Buio
Wraith

Buio.
L'aria fredda penetra nei polmoni e si insinua dentro di me, fino a raggelare la sorgente dei miei pensieri.
I piedi intorpiditi a contatto con la roccia umida.
Le mani strette dietro la schiena in una morsa di acciaio; non posso muovermi.
Paura.
Dove sono?
Come sono giunto qui?
Non ricordo nulla, il buio di questo luogo maledetto avvolge anche i miei pensieri.
Per quanto mi sforzi non riesco…. non riesco a ricordare; e' come se dovessi scalare una montagna senza mani, ogni semplice pensiero mi risulta inconcepibilmente difficile da elaborare.
Sono le sensazioni fisiche ad imporsi alla mia mente: il freddo, si', il freddo prima di tutto.
Si fa strada tra i lembi dei miei abiti umidi e congela ogni mio movimento.
Dovrei...dovrei cercare di fare qualcosa…ma…non riesco a pensare…cosa
Giaccio sulla dura pietra, una grotta forse.
Un rivolo di acqua gelida scorre sulla superficie rocciosa su cui sono adagiate le mie membra intirizzite; - e' per questo che i miei abiti sono fradici -, mi sorprendo a pensare in un barlume di consapevolezza.
Scalzo, non sento piu' le dita dei piedi.
E gli occhi, non so piu' se sono cieco o se e' il buio interminabile di questo luogo a rendermi tale.
Cerco con tutta la forza della mia volonta' uno spiraglio di luce in questa tenebra; ma non trovo nulla, e' come se il mondo non esistesse piu' per il mio sguardo.
Sono adagiato su un fianco, le braccia legate all'indietro, la testa appoggiata su uno spuntone di roccia, beffardo archetipo fossile di un cuscino.
Il freddo…la paura.
Il silenzio e' assoluto; solo, abbandonato in questa prigione di tenebra, non ne usciro' mai piu'.
Chi mi ha condotto qui?
Non so se chiedermelo sia un bene, qualcosa, in fondo al mio cuore, mi dice che e' meglio che non trovi la risposta, e' meglio che rimanga seppellita nel luogo piu' nascosto della mia anima.
Ma qualcosa..qualcosa devo fare, non posso farmi vincere dalla paura o dalla rassegnazione; devo riuscire a liberarmi.
Cerco di sollevarmi in piedi.
I miei arti non rispondono, devo pensare ad ogni singolo movimento.
Fermo, raddrizzo la schiena, la appoggio alla parere rocciosa.
Ora le gambe; non sono legate, è solo il freddo e l'inattivita' che le paralizza, ce la posso fare, piano.
Un piede alla volta, poggio la pianta sul suolo bagnato, un lieve formicolio parte dalla punta delle dita e si diffonde fino al collo e su alla caviglia; fastidio e calore insieme, è bastato questo sforzo per ridare vita ad una delle mie estremita' abbandonate.
Ora l'altro piede, intanto cerco con le mani legate un appiglio sulla parete alle mie spalle, qualcosa a cui aggrapparmi per aiutare i muscoli indolenziti delle gambe a sostenermi quando provero' ad alzarmi.
Bene, anche l'altro piede riprende vita, cerco di sollevarmi, appoggio tutto il mio peso sulle gambe, le mani scivolano sulla roccia e non mi danno aiuto.
E' cessato il formicolio in basso, lo sforzo mi provoca vampate di fuoco che salgono dai piedi alle gambe, e' quasi piu' insopportabile del freddo di poco fa e mille volte piu' illusorio, il gelo tornera' tra poco.
Vacillo, il sangue ha cominciato di nuovo a circolare e sento le punture di centinaia di spilli che martorizzano le mie gambe.
- Pensa…..pensa che e' necessario - mi dico.
Devo sopportare il dolore, passera' tra poco, e allora arrivera' la speranza.
Il sudore mi scende freddo sulla fronte, ma sto in piedi, non mi lascero' vincere.
Pochi minuti o forse ore, il tempo non ha senso in questa caverna dal silenzio assordante.
Cerco di concentrarmi e di ricordare cosa mi ha portato qui.
Ancora non ci riesco, e' inutile…. ma no, forse posso scovare nella mia memoria confusa un indizio, il principio.
E' terribilmente difficile uscire da qui, anche col pensiero.
E' terribilmente difficile pensare.
Sempre appoggiato alla parete cerco ora di muovere un passo di lato, trovero' una via di scampo.
Il peso torna a poggiarsi su entrambi i piedi, ma una fitta lancinante mi ricorda che sono scalzo sulla roccia tagliente.
Per un istante sento il mio sangue caldo mescolarsi alla patina d'acqua che non cessa di scorrere sul pavimento.
Almeno sono vivo, mi ritrovo a pensare…anche se non vedo niente…

"Condanna!", come un lampo una voce dura, priva di ogni barlume di pieta' , attraversa la mia mente.

Ricordo…nulla di piu'; la voce e' passata e non so correrle dietro, raggiungere i perche' del mio passato e della mia prigionia in questo luogo di solitudine.
Inquieto, frustrato riprendo il controllo del mio corpo.
Un'altro passo e un'altro ancora, seguo l'andamento della parete, condurra' da qualche parte.
Mi muovo lentamente, il cervello completamente occupato nella difficile attivita' di coordinare i movimenti, mantenere l'equilibrio, resistere al freddo che di nuovo mi assale impietoso.
Talmente preso da non fare caso alla tenebra, al silenzio e alla paura che striscia nelle mie vene.
Sembra non cambiare nulla, procedo nel buio sospinto dall'istinto di sopravvivenza, non penso.
Il tempo, o quello che di lui resta nel mio cervello, passa; non me ne accorgo, sono in piedi, cammino e penetro l'oscurita' col mio corpo, mentre gli occhi ne sono sempre piu' vinti.
La parete è sempre liscia e bagnata, il pavimento duro e umido.
Sembra infinito.

