una superficie piatta i capelli tenderebbero a cadere verso il basso, mentre rimarrebbero ad incorniciare il viso se la testa poggiasse su di un cuscino.

La sola conclusione logica, quindi, sembra essere che, deposto dalla croce, l'uomo deve essere stato coricato su un supporto soffice. Ma a questo punto è legittimo chiedersi perchè qualcuno avrebbe dovuto fustigare quell'uomo e crocifiggerlo per poi stenderlo su un letto, avvolto in un lenzuolo funebre?

Immagini e testo tratti da "il secondo Messia" di KNIGHT & LOMAS - Mondadori 1998

Su una superficie morbida le mani si posizionano come nell'impronta sindonica

Su una superficie morbida i capelli si posizionano come nell'impronta sindonica

Altezza apparente: processo di convezione

Altezza apparente: fotografia

Larghezza apparente del viso: immagine per contatto

Larghezza apparente del viso: immagine per convezione

 

SE LA SINDONE è VERA I VANGELI MENTONO?

Fino all'analisi del radiocarbonio molti si servivano dell'immagine della Sindone per far credere che Gesù era veramente risorto. Ora invece la scienza sembra essere venuta incontro alle esigenze di quei biblisti che da almeno 20 anni tentano invano di concordare i dati evangelici con quelli sindonici.

La Sindone -è stato detto- non è una "reliquia" del Cristo, ma solo un'icona, ovvero un oggetto di venerazione come tanti altri. Lo ha dimostrato appunto il fatto che il C-14 colloca la data del lenzuolo (contraddicendo tutti gli altri esperimenti scientifici) fra il 1260 e il 1390 (si ricordi che, non a caso, la prima notizia certa di questo telo risale al 1357, allorché venne esposto a Lirey in Francia).

Con viva soddisfazione il card. Ballestrero ha affermato testualmente: "Questa è stata una ricerca scientifica, che nulla ha a che vedere con la teologia. Chi ne ha approfittato per costruirci sopra delle teologie, è andato fuori strada". L'avvertimento insomma è chiaro: la fede con la sindone non c'entra; guai a coloro che si servono di questa per contestare quella.

A questo punto la domanda che s'impone sembra essere la seguente: perché la chiesa cattolica ha preferito far tacere gli esegeti scomodi dicendo che è falsa una cosa vera, piuttosto che far contenti i suoi fedeli sostenendo la verità?

La risposta è relativamente semplice: se la Sindone di Torino è vera, i vangeli mentono, e se mentono, la chiesa cristiana (occidentale e orientale) si regge in piedi sulle delle falsificazioni.

Una già la conosciamo, ed è la più colossale, quella su cui poggia tutto l'edificio ecclesiastico: si sostiene che il momento essenziale della vita di Gesù sia stata la sua resurrezione, e la sindone, fra le altre prove -secondo molti- starebbe appunto a confermarlo.

In altre parole, la chiesa, di fatto, afferma che la vittoria di Cristo sulla morte è stata più importante della sua lotta contro il potere costituito. Tesi, questa, che trova la sua più completa formulazione già nelle lettere dell'apostolo Paolo, alcune delle quali sono fra i documenti più antichi del Nuovo Testamento.

Ora, supponiamo che la Sindone di Torino sia effettivamente il lenzuolo che ha avvolto il corpo di Gesù: in che modo dovrebbero essere riletti i raccolti evangelici che parlano della sua sepoltura e della scoperta della tomba vuota?

Sull'argomento la pubblicistica, prevalentemente confessionale, è già molto vasta e se ne può consultare una sintesi storiografica in G. Ghiberti, La sepoltura di Gesù, ed. Marietti 1982.

Vediamo cosa dicono i testi biblici.

Il primo problema che salta agli occhi, mettendo a confronto, nei racconti evangelici della sepoltura, le versioni dei sinottici (Marco, Matteo e Luca, in ordine d'importanza) con quella di Giovanni, è che ci si trova di fronte a tradizioni abbastanza diverse.

Come noto, il principale artefice della sepoltura di Gesù non fu alcun apostolo, bensì Giuseppe d'Arimatea, definito da Giovanni "discepolo occulto", cioè favorevole in privato alla causa di Gesù, ma titubante in pubblico.

