IN EUROPA PER LE NAZIONI SENZA STATO

Che l’Europa sia diventata il nuovo interlocutore di regioni, comuni e singoli cittadini, in tutta una serie di settori e materie (purtroppo, quasi esclusivamente economici), fino a poco tempo fa diretto appannaggio di organi statali, abbiamo imparato ad accettarlo già da tempo. Così come, nonostante i frequenti e difficili compromessi, abbiamo cercato con molto ottimismo di sentirci cittadini d’Europa; nel senso che abbiamo riposto in essa tutte quelle speranze che uno stato accentratore e burocrate, quale quello italiano, ha puntualmente disilluso. Tutto ciò perché l’Europa ci offriva un sogno: l’Europa dei popoli. Un grande stato federale, nel quale avrebbero trovato voce tutte quelle realtà locali, quei popoli appunto, la cui diversità ha subito negli anni la mortificazione del corpo e dello spirito, in nome di un’unità nazionale che francamente, si vede solo in tv al Festival di Sanremo.

Fatto sta che quel sogno lo abbiamo dovuto abbandonare (o forse un’europeista convinta come me, dovrebbe dire sospendere!!) per fare spazio alla crudele realtà: l’imprescindibile legame con la base e l’essenziale dialogo con i cittadini e comunità locali, sono i grandi assenti di questa Europa (nonostante la lettera del Trattato di Maastricht: "le decisioni saranno prese nella maniera più vicina possibile ai cittadini"). Ed è proprio da questa constatazione che parte l’opera di Koldo Gorostiaga, eurodeputato eletto nelle fila di "Harri Batasuna" (partito indipendentista basco, considerato il braccio politico del gruppo terroristico noto come ETA), volta a portare in Europa la voce di tutti quei popoli che, forse perché vittime di mere politiche spartitorie postbelliche o perché inglobati, tramite sedicenti campagne di unificazione nazionale, fanno parte di stati che poco hanno fatto per rendersi veramente rappresentativi e quindi rispettosi, delle loro specificità (non solo linguistiche o culturali, ma anche sociali, economiche, territoriali ecc.). Il punto è che ci si deve rapportare con un altro ente, sordo e cieco come il precedente, che ha come unico organo rappresentativo delle "regioni", il così detto Comitato delle Regioni, che esercita esclusivamente poteri consultivi; in altre parole esprime pareri che possono essere sempre disattesi dagli organi che, nell’esercizio della funzione legislativa, li possono o devono (perché ci sono dei casi in cui il s.c. Trattato, lo definisce obbligatorio) richiedere. Se poi a questo aggiungiamo, che ci sono regioni come la Sardegna (già nazione in uno stato che non la riconosce) che, facendo parte di una circoscrizione elettorale comprendente un’altra regione come la Sicilia, molto più popolosa, non riesce ad eleggere un proprio rappresentante al Parlamento europeo, quella cecità e sordità di cui sopra, diventano "istituzionali".

L’On. basco si offre quindi quale portavoce degli interessi della Sardegna e di tutte le altre nazioni senza stato, oltre che quale "battistrada" nella la lotta da intraprendere: "Dovete rinegoziare la vostra presenza in Europa - dice con apparente calma - non solo in quanto isola, con gli svantaggi che questo comporta (tra l’altro, il Trattato di Roma menziona e tutela numerose isole, ma non la Sardegna n.d.r.), ma soprattutto in quanto popolo con le sue peculiarità"

Certo che in un’ Europa schiava dei suoi Stati membri (basti pensare che le decisioni fondamentali, riguardanti l’assetto istituzionale, o più semplicemente l’attività di produzione normativa, emanano dalla volontà dell’organo rappresentante dei governi degli stati membri, e non come sarebbe stato logico, dall’organo parlamentare eletto dai cittadini!), è difficile pensare al raggiungimento di una propria dimensione prescindendo da una riforma dell’intero "aquis communauter", magari in senso federale, che permetta la partecipazione delle regioni alla formazione delle leggi, soprattutto in quei settori che direttamente la riguardano. "Non bisogna smettere di lottare, - dice Gorostiaga - è questo il momento giusto perché i sardi vadano a conquistarsi una loro dimensione comunitaria, adesso che l’Unione Europea sta attraversando un periodo di transizione, in vista dell’ingresso nella compagine comunitaria di nuovi Stati". Il tempo stringe.

(antonella loi)