Lo sguardo gentile della fanciulla incontra il mio, il suo sorriso seducente.
Mi avvicino ricambiando il sorriso.

Di nuovo…il ricordo mi paralizza, che cosa…ma e' gia' svanito, non riesco ad afferrarlo se non per un istante. Mi chiedo cosa significhi, la luce della memoria e' stata solo una scintilla, - diavolo -, penso, - che e' successo? -; ma presto e' il dolore lancinante al braccio che occupa ogni comparto della mia mente. Un crampo, mi accascio al suolo vinto dal dolore, non so trattenere le lacrime, un rantolo strozzato esce dalla mia gola muta.
Non posso muovere le braccia, la morsa di metallo le tiene strette dietro la schiena.
Respiro, piano, il dolore e' meno forte, passera' anche questo.
Passera' e io trovero' l'uscita.
Mi rialzo attento a non muovere il braccio per non alimentare il crampo latente nei miei muscoli.
Prima mi muovo meglio e', penso.
Il cammino riprende, uguale, interminabile.
Attento a non scivolare.
La testa comincia a dolere, il pensiero si fa ancora piu' lento e confuso, ma non mollo, vado avanti strisciando a ridosso della parete.

"Condanna per cio' che hai fatto!", la voce, di nuovo….

La fanciulla seduta sulla poltrona, nella sala del mio castello.
Lo sguardo imbarazzato, il sorriso incerto.
Io che le porgo da bere e rimango incantato ad osservare la luce che brilla nei suoi occhi di zaffiro.

Il ricordo svanisce.
Quella luce di zaffiro non illumina questo luogo di tenebre.
Non ho la forza di riaccendere la memoria.
Non ho neppure piu' la forza di farmi delle domande.
Sono le mie gambe, da sole, che mi guidano, trascinando con se' il corpo e lo spirito esausti.
Non sento piu' l'acqua, non sento piu' il freddo…arrivero' da qualche parte, qualcuno avra' pieta'…

Le segrete del castello.
Il calore della forgia.
Un balume rosso porpora riverbera nel corridoio, il fuoco e' acceso, il carbone arde sotto i ferri del maniscalco…o del boia.
La sala della "redenzione".

La mente confusa confonde la realta' e il ricordo.
Quel fuoco e' per me, penso, mentre mi accingo a guardare all'interno della stanza.

Il legno crepita e scoppietta vivace, mentre i ferri si arrossano al calore del fuoco.
Mi accorgo di un tenue lamento, indistinto, che accompagna ogni mio pensiero.
Tossisco, cerco di schiarire la voce che esce dalla mia gola tormentata.
Ma il lamento non cessa, quasi non fosse mio.

Ecco il boia.
Tremo al pensiero di cosa mi fara'.
Il dolore che ho sopportato finora, in questa buia caverna, e' nulla in confronto agli elaborati giochi di fuoco che sperimentera' sulla mia pelle nuda e sensibile.
Vorrei non essermi alzato dal luogo dove ho ripreso i sensi…
Vorrei essere morto di freddo e di stenti laggiu', abbandonato a me stesso…
Vorrei essermi addormentato su quel cuscino di pietra per non risvegliarmi mai piu'…per non dover affrontare questo…

Sento il sudore che mi imperla la fronte, la gola stretta in una morsa di terrore, gli occhi incapaci di spostarsi dalla visione del fuoco e dei ferri arroventati.

Il boia si avvicina alla forgia, solleva un ferro, poi l'altro, soppesandoli bene.
Controlla che il metallo sia giunto quasi al punto di fusione e si ferma un istante a contemplarne il rosso cangiante e la luminosita' vermiglia che si diffonde soffice e calda.

Ne posa uno sui carboni infuocati, perche' non si raffreddi, e avanza nella mia direzione, brandendo l'altro nella mano destra.

Ammutolisco.
Paralizzato dal terrore non riesco a muovere un muscolo...
… un urlo agghiacciante riempie la stanza.
La mia voce, no, non e' la mia voce…chi…chi ha urlato?
Non capisco, le emozioni si accavallano, si scavalcano l'un l'altra, impazzite, si rincorrono e si scontrano, girano vorticose su se stesse e mi travolgono.
Mi superano.

Alle mie spalle la fanciulla incatenata.
Il boia che le si avvicina e le imprime sul corpo delicato i segni ardenti del fuoco.
Il boia che gioca col suo dolore e con i ferri roventi, dipingendole la pelle di sangue e di morte.
Le urla straziate, le suppliche, i lamenti…il silenzio.

Gli occhi di zaffiro fissi come il vetro, gli occhi trionfanti del boia sui miei.

No, non fissi suoi miei.
I miei occhi.
Io, il boia.

"Condanna! Sei condannato per aver torturato e ucciso, senz'altra ragione che per il tuo stesso divertimento, una creatura innocente! Nessuna pena sara' adeguata al crimine che hai commesso, niente sara' mai sufficiente per cio' che hai fatto!"

Il silenzio e' assoluto, il buio accecante.
Non usciro' mai di qua.


I Racconti Noir