Già sulla figura di questo ambiguo personaggio i sinottici divergono fortemente. Marco infatti lo esalta dicendo che pur essendo Giuseppe un membro autorevole del Sinedrio, aspettava anche lui "il regno di Dio"; inoltre afferma ch'egli "andò coraggiosamente da Pilato" per chiedere il corpo di Gesù.

Giovanni invece, a tale proposito, sembra lasci intendere proprio l'opposto, e cioè che sarebbe stata opera ben più meritoria esporsi pubblicamente quando Gesù era in vita (ma non ne fa una questione personale, perché Giovanni sa che anche i discepoli diretti di Gesù ebbero le loro responsabilità nella sua morte).

Peraltro un sinedrita come Giuseppe aveva ben poco da temere dalle ire appena placate di un despota come Pilato, il quale infatti, pur potendo evitarlo, non ebbe alcuna difficoltà a concedergli la salma.

Generalmente i crocifissi venivano sepolti in fosse comuni (anche come forma di disprezzo della loro causa politica), in quanto nemici dello Stato romano, ma, conoscendo la popolarità del messia-Gesù, Pilato, da esperto fantoccio qual era nelle mani di Tiberio, poteva facilmente intuire che il rifiuto gli avrebbe procurato delle noie più che non il consenso.1

Dal canto loro, Luca e Matteo, che qui come altrove copiano da Marco, si rendono conto di quanto sia ostico conciliare l'appartenenza di Giuseppe al Sinedrio (il tribunale giudaico che osteggiava fortemente tutto l'operato di Gesù) col fatto che fosse un filocristiano, per cui entrambi decidono di modificare, più o meno radicalmente la versione del loro prototipo.

Luca, che tende sempre a sdrammatizzare, accentua il carattere "buono e giusto" di Giuseppe, specificando che "non aveva aderito alla decisione e all'operato degli altri [sinedriti]" e che anche lui aspettava il regno di Dio. Poi prosegue mandando Giuseppe da Pilato a chiedere il corpo di Gesù, come se fosse un suo diritto averlo (appunto perché lui era "buono e giusto").

Matteo invece, coerente coi suoi metodi sbrigativi, preferisce tagliare corto sull'appartenenza di Giuseppe al Sinedrio, limitandosi a notare ch'egli era un ricco discepolo del Nazareno. Ciò che, a ben guardare, costituisce un esempio senza precedenti nei vangeli. In altri casi, infatti (si pensi a Zaccheo e allo stesso Matteo, ma anche al giovane ricco o al funzionario di Erode), mai si era visto un ricco incontrare Gesù e rimanere come prima. Generalmente la richiesta, da parte di Gesù, era quella di cambiare vita e nel miglior modo possibile, altrimenti non si poteva diventare discepoli.

Insomma, si può ben dire che la contraddizione principale si pone nei seguenti termini: per i Sinottici Giuseppe era un discepolo esplicito di Gesù (cioè più di un semplice simpatizzante), e poté esserlo pur appartenendo al Sinedrio (o pur essendo ricco, come vuole Matteo); secondo Giovanni invece egli non poté essere esplicito proprio perché apparteneva in maniera attiva al Sinedrio. Quale delle due tesi sia la più convincente, è facile capirlo.2

Ma procediamo. Giuseppe -dice Marco- compra un lenzuolo (sindòn nel testo greco) per avvolgere il corpo di Gesù (si tratta di un lenzuolo adatto proprio allo scopo), che depone in un sepolcro scavato nella roccia, successivamente chiuso da un grosso masso rotolante.

La salma non venne né lavata né unta: Marco lo lascia chiaramente intendere spiegando che due donne stavano ad osservare dove veniva deposta (saranno poi le stesse che, in compagnia di un'altra donna, andranno -sempre secondo la versione marciana- a completare l'inumazione, passato il sabato).

Questa versione dei fatti fu praticamente accettata sia da Luca che da Matteo. Le differenze sono minime: Luca dice che la tomba era nuova, benché trovata frettolosamente (ma su questo anche Giovanni è d'accordo); Matteo dice che la tomba apparteneva a Giuseppe (che però era di Arimatea).

Luca dice che anche la Sindone era nuova; Matteo invece ch'era "candida" (ma il significato è equivalente: lenzuoli del genere non potevano essere riciclati).

Gli elementi più importanti che i sinottici hanno in comune sono che Giuseppe è unico protagonista attivo (per lo schiodamento e il trasporto del cadavere alla tomba saranno però occorsi almeno altri due uomini); c'è un lenzuolo acquistato dallo stesso Giuseppe e la tomba è scavata nella roccia.

Le donne, dal canto loro, stanno a guardare senza intervenire, poiché era venerdì sera, cioè già sabato, stando al computo ebraico. Luca non le elenca secondo i loro nomi (però in 24,10 parla di Maria di Màgdala, Giovanna e Maria di Giacomo): forse gli era apparsa strana l'assenza della madre di Gesù; in ogni caso, contraddicendosi sul precetto del sabato, le fa tornare a casa a preparare aromi e oli profumati per la domenica mattina.3

E ora vediamo Giovanni. I vv. 39 e 40 del c. 19 contengono due grosse novità. La prima è che insieme a Giuseppe c'era anche il fariseo Nicodemo, pure lui discepolo occulto di Gesù (stando almeno a Gv 3,1ss.). Costui avrebbe portato per la sepoltura qualcosa come 32 kg di sostanze aromatiche! Fino a poco tempo fa s'era pensato a un errore di trascrizione di qualche copista; oggi invece si è propensi a considerare falsi entrambi i versetti.

Per quale motivo? Anzitutto perché se veramente Nicodemo fosse stato presente, anche gli altri evangelisti avrebbe dovuto ricordare una persona così importante; in secondo luogo, perché se la Sindone di Torino ha veramente avvolto il corpo di Gesù, questo -come vogliono anche i sinottici- non venne né lavato né unto; in terzo luogo, perché l'inserimento di Nicodemo acquista un chiaro valore apologetico e diplomatico: molti farisei, dopo la morte di Gesù e della sua ideologia rivoluzionaria, divennero cristiani (il più importante dei quali fu senza dubbio Saulo di Tarso); in quarto e ultimo luogo, perché la falsificazione è servita a giustificare il motivo per cui nel racconto tradizionale della tomba vuota, l'apostolo Giovanni non parla di donne intenzionate a ungere Gesù.4

Tuttavia, se entrambi i versetti sono un'interpolazione, allora va rifiutata anche la tesi da essi sostenuta secondo cui i necrofori fecero un sepoltura tradizionale (o legale), con tanto di unguenti, profumi e panni di lino.

Anzi, a proposito di questi versetti, E. Haenchen sostiene che non solo essi sono falsi, ma anche che il redattore non conosceva minimamente la prassi giudaica di seppellimento, né era ben informato circa l'imbalsamazione.

Giovanni dunque non usa la parola "sindone" o perché è stata depennata da qualche manipolatore del testo originale (sostituita con le parole "panni di lino"?), oppure perché non riteneva il lenzuolo, al momento della sepoltura, un elemento importante (nei sinottici sembra sia servito per dimostrare la magnanimità di Giuseppe).

Ma se Giovanni è stato oggetto di censure e manipolazioni lo vedremo più avanti. Qui si può rilevare come nel suo racconto appaia chiaramente come la sepoltura sia stata compiuta in gran fretta: il sepolcro scelto, infatti, era vicinissimo al Golghota (il che peraltro contribuisce a smentire l'attendibilità dei vv. 39 e 40, per i quali si aveva tutto il tempo necessario per fare una sepoltura regolare).

Giovanni giustifica la fretta lasciando capire che, a causa della Parasceve, non avevano alternative: o una fossa comune o una tomba privata senza unzione (di sabato infatti non si poteva lavorare né entrare nei sepolcri, meno che mai il sabato di Pasqua).

Tuttavia, proprio questa irregolarità dovette risultare inaccettabile alla comunità cristiana primitiva, la quale, negli episodi della tomba vuota, ad un certo punto ha deciso di introdurre la figura di alcune donne intenzionate a completare la sepoltura.

Ci si accorse subito che i discepoli (quanti erano rimasti a Gerusalemme dopo la cattura di Gesù? Solo Pietro e Giovanni?) avrebbero dovuto avere più coraggio a violare il sabato, soprattutto in considerazione del fatto che il Cristo, con le sue guarigioni, lo aveva trasgredito più di una volta, rischiando la sentenza capitale.

La comunità cristiana, dunque, rimedia alla pusillanimità dei discepoli -peraltro inevitabile in quel momento di tragica sconfitta- inviando delle donne (!) a togliere l'enorme masso posto davanti all'ingresso della tomba (a una contraddizione si rimedia aggiungendone un'altra ancora più grossa).

È curioso notare come nel vangelo di Marco queste donne siano ben consapevoli della difficoltà che devono superare e come, nonostante ciò, decidano lo stesso di andare al sepolcro per completare la sepoltura. Naturalmente la provvidenza le toglierà dall'imbarazzante situazione facendo loro trovare la pietra già spostata.5

Giovanni non cade in questa incongruenza e scrive che soltanto Maria Maddalena si recò al sepolcro (a piangere? a pregare? Comunque andò senza profumi, e più avanti si scoprirà ch'era in compagnia di un'altra donna).

Trovatolo vuoto, Maria e l'anonima amica si recano da Pietro e Giovanni, rimasti nascosti in città.

Questi corrono a vedere se le donne dicono il vero e Giovanni, il primo che arriva, si china e nota per terra i lini coi quali il lenzuolo che avvolgeva il corpo di Gesù era stato in più punti legato, per tenerlo fermo.

Al pari di Maria, Giovanni sospetta che il corpo sia stato trafugato da qualcuno, ma non entra. Attende l'arrivo di Pietro, più lento perché più anziano. Una volta entrati si guardano attorno e cosa vedono? Non solo le bende per terra, ma anche la Sindone piegata e riposta da una parte, come se dovesse essere conservata. Cosa pensano? Pensano che il corpo non può essere stato rubato: i ladri l'avrebbero portato via così com'era, oppure non avrebbero perso tempo a piegare il lenzuolo. Dunque era successo qualcosa di strano. Ma cosa? La prima menzogna è nata lì, in quel momento. Pietro avrà guardato in faccia Giovanni, che nel suo vangelo dice di se stesso, dopo aver costatato la Sindone piegata: "e vide e credette", e gli avrà chiesto d'inventare con lui un'altra storia…

Quale storia s'inventò Pietro? La storia di un giovane dentro il sepolcro che, seduto sulla destra e vestito di un abito bianco, destava sgomento alle donne recatesi per ungere Gesù, e alle quali disse in tono rassicurante: "Non abbiate paura. Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ora egli vi precede in Galilea":

In altre parole, per l'apostolo Pietro sarebbe stato meglio sostenere che Gesù era risorto perché un angelo lo aveva rivelato alle donne (donne che poi in Marco fuggono spaventate, senza raccontare niente a nessuno, cosicché -lascia intuire l'evangelista- nessuno poté interpellarle o contestarle).

Questa la versione che, secondo Pietro, avrebbe dovuto accettare una comunità da lui ritenuta troppo immatura per poter credere alla versione di Giovanni e continuare a battersi per la causa rivoluzionaria del Cristo. E così infatti sarà.

Luca, in seguito, arriverà addirittura a parlare di due uomini sfolgoranti e del loro annuncio pasquale a tutti gli apostoli e discepoli vicini e lontani.

Matteo è ancora più fantasioso: pur avendo detto che le donne si recarono al sepolcro senza portare gli unguenti, parla esplicitamente di un "angelo del Signore" disceso dal cielo, lucente come la folgore (o come la neve!), di una pietra che rotola da sola, di terremoti d'ogni genere, di guardie tramortite… insomma, siamo ben oltre i limiti dell'apocrifo.

Ma come metterla con la versione di Giovanni che, essendo stata scritta per ultima, capitò questa sì!- come un fulmine a ciel sereno?

Qui le manipolazioni, oltre a quelle viste in precedenza, sono state di due tipi. La prima è l'aggiunta dei vv. 9 e 10 del c. 20, secondo cui i discepoli Pietro e Giovanni, entrando nella tomba, non avevano capito che la Scrittura prevedeva la resurrezione del messia. Un'aggiunta, questa, davvero strana: sia perché non c'è alcun passo del V.T. che profetizzi questo; sia perché, proprio osservando la Sindone piegata, Giovanni poté scrivere di sé "e credette" (evidentemente per il falsario la Sindone non costituiva alcuna prova e gli apostoli avrebbero potuto credere nella resurrezione di Gesù solo dopo averlo rivisto sulla terra: di qui i racconti di resurrezione).

La seconda manipolazione sta, presumibilmente, nella sostituzione della parola "Sindone" con la parola "Sudario", già usata da Giovanni per indicare non un intero lenzuolo, ma solo la mentoniera che nel racconto di Lazzaro era servita per tener chiusa la bocca al cadavere di quest'ultimo.

Grazie a tale sostituzione, con la quale peraltro si poteva confermare il racconto interpolato di Giovanni sulla sepoltura, la Sindone risulta praticamente scomparsa e di essa per molto tempo non si parlerà più. Giovanni insomma, ufficialmente, vide piegato soltanto il sudario.

Oltre a queste due falsificazioni ve n'è un'altra, extratestuale ma molto significativa, al v.12 del c. 24 di Luca, laddove si afferma che al sepolcro corse solo Pietro (e non anche Giovanni) e ch'egli vide solo delle bende (e non anche la Sindone) e che di ciò egli stupì (ma senza credere come Giovanni).

Questo è un versetto che la stragrande maggioranza degli esegeti considera spurio.

Col passare del tempo (i vangeli, come noto, non sono stati scritti "di getto", né da una persona sola) i teologi della comunità cristiana s'inventarono, sulla scia della versione di Pietro riportata nel testo di Marco, tutti i racconti di apparizione di Gesù redivivo, nei quali egli più che altro dà delle direttive di ordine ecclesiale. Luca addirittura supera abbondantemente l'apocrifo descrivendo l'ascensione di Gesù in cielo (per molto meno altri testi sono stati esclusi dal canone). Come noto, le versioni più antiche di chiusura del vangelo sia di Marco che di Giovanni non riportavano alcun racconto di apparizione.

Per concludere, proprio la Sindone attesta che non esiste alcuna prova, se non la Sindone stessa (che però non prova nulla al 100%), circa la presunta resurrezione del corpo di Gesù.

Gesù non è mai riapparso, non c'è stata alcuna angelofania, il concetto stesso di "resurrezione" non ha senso, poiché il corpo non è mai stato trovato (al massimo lo si può applicare a Lazzaro o alla figlia di Giairo, per restare ai racconti evangelici). Il concetto di "resurrezione" è un'interpretazione teologica a un fatto storico: la scomparsa di un cadavere.

Nel caso in questione ci si dovrebbe limitare a parlare, al massimo, di trasformazione della materia in energia - un processo che con gli studi sull'atomo abbiamo appena cominciato a decifrare.

Un'altra conclusione che infine si può trarre è la seguente. I sinottici raccontano una verità "tecnica", "formale" (si usò un lenzuolo), ma mentono sulle cose "sostanziali", cioè sul fatto che oltre al lenzuolo non esiste alcuna altra prova della presunta resurrezione di Gesù.

Viceversa, il testo originale di Giovanni diceva molto probabilmente la verità sia sulle questioni "tecniche" (la sepoltura fu affrettata e non ci fu alcuna intenzione di completarla), sia sulle questioni "sostanziali" (l'unico indizio a disposizione era la Sindone). Solo che il testo è stato manomesso da chi voleva far credere due cose: 1. che il crocifisso aveva ottenuto una sepoltura in piena regola (cosa che nei sinottici doveva avvenire la domenica mattina) e 2. che la fede nella misteriosa scomparsa del corpo di Gesù non dipese dalla constatazione della tomba vuota e quindi della Sindone riposta e piegata, bensì dall'annuncio serafico dell'angelo di Dio.

Nel vangelo di Marco, infatti, l'angelo non dice alle donne: "Non è qui, è risorto", ma proprio il contrario: "è risorto, non è qui". A tale dichiarazione apodittica, incontrovertibile, fa da pendant nel vangelo di Giovanni il dialogo del messia risorto con la Maddalena, che inspiegabilmente era tornata a piangere sulla tomba vuota. Alla donna un secondo redattore del vangelo, già consapevole che la tomba era situata in un "orto", in quanto l'aveva precisato lo stesso Giovanni, farà dire: "Non sei tu l'ortolano? Dimmi dove l'hanno messo